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Cinema

Laghi di Lombardia: sulla pagina e sullo schermo (I)

Una premessa necessaria.

Non si preoccupi il benevolo lettore. La dolce e sfortunata Mondella Lucia, promessa Tramaglino, non verrà qui costretta a replicare il tormentone dell’Addio monti…”. Né i due biechi figuri dovranno ancora bloccare il Pavido Curato sulla stradina lacustre, né il Gran Frate, buono e ieratico, dovrà alzare l’indice al cielo minacciando il Reprobo con il suo profetico “Verrà un giorno…”. Chi, vedendo il nostro titolo, avesse pensato ad un incauto ritorno a “Quel ramo del lago di Como” mandato a memoria su ingiunzione dell’insegnante di lettere, può sentirsi sollevato. E con lui alcuni registi, come Mario Camerini, già ammirato creatore di Uomini-Mascalzoni e di Signori-Max, e poi Mario Bonnard, già attore impomatato nel “muto” e poi regista di dive sospirose, e ancora Sandro Bolchi, direttore di riduzioni televisive, e quanti altri si fossero dedicati a versioni dei Promessi Sposi per il cinema. Il capolavoro del Manzoni è nel nostro caso, del tutto fuori discussione.

Non che in seguito, sui laghi lombardi, scrittori e registi non si siano dati da fare. Ed è quanto vedremo, trattando ovviamente solo alcuni romanzi e alcune pellicole. In qualche caso il lago fa da sfondo quasi totale alle vicende. In altri, invece, vi si svolge almeno una parte del racconto, ma sempre come elemento integrante del racconto stesso. Stendhal, Fogazzaro, Hemingway, Chiara: gli scrittori. E accanto a loro Mario Soldati, Frank Borzage, Charles Vidor, Alberto Lattuda. Dino Risi: i registi.
Nomi della letteratura e nomi del cinema che ben scarso rapporto avrebbero tra loro, se non fosse per l’elemento in comune di un lago lombardo preso come scenario per le loro narrazioni storiche, drammatiche, romantiche, grottesche…

Non sempre il valore dei film risulterà pari a quello della corrispondente opera letteraria. Ma se almeno in qualche occasione, alla relativa fedeltà per il testo, il regista avrà saputo aggiungere una sua particolare impronta di stile, il risultato sarà comunque apprezzabile. In caso contrario, avremo almeno constatato che non sempre la buona letteratura può dare buon cinema.

Ma questo è un altro discorso.

Fabrizio del Dongo e il suo lago, prima di Waterloo

“Il 15 maggio 1796, il generale Bonaparte entrò in Milano alla testa di quel giovane esercito che aveva appena varcato il ponte di Lodi…”. Comincia così uno dei due capolavori di Henri Beyle-Stendhal, “La Certosa di Parma”, che segue di nove anni a “Il Rosso e il Nero”. Console di Francia in Italia, aveva scritto la “Certosa” a Parigi, in pochi mesi, durante un periodo di congedo, nel 1839.Dopo un tiepido avvio editoriale, il romanzo ebbe un enorme successo. Balzac affermava, un anno dopo, che il Beyle “ha scritto un libro in cui il sublime erompe di capitolo in capitolo”.
Fabrizio Valserra, “marchesino del Dongo”, paese sulla sponda occidentale del lago di Como, è il protagonista, figlio di un nobile ottuso e conservatore. È ancora bambino quando il Bonaparte scende vittorioso in Italia, e tutta la sua prima giovinezza trascorre fra gli echi delle imprese napoleoniche.
Terminati gli studi a Milano, risiede nel castello paterno di Grianta (oggi Griante, in alto sul lago). E qui il giovane Fabrizio rivela un carattere ribelle e anticonformista, in pieno contrasto con il padre e il fratello maggiore. Già da ragazzino è l’organizzatore di continue monellerie con una sua banda specializzata nel disinnescare le lenze notturne dei pescatori, col rischio di severi castighi.

Il lago viene presentato da Stendhal con una prosa di grande efficacia: “Gli incantevoli dintorni di Grianta, tanto celebrata dai viaggiatori, la villa Medici sull’altra sponda del lago, proprio dirimpetto al Castello, e l’arduo promontorio che separa i due rami del lago: quello di Como, tanto voluttuoso, e quello che corre verso Lecco, pieno di severità”. I due rami, dunque, quello stendhaliano e quello manzoniano: in questa descrizione sembra riflettersi l’anima diversa dei due scrittori.
La storia di Fabrizio e del suo lago, uniti in una felice adolescenza, dovrà concludersi presto. Il giovane, intollerante delle continue restrizioni famigliari, progetta, e poi realizza, una fuga in Francia per raggiungere l’armata del suo idolo sui campi di battaglia degli storici “cento giorni”.
Dopo molte peripezie, riuscirà solo ad assistere alla disfatta di Waterloo, descritta splendidamente da Stendhal con qualche spunto lievemente ironico sulle ingloriose tribolazioni del mancato eroe. Tutte le vicende successive, che avranno sempre Fabrizio come protagonista, e Parma come sede definitiva, formano l’ossatura del grande capolavoro. Non vi saranno ritorni al lago della sua bella giovinezza.
Una versione cinematografica, “La Chartreuse de Parme”, esce sugli schermi nel 1947. È una coproduzione italo-francese di notevole lunghezza, quasi tre ore, diretta dal regista Christian Jaque (pseudonimo di Christian Maudet), un fertile autore di film d’ogni genere, marito dell’attrice Martine Carol. Purtroppo tutta la parte iniziale del romanzo non viene presa in considerazione: non la giovinezza di Fabrizio, non la sua quasi involontaria presenza a Waterloo. E anche la battaglia, tanto efficacemente descritta da Stendhal e quasi “soggettivizzata” dal protagonista, è del tutto assente.

Il film si sviluppa tutto sulle traversie che il giovane deve affrontare a Parma, tra un duello mortale, un’evasione dal carcere, gli intrighi della corte, i suoi amori e le sue delusioni.
L’attore Gérard Philipe, reduce dalla bella interpretazione di “Le diable au corps” di Autant-Lara, è fisicamente molto idoneo al ruolo romantico di Fabrizio del Dongo. Ma nel suo complesso il film non va oltre i limiti d’una ricca illustrazione dl fatti ed ambienti d’epoca, neanche tanto fedele al romanzo.

Fogazzaro e Soldati: uno scrittore e un regista — scrittore per “Piccolo mondo antico”.

Se il cinema ha appena sfiorato il lago di Como di Stendhal. avrà Invece molto da raccontarci sui laghi di “Malombra” e di “Piccolo mondo antico” di Fogazzaro. E non solo per il valore dei testi, ma perché le loro due versioni cinematografiche portano la firma di Mario Soldati. Soldati ci ha appena lasciati, a novantatre anni. Si è spento nel]a sua bella villa di Tellaro, sulla Riviera di Levante, e la stampa si è occupata diffusamente di questa geniale e indimenticabile figura di uomo di lettere e di cinema: non è uno di quei personaggi sui quali, dopo la fine, possa scendere facilmente il velo del silenzio. E di personaggio si deve parlare veramente, per la sua esistenza piena di interessi: romanzi, racconti, interviste, produzioni per cinema e televisione. E per la sua inesauribile curiosità della vita, per le sue passioni, simpatie e antipatie, sempre vissute con la sincerità e l’entusiasmo di un giovane.
Antonio Fogazzaro (l842 -1911) scrive “Malombra”, il primo dei suoi sette romanzi, nel 1881, e il secondo, “Piccolo mondo antico”, nel 1895. I due film di Soldati uscirono nell’ordine inverso: il secondo all’inizio del ‘41 e il primo alla fine del ‘43. Li esamineremo in quest’ordine.

“Piccolo mondo antico”, dunque. E già il titolo sembra aprire un sipario su tutto il contenuto del romanzo, certamente il capolavoro di Fogazzaro. Questo “Piccolo mondo” è la Valsolda, cioè la parte Italiana del lago di Lugano. In particolare, la sua sponda settentrionale, fra Porlezza e il confine, con il paesino di Oria, che è il centro della narrazione. Il libro è denso di ricordi autobiografici dell’autore, e molti dei personaggi sono presi dal vero, magari con l’aggiunta di qualche felice ritocco immaginario.
I riferimenti topografici presumono nel lettore una qualche conoscenza di quell’angolo di lago, e i luoghi vengono subito introdotti con il loro nome: Albogasio, Casarico, Cressogno.. Anche nell’incipit del romanzo (“Soffiava sul lago una “breva” fredda, infuriata…”) è sottintesa la conoscenza di quel vento caratteristico, che a noi di Trieste può subito evocare altre ben note raffiche… Fogazzaro dà una personalità ai suoi luoghi, alla loro capacità di evocazione, alla loro correlazione intima con le vicende di cui essi sono testimoni.
L’autore, veneto di nascita, era molto attaccato, fin da piccolo, alla villa lombarda di Oria, appartenente alla famiglia della madre. Lì è il “piccolo mondo”, e lì si muovono tutti i protagonisti, cominciando dai giovani sposi Franco e Luisa.

Ed ecco, in breve, la vicenda. Franco Maironi, orfano e profondamente cattolico, è cresciuto sul lago, nella villa della nonna, la marchesa Ursola, ed è un idealista. La marchesa lo vorrebbe sposato a una nobile a lei gradita, e invece lui si unisce segretamente in matrimonio con Luisa Rigey, una figlia di borghesi che vive con la madre vedova nella vicina Oria. Luisa ha un carattere deciso, e crede più nella giustizia che nella religione.
Il romanzo si svolge tutto intorno al loro amore sincero ma contrastato: lui fragile di carattere, lei fiera, appassionata e attiva. Nasce la piccola Umbretta, ma nel frattempo la marchesa ha diseredato Franco, e i due sposi trovano appoggio economico e morale nello zio Piero, un vero padre per loro. Ma la perfida vegliarda colpisce ancora, facendo perdere allo zio il suo posto di ingegnere nell’imperial-regio Governo di Lombardia. Franco va a cercare lavoro altrove, mentre il dissenso con Luisa aumenta; Franco, in difficoltà, non vuole servirsi di un testamento nascosto dalla marchesa che lo renderebbe erede dei beni paterni, per non disonorare la famiglia. Egli parte, amareggiato, e trova lavoro a Torino, la capitale del Risorgimento. Ma la tragedia è in agguato: la piccola Ombretta cade nel lago e muore, proprio mentre Luisa si dirigeva ad affrontare di persona la marchesa. Luisa perde ogni energia, Franco cerca sostegno nella sua fede. Trascorrono tre anni, è il 1859, l’anno della campagna vittoriosa del Piemonte contro gli Austriaci, e Franco si arruola. Grazie al buon zio Piero, i due giovani si incontrano all’Isola Bella, sul Lago Maggiore, per un’ultima notte insieme. Al mattino, Franco parte con i volontari. Luisa rimane sola, ma sente che nel suo grembo “spunta un germe vitale, preparato alle future battaglie dell’era nascente”.

Mario Soldati affermava, probabilmente esagerando, di aver letto il romanzo di Fogazzaro in una sola notte, subito prima dell’accordo che gli affidava la versione cinematografica. E fu un accordo felice. Il regista trentacinquenne si era già fatto conoscere in soli tre anni di attività, con alcuni film di un certo interesse, tra i quali “Dora Nelson”, del 1939, tutto fondato sul motivo del “doppio”, con Assia Noris convincente interprete. Aveva inoltre collaborato con alcuni registi già affermati, come Castellani e Blasetti, e soprattutto con Camerini, che considerò sempre come il suo maestro di cinema.

“Piccolo mondo antico” esce all’inizio del 1941. Sei mesi prima, l’Italia era entrata in guerra a fianco della Germania nazista, e il nostro cinema non sembrava, per il momento, risentirne troppo: si proseguiva lavorando alle consuete commediole di evasione. alternate ad altri generi, come i film operistici o celebrativi della romanità (Gallone), oppure le biografie storico — fantastiche (Blasetti). E intanto cominciavano a delinearsi, fra i nostri giovani critici riuniti nella rivista “Cinema”, delle tendenze innovatrici, con discussioni su argomenti nuovi, come quelli del calligrafismo o del realismo ed altri ancora, proprio mentre l’Italia si stava avviando verso uno dei suoi peggiori disastri.
“Piccolo mondo antico” è uno nei più bei film di Soldati. Ricordiamo almeno la sceneggiatura di Bonfantini, Cecchi e Lattuada, e l’interpretazione matura della ventenne Alida Valli, proveniente, come il partner Massimo Serato, dal Centro Sperimentale, nei ruoli non facili di Luisa e Franco. Va inoltre ricordato il gruppo dl ottimi caratteristi nei personaggi di fondo, così importanti nel definire questo mondo fogazzariano con le sue atmosfere, i suoi manierismi, il suo gustoso dialetto lombardo intercorrente. E poi il lago ed i suoi luoghi, sempre in primo piano. Il giovane Giuseppe De Santis, un critico non molto tenero verso lo stile “calligrafico” nel cinema, scriveva, a proposito del film di Soldati: “Per la prima volta nei nostro cinema abbiamo visto un paesaggio non più rarefatto o pacchiano-pittoresco, ma finalmente rispondente alla umanità dei personaggi, sia come elemento emotivo che come indicatore dei loro sentimenti”.

Pensiamo, per esempio, alla sequenza di Franco in partenza, all’alba, con il paesaggio che ondeggia come visto dalla barca, e Luisa che resta sulla riva, una “soggettiva” di grande efficacia. Un’altra partenza, quella manzoniana di Lucia, era rivolta come “addio” verso i monti e i luoghi in generale, mentre quella di Franco è tutta sua: vede anche lui dei luoghi, ma sono precisamente quelli del suo piccolo mondo. Non panorami, ma solo il suo giardino, le sue cose che si allontanano forse per sempre…
Massimo Alberini, in un suo originale scritto, “Il cancello che cigola”, introduce altri validi argomenti sull’uso del sonoro nel film: il rumore del cancello del cimitero, alto sul lago, dove Luisa va ogni giorno a “parlare” con la sua Ombretta morta… O anche il canto finale di Franco nel battello dei volontari sul lago Maggiore, quasi un lago-ospite nel contesto del film, con la vecchia canzone “Ma non ti lascio sola”, allusione diretta alla maternità di una bellissima Luisa ancora in piedi su una riva, con Il suo volto “pallido e significativo”, preso in prestito da una Alida Valli in stato di grazia.

Ossessioni sul lago, e poi le due “Malombre” del cinema

Nel 1881 Antonio Fogazzaro scrive il suo primo romanzo. Fra gli scrittori del nostro Ottocento, è per certi aspetti un innovatore: le sue tesi moderniste si inseriscono nei temi più tradizionali dell’epoca (famiglia, religione, società). E i suoi personaggi hanno posizioni da irregolari, non tanto socialmente quanto psicologicamente, al punto che nel 1905 le sue opere verranno messe all’indice. Lo scrittore era nato a Vicenza e, come abbiamo già visto, la sua vita ebbe una felice alternanza fra il Veneto e la Lombardia dei laghi, sfondo prediletto delle sue opere più famose.
“Malombra”, opera prima, precede “Piccolo mondo antico” di quattordici anni. Il suo contenuto rispecchia una fase ben precisa nella produzione di Fogazzaro, formata da un trittico di romanzi (Malombra, Daniele Cortis, Il Mistero del Poeta) contrassegnati da complessi problemi psicologici e da interessi per il mondo dell’occulto, che verranno superati proprio con l’esemplare “Piccolo mondo antico”, di ben più distesa e serena umanità.

“Malombra”, salvo un breve intervallo a Milano, si svolge tutto sul lago di Como, in una località mai direttamente indicata dall’autore. La protagonista è Marina Crusnelli, marchesa di Malombra, una giovane donna affascinante, nella quale si vengono manifestando, e poi aggravando, i sintomi d’una grave psicopatia maniacale che la condurranno a un delitto. La vittima è un altro giovane che lei identifica in un suo amante, vissuto in una loro precedente esistenza, in cui lei era “Cecilia”, sposa infelice segregata da un antenato, per gelosia. L’amante di Cecilia, nel delirio ossessivo di Marina, viene riconosciuto in Corrado Silla, uno scrittore ospite del “Palazzo”, la grande villa sul lago, che raduna in sé tutti i protagonisti del romanzo. La morte di Corrado e la scomparsa di Marina-Cecilia negli anfratti delle rive del lago concluderanno la fosca vicenda.
“Malombra” porta indubbiamente i segni di un’opera prima: vi si alternano pagine di notevole incisività con altre piuttosto dispersive e appesantite da spunti lirico-sentimentali di scarso valore nell’economia del racconto. Sono invece molto valide le figure dei due protagonisti: si potrebbero quasi definire di “rottura”, con questa Marina che, nella sua instabilità travolge le regole della buona società lombarda perbene, da folle quasi “moderna”, del tutto indifferente alle inibizioni. E un irregolare è anche Corrado, entrato nella vita di lei attraverso una casuale corrispondenza su un suo libro appena uscito che ha colpito la fantasia morbosa della giovane. I due sono ospiti entrambi del “Palazzo” ma per motivi molto diversi: lei è la nipote, orfana, dello zio materno, conte d’Ormengo, il severo castellano. Corrado, invece, e stato affidato alla generosità del conte dalla propria madre, appena morta, già “amica venerata” del medesimo. La bellezza e la tortuosa personalità di Marina colpiscono il giovane scrittore, e non serve che si affacci alla sua vita la tenera figura di Edith, la figlia del segretario ungherese del Conte, col suo fascino discreto di straniera.
Ma il grande protagonista del romanzo è il lago, con l’austero Palazzo a piombo sulla riva e tutte le sue visuali, dalle più romantiche alle più cupe, a fargli da sfondo ( l’Orrido, un abisso roccioso, meta di una gita apparentemente frivola tra parenti in visita, che lascia presagire sciagure…). E con le barche padronali o di pescatori, e infine il tragico epilogo, con una cena all’aperto voluta da Marina su una terrazza battuta dal vento, e la conclusione con il colpo di pistola al disgraziato Corrado e la fuga nella tempesta, probabilmente senza ritorno.

Di “Malombra” vi sono due versioni cinematografiche, molto distanti tra loro. La prima è del 1916, ed è diretta da Carmine Gallone, un regista che con la sua vastissima produzione attraversò quasi cinquant’anni di cinema italiano ed europeo. Il ricupero di questa pellicola è merito della Cineteca di Bologna, che ha salvato una buona parte dei 1700 metri originali con una ricerca negli archivi della nostra Cines e nella lontana cineteca di Montevideo. L’anonimo “Palazzo” fogazzariano è, in questa versione muta, introdotto da una didascalia emblematica come “il Castello di Malombra, che con le sue strane leggende accende le fantasie dei pescatori”. Il racconto è fedele al romanzo, e qualche vuoto narrativo è sicuramente dovuto a incompletezze della copia.
L’ambiente del Castello è pervaso di mistero, e certe soluzioni scenografiche e ambientali ricordano la suggestione di interni da racconto di Poe (in una scena, Marina prende dalla biblioteca un libro di questo autore). La valida protagonista è Lyda Borelli, proprio quella di “Rapsodia satanica” e di tanti altri film di Gallone, una delle grandi attrici dell’epoca, “dive e divine” secondo le regole. Lo sventurato Corrado Silla è Amleto Novelli, un altro “divo” di primo piano del tempo. La Borelli si esprime con tutto lo stile di recitazione di quegli anni: mani premute sulle tempie e sorrisi sprezzanti di disgusto verso l’ambiente oppressivo… Anche il lago fa bene la sua parte: una festa notturna di imbarcazioni illuminate contrapposta agli spasimi di Marina, sponde scoscese, vento, temporali, e qualche romantico tramonto. In complesso, il film di Gallone, tenuto conto dell’anno di produzione, non fa torto al difficile testo fogazzariano.

Nel dicembre 1942, per la Lux Lux Film, esce la “Malombra” di Soldati, il suo secondo approccio fogazzariano. Non si è quasi mai fatto un paragone fra il lontano “muto” di Gallone e questo film, tenuto conto delle scarse opportunità di poterlo visionare. Ma nel 1991 Antonio Costa ha visionato la copia della Cineteca bolognese, e fa alcune osservazioni. Viene sottolineata, per esempio, la continuità, in sede di sceneggiatura, fra i due lavori “sulla falsariga della precedente riduzione, fondata anche sugli elementi scenografici e visivi”, pur tenendo conto della maggiore sobrietà del racconto nel secondo, data anche “la distanza esistente fra i due assetti linguistici”. E basterebbe pensare allo stile di recitazione delle due attrici protagoniste, a ventisei anni di distanza.

La “Malombra” del 1942 ha per protagonista Isa Miranda, un’attrice che, a trentatre anni, ha raggiunto un bel livello di maturità espressiva lavorando, in Italia e all’estero, con parecchi registi. Soldati l’aveva accettata malvolentieri, e lo ha scritto spesso nei suoi ricordi: “La sceneggiatura era molto bella, ma il grande sbaglio era stata la Miranda. Doveva farlo la Valli, e per lei si sarebbe anticipato il successo di “Senso”, che ha fatto poi con Visconti”. Riconosce però che l’impegno della Miranda era stato totale, fin dall’ottimo esito d’un provino che Soldati le aveva fatto quasì per dispetto, sperando in una bocciatura. Attrici a parte, il giudizio della critica su questo film è piuttosto contrastato, ed è sempre De Santis che, nel ’43 parla di “marasma romantico” e di eccessivo formalismo . Oggi i giudizi sono cambiati: tutti concordano, ad esempio, sull’uso funzionale del paesaggio, che in questa “Malombra” è inserito tra lo sfondo del lago e delle alture ai lati, un vero e proprio fondale scenico, mentre la vecchia accusa di eccesso formale non è più considerata valida, anzi poco generosa.
Anche i personaggi secondari, tanto significativi in Fogazzaro, sono ben definiti nelle loro debolezze, ambiguità, egoismi, generosità. Irasema Dilian, giovane divetta da telefoni bianchi, dà qui il giusto tono alla figurina di Edith, divisa fra il suo amore, gelosamente nascosto, per Corrado Silla, e l’amore filiale per il padre, segretario del Conte. Il personaggio del segretario Steinegge e splendidamente reso da Giacinto Molteni, un attore che Soldati aveva scoperto nel mondo dei teatranti di scarso futuro, e per il quale nutriva una grande amicizia. Molti altri ruoli sono affidati ad attori già di “Piccolo mondo antico”, come Ada Dondini, infame marchesa nel primo film, e qui intrigante nobildonna veneta, e tanti altri ancora. Anche Andrea Checchi si impegna, dopo “L’assedio dell’Alcazar” di Genina, tutto eroismi bellici, nella parte di un Corrado poeta e sognatore, quasi un “alter ego” del Franco Maironi di “Piccolo mondo”, affidato allora a Massimo Serato.

In una lunga conversazione tenuta nel ‘58con altri autori a Firenze, Soldati parla liberamente, come sempre, dei suoi rapporti fra letteratura e cinema e della sua carriera cinematografica iniziata nel 1931, quando il regista si chiamava “direttore di scena”. Parla anche di certi suoi film minori “fatti con la mano sinistra” da artista che, per quanto dentro al cinema, lo vedeva anche da fuori, come dice Sergio Frosali nell’intervista. Di Soldati, non dimenticheremo nessuna delle due mani.

(fine prima parte)

Lago Maggiore detto anche Verbano, Lago di Lugano o Ceresio, lago di Como o Lario… Bastano queste assonanze nozionistiche per riportarci a lontani anni di scuola e alle romantiche distese d’acqua che rendono tanto suggestive le nostre regioni subalpine.
Molti scrittori ne sono stati ispirati in questi ultimi due secoli, ambientandovi le loro narrazioni.
E con la nascita del cinema, parecchi registi del muto e del sonoro hanno ricavato, da quelle pagine, dei soggetti per le loro pellicole, con risultati d’alterna fortuna.
Vogliamo sperare che in questa rassegna i laghi in questione possano risultare, se non esaltati (e non ne hanno bisogno) almeno richiamati con simpatia al nostro ricordo, sotto quel loro “cielo di Lombardia” che come disse l’Autore Famoso, “è tanto bello, quando è bello”.
(I.G.)

Bibliografia e iconografia
(I titoli contrassegnati con contengono anche fonti iconografiche)

VOLUMI:

Stendhal: La Certosa di Parma. Trad. L. G. Tenconi. Rizzoli, Milano 1953.

Eugenio Donadoni: Antonio Fogazzaro. Laterza, Bari, 1939.

 Anna Maria Moroni: Introduzione a “Piccolo Mondo Antico”. Mondadori, Milano 1966. 

 Mario Soldati: La scrittura e lo sguardo. Ed. Museo Nazionale del cinema, Torino 1991.
(Volume edito per gli 85 anni dell’Autore).

Mario Soldati: Cinema e Letteratura. In “Cinema d’oggi”. Vallecchi Ed., 1958.

Francesco Savio: Cinecittà anni 30, vol III. Ed. Bulzoni, Roma 1979.

Roberto Campari: La bella forma. Marsilio, Venezia, 1992.

 Roberto Campari: Il fantasma del bello, iconologia del cinema italiano. Marsilio,
Venezia 1994.

 Hervé Dumont: Frank Borzage, Sarastro à Hollywood. Mazzotta, Milano 1993.

Ernest hemingway: A Farewell to Arms. Bantam Books. New York, 1976.

 Livio Jacob e Carlo Gaberscek: Hollywood in Friuli, si gira “Addio alle Armi”.
In “Il Friuli e il cinema”, Ed. Cineteca del Friuli, 1996.

 Anthony Burgess: Hemingway. Editoriale Nuova, Milano 1983.

A.E. Hotchner: Papà Hemingway. Bompiani, Milano 1966.

 AA.VV.: Hemingway e il cinema. Comune di Lignano,1986.

Piero Chiara: Valsolda. piccolo mondo. In “I luoghi”. Ed. Studio Tesi, 1995.

David O. Selznick: Cinéma. Editions Ramsay, Paris 1984.

Piero Chiara: L’uovo al Cianuro e altre storie. Mondadori, Milano 1969. (Contiene il racconto “Sulle onde del Lago Maggiore”).

ARTICOLI SU RIVISTE E PERIODICI:

Carlo Bo: Piero Chiara, la realtà come fantasia. Introduzione a “La Spartizione”, Mondadori, Milano 1964.

 Claudio Magris: Guerra, l’epopea impossibile (Stendhal e Waterloo). Il Corriere della Sera, 12-7-1999.

Francesco Bolzoni: Il segreto di Soldati. Bianco e Nero, maggio 1959.

Massimo Alberini: Il cancello che cigola. Cinema, 25 luglio 1941.

Giuseppe De Santis: Per un paesaggio italiano. Cinema. N. 116, 1941.

Antonio Pietrangeli: Su Malombra. Bianco e Nero, gennaio l943.

Ezio Colombo: Mario Soldati a cena con il Commendatore. Cinema, 15-1-1992.

Pietro Pacchioni: E’ morta a 92 anni l’ex crocerossina che fu l’amore milanese di Hemingway. Il Corriere della Sera, 3-l2-1984.

Gino Nogara: Amore sperperato, a proposito di “La stanza del Vescovo” di Chiara. Il Gazzettino, 28-6-1976.

Mario Soldati: Io volevo la Valli. Conversazione a cura di M. Cerasuolo su Cinema e Cinema N. 49, giugno 1987.

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