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Fumetto

Cover art & Comic art

Il fumetto, si sa, è un prodotto infantile e superfluo di cui l’unico elemento importante è quello commerciale. Perché quindi impegnarsi a cercarne strutture e funzioni o, peggio ancora, uno “specifico” che sicuramente non ha, se è così semplice e comodo paragonarlo al cinema di cui è il fratello gemello (certamente meno riuscito)? Tra l’altro, accomunare cinema e fumetto fa pure tendenza. Comunque, se l’andazzo critico di questi ultimi anni ci ha regalato perle come le “inquadrature cinematografiche” cui ricorrerebbe Hermann o il “ritmo cinematografico” di Watchmen, non dobbiamo dimenticarci che circa vent’anni fa il paragone in voga era invece quello (molto più ingenuo ma almeno spinto da un idealismo non sospetto) tra fumetto e musica.
Alfieri di questa curiosa tendenza furono le prime riviste a fumetti d’autore che apparvero in Italia agli inizi degli anni ’80. La casa editrice Nuova Frontiera iniziò timidamente su Totem un discorso (mai formulato concretamente) che tendeva ad associare certa musica (imperavano new wave, punk e heavy metal) ai fumetti pubblicati; ma fu sulla versione italiana di Metal Hurlant, sempre della Nuova Frontiera, che questo discorso si sviluppò. Anche il geniale Stefano Tamburini/Red Vinyle avrebbe voluto articolare quest’idea della vicinanza tra i due media, sul vecchio Frigidaire, ma il tutto fu poi abbandonato in favore di altre scelte editoriali.

A prima vista, il paragone con il cinema risulta ben più logico che quello con la musica considerando che, a livello strutturale, è molto più difficile immaginare la trasposizione grafica sulla carta di un tempo (a ¾) che non, ad esempio, di un piano sequenza; c’è però un ambito specifico pur se ristretto in cui le caratteristiche grafiche del fumetto possono sposarsi con il mondo emozionale ed iconografico della musica. Questo è certamente quello delle copertine dei dischi.
Prima di addentrarci nell’argomento è doveroso ricordare che comunque certi inserimenti di elementi musicali nei fumetti di alcuni autori si sono rivelati perlomeno interessanti: gli spartiti che fungono da “colonna sonora” in alcune opere di Cinzia Leone sono divertenti. Così è anche per i risultati del lavoro commissionato a Guido Crepax da parte della rivista Giovani, che sono senza dubbio buoni.

Cos’è la copertina di un disco

La cover art dei prodotti discografici è forse l’esempio più ambiguo d’arte applicata. Se da un lato lo scopo di una copertina è di incentivare la vendita di un prodotto di cui è, in fondo, solo un supporto cartaceo che fa parte della confezione, dall’altro viene tranquillamente riconosciuta l’inutilità di questa intenzione: i designer di copertine sono perfettamente consapevoli che la gente compra i compact disc principalmente per ascoltare la musica e non per ammirare la grafica della copertina. Inoltre non esiste più neppure la funzione d’imballaggio che la copertina aveva ai tempi del vinile.

Vista questa situazione paradossale per cui ciò che identifica e caratterizza un prodotto ha un ruolo del tutto secondario nella sua commercializzazione, salta subito agli occhi la libertà di cui possono disporre i cover artist: un esempio indicativo di questa libertà è l’ironica copertina di Go 2 degli XTC, progettata dall’Hipgnosis, riempita nella sua totalità da un testo scritto riguardante proprio il ruolo che hanno le cover nella commercializzazione dei dischi. La grande eterogeneità di stili e modelli che caratterizza la libertà esecutiva dei designer si manifesta ovviamente anche nell’assunzione di elementi e canoni interpretativi desunti da altri ambiti: le avanguardie pittoriche, le foto di glamour, i frammenti più banali della realtà e, tra i tanti, anche i fumetti.

Innanzitutto bisogna fare una premessa: molti disegnatori di fumetti (come d’altronde anche pittori e fotografi celebri) hanno prestato il loro servizio per illustrare copertine di dischi. Tuttavia, ciò non fa e non potrebbe fare di quelle copertine delle citazioni fumettistiche; in questi casi è più giusto parlare di semplici illustrazioni come ce ne sono tante. In ogni caso quest’impegno dei fumettisti anche sul versante delle cover (vuoi per buoni riscontri economici, per una questione di prestigio o solo per ragioni “alimentari”) ha avuto molti e importanti esiti che non possono farlo passare inosservato. Uno tra gli artisti che più si è profuso nella produzione di copertine di dischi è l’eclettico Richard Corben. Proveniente dall’ambiente underground statunitense (che poi svilupperà a modo suo), con alle spalle una solida carriera di animatore cinematografico, Corben confeziona fumetti innovativi dallo stile iperrealista che sarà di modello per almeno due generazioni successive di disegnatori e che desterà l’interesse delle case discografiche. Lo stile realista ed iperbolico del disegno di Corben si adatta soprattutto alla musica heavy metal ed alcune sue realizzazioni sono intrise di violenza e di epicità in perfetta sintonia con i pesanti suoni che rappresentano.
Anche i celebri Andrea Pazienza e Tanino Liberatore hanno prestato la loro opera alle case discografiche , ma i disegni con cui hanno illustrato le copertine e gli interni degli album di Roberto Vecchioni, Enzo Avitabile, Ivan Graziani e Frank Zappa spesso tradiscono la loro origine di fumettisti.

Copertine a vignette sequenziali

lor-8.jpg (6864 byte)Vi sono casi più specifici di quelli segnalati sopra, in cui la sequenzialità del fumetto (e non altri suoi aspetti esteriori) viene presa in prestito per decorare le cover. Un paio di esempi indicativi al riguardo sono le copertine di due dischi di Janis Joplin e di David Bowie.
Per Cheap Thrills, la casa discografica di Janis Joplin (la CBS) affidò il compito di progettare e disegnare la cover al disegnatore underground Robert Crumb che, si racconta, era amico della cantante. Crumb ideò una sorta di grossa tavola domenicale in cui le surrealiste vignette introducevano le canzoni ed i componenti della band (Big Brother & the Holding Company). In una struttura simmetrica ma non speculare dei curiosi personaggi agiscono in accordo con il tema che rappresentano. I disegni e le vignette, privi d’alcuna logica e del benché minimo significato relazionale, hanno nella loro organizzazione una forte autorità sul senso di lettura dell’osservatore, se non una vera e propria sequenzialità.

Nel caso di David Bowie (l’album in questione è Images 1966-67) la cover fu disegnata dal grande Neon Park.
Le maggiori influenze che si notano in questo suo lavoro provengono dall’underground californiano (lo stesso Crumb esercita il suo peso) e dalla Pop Art. Le suggestioni visive, pur così diverse, si amalgamano alla perfezione e danno un equilibrio formale degno dei disegnatori di fumetti più validi: anche qui, come nel caso di Cheap Thrills, i disegni servono ad introdurre le canzoni ma nemmeno in questo caso si limitano ad illustrarle. Malgrado non vi siano né una logica estetica né, tantomeno, una narrativa, l’uso accurato di prospettive, figure regolari e modulazione della profondità guidano l’osservatore come se ci si trovasse di fronte alle migliori tavole di Toppi, Zanotto o Giraud.
In quest’ottica è interessante vedere anche il lavoro svolto dal grande maestro americano Neal Adams per la copertina dell’album Who will save the World? dei The Mighty Groundhogs, dove del fumetto viene applicata una forma esteriore molto ben riprodotta (nella fattispecie quella dei comic book supereroistici statunitensi con tanto di simil-bollino del comics-code!) ed una marca stilistica che subito rimanda al linguaggio del fumetto: qui non abbiamo dunque una struttura che rimanda ad una “storia” (intesa solo come organizzazione logico-formale) come nei due casi succitati, ma un elemento caratteristico di quella particolare storia.

Copertine di dischi ispirate a fumetti

Oltre che dal linguaggio sequenziale del fumetto i designer si sono lasciati influenzare anche dai suoi aspetti meno caratteristici, prendendo in prestito o rielaborando alcuni elementi esteriori che hanno poi assunto la forma d’ironiche citazioni o d’omaggi. Tralasciando i rimandi che spesso appaiono nelle canzoni stesse (“lasciare tutto Moravia per un Paperino”, “Alan Moore knows the score”, “Mandrake e Wiz son solo falsi maghi”, “Zanardi non lasciarmi mai”) vediamo come spesso i cover artist mutuino dai fumetti più diversi dei particolari che arricchiscono i loro lavori.
Sul loro disco omonimo, Commander Cody & His Lost Planet Airmen hanno piazzato una divertente illustrazione fantascientifica in cui abbigliamento e design rimandano fortemente alla strip Buck Rogers.
Rick Griffin, invece, scelse di omaggiare un altro genere di fumetti e sulla copertina di Slow Motion dei Man fece comparire Alfred E. Newman, la mascotte della rivista satirica Mad.
Una bella immagine aerografata di Phillipe Druillet campeggia invece sulla cover di East-West di Richard Pinhas.
Il michelangiolesco e anonimo braccio che compare su Mandance di Ronald Shannon Jackson sembra essere stato appena strappato ad un collerico Ranxerox (il personaggio di Tamburini e Liberatore è noto anche in Giappone e probabilmente l’illustratore Katsu Yoshida lo ha preso a modello).

Allo stesso modo, in un recente lavoro di Loredana Bertè che porta il curioso nome di Bertex un inedito Tex Willer si fa promotore della cantante.
L’elenco potrebbe continuare ancora a lungo e ci si potrebbe divertire a cercare anche le citazioni mascherate cui ricorsero alcuni illustratori o direttori discografici per evitare noie con i diritti d’autore (difatti l’Alfred E. Newman che Rick Griffin aveva progettato originariamente fu ingrandito e in parte coperto per renderlo meno riconoscibile) ma la citazione più evidente e probabilmente più divertita di tutte è quella dei Killing Joke nel loro album America. Killing Joke è infatti anche il titolo di una bellissima storia di Batman uscita nel 1988. In questo caso, a baciare sul collo la cover girl è proprio la sagoma dipinta di verde dell’eroe di Gotham City.

Copertine con nuvolette

Un altro aspetto più “forte” dei precedenti mutuato dal fumetto è l’utilizzo delle nuvolette (i “ballons”) nell’organizzazione grafica della cover. Ingenuamente si ritiene che siano queste particolari caratteristiche a differenziare il fumetto dagli altri linguaggi: in realtà si tratta solo di una dei tanti artifici di un medium che comunica fondamentalmente per immagini. L’equazione superficiale fumetto=nuvolette è tipica di certi pubblicitari che l’hanno usata indiscriminatamente dagli anni ’50 in poi; ed è a quest’uso improprio — più che al fumetto in sé — che s’ispira Neon Park per la copertina di Weasels Ripped My Flesh dei The Mothers of Invention, copertina ormai giustamente entrata nel mito.
Chi sia in realtà questo artista è un mistero: alcuni suggeriscono si tratti di un nome sotto cui si sono associati vari illustratori ma la facile identificabilità dello stile e soprattutto dello spirito dei suoi disegni smentisce questa ipotesi. Pare viva (o sia vissuto) nei dintorni di Los Angeles, dove lavora. Le sue bizzarre ma divertenti opere hanno illustrato gli album di diversi artisti ma il suo nome pare legato soprattutto ai Little Feat. Come sono scarse le notizie biografiche su di lui, così lo sono anche quelle sulle tecniche che impiega. Il grottesco uomo che si scortica la guancia simulando una rasatura con lo weasel (una specie di faina americana) è dipinto beato e sorridente secondo il modello pubblicitario statunitense più consumistico, qui irriso ferocemente. Anche la tecnica sembra fare il verso ai grafici così poco dotati del panorama pubblicitario di quegli anni.

Il ritratto è infatti ottenuto con l’uso di colori primari smaccatamente privi di sfumature, che vengono sovrapposti l’uno sull’altro con robuste pennellate e senza alcuna ricerca di dettagli rifiniti. Due “metadettagli” che invece è giusto notare sono la resa della cravatta, di un kitsch sublime, e l’ombreggiatura che il colletto proietta sulla camicia: uno stupidissimo viola che non ha neppure la dignità d’essere materico, ulteriore omaggio-dissacrazione del lavoro approssimativo dei pubblicitari faciloni che hanno accompagnato gli anni del boom economico.
A completare il quadro di questa storica cover intervengono proprio le nuvolette, non quelle dei fumetti ma quelle che risultarono dal processo di digestione che ne fecero i copywriter: nella loro perfetta, quasi irritante, regolarità i baloon non servono ad altro che a lanciare uno slogan che l’euforia demente dell’uomo ritratto enfatizza. Ma lo slogan in questione altro non è che il nome del prodotto da esaltare, cioè l’album dei The Mothers of Invention, che viene usato come risposta ad una domanda fuori campo. Geniale la nuvoletta che con il suo onomatopeico “RZZZZZ !” (rivelando quindi tutta l’assurdità della situazione) prende in giro la copertina stessa ed i processi capitalistici che hanno fatto sì che essa potesse venir ideata e disegnata in questo modo.

Ad un livello più modesto (come d’altronde era anche la musica che rappresentavano) vanno segnalate le particolari copertine con cui Increase Records decise di illustrare la serie di raccolte intitolata Cruisin’. Partendo dal 1960 un designer (o più probabilmente uno studio pubblicitario) che usa lo pseudonimo di Rover ci presenta con i baloon ed un disegno ispirato all Pop Art di Roy Liechtenstein alcuni momenti tratti dalla vita del giovane Eddie. Guardando le copertine una di seguito all’altra (la serie ebbe termine probabilmente con il 1970) si può quindi ricostruire la storia di Eddie ma anche il clima dell’anno preso in considerazione. Anche in questo caso c’è una buona dose di ironia e gioco metalinguistico (spacciare per fumetto ciò che lo ha reinterpretato rendendolo icona: la Pop Art) ma qui pare essere la nostalgia a farla da padrona.

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