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Scrittura

Jack Hirschman: la soglia infinita della rivoluzione

Da San Francisco — la più europea delle città statunitensi — a una bella casa triestina (ma potrebbe essere lo studio di un artista newyorkese), quella del pittore Paolo Cervi, vasta e complicata essa stessa come una città — mi viene incontro un uomo alto, capelli lunghi ormai bianchi e il volto reso intenso da una mappa di rughe, sorridendo di una voce bassa che pronuncia il proprio nome. Jack. Jack Hirschman, classe 1933, ha l’aspetto di un figlio degli anni Sessanta senza apparire anacronistico in un pomeriggio alle soglie del Duemila. Maggiormente in Europa che in America, credo, alcuni lo presentano come l’ultimo poeta beat vivente, forse perché qui da noi, anche dopo quasi cinquant’anni, rimane ancora saldo il binomio che vede associate ideologia comunista e letteratura beat. Un po’ come dire che tutti gli autori — e specialmente i poeti — che sono stati o sono politicamente impegnati contro “l’impero del dollaro”, complice il fatto di vivere a San Francisco (patria della famosa Rinascenza ), vanno raccolti sotto l’etichetta beat.

D’accordo — conferma Jack Hirschman — lui s’è bevuto più di qualche birra in compagnia di Allen Ginsberg e di Billy Burroughs, e come “Allen”, si sa, ha amato poeti rivoluzionari, Majakovskij e Artaud — per citarne due dei tanti che ha tradotto — ma alla fine, seduto su uno sgabello, con una presa di tabacco fra le dita, tradisce un certo fastidio nei confronti di quella letteratura beat che, dal suo punto di vista, s’è trasformata in un’operazione commerciale. “Prendi un Kerouac, o anche Allen. Allen era una brava persona, molto generoso. Tutti loro… troppo pubblicizzati” dice.
Probabilmente è vero. Come del resto è vero che i beats hanno seguito direzioni diverse rispetto a quelle iniziali del “libero scambio di poesia e politica nelle strade”, tanto che Ginsberg è diventato professore universitario, mentre Jack Hirschman, già negli anni Sessanta, aveva deciso di abbandonare la carriera accademica per trasferire la poesia e la lotta tra la gente.

Parlare di politica con un poeta è come leggere i cartelli o le scritte inneggianti alla “rivoluzione permanente” sui muri dell’Avana: poesia e politica nelle strade per chi, in un modo o nell’altro, a San Francisco o a Cuba, la rivoluzione l’ha vissuta, ma per me, per chi è venuto dopo, cosa resta se non il suono delle parole e la bellezza di alcune immagini?
Mentre dico a Jack che sì, a Cuba ci sono stata, e pure in Vietnam, altra bestia nera del regime a stelle e strisce, penso allo strano paradosso della deriva neocapitalistica che può legare di un identico destino due luoghi tanto distanti e addirittura un movimento poetico. Perché se inizialmente la rivoluzione cubana, la guerra del Vietnam e il movimento beat sono stati all’origine di una vasta opposizione alle regole della cultura e della politica del capitalismo, ora soccombono di fronte al potere fagocitante della nuova industria culturale.

Le ristampe delle opere beat in edizione pocket, i mille film sul Vietnam non hanno maggiore valenza politica delle magliette col volto di Che Guevara. Diversamente che in passato, quando i temi della cultura sotterranea rappresentavano una reale forza di reazione al regime, negli anni Novanta si parla di revival, ossia di richiamare alla ribalta certi stili esclusivamente per riempire un vuoto. Allora, mi verrebbe da dire, Allen Ginsberg e le sue scelte accademiche o i discorsi fiume del lider maximo c’entrano ben poco, se il capitalismo, a corto di miti propri — e quindi di immagini da vendere — non esita a manipolare addirittura quelli dell’ideologia opposta facendone un nuovo prodotto commerciale.

Ma Jack Hirschman è un militante nato e perciò non riesco ad avvicinarmi a lui su questo terreno.

Apriamo una bottiglia di vino e finalmente smettiamo con la politica; mi dice che si è appena sposato per la seconda volta e la dolcezza dell’amore in lui stempera i toni accesi della lotta. Ha parlato di politica una vita intera, adesso vuole anche parlare d’altro.

Intanto Maurizio, l’attore che accompagnerà Jack durante il reading, interpretando in italiano le poesie che Hirschman leggerà in americano, prova qualche verso per trovare le giuste intonazioni.

– INTERLUDIO UMANO (pausa)

– per Terry Garvin (pausa)

– Lei stava appoggiata al muro vicino all’Hotel Tevere

– (più lento) con in mano un bicchiere di plastica

– (scandisce le parole) quando iniziò a piovere…

(…)

  • mi dispiaceva, che avevo pensato
  • avesse bisogno di soldi.
  • “Ne ho bisogno”, rispose
  • e sorrise “Stavo
  • solo bevendo
  • qualcosa”.

(…)

da Soglia Infinita, Multimedia Edizioni, 1993.

In versi brevi e quasi nervosi, che cadono giù secchi come gocce di pioggia, Jack arriva a una conclusione tanto semplice quanto cruda: le relazioni umane, anche quelle elementari — le poche parole scambiate con una donna che in quel momento non stava mendicando — sono inquinate e guidate dal denaro, da tutti gli schemi che il denaro ci ha radicato nell’anima, insegnandoci a vedere le persone in base a meccanismi di potere, a “classificarle”. La donna appoggiata al muro è senza dubbio indigente, ma in quel preciso istante tiene in mano un bicchiere d’aranciata (“Stavo solo bevendo qualcosa”), come tanti di noi hanno fatto senza che qualcuno si fosse sentito in dovere di farci cadere dentro una moneta. L’uomo comprende di aver agito secondo una regola innaturale, cioè di aver scambiato la persona per il ruolo che essa di solito ricopre nell’ambiente sociale. Arrossisce. Si scusa. Tenta di indossare un’altra maschera, quella di colui che non si fa ingannare dalle apparenze. La comunicazione tra i due potrebbe riprendere a un livello diverso, ma sarebbe comunque frutto di schemi sociali precostituiti. Finalmente irrompe un sorriso, le barriere crollano e, simbolicamente, la moneta, ormai dimenticata, affonda.

Human Interlude può essere una porta d’accesso all’intera poesia di Hirschman perché racconta la strada, la povertà, la violenza anche psicologica a cui l’uomo, in questa società, è incatenato, eppure lascia intuire che non tutto è perduto, che è ancora possibile trovare una dimensione umana nei gesti apparentemente più scontati.
Maurizio si ferma, guarda Jack e aspetta una risposta. Il suono e il ritmo dei suoi versi in italiano lo hanno soddisfatto. Hirschman sorride e dice che è ora di andare.

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  1. […] a San Francisco, venuto a Trieste per un reading (potete leggere un resoconto dell’incontro qui), il quale ci aveva invitati ad andarlo a trovare – il dottor C decise che Berkeley fosse […]

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