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Fumetto

Aleksandar Zograf

Sogni di un artista di mezz’Europa

Lorenzo Bertuzzi (LB): Ho letto che hai ricevuto un’istruzione artistica tipicamente classica. Che tipo di scuole d’arte esistevano dietro la Cortina di Ferro? Quali erano i tuoi interessi artistici (o forse preferivi le ragazze…)?

Aleksandar Zograf (AZ): Sono andato alla scuola d’arte di Belgrado… be’, credo che fosse uguale a tante altre, ma c’era qualcosa dentro di me che si opponeva continuamente al sistema scolastico… Anche se fossi cresciuto in un altro paese, credo che sarei stato molto sospettoso per ciò che riguarda l’istruzione. Generalmente, si crede che i metodi d’insegnamento attuali siano gli unici praticabili, ma non è affatto così. Le nostre scuole sono come fabbriche, chiese o caserme. Non c’è molta gioia né spontaneità… tutto è così programmato e inserito negli schemi… Iniziai a odiare le lezioni che venivano impartite sull’arte, e forse ciò spiega perché io non abbia mai sviluppato un tratto ricco e “bello”: il mio stile è grezzo ed emotivo, talvolta perfino infantile. In poche parole, tutto ciò che volevo scoprire sull’arte, l’ho scoperto fuori dall’ambiente scolastico. E poi era sicuramente molto più interessante concentrarsi sulle ragazze che su quello che dicevano i professori.

LB: La ex-Jugoslavia, per quello che ho potuto vedere vivendo appena oltre il confine, era il paese più liberale fra tutte le repubbliche socialiste (e sto pensando, ad esempio, alla Neue Slovenische Kunst che criticava violentemente il sistema): ma com’era veramente la situazione? In quegli anni, le differenze culturali e sociali tra le sei repubbliche erano così marcate come sono state poi descritte dai vari leader dei partiti nazionalisti un decennio più tardi?

AZ: Sì, si può dire che la ex-Jugoslavia fosse il paese più liberale tra quelli dell’Europa dell’Est. Esistevano certamente delle differenze (culturali ed economiche) tra le varie repubbliche che facevano parte dell’ex-Jugoslavia, ma allora la gente aveva almeno la buona volontà di conviverci… Quando gli opportunisti politici vollero avere più potere, iniziarono a esaltare in modo esagerato tali differenze, dando inizio a un processo che portò alle guerre che sfociarono nella creazione degli stati nazionali, separati e timorosi uno dell’altro. È stata una grande tragedia.

LB: Negli anni Settanta e Ottanta la scena fumettistica jugoslava era in un momento di particolare fervore. Secondo te, le influenze provenivano maggiormente dai comics americani o dalla produzione europea? Era semplice procurarsi i prodotti occidentali?

AZ: In quegli anni la scena fumettistica jugoslava era influenzata perlopiù dalla produzione europea: molti fumetti fantasy e umoristici, oltre ai fumetti di genere (avventura, western, per bambini), venivano tradotti in serbo-croato e pubblicati dagli editori locali e alcuni fumetti jugoslavi avevano una tiratura veramente molto alta, cosa che rese molto popolare il medium fumettistico. La produzione italiana era molto ben considerata, soprattutto gli albi della Bonelli e Alan Ford, che divenne un vero e proprio cult metropolitano (in modo particolare i primi episodi, che vennero ristampati molte volte).

LB: Ci sono stati un’opera o un disegnatore particolari che ti hanno spinto a intraprendere la carriera di artista?

AZ: No, non proprio. Mi sentivo come se fossi l’unico che tentava di creare dei prodotti non commerciali, profondamente personali. Quando iniziai a creare e a pubblicare le mie opere, non ero consapevole della scena indipendente e underground americana, che era molto vicina alle mie idee. Tuttavia, sono sempre stato un grande fan delle vecchie strisce quotidiane di inizio secolo (Krazy Kat o Little Nemo, per citarne alcuni…). Il passato è sempre stato una grande fonte d’ispirazione per me: in realtà, io sono un uomo del passato, che cerca di guardare al futuro, poiché il presente è troppo poco romantico.

LB: Ho letto che anche tu, agli inizi della tua carriera, consideravi il fumetto una forma d’arte secondaria, indirizzata principalmente ai bambini, e suppongo che questa fosse anche l’opinione condivisa dalla maggior parte della gente del tuo paese. La situazione è un po’ cambiata ora? Qual è stata la reazione al fatto che tu, un creatore di fumetti, potessi essere una sorta di testimone indipendente e credibile di ciò che accadeva in Serbia durante “l’azione umanitaria” della NATO?

AZ: Sì, agli inizi della mia carriera ero innamorato dei fumetti, ma ritenevo che la letteratura fosse una cosa “seria” e i fumetti solo qualcosa che dava allegria. Solo più tardi ho appreso che CREARE e LEGGERE fumetti non è assolutamente attività inferiore. La nostra cultura ha tradizionalmente apprezzato la letteratura… ma la generazione dei cartoonist degli anni Novanta, in Serbia almeno, ha fatto qualcosa per cambiare il pensiero della gente che vuole che i fumetti non vengano considerati produzione “d’autore”. Per colpa della guerra, molte riviste a fumetti (soprattutto quelle commerciali) furono costrette a chiudere e la nuova generazione di cartoonist, io compreso, iniziò a esibire le proprie opere nelle gallerie “rispettate” e a pubblicarle in riviste di letteratura. Lo facemmo perché in quelle circostanze non c’era nient’altro da fare, ma finalmente i membri dei circoli artistici ufficiali si resero conto della presenza della scena fumettistica d’autore e delle sue possibilità.

LB: Com’è la situazione della censura? Hai mai avuto problemi nello svolgimento della tua attività artistica o per la tua e-mail?

AZ: No, effettivamente no… si deve capire che non stiamo vivendo in una dittatura come tutte le altre: la Serbia è una nazione con uno strano tipo di semi-dittatura che non si preoccupa di censurare gli artisti, semplicemente perché non si preoccupa affatto dell’arte. Se si è artisti si può fare ciò che si vuole, perfino criticare Milosevic… Se ciò non riguarda un dato affare politico o non gli viene data una grande attenzione da parte dei media, nessuno ci baderà: il regime è troppo impegnato con tutti i suoi problemi.

LB: Quando hai iniziato a produrre i tuoi primi lavori, come “Alas” n°2, eri consapevole della vicinanza delle tue opere alla scena underground statunitense?

AZ: Quando vennero pubblicati i primi numeri di Alas! Comics (all’inizio degli anni Novanta), avevo un’immagine piuttosto sbiadita di ciò che stava succedendo nella scena fumettistica underground statunitense. Mandai i miei lavori a poche persone, come Jay Lynch, Robert Crumb e Jim Woodring, e pensai che, da professionisti del settore, non ne sarebbero stati più che incuriositi, ma… erano veramente interessati a ciò che avevo inviato, e iniziarono a far vedere il mio materiale ad altri artisti ed editori statunitensi. Ben presto iniziai a ricevere loro materiale in quantità sempre maggiore e vidi quanto vicine erano le mie idee a quello che stavano creando. Tieni conto che io ero povero e vivevo isolato in un piccolo paese di una nazione dilaniata dalla guerra e che doveva sopportare il peso delle sanzioni economiche. Fu una grossa sorpresa vedere che qualcuno come Robert Crumb si preoccupava di rispondere alle mie lettere. Quando Robert ha pubblicato una mia tavola in seconda di copertina dell’ultimo numero del suo “Weirdo”… fu una situazione così irreale… ridevo dall’incredulità! Più avanti Crumb  accettò di inviarmi il materiale esclusivo per l’antologia di fumetti ispirati ai sogni (Flock of Dreamers) che stavo preparando con Bob Kathman. Alcuni mesi fa, Crumb e io abbiamo addirittura co-creato una storia (ancora inedita). E ricordati che tutto è iniziato con dei pamphlets fatti in casa e fotocopiati, che avevo creato senza grandi speranze…

LB: È vero che hai iniziato a farti un nome come disegnatore, negli Stati Uniti e negli altri paesi dell’Occidente, semplicemente vendendo le fotocopie dei tuoi lavori agli artisti stranieri, in modo che questi potessero conoscere un tipo differente di produzione fumettistica?

AZ: Sì, come ho già detto è proprio quello che è successo. Ritengo che non si debba aspettare qualcuno che ti scopra: bisogna agire, bisogna fare qualcosa per se stessi, e visto che vivevo in un paese lontano (rispetto agli U.S.A.), che non conoscevo nessuno che avrebbe pubblicato i miei fumetti, così ho scritto e disegnato dei piccoli albi, molto semplici, e li ho fotocopiati nella copisteria più vicina, a Pancevo. Credo che molti giovani artisti europei abbiano l’atteggiamento sbagliato, dato che continuano a offrire i loro lavori a riviste famose o a grandi case editrici che puntualmente li rifiutano (ma semplicemente perché non vogliono rischiare). E quindi questi giovani artisti si scoraggiano o lasciano addirittura il mondo dei fumetti. Per questo credo che sia meglio autoprodursi, perché ti dà l’opportunità di migliorare e di presentare i tuoi lavori agli altri. Anche se ciò che produci è molto economico e stampato su carta di cattiva qualità, se vale qualcosa, qualcuno si riconoscerà nelle tue idee.

LB: So che, prima di diventare un disegnatore, hai lavorato come giornalista musicale. Com’era la scena musicale degli anni Settanta e Ottanta in Serbia (mi ricordo di un sacco di metalband slovene e croate, prima del grande successo dei Laibach)? Cosa ne pensi del grande successo del cosiddetto turbo pop e di quello della musica tradizionale balcanica, dovuto alle colonne sonore dei film di Kusturica (quest’estate a Trieste ho visto la Cocanj Orchestra, veramente bravi, e la band dello stesso Kusturica che fingeva di suonare la chitarra, molto mediocre…)?

AZ: Esiste una tradizione rockettara molto interessante nell’ex-Jugoslavia che risale addirittura agli anni ’60. Ma uno dei punti chiave fu l’emergere della scena new wave, alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80. Ci furono molte band in Serbia, Croazia e Slovenia che diedero nuova vita alla scena musicale locale. Per quanto mi riguarda, scrivevo per una rivista chiamata Dzuboks (juke-box), pubblicata a Belgrado, ma che aveva un vasto seguito anche fuori della Jugoslavia. Era eccitante, ma poi mi sono concentrato sui fumetti, che restano molto più vicini alla mia sensibilità. Per quanto riguarda il cosiddetto turbo folk… be’…lo odio! È musica puramente commerciale, pensata per le masse, che fondamentalmente è come ogni altro tipo di pop, ma con alcuni elementi del folklore locale. L’originale musica folk, o musica etnica dei Balcani (comunque la si voglia chiamare), è qualcosa che rispetto e apprezzo profondamente. Esiste una grande differenza tra questi due tipi di musica che consiste nel fatto che il vero folk è stato creato DA e PER la gente semplice. Il turbo folk è solo un tentativo di commercializzare la musica dei Balcani, di renderla un fenomeno del consumismo di massa, più “turbolenta”! A proposito di musica originale (tradizionale) dei Balcani, una delle persone più interessate a questo genere era Robert Crumb…

Immagine articolo Fucine MuteLB: Come sono ora i rapporti tra i creatori di fumetti dei vari stati dell’ex-Jugoslavia? Esiste una qualche forma di aiuto reciproco o di collaborazione artistica? So che molti artisti hanno lasciato le repubbliche dell’ex-Jugoslavia dall’inizio della guerra. Hai mai pensato di lasciare il tuo paese? Cosa rappresenta per te la Serbia, o la Jugoslavia se preferisci?

AZ: Be’, la Serbia è casa mia. Ci vivono molte persone che amo. Non voglio lasciarla solo perché l’attuale situazione politica ed economica non è delle migliori… Sono un individualista e penso che non riuscirei ad adattarmi a un paese solamente, quindi perché andarmene? E poi, forse, è anche più importante, più stimolante (anche se non più comodo) restare dove ci sono i problemi per cercare di migliorare le cose. Sono anche in contatto con molti disegnatori delle repubbliche dell’ex-Jugoslavia. Penso che la migliore collaborazione l’abbiamo ottenuta per la rivista slovena Stripburger. In genere, i creatori di fumetti sono persone dalle ampie vedute, e quindi molti di noi sono rimasti in contatto, anche se i nostri rispettivi stati stanno ancora combattendo una specie di guerra…

LB: “Un anacoreta, un insano navigatore del mare dell’inconscio”. Cito Luke Walsh a proposito della definizione di un cartoonist. Qual è la tua definizione?

AZ: La sua è una buona definizione. Ma te ne dirò un’altra: un cartoonist è un medium che non ha perso il senso dell’umorismo.

LB: Puoi descriverci ciò che forse le parole non possono descrivere: il tuo stato ipnagogico? Pensi che le immagini che vedi, o meglio scegli, derivino da un certo subconscio razziale, come fossero simboli primordiali, o sono forse il riflesso di un’altra realtà, altrettanto reale come il mondo in cui viviamo?

AZ: Innanzitutto, le visioni ipnagogiche sono qualcosa che noi tutti abbiamo, ma sulle quali non abbiamo ancora imparato a concentrarci: sono delle immagini che vediamo nello stato di dormiveglia e che assomigliano molto a delle diapositive. Questo fenomeno non è per niente sconosciuto alla moderna psichiatria, ma non gli è mai stata prestata molta attenzione: fondamentalmente, gli scienziati non sanno come studiarlo. Eppure molti artisti hanno utilizzato le visioni ipnagogiche come fonte d’ispirazione, almeno una volta nella vita. Io non voglio rendere razionali queste visioni, e nemmeno spiegarle, perché ritengo che abbiano non una, ma molte origini; la maggior parte delle volte rispecchiano delle dimensioni che si trovano all’interno delle nostre realtà mentali, ma noi, come razza, non abbiamo ancora neanche iniziato a esplorare i nostri mondi interiori (poiché ci concentriamo soprattutto su ciò che accade all’esterno). Per quanto mi riguarda, io ho provato una specie di gioia nel catturare queste visioni e nel mostrarle agli altri. Lo faccio perché mi diverte e sono veramente colpito dal fatto che così tante persone abbiano ritenuto interessanti quelle strane immagini…

LB: Sei un credente? Credi in qualche divinità? Hai mai sperimentato delle forme di spiritualità, di meditazione o di qualunque altra cosa?

AZ: Non credo affatto nella religione organizzata, ma credo profondamente nell’esplorazione del nostro proprio Io. Se osserviamo l’uomo o la donna, uno/a qualsiasi, scopriamo che rappresentano il mistero più oscuro. Anche l’uomo più stupido è una fonte di forza vitale e misteriosa, profonda come lo stesso universo. Ed è questo che rende la violenza e la guerra così insensate: non si può distruggere totalmente queste meravigliose creature, e il tentativo di distruggerle per un qualsiasi motivo, politico, ideologico o semplicemente criminale, non solo è infermo, ma anche stupido.

LB: Hai mai letto Carlos Castaneda?

Certamente. è stato una grande fonte d’ispirazione per me. I suoi libri non sono fiction. Lo so perché ho provato alcune delle tecniche che descrive e hanno funzionato. A un certo punto della mia vita, con una frequenza insolita, sono stato in grado di entrare in uno stato di sogno consapevole. Mentre sognavo, mi ricordavo di guardare le mie mani, e lo facevo parecchie volte alla settimana: era semplicemente l’input che mi permetteva di entrare nello stato di lucidità durante i sogni e che mi permetteva di osservarli in uno stato di consapevolezza onirica che ricorda lo stato in cui viviamo da svegli.

LB: Quando ti trovi nello stato ipnagogico, puoi controllare in qualche modo i tuoi “paesaggi onirici”?

AZ: Non proprio. Il senso di controllo è collegato maggiormente a un altro stato onirico, quello che ho appena descritto: il sogno consapevole. Mentre ci si trova nello stato ipnagogico (che NON si verifica nella fase R.E.M.), ci si sente come se si stesse osservando qualcosa che viene proiettato, anche se esiste un’ampia varietà di esperienze (a volte sento una musica o vedo delle brevi sequenze animate ecc.).

LB: Se, come ho letto da qualche parte, lo stato ipnagogico è una sorta di terra comune dei sogni (ho saputo che solitamente “condividi alcune visioni o immagini” con altri artisti), come ha influito su di esso la guerra? Cosa mi puoi dire al riguardo? Te lo domando perché ancora adesso sto provando le conseguenze di ciò che è avvenuto: in altre parole, durante la guerra avevo molte esperienze di dormiveglia non proprio esaltanti, ma la differenza sta nel fatto che in quei giorni mi ricordavo tutto, mentre ora non ci riesco… l’ho rimosso consciamente, ma il sogno continua incessante… certo, potrebbe anche essere solo un esaurimento nervoso.

AZ: Credo fermamente che i sogni abbiano diverse funzioni e diverse caratteristiche e che possano anche servire come mezzo di comunicazione tra le persone. Innanzitutto, molti altri mezzi di comunicazione venivano usati prima che imparassimo a sviluppare il linguaggio. Ogni uomo moderno, immerso nel mondo razionale e nella tecnologia, usa i sogni per comunicare con gli altri uomini. Ho saputo che molte mie visioni ipnagogiche corrispondevano ai pensieri e alle visioni di artisti di paesi differenti. Ma non è stata una sorpresa… Per quanto riguarda la guerra… non l’ho mai ritenuta una fonte d’ispirazione. Ti stanca e fa sì che tu sia troppo coinvolto dal mondo esterno. Eppure, anche la guerra ha le sue conseguenze oniriche.

LB: Cosa mi dici dei tuoi progetti futuri?

AZ: Ho ricevuto una sovvenzione per andare negli Stati Uniti e rimanerci sei settimane. Sto pensando di creare una storia che descriva l’esperienza che avrò in questo paese della sua vita e della sua cultura (non sono mai stato negli Stati Uniti prima d’ora). Sarà curioso andare in un paese che, solo pochi mesi fa, stava (praticamente) bombardando il mio, ma non ho mai confuso il governo degli Stati Uniti con la sua gente…

LB: In che rapporto sei con i nuovi media? Quale pensi potrà essere il futuro dei fumetti in un mondo dominato dalla rete, dalla tv via cavo o dai libri digitali? Ci sarà ancora spazio per loro?

AZ: Ci sarà sempre un posto per i fumetti, anche nel mondo delle nuove tecnologie. Conosco molti cartoonists in tutto il mondo (anche in Italia!) e si può capire che sono dei veri e propri fanatici, che continueranno a fare ciò che stanno facendo ora, anche se il mondo si riempirà di strani automi…

LB: Se “il sonno della ragione genera mostri”, cosa pensi potrebbe fare una persona per restare sveglia?

AZ: Per restare sveglia, una persona dovrebbe prestare più attenzione ai propri sogni.

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