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Cinema

“Arizona Dream”. La meditazione esistenziale in Kusturica

Allo scoppio della guerra che qualche anno fa sconvolse i Balcani, Emir Kusturica viveva in esilio negli Stati Uniti dove insegnava sceneggiatura alla Film School della Columbia University. Il regista era famoso soprattutto per tre dei suoi lungometraggi fino ad allora girati, vincitori di prestigiosi premi internazionali, caratterizzati da tematiche balcaniche e, i primi due, da un forte coraggio polemico e dissacratorio nei confronti del regime politico della società che vi veniva rappresentata: “Ti ricordi di Dolly Bell?”, “Papà è in viaggio d’affari” e “Il tempo dei gitani” (vedi filmografia). Nell’assedio di Sarajevo Kusturica perse la casa natia e il padre.
Era il 1992 quando da una sceneggiatura scritta da David Atkins, allievo del regista all’università americana, nacque il progetto per un nuovo film assai diverso dai precedenti: Arizona Dream. Questa sceneggiatura originale, che aveva una forte plausibilità diegetica e una precisa sequenzialità narrativa, fu rielaborata e modificata da Kusturica, che certo molti altri cambiamenti compì durante le riprese, secondo un’usanza personale che egli stesso tuttora dichiara e difende. L’opera fu finanziata dai francesi della Constellation, dell’ UGC, della Hachette con la partecipazione di Canal+ e del ministero francese della cultura. Vi furono problemi d’intesa con un primo produttore esecutivo troppo rigido, poi sostituito da Paul Gurian; la lavorazione del film subì un’interruzione di tre mesi. Fu poi terminato nel 1993 e presentato nello stesso anno al Festival di Berlino dove vinse l’Orso d’argento.

Nel lungometraggio sono assenti tematiche politiche e l’ambientazione non è più quella consueta dei Balcani. Arizona Dream è una profonda indagine esistenziale che si articola lungo il tema conduttore del passaggio all’età adulta. Pregno di un carattere visionario e onirico, contrassegnato dall’esuberante e disinvolta fantasia dell’autore, il film dimostra uno sviluppo stilistico notevole, colpisce per la personale autenticità e genuinità creativa del regista, qui straordinariamente evidenti, e per la forte intensità meditativa. L’opera tocca un valore estetico alto, ma purtroppo per la sua forte diversità di cultura e sensibilità è stata tra tutte la meno compresa dalla critica.
Oltre a trattare le problematiche della crescita interiore in una società difficile e del passaggio all’età adulta, ci viene offerto un affresco amaro e disincantato, privo di rabbia e sdegno ma anzi pregno di umana comprensione, di una civiltà incrinata da contraddizioni e illusioni e degli individui che vi sopravvivono brancolando nel buio. Si compie una coraggiosa esplorazione del baratro che teniamo sepolto nell’inconscio e di cui temiamo l’evidenza, e si giunge a toccare le zone oscure del dolore e dell’odio, dove vanificata ogni certezza scompare la distinzione tra vittima e carnefice e diventa dubbio il concetto stesso di colpa. Tutto ciò viene affrontato con un tono a volte molto cupo, ma il pessimismo non è mai totale nell’autore: persiste fino alla fine un amore sofferto ma tenace per la vita, e uno sguardo stupito e affascinato dalla varietà e ricchezza del mondo.

Dò un breve riassunto della storia. Il giovane Axel (Johnny Depp) vive a New York, dove lavora al reparto ittico: raccoglie i pesci malati nei corsi d’acqua, li scheda e li riporta nell’oceano. Ama i pesci e questo lavoro gli permette di osservarli e trarne spunto per le sue riflessioni esistenziali. Lo raggiunge nella metropoli l’amico Paul (Vincent Gallo), il quale lo invita a venire in Arizona dove l’anziano zio Leo (Jerry Lewis) lo vuole come testimone al suo matrimonio con una ragazza dell’Europa dell’Est. Axel rifiuta: così Paul lo ubriaca, lo carica in auto e l’Arizona viene raggiunta in una sola nottata. Qui lo zio non solo convince Axel, al quale è fortemente affezionato, a fargli da testimone ma, preoccupato per l’avvenire del giovane, lo costringe addirittura a lavorare qualche settimana nel suo autosalone. Ben presto Axel si innamora di Elain (Faye Dunaway), affascinante vedova che vive con la figliastra Grace (Lili Taylor). Le due, di carattere stravagante ed instabile, sono legate da un morboso rapporto di odio ed amore. Leo, che per il protagonista è l’”eroe della propria infanzia”, muore d’infarto. I desideri di Elain, il cui più grande sogno è quello di volare, si fanno sempre più folli e mutevoli, tanto che Axel, non riuscendo più ad accontentarla ed assecondarla, smette di amarla per innamorarsi di Grace. Questa, in una notte di bufera, indossa l’abito da sposa ed esce per compiere il suo fermo proposito, da tempo meditato: togliersi la vita per potersi reincarnare in una tartaruga. Axel, in preda allo sconforto, vaga per le strade deserte della cittadina dello zio dove imperversa la bufera. Si sente vuoto e incapace di comprendere il senso della vita. I sogni e le fantasticherie dell’adolescenza si sono dissolti di fronte all’esperienza del dolore; nell’urto con una realtà che si rivela dura ed amara questi non reggono più. Quella di Axel è una morte interiore: è crollato tutto un mondo di valori e ideali in cui egli aveva creduto e nei quali si era identificato. Ma questa morte è preludio a una nuova vita, e segnerà il passaggio alla maturità. Quando esausto e sconvolto si addormenta, sarà un sogno a rivelare al protagonista il compimento di questo passaggio: lui e lo zio sono due eschimesi e hanno appena pescato il pesce freccia. Leo racconta che questo è un pesce speciale: nasce con entrambi gli occhi su un lato e quando crescendo raggiunge la maturità uno di questi si sposta sull’altro; muta così la sua visione del mondo ed ha inizio nuova vita. Appena termina la spiegazione dello zio, il pesce freccia si alza in volo.

Nel film udiamo numerosi monologhi interiori del protagonista. Ne riporto quello che caratterizza la sequenza della roulette russa, che è immediatamente successiva a quella in cui Elaine e Axel riescono a volare con una delle macchine fabbricate dal giovane finendo per schiantarsi contro un albero.

A volte occorre sbattere la testa contro un albero per capire ciò che si deve fare, e che il segreto delle cose è privo di significato… Quando l’avevo vista nell’hangar (la pistola) mi ero sentito subito nervoso, perché era identica a quella del mio sogno. Mai nella mia vita avrei pensato di diventare un eschimese in mezzo al deserto, consapevole di dover uccidere qualcuno per metter fine alla sua infelicità. E all’improvviso vidi tutto chiaramente, come quando si pulisce il vetro appannato di una finestra. Temevo che se non avessi fatto niente da un momento all’altro sarebbe esploso qualcosa, magari io; e così decisi immediatamente di uccidere, per evitare di uccidermi. L’unico problema era che essendo entrambe così infelici non sapevo quale delle due uccidere.

Axel entra nella camera di Grace, le punta il revolver in testa e lei lo invita a far fuoco. Lui non ha il coraggio. La ragazza prende la pistola, toglie tutti i proiettili, ne carica uno solo e si siede a un tavolo. Dice al giovane: “Ho un gioco da proporti. Un gioco antico, con regole severe.” Lei fa roteare l’arma sul tavolo; la pistola si ferma con la canna rivolta in direzione di Axel.
“Tocca a te”.
“No”.
“Non si dice di no a questo gioco… Va bene, gioco prima io, d’accordo.”
La ragazza si punta la pistola alla tempia e preme il grilletto. Non vi è sparo. Ora è il momento di Axel ma questi continua a rifiutare.
“Però non è giusto. Tu sei venuto ad uccidermi. E stiamo facendo un gioco ora, e tu non rispetti le regole… Axel che cosa sei? Un bambino spaventato? Un bambino che ha paura di tutto? Axel, hai paura come un bambino! Che fifone! Coraggio, prendila , avanti!”
Il protagonista si punta la pistola, ma non trova il coraggio di premere il grilletto. Grace lo incalza; Axel è sempre più teso e alla fine come preso da un raptus preme più volte il grilletto. La ragazza lo ferma: “No! Questo non lo puoi fare. è contro le regole.”

Nella sequenza che contiene il monologo interiore e questo dialogo la tensione è estrema e la situazione è talmente drammatica da sfiorare l’assurdo. Il grottesco è una caratteristica ricorrente nei film di Kusturica. Ciò che semmai distingue Arizona Dream dagli altri film è la frequente (ma non completa) mancanza di quel riso demistificatorio, di quell’umorismo che smorza la tragicità degli eventi facendoli scivolare nell’opposto versante della comicità (tale comicità sarà il tratto dominante di Gatta nera, gatto bianco)(1): fatto che fa acquistare all’opera un tono particolarmente cupo. Possiamo interpretare questa sequenza come la metafora di un mondo governato da regole assurde e incomprensibili a cui è impossibile fuggire; un mondo dove l’umana volontà si dissolve e l’individuo è in balia del caso, costantemente minacciato dalla precarietà e dalla morte, impotente marionetta costretta a subire le sorti di un gioco crudele e insensato. Un mondo terribile è il mondo in cui vivono le due donne: il luogo delle tenebre, il regno del dolore e della follia. Axel non conosce questo luogo e la sua iniziazione al dolore lo trova impreparato: è un bambino smarrito. Lui non conosce il buio abisso della sofferenza e così crede di poter intervenire e spezzare l’assurdo vortice del dolore con un gesto sbrigativo e azzardato: uccidere una delle due donne. Ma subito gli manca il coraggio. è il primo cedimento: di fronte a Grace e al gioco che gli propone precipita a un livello ancora più profondo del baratro, fino a che ne intravede le terribili leggi; ma non ne può tollerare il peso al quale vorrebbe subito sottrarsi fuggendo, togliendosi la vita nel momento in cui il raptus improvviso gli permette di eludere la paura stessa. Nella follia è Grace a fare la scelta più radicale. Costretta a vivere con una matrigna che sembra le abbia ucciso il padre per denaro, che è assetata di benessere materiale e di sesso (eppure vittima lei stessa, e presentata da Kusturica con profonda comprensione umana, poiché non ci sono veri colpevoli né carnefici), terrorizzata dall’idea di diventare un giorno come lei, frustrata nei sentimenti, Grace fissa per sé un proposito fermo, uno scopo ben chiaro, e decide di raggiungerlo ad ogni costo credendovi ciecamente: vuole reincarnarsi in una tartaruga. Segue, nel conseguire il fine, un severo rituale, senza alcun tentennamento: scoppiato il temporale abbandona Axel, Paul ed Elaine che stanno festeggiando, rinuncia all’amore del protagonista, indossa l’abito bianco di sposa ed esce per compiere il proprio sacrificio. In questo senso il comportamento della giovane suicida non ha niente di illogico: se ne va con un atto consapevole e meditato da una vita che per lei è ormai impossibile, conservando nel dolore la piena dignità; mentre Axel si comporta di fronte ad esso da bambino impaurito e la matrigna, come pure gli altri personaggi, appare spesso ridicola, Grace è quasi un’eroina di tragedia, e l’austerità di una tragedia caratterizza la scena del suo suicidio, nella quale si leva una musica extra-diegetica corale e mistica.

kus-18.jpg (5595 byte)Paul e Leo sono incapaci di una comprensione profonda della loro vita, di una scelta chiara e determinante, né sanno fissare una meta precisa e consapevole per la propria esistenza, che sia capace di resistere all’urto con la realtà esterna. è la realtà che essi non riescono ad afferrare, è la vita stessa che fugge loro. E si rifugiano così nei propri sogni. Poiché la crescita è dura e dolorosa e richiede coraggio in quanto comporta lo scontro con la realtà esterna che, per la perdita del rapporto magico — analogico con le cose tipico dell’infanzia, si presenta pure nei suoi aspetti più amari, Leo e Paul preferiscono vivere nel proprio autismo, in un’infanzia morbosamente protratta, vittime della propria abulia. Il salto alla maturità comporta sacrificio, perdite dure da accettare e l’abbandono di tutto ciò in cui era creduto e per cui si era vissuto, ma porta allo stesso tempo a una vita nuova dove vi è nuova e più completa ricchezza.

Solo Axel dopo tanti errori e illusioni compierà alla fine questo salto. A lungo era vissuto nella confusione, al confine tra la realtà e l’incanto dei suoi sogni. E il suo carattere è senz’altro quello di un idealista e sognatore. Ma dei suoi sogni egli non rimarrà prigioniero: privo di una cultura filosofica, solo e senza maestri, lui è capace di fermarsi ad osservare e pensare; osserva con interesse e amore i pesci e medita una propria visione dell’universo, anche se all’inizio non priva di incoerenze e contraddizioni. E mentre dorme, il suo inconscio crea sogni che sono alte metafore esistenziali, quasi dei veri e propri miti. Ma sono miti creati dall’inconscio, che Axel non riesce pienamente a interpretare nella sua parte cosciente. Questi sogni sono solo piccoli e parziali squarci di luce, non riescono a illuminarlo completamente. Così la sua volontà e capacità di decisione sono spesso messe a dura prova, tanto che durante il tempestoso amore per Elaine rischia di precipitare nella follia. Il passaggio alla maturità si compirà in lui in modo improvviso. La prima drastica tappa è la morte dello zio Leo, l’eroe della propria infanzia”. Poi il suicidio di Grace, avvenuto quando si era innamorato di lei. Egli si ritrova così a vagare, nella penultima sequenza del film, solo e in preda allo sconforto nella cittadina di Leo mentre imperversa la tempesta. Quello che riporto è il monologo interiore del giovane che errante riflette, in una sorta di soliloquio, per le strade deserte.

Per l’ultima volta udii una voce che non era quella di mia madre sussurrare: “Buongiorno Colombo”, e non ne fui turbato; e alla fine la voce si abbassò fino a diventare un vento che spazzò via il rassicurante odore di acqua di Colonia, e per la prima volta in vita mia mi resi conto come Colombo che dovevo vivere in un mondo di scadente acqua di colonia, e che forse in America non c’erano altre cose da scoprire. Contare i pesci non sarà stata una scienza ma in qualche modo mi preparava per l’oceano. Non so perché… ma mi tornavano in mente le parole di mio padre, quelle che dicevano che il lavoro è come un cappello che ti metti in testa, per cui anche se non hai calzoni non devi andare in giro vergognandoti del tuo sedere perché hai un cappello in testa. E anche se mio zio Leo si era sudato tutto quello che aveva, non ero tanto sicuro che qualche cosa di quello che aveva gli fosse servito davvero. Elaine e Grace erano come una sola persona che avrebbe avuto bisogno di vivere in due corpi separati, indipendentemente dall’amore o dall’odio che provavano l’una per l’altra. Dopo la bufera non potevo dire che la vita fosse bella: tutto quello in cui speravo era che il bambino eschimese del mio sogno saltasse fuori da una di queste porte e mi abbracciasse; e anche se non mi sentivo più come un pesce io mi rendevo conto di non sapere nulla; ero felice di essere vivo.

Subito dopo questa riflessione Axel si addormenta e sogna di aver pescato con lo zio il pesce freccia; terminata la spiegazione di Leo sul pesce che segnala il passaggio alla maturità (con lo spostamento di un occhio sull’opposto lato) l’animale, come già detto, spicca il volo. L’inconscio del protagonista gli rivela così di essere diventato un uomo, di aver raggiunto l’età adulta: ora Axel è pronto per spiccare il volo sulle distese immense della vita.

L’opera ci dà il disincantato affresco di tutta una civiltà basata sui valori materiali, dove gli uomini ignorano la loro essenza più profonda e finiscono per identificarsi in quei falsi valori. Anche i miti di tale civiltà sono malati e incoerenti: non danno all’uomo la possibilità di comprendere i suoi drammi interiori, né lo aiutano a risolverli; eppure sono talmente radicati nel suo inconscio da contaminarne i sogni, e penetrano nel profondo della personalità fino a plasmare la concezione del mondo del singolo e determinare le scelte e le mete che egli pone per la propria vita, alle quali adegua e sacrifica l’intera esistenza. Gli esempi più evidenti sono le ossessive e assurde ambizioni di Paul e Leo: il primo vuole diventare un attore famoso, e per non affrontare una realtà che gli nega la realizzazione di questo desiderio si chiude nel suo autismo, vagheggia la propria fama e imita gli eroi hollywoodiani nell’incomprensione e nello scherno di tutti; l’altro vorrebbe raggiungere la luna impilando Cadillac una sopra l’altra e crede nel proprio fine fino alla morte.

E’ il quadro di una civiltà segnata da contraddizioni e ipocrisia, che offre all’uomo ogni benessere materiale ma gli toglie la felicità e la possibilità di autorealizzarsi. E pare che per l’individuo l’unica via di salvezza possibile tra l’alienazione (di cui sono vittime fino al grottesco Paul e Leo) e la follia (Elaine e Grace) sia la ricerca di un ruolo sociale a cui aggrapparsi, attenuando l’amara consapevolezza della propria precarietà e miseria interiore (non so perché…ma mi tornavano in mente le parole di mio padre, quelle che dicevano che il lavoro è come un cappello…). Non è certo la soluzione definitiva; può solo alleggerire in modo fittizio il problema della ricerca di senso e rimandare di un po’ la crisi esistenziale: poiché il credere ciecamente in un ruolo conduce l’uomo a identificarvisi e ad ignorare la propria vera essenza,  la cui esperienza soltanto conduce alla piena libertà e all’autorealizzazione. Axel comprende che anche questo rifugiarsi in un ruolo non è che illusione: …e anche se mio zio Leo si era sudato tutto quello che aveva, non ero tanto sicuro che qualche cosa di quello che aveva gli fosse servito davvero.

Quella di Kusturica non è l’arte del rancore né della rabbiosa denuncia. Nessuna traccia di odio è presente, e neppure di sdegno per la società rappresentata. Vi è nell’autore un sentimento di umana comprensione, insieme a uno sguardo attento che indaga pure negli anfratti profondi ed oscuri, ma che abbraccia tutto il mondo e gli uomini con curiosità ed amore, e quell’umiltà che porta a rifiutare ogni giudizio e condanna. I personaggi sono compresi nella loro complessa e tragica umanità; mai se ne offende il dolore, mai se ne ridicolizzano i drammi.
Il regista guarda con coraggio il baratro che l’uomo porta sepolto nel proprio inconscio, esplora il dolore più disperato fino a giungere nei luoghi in cui si sgretola l’idea della colpa e stinge la distinzione tra vittima e carnefice. Le tematiche della colpa, del male e del dolore sono già presenti in Arrivano le spose (Nevjeste dolaze), primo lungometraggio di Kusturica realizzato nel ’79 per la televisione di Sarajevo e quasi sconosciuto al pubblico occidentale. Degli otto lungometraggi finora realizzati dal regista, questo è insieme ad Arizona Dream il solo che non affronta né allude a tematiche politiche e non è segnato da una chiara volontà d’impegno sociale. (2)

kus-16.jpg (5954 byte)La storia di Arrivano le spose è composta dagli eventi legati a un piccolo ostello immerso nel bosco e alla famiglia che vi vive. Quella piccola casa è un luogo oscuro, avvolto nel mistero. I rapporti che legano i familiari che vi abitano sono contraddistinti da un carattere morboso e ambiguo. L’anziana madre è preoccupata perché da molto tempo nessun viandante giunge più alla taverna. Uno dei suoi due figli maltratta la moglie sterile. Questa sarà uccisa e il suo corpo sepolto nella pineta. Tutti questi personaggi sono psichicamente instabili e agiscono nel più freddo cinismo, tacendo e celando a se stessi l’orrore che li sommerge. Essi temono di guardare in faccia la loro follia, si ostinano a ignorarla, come fosse un tabù. Vittima di questo clima stagnante e morboso è, per la sua maggiore sensibilità e introversione , l’altro fratello, il più giovane. Consumato dal dolore a lungo sopportato in silenzio, alla fine fugge da quella casa, il luogo del male. Nei boschi incontrerà un ubriacone venuto dalla città il quale, accortosi dell’amore del giovane per la poesia, gli promette di inserirlo negli ambienti artistici cittadini. In compagnia di questo strambo personaggio, il giovane fuggiasco si abbandona alle sue meditazioni sulla vita, si interroga sulla natura del male, parla dei pesci come di esseri di saggezza superiore. Numerosi sono qui gli elementi che ritroveremo in forma diversa e che saranno approfonditi in Arizona Dream: la riflessione costante sull’origine del dolore e la natura dell’odio, oltre all’interrogazione sul senso e il valore della vita che conduce, nell’opera successiva, alla ricerca di nuovi miti e porta a valorizzare il sogno in quanto creazione dell’inconscio superiore e collettivo capace di offrire risposte e illuminazioni; la figura del giovane introverso che privo di erudizione, solo e senza maestri, si ferma a osservare il mondo e a meditare; il pesce quale animale considerato più saggio dell’uomo e spunto per le riflessioni dei giovani personaggi nel pieno della crisi esistenziale.

Come ho accennato, la critica non ha apprezzato appieno quest’opera, e numerose sono state le incomprensioni. è in pratica una stroncatura quella di Tullio Kezich sul Corriere:

“Questa sua nuova commedia, ‘Il valzer del pesce freccia’, inaugurante la 43ma Berlinale, non vale certo ‘Ti ricordi di Dolly Bell?’, Leone d’oro a Venezia, e ‘Papà è in viaggio di affari’, Palma d’oro a Cannes. Viene perfino il dubbio… che tanto oro abbia aperto a Kusturica un credito eccessivo… Scritta da un allievo di Kusturica, David Atkins, la storia fa fatica a sbrogliarsi tra i sogni, le fantasie e le avventure reali di Johnny Depp… è nel suo insieme, purtroppo, che il film non funziona e lascia un’impressione di sconcerto.” (3)

Irene Bignardi esprime su Repubblica un giudizio sostanzialmente positivo, ma non privo di riserve:

“Si sanno le difficoltà produttive del film, girato mentre la patria del regista era in guerra e la sua città veniva lacerata, interrotto per tre mesi, ripreso a fatica… Volendo essere generosi, si possono attribuire a questo gli squilibri e l’incoerenza del film. è più probabile che c’entri la mancanza di senso della misura di Kusturica, ampiamente dimostrata da ‘Il tempo dei gitani’.”

Poi, quasi a volerlo giustificare:

“Kusturica si avventura con una stupenda sicurezza visionaria nella poesia e nell’assurdo, superando a forza di fantasia e di sorprese l’incoerenza della sceneggiatura…” (4).

La Bignardi giunge a individuare in Arizona Dream quello che a lei pare essere un difetto costante dell’intera poetica del regista. Ma è possibile giudicare il senso della misura di un artista in base a un modello ideale di misura e coerenza che solo noi crediamo di avere, ma che è in realtà è forse il confuso risultato di scelte artificiose e convenzionali? E se davvero esiste, qual è questo modello? Soprattutto, che significa coerenza e senso perfetto della misura per questi critici? La storia di tutte le arti ci insegna quanto siano arbitrari ed insensati i modelli. L’arte di Kusturica rifugge dai canoni estetici che in questa e anche in altre epoche hanno acquistato una preminenza quasi assoluta. Perplesso è anche Giorgio Bertellini nella sua monografia sul regista: “Il quarto film è il più insolito e, per certi aspetti, forse il meno riuscito” (5).

Ritengo che Arizona Dream sia il film più profondo di Kusturica, quello in cui la tensione meditativa sugli eterni dubbi della vita raggiunge la massima intensità e si esprime nei modi della poetica più intima dell’autore: più che mai viene qui valorizzato il sogno, che è espressione dell’inconscio superiore individuale e collettivo. In Arizona Dream trovano il più ampio spazio la tensione del regista alla riflessione sugli eterni dubbi della vita e la sua ferma volontà di esplorarne gli aspetti più inquietanti ed oscuri. Più che mai viene approfondita la figura — evidentemente molto cara all’autore — del giovane introverso il quale, trovandosi a disagio nel proprio ambiente o comunque sentendosi irrealizzato, in una situazione di precarietà culturale riflette in solitudine e va alla ricerca di un senso da dare alla vita e della spiegazione dei suoi aspetti più oscuri, traendo spunto dall’osservazione attenta della realtà circostante che colta con l’occhio del poeta si rivela densa di simboli(6). In questo film il regista fa assumere alla stessa macchina da presa, per lunghe sequenze, il suo personale sguardo e la sua ottica di artista visionario, in modo da sorprendere lo spettatore con una vera esplosione di simboli nella realtà del mondo rappresentato. In questo senso Arizona Dream può considerarsi il film più autentico di Kusturica: svincolatosi dall’impegno polemico e sociale, che è anch’esso genuina espressione della sua passionale personalità, egli attinge ora a un livello ancora più profondo di se stesso per donarci un’opera intima e di valore universale. La creazione di Arizona Dream ha portato l’autore a compiere un’indagine sottile e penetrante dentro se stesso e ha comportato l’atto d’una coraggiosa confessione.Non c’è da stupirsi che in alcuni spettatori vi sia stata un’iniziale reazione di sconcerto; quando un autore decide di andare davvero a fondo, sconvolgendo inoltre le abitudini e le aspettative del pubblico, si scontra indubitabilmente con le incomprensioni.

Proprio nello stile il regista dimostra un’eccezionale originalità. Pensiamo alla storia, giudicata in modo sbrigativo, come incoerente. Questa è composta da un numero altissimo di eventi, i quali effettivamente non sono legati tra loro in modo da conservare una salda plausibilità diegetica. Dal punto di vista della temporalità, spesso si tocca l’inverosimile: pensiamo a Paul e Axel che da New York giungono in Arizona in una nottata. Già nel considerare la storia, ricca di vicende secondarie ed autonome non necessarie allo sviluppo del tema narrativo dominante, l’opera ci appare segnata dal gusto barocco per l’eccesso. Ma è sbagliato considerare tutto ciò un difetto. Anzitutto è azzardato ritenere la sceneggiatura incoerente: la sceneggiatura originale scritta da David Atkins era caratterizzata da una salda consequenzialità narrativa. Il regista stesso l’ha modificata consapevolmente in direzione del suo stile. Se sono le intenzioni e lo stile del regista a lasciarci perplessi, è perché questi non rispettano il modello estetico a cui siamo abituati. L’opera di Kusturica somiglia alle sacre rappresentazioni del passato, nelle quali il susseguirsi delle vicende era del tutto inverosimile e vi era il gusto per una spettacolarità tutta barocca, ottenuta con l’uso di trucchi scenici e sofisticate macchine teatrali. Così in Kusturica non conta la coerenza complessiva della storia, ma sono gli eventi e le sequenze singole che acquistano una forte autonomia e si riempiono di significati. Meticolosa è la realizzazione di ogni piano e il set diviene il vero luogo della creazione. è tra le macchine da presa, gli attori che recitano e discutono e lui, il regista che li dirige, che ha origine l’arte di Kusturica. Il rigido rispetto di una sceneggiatura e la severa salvaguardia della coerenza narrativa soffocherebbero il suo stile e la sua poetica. Barocco, certamente, è il gusto del regista per le citazioni e autocitazioni, numerosissime e frequenti in tutta l’opera. Mi limito a ricordare la bella sequenza in cui Elaine e Axel riescono a volare, che rimanda a un’analoga sequenza presente all’inizio di Andrej Rublev di Tarkovskij. Per le numerose allusioni simboliche, citazioni e autocitazioni presenti e concentrate in diversi piani, il film sembra in certi momenti raggiungere quell’esplosione di significato che avverrà in Gatta nera, gatto bianco del ’98, e che avrà la funzione di mimare, proprio attraverso un non celato espressionismo barocco, il caos del mondo (7).

Le meditazioni esistenziali di Kusturica, le sue allegorie ed i suoi simboli costituiscono l’abbozzo di una personale mitologia, che all’apparenza può sembrarci un po’ stramba e grezza, di certo mancante della solennità e austerità di quella classica. Ma questa diversità non deve venire intesa come inferiorità: questi miti esprimono l’esigenza di rispondere in maniera esplicita ai problemi concreti della nostra realtà. Sono miti che traggono la loro origine dall’esperienza quotidiana, alimentati da una fantasia esuberante; essi sembrano trovare una certa affinità con la mitologia gitana.
L’arte di Kusturica è diversa da quella a cui siamo abituati; il che può generare incomprensione e sconcerto. Lo spettatore di fronte a simili opere dovrebbe essere più aperto e la sua comprensione più profonda: solo così egli potrà capire la bellezza in tutte le sue forme ed espressioni, anche quando queste si allontanano dai canoni a cui lo abitua la sua cultura. Perché la bellezza è multiforme e ha infinite espressioni.

FILMOGRAFIA

Vengono indicate le informazioni filmografiche degli otto lungometraggi girati da Kusturica. Sono quindi esclusi i cortometraggi e i documentari del regista. Per tutti e otto la regia è sempre di Emir Kusturica. Dopo il titolo originale e la traduzione o versione italiana tra parentesi seguono l’autore della sceneggiatura, il paese di produzione, il produttore, l’anno di presentazione, la durata.

Nevjeste dolaze (Arrivano le spose)*, Ivica Matic’, Jugoslavia, TV di Sarajevo, 1979, 70 min.

Bife titanic (Bar titanic)*, Emir Kusturica da una novella di Ivo Andric’, Jugoslavia, TV di Sarajevo, 1980, 80 min.

Sjecas li se Dolly Bell (Ti ricordi di Dolly Bell?),Abdulah Sidran, Jugoslavia, Sutjeska Film Sarajevo – Televizija Sarajevo, 1981, 108 min.

Otac na sluzbenom putu (Papà è in viaggio d’affari), Abdulah Sidran, Jugoslavia, Forum Sarajevo, 1985, 135 min.

Dom za vesanje (Il tempo dei gitani), Emir Kusturica – Gordan Mihic’, Jugoslavia, Forum Sarajevo – Televizija Sarajevo, 1989, 138 min.

Arizona dream (Il valzer del pesce freccia), David Atkins – Emir Kusturica, Francia, Constellation – UGC – Hachette – Premiere con la partecipazione di Canal + e del ministero francese della cultura, 1993, 136 min.

Underground, Dusan Kovacevic’ – Emir Kusturica, Francia, Ciby 2000 – Pandora Film – Novo Film – Komuna – PTC – Mediarex – Etic – Tchapline Films, 1995, 167 min.

Black cat, white cat (Gatta nera, gatto bianco), Gordan Mihic’, 1998.

* = film tv

BIBLIOGRAFIA

Le indicazioni bibliografiche si riferiscono unicamente ad Arizona Dream.

Bertellini Giorgio, Emir Kusturica, Milano, Il Castoro, 1996, pagg. 15-16 e 71 – 83.

Bignardi Irene, Il sogno americano del ragazzo di Sarajevo, “LA REPUBBLICA”, 12-2-96, pag. Spettacoli.

Kezich Tullio, Berlino balla un brutto valzer, “IL CORRIERE DELLA SERA”, 12-2-96, pag. Spettacoli.

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Casomai un’immagine

vascello Sinfonia 9 Allegro ma non troppo, 2011 (particolare dell'installazione) A. Guerzoni 36 23 32 08 murphy-32 mis3big-1 kay s16 s13 holy_wood_13 holy_wood_10 cip-03 voce2 sir-16 antal1x 24 a bon_sculture_12 kubrick-64 kubrick-29 01 th-80 th-15 th-11 pck_20_cervi_big viv-28 mar-02 sir-27
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