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Omnia

Prefer a Feast of Friends to the Giant Family

Parlo – mamma mia! – del settembre cittadino, così, per fare delle considerazioni di massima, di quelle alle quali è giusto arrivare ogni tanto, fra sé e sé, e che riguardano tutti, non certo solo la mia bellissima ed immobile Trieste. Settembre vagamente autunnale, questo, e non solo per la stagione che arriva, ma per l’uggiosa gestione degli spazi “nobili” della città. Tre giorni (dal 17 al 19) di “spiritualità” (così dice Maurizio Lozei, per “Il Piccolo”, il quotidiano cittadino) al Castello di San Giusto, la bella rocca che coi suoi bastioni, appena più in là delle rovine archeologiche d’età romana, solida s’impone sul colle omonimo. Un’altura che pur bassa domina la città che fu perla austroasburgica, luogo di cultura mitteleuropea, patria di Saba e Svevo, e che vide sulle proprie bancarelle le prime copie dei libri di Kafka, o Joyce (magari mentre in Italia si leggeva Guido da Verona o De Kobra). La città dalla quale nacque la psicoanalisi italiana.

Fu un Santo martire, Giusto, che si tramanda affogato dai suoi persecutori con una pietra al collo, in un punto qualunque del mare livido del Golfo triestino. Pare che altri “Giusto” abbiano perso letteralmente la testa, decapitati, tagliati al collo, decollati (come, ad esempio, i santi francesi e spagnoli che portano il suo stesso nome, spesso geograficamente contigui l’uno all’altro così come insegna il viaggio di santuario in santuario verso ovest). San Giusto è patrono cittadino. Il Castello sul colle del santo accoglieva, un tempo, iniziative culturali significative, di livello nazionale e internazionale. Per tutte: un Festival Internazionale del Film di Fantascienza, che è ricordato ancora con nostalgia. L’anno scorso, invece, Giusto aveva addirittura “perso la testa” nell’accogliere un festival della magia e dell’occulto, il che – credetemi – fu roba da mettersi le mani nei capelli. Quest’estate ha ospitato, tra le svariate manifestazioni, lo stesso baraccone riciclato e cialtrone, sotto l’accondiscendente e rassicurante dicitura Festival New Age – L’isola della trance , nell’ambito d’una serie di iniziative per “Triestate 99” con il cappello istituzionale di Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Trieste, nonché del Comune di Trieste e il suo Assessorato alla Cultura. Nientepopodimenoché.

Do you know the warm progress
under the stars
Do you know we exist?

Inizio col dire che sono il primo a cercare la via, o forse “la nuova era”, o forse nient’altro se non me stesso, essendo come tutti in bilico tra le onnipresenti immaginette di Padre Pio (le ho trovate anche al supermarket) e l’Apocalisse di fine millennio, tra il post-qualcosa e il futuro di libertà che ancora è ben lungi dall’essere, tra la pace e la guerra. Insomma, tra la vita che sia vita e la morte che spesso è nella vita, in un’epoca d’illusioni fini ed ipocrite, sotterranee ma ottundenti, che spesso riescono a privarci del diritto di porci le domande, anche e soprattutto quelle sulle problematiche più inquietanti. Personalmente, invece, me ne pongo qualcuna, alla faccia di chi fa comunque un affare nel voler rispondere anche per me (e voi), standomene comunque ben alla larga da certo pattume editoriale che domina sulle scaffalature delle nostre librerie, dai filmacci hollywoodiani di ultimissima generazione (ad esempio, quelli sui Joe Black col fascinoso dell’ultimo momento, sui piattissimi paradisi e inferni ricreati digitalmente, o sui fantasmi amorevoli, sui contatti buoni o cattivi con le altre vite, gli ufo e quant’altro). In tale direzione (quella delle domande che dobbiamo comunque porci) mi pare di capire non vada il Festival New Age triestino. Qui non ci sono domande, ma solo risposte.

Comunque, in questi giorni settembrini si sarebbe potuto discutere seriamente di: Guenon, Evola, Gurdjieff, Steiner, Castaneda, Zolla, Jung, Eliade, Abhinavagupta, Nyogen Senzaki, Fulcanelli, Sri Aurobindo, Osho… dei cross-cultural studies , dei testi collettivi di provenienza psico-sociologica femminista – tipo “Le streghe siamo noi”- della teoria Gaia, di Fritijof Capra e del Tao della fisica, di channeling, di Monroe e le uscite dal corpo, magari di tutto il Beat spirituale e psichedelico dell’altra America, con i suoi mantram e il neotribalismo. Penso sarebbe stato interessante. Si sarebbe potuto parlare di nuove ottiche, di crisi, di fughe appuntate in diario da Morin, o da Chatwin; o della possessione diabolica, accettata seppur in maniera silente, dalla Chiesa cattolica; della meditazione trascendentale, dei Rosacroce, dell’alchimia spicciola che trabocca dai nuovi confini della scienza. Dello yoga (tantra, hatha…), dei fiori di Bach, della trance sciamanica, tungusa, hopi, popolare friulana o dei tarantolati; dei riti celtici dell’eclissi, o delle risposte alte, deboli eppure definitive, di Deleuze e Guattari al capitalismo schizofrenico… o anche, se proprio non si doveva dire niente, di Maria Rosaria Omaggio e della cristalloterapia, magari per sputtanarla un po’. O della Brigliadori che va da Costanzo a predicare il benessere, quella stessa de La Cintura , film che Mereghetti dice che vale la pena vedere perché è già una bella soddisfazione scoprirla masochista, la Brigliadori, mentre si fa picchiare con la cinghia (e io sono d’accordo con lui). Perché tutto questo è “New Age”, compresa la Brigliadori, che dice di esserlo (quindi perché non crederle?).

Invece, qui tutto è workshop, area dimostrativa, “sacerdotesse della tradizione esoterica atlantidea – egiziana”, meditazioni di Daskalos, dei Cuori Gemelli, ipnosi regressiva per la scoperta di vite passate, Karate, Tai Chi Chuan, volo Yoga. Dimostrazioni di sapienza, di potere, di purezza, d’illuminazione. Sono argomenti, tutti questi, che trovano un qualche spazio nella mia personalissima libreria, senza alcuna vergogna o impedimento o preconcetto (tutt’altro), che mi hanno consentito uno sguardo d’insieme sul fenomeno e la conseguente accozzaglia un po’ fanfarona d’argomenti d’effetto, atti il più delle volte al rimorchiare, o alle chiacchiere da bar con gli amici. Cose che comunque, mi hanno consentito qualche idea, certamente assai modesta, sulla situazione della speranza, della ricerca interiore, del panorama principale dell’editoria rivolta al lettore-tipo del momento, d’un immaginario collettivo che mi pare assai palpabile.

Vado, dunque, a vedere quanto si è organizzato a Trieste. Le previsioni che mi son fatto prima di accedere alla manifestazione vengono drammaticamente confermate. La cultura estiva al Castello di Trieste è fatta di discoteca, di carrozzone pseudogiovanilistico atto al dragare voti, a far numero, al pur-che-sia-giovane. Giovane o quasi, magari frutto dell’ultimo tra i lifting possibili, che ha riportato in essere il sentimento di quella frammentazione culturale e di quelle diversità, tutte uguali a loro stesse, più o meno omologate, che seppero produrre comunque la ricchezza culturale e libertaria del ’68. Quindi non avrebbe stonato nemmeno – se ci fosse stato qualcosa in più – ciò che pur c’è e vedo qui al Castello: poteva starci anche questo mercatino delle pulci delle illusioni, dei metodi, della suggestione e della suggestionabilità. Anche … ma non solo. Perché così è robaccia, per di più con il marchio di un assessorato.A parte la tenda dei riti aruspicini e mantici dei quali nemmeno commento (con le buttacarte zingaresche, le cartochiromanti velate e dimesse, gli oracoli sospetti dagli sguardi vissuti e le grinte poco rassicuranti, o i più classici lettori di tarocchi, con l’orecchino e l’anellone) nel Piazzale delle Milizie trovo tutta una serie di operatori intenti a digitopressioni shiatsu e a manipolazioni viscerali, con la pletora di pazienti nelle posture più diverse, stesi su lettini, su materassi, su giacigli di fortuna. Altri, a mio modo di vedere, più onestamente si limitano alla vendita di amuleti e talismani, o a dipingere l’henné ; il grottesco si manifesta con tutta la sua forza, tuttavia, nella serie di servizi, seminari, lezioni, conferenze a pagamento. Uno di questi si basa sullo Yoga cristiano: è il tavolo di Ulpan, “gioco dei ruoli” dove ci “verrà affidato un personaggio” per metterci “in cammino verso la Verità” che proviene, in base alle citazioni dell’opuscolo informativo, anche da Gesù Cristo, Aurobindo e Darwan Paresh, tutti nello stesso mazzo. Un altro stand ci illumina sul progetto “Naturopatia” (dicitura degna del bel film di qualche tempo fa, intitolato Morti di salute …), didatticamente costituito in un corso biennale della Scuola “Paul Carton” per sole lire 1.500.000 più IVA, incluse le dispense che ci darebbero gratuitamente con l’attestato di diploma (meno male!). Ci insegnano a nutrirci, a sopravvivere ai microbi e alle peggiori “malattie degenerative” che ci colgono perché viviamo ai margini della natura.
Ancora. Altra postazione è riservata alla Domoterapia Sottile, per la quale i nemici sono (leggo da opuscolo) telefonini e antenne, ripetitori, TV, tralicci, elettrodomestici, antenne radar, “energie telluriche dannose sotto il letto”, ecc.

La risposta giusta, per questi, è evidentemente nello scatolotto “Bioplasmatron”, da installare a casa, del quale si fornisce illustrazione. Consapevole come sono dell’accertata dannosità dell’elettromagnetismo, avrei anche un’altra risposta al problema, definitivamente alternativa allo scatolotto di cui sopra: suggerirei comunque l’esodo verso il più equilibrato e non civilizzato spazio siderale, o più facilmente verso la giungla, dove prender casa lontani da cavi, lavatrici e schermi vari. Assicuro l’efficacia della scelta parimenti alla celeberrima coccinella colorata da applicare sul telefonino. 
Uno stand interessante mi pare quello del Pranic Healing , “scienza antichissima” che ha radici nell’agopuntura, nella digitopressione e nel massaggio, che qui viene presentata nella sua forma moderna grazie all’opera del maestro filippino Choa Kok Sui. Curare con le mani, insomma, consentirebbe la soluzione a tanti malanni. Vada pure per certe cose, ma poi rimango strabiliato nel leggere che il Pranic Healing può curare anche: l’asma, la tubercolosi, i tumori benigni e maligni, le infezioni del fegato. Ci risiamo.

Have you forgotten the keys
to the Kingdom?
Have you been borne yet
& are you alive?
Let’s reinvent the gods, all the myths
of the ages

Memore dell’insegnamento d’un capolavoro bergmaniano sottostimato, intitolato Il volto (che coglieva l’eguaglianza di noi tutti, al di là delle possibili classi sociali, nelle paure dell’ignoto e del metafisico) passo oltre e rimango veramente infastidito dal tavolo accolto da una nicchia nelle mura e dedicato alla presentazione del seminario “Comunicazione non verbale e ipnosi nella comunicazione”. Il seminario è organizzato dalla ME.P.A.I. (Metodologie Psico-Analogiche Integrate), associazione con sede a Cesena e Trieste. A parte la dimostrazione d’induzione ipnotica con metodo non verbale sul soggetto qualsiasi – in soli 30 secondi, recita il manifesto – mi predispongo alla lettura dell’opuscolo, e da subito mi incazzo alquanto. Scopro, ad esempio, che alla terza lezione delle cinque previste si tratterà “la persuasione attraverso la gestione della CNV (comunicazione non verbale)”, mentre alla quarta lezione, addirittura, vi sarà un”addestramento all’uso dei quattro canali dinamici” per una comunicazione non verbale, e la prova pratica de “l’ipnosi nella comunicazione”. Detto per inciso che il metodo consente l’acquisizione di “tecniche molto utili” (come recita l’articolo da “Viveresani” del 7 maggio ’99, ad hoc presentato in molteplice fotocopia sul tavolino degli uomini della ME.P.A.I.) “nel campo della pubblicità”, “nel campo aziendale”, “nel campo delle vendite”, e solamente per ultimi, “nel campo medico, per comprendere le esigenze delle persone malate” e “nel campo della psicoterapia, per entrare rapidamente in contatto con l’inconscio della persona”; detto anche che dal seminario verrebbe “l’aiuto per il buon seduttore” basato sull’osservazione, certo, ma anche sulla “stimolazione” a cui sarebbe “sensibile il vostro interlocutore / interlocutrice”, ne deduco che il metodo studiato ed approntato da Stefano Benemeglio nella lettura di ME.P.A.I. è strategia di vendita e conquista, prima che altro.

Marketing di scuola americana (di Palo Alto, nel caso specifico) e Potere , prima che metodo e strumento psicoterapeutico. Così, mentre un tale piuttosto stralunato cade nella trance impostagli dal giovane e fascinoso operatore – che scopro, mentre è al lavoro, esaltare la liberazione dei costumi sessuali nel ’68 – parte pure la pizzicata salentina sul palco di fronte e il crocchio di osservatori dell’esperimento – davvero scientifico! – diventa una moltitudine, attenta, ipnotizzata e talvolta disposta a pagare le 400.000 del seminario. Io mollo, me ne vado, torno a casa, per telefonare ai quattro amici che ho, e togliermi di dosso l’amarezza che mi ha preso. Giusto, il santo patrono, è preso per il collo, e i politici, qui da noi paiono confondere la cultura con la ricerca d’assenso, il sapere e l’esoterico con il mercatino alla Porta Portese. I diecimila visitatori per la kermesse del Castello hanno fatto sì che sia stata già prevista la prossima edizione, quella del 2000, sul tema della “guarigione”.

La “New Age” di Trieste è certo peggio della mia sconclusionata biblioteca. Lo spirito della cultura di cui il movimento è figlio, alternativo al sistema, non c’è più in nome del controllo . Non a caso il fantasma di quello spirito, a Trieste, è rinchiuso tra le mura di questi bastioni, con beneplacito comunale. Ma il sospetto, assai lecito, è che davvero la pochezza della New Age non sia solo triestina. Una cosa è certa: aspettando l’Età dell’Acquario, i figli – almeno per la sincerità di quella ricerca che ci fu, e che adesso è solo un fenomeno di moda – stanno peggio dei padri e vivono di modesti rispolveri.

Un saluto da Trieste a tutte le lettrici e i lettori delle Fucine. Voce a chi non ce l’ha (perché magari è in disaccordo, e ride amaro).

(When the true King’s murderers
are allowed to roam free
a 1000 Magicians arise
in the land)

[…]

This other Kingdom seems by far the best
until its other jaw reveals incest
& loose obedience to a vegetable law
I will not go
Prefer a Feast of Friends
To the Giant Family

(“An American Prayer“, Jim Morrison)

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