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Omnia

L’Istria e la III guerra balcanica (II)

4. Emigrazioni dall’Istria e immigrazioni

Il conflitto balcanico ha causato degli spostamenti demografici estremamente preoccupanti. Complessivamente il numero di cittadini dell’ex Jugoslavia passati in Italia è di 58187, il che non significa che tutti vi siano rimasti: molti di essi sono partiti subito verso altre destinazioni europee e non.

Il fenomeno espatrio ha anche coinvolto la penisola istriana: molti, soprattutto per sfuggire al rischio del fronte, si sono rifugiati all’estero.

L’altra causa va ricercata nella crisi economica che ha per ovvi motivi colpito la regione.

Tutti i miei sforzi per reperire dei dati relativi allo spostamento demografico che ha coinvolto la contea istriana della Croazia sono stati vani. Mi sono scontrato un po’ ovunque con un atteggiamento che sembra piuttosto radicato presso molti individui, i quali temono quasi di parlare della recente guerra, come corressero il rischio di essere gravemente compromessi; quindi le reazioni di molti impiegati degli uffici pubblici e di alcuni intellettuali croati sono state prevalentemente di garbato e gentile rifiuto.

Dopo aver cercato in varie sedi locali della Croce Rossa Croata e dell’Ufficio Profughi, sono venuto a sapere in un ufficio l’indirizzo dell’organo principale in Istria, con sede a Pola, per i problemi relativi ai profughi e rifugiati di guerra. Ho scritto a Pola per lettera raccomandata, senza tuttavia ottenere risposta. Dovremo pertanto far riferimento a un dato fortemente approssimativo, reso noto dal prof. Rota nel ’93, riguardante solamente il fenomeno espatrio, e non quello relativo all’immigrazione. Gli istriani avrebbero lasciato la loro terra in 30000. (2)

I profughi croati e bosniaci che hanno raggiunto l’Istria sono stati, non è difficile capirlo, assai numerosi. Secondo quanto è scritto in un articolo, sembra che nel dicembre ’91 fossero già circa seimila. (3)

Nella penisola hanno dovuto abitare in abitazioni assegnate dallo stato e sembra addirittura concentrati in alcuni quartieri periferici delle città, divenuti delle autentiche baraccopoli.

Il lato positivo è che è aumentata così la ricchezza culturale ed etnica dell’Istria. Sembra infatti che molti oggi abbiano deciso di rimanere in questa terra ospitale e civile.

4.1 Gli istriani al fronte

L’esperienza rischiosissima del fronte non è gradita da nessuno. E, come detto, sono stati tantissimi gli istriani che hanno preferito l’espatrio. Personalmente mi ricordo d’aver notato che durante i primi anni del conflitto molti erano gli uomini che si nascondevano alcuni giorni nelle stalle e nelle campagne, per sfuggire alla polizia, dato che essa prelevava gli uomini da reclutare nell’esercito senza avviso, arrivando a casa a qualunque ora e addirittura andando direttamente al posto di lavoro del malcapitato.

È difficile riuscire a trovare dei reduci del fronte disposti a rispondere a delle domande riguardanti le loro condizioni e disavventure in guerra. Regna per lo più il silenzio, determinato dalla paura, o forse un certo pudore per il dolore.

Vi sono poi giovani reduci che ne parlano spesso, ma esagerando o modificando la vera natura dei fatti, tanto che risulta difficile valutare l’attendibilità del racconto.

Sono comunque riuscito a ottenere una buona descrizione delle sue esperienze almeno da un giovane istriano di certo attendibile.

È stato in prima e in seconda linea, in zone particolarmente segnate dal conflitto.

“Sono stato nella Slavonia occidentale, a Karlovac e nella Lika nelle stagioni autunnale e invernale del 93. Era l’inverno più duro degli ultimi trent’anni. Trenta gradi centigradi sotto lo zero. Attorno a noi piombavano le granate dei cannoni. Il pericolo era estremo. Nella Slavonia occidentale e a Karlovac il cibo era sufficiente. Nella Lika era scarso e immangiabile. L’acqua è mancata un paio di giorni a Karlovac, quand’ero in prima linea e abbiamo dovuto bere l’acqua piovana mescolata al fango in terra.

“Nella Slavonia Occidentale e a Karlovac c’era una buona organizzazione a livello bellico militare. Alcuni ufficiali erano reduci dell’Armata Popolare, e quindi ben preparati e organizzati. Nella Lika v’era una notevole disorganizzazione: gli ufficiali erano inesperti, di scarsa preparazione e cultura, e avevano preso i gradi per merito militare, in quanto prima erano stati volontari dell’esercito croato.

“Spesso accadeva che a comandare non fossero gli ufficiali di maggior grado, ma coloro che godevano di amicizie politiche con persone molto in alto. E questi ufficiali esercitavano la massima oppressione a livello psicologico, come dei veri e propri tiranni.

“Il numero dei soldati era sempre insufficiente e noi che eravamo presenti in prima linea subivamo le conseguenze di tale condizione di precarietà. Dovevamo supplire alla mancanza di soldati con turni di guardia stressanti ed eccessivamente frequenti. Si dormiva solo quattro o cinque ore al giorno. Nella Lika maggiore era la difficoltà per sostenere i turni di guardia a causa delle basse temperature e la scarsa nutrizione.

“Molti erano i disagi: alcuni si picchiavano tra di loro, altri si tagliavano le vene. I medici erano leali e, nei limiti delle possibilità — essi non erano presenti in prima linea ma in posizioni di minor pericolo —, abbastanza disponibili; non somministravano anfetamine o droghe in generale. I compagni al fronte erano leali con me, anche se mi capitava che alcuni nutrissero sentimenti di una certa antipatia e disprezzo nei confronti degli istriani, i quali erano accusati di far parte o essere espressione dell’IDS, che loro odiavano per la politica propagandistica del regime contrario alla Dieta.

“Ricordo che a Karlovac e nella Slavonia occidentale c’era tantissimo da lavorare, era lavoro di tipo fisico, molto duro come tagliare legna e scavare trincee nel freddo”.

È questo un racconto che deve farci riflettere sulle atrocità del fronte, che spesso vengono dimenticate quando si parla di un conflitto.

5. La politica della Dieta Democratica Istriana e gli italiani in Istria

5.1 La Dieta Democratica Istriana

Il 14 febbraio 1990 nasceva la Dieta Democratica Istriana, il partito che oggi ha più voti nella contea di cui porta il nome.

Nel 1993 il presidente della Dieta Jakovčić in un’intervista descrive la linea di pensiero e gli ideali del proprio partito. Afferma che il programma dell’IDS consiste soprattutto in un progetto di convivenza basato sulla constatazione che l’Istria è una terra la cui cultura trova le sue radici nel “multiculturalismo” e nel “plurilinguismo”. L’Istria è un mondo a cerniera di quelli latino e slavo. Pertanto viene seguita la scelta del regionalismo di stampo europeista con richiesta di autonomia per dare vita a una regione in chiave transfrontaliera tra l’Istria in Croazia, Slovenia ed Italia.

Alle accuse di secessionismo risponde dicendo che i dietini non hanno mai detto o pensato nulla del genere nei confronti della Croazia. L’Istria in questo secolo è passata sotto il governo di sei o sette stati e già l’attuale divisione sulla Dragogna è una tragedia, soprattutto per il regime burocratico doganale sulla frontiera.

Dimostra grande solidarietà nei confronti della minoranza e invita gli esuli del secondo conflitto mondiale a ritornare. Afferma che la richiesta dell’autonomia è una scelta dettata dall’evoluzione storica e dal bisogno di idee nuove e giovani, e respinge l’assioma autonomia uguale difesa dell’egocentrismo economico.

Dice che coloro i quali restano fermi ideologicamente all’ ‘800 e nutrono sogni balcanici non possono capire queste idee democratiche che guardano all’Europa.

L’immagine che si dà all’Istria è quella di una cultura occidentale, di tolleranza, con un’economia di mercato.

In pratica per il futuro la Dieta prevede di risollevare l’economia agendo sull’agricoltura e l’industria favorendo l’arrivo del capitale straniero mediante la creazione di società a capitale misto.

Sostiene anche che “questa è l’unica zona d’Europa dove il popolo in maggioranza, i croati, e quelli che si esprimono quali istriani, ma di lingua croata, si battono per il bilinguismo e la cultura italiana!”

Afferma infine vi sia la necessità di costituire rapporti politici con le regioni europee, soprattutto quelle italiane. (4)

5.2 L’Unione Italiana

Già nella seconda guerra mondiale si crea l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume. Ma essa presentava le caratteristiche di un’organizzazione di tipo soprattutto culturale. L’U.I.I.F. subisce una forte trasformazione e il 16 luglio ’91 verrà adottato il nome di Unione Italiana.

Se osserviamo la “Bozza di statuto della nuova Organizzazione degli Italiani” dell’Assemblea Costituente nell’articolo 1, vediamo che viene definita l’Unione Italiana “l’organizzazione unitaria autonoma e democratica degli italiani in Jugoslavia, di cui si esprime l’articolazione complessiva dei bisogni politici, economici, culturali e sociali”.

“L’Unione svolge la sua attività sul territorio della Repubblica di Croazia e di Slovenia e di altre Repubbliche della Federazione jugoslava, in cui risiedono i suoi membri. (art. 4).

“L’Unione ha come proprio simbolo la bandiera della Nazione Madre, la Repubblica d’Italia” (art. 6). Non verrà più in seguito adottato il tricolore con la stella rossa.

“Sono finalità fondamentali dell’Unione:

“- l’affermazione dei diritti specifici e il soddisfacimento dei bisogni politici, culturali, economici e sociali dei suoi membri;

“- il mantenimento dell’integrità e dell’indivisibilità della minoranza italiana, in virtù della sua autoctonia;

“- l’affermazione della soggettività della minoranza italiana e delle sue strutture;

“- il conseguimento dell’uniformità di trattamento giuridico e costituzionale dei cittadini di nazionalità, lingua e cultura italiane. Le finalità particolari dell’Unione sono fissate dall’indirizzo programmatico generale approvato dall’Assemblea”. (art. 7).

5.3 Gli italiani in Istria dopo l’inizio della guerra

Sono moltissimi gli istriani che dopo l’inizio del conflitto si dichiarano appartenenti all’etnia italiana per vari motivi, e non solo per le migliaia di italiani “precedentemente reticenti, perché allora dichiararsi italiani veniva scoraggiato e penalizzato dal regime comunista”. (5)

Nel ’91 sulla Voce del Popolo (l’articolo della nota 2) viene dato il numero di 2758 appartenenti nel solo Capodistriano, un aumento di oltre il 40 per cento rispetto al censimento del 1981. In Croazia gli italiani sono 20608. E dai dati visti in precedenza, si nota che il numero è destinato negli anni successivi a crescere.

Anche il numero delle comunità cresce: dal 1991 alle 22 esistenti si aggiungeranno 27 comunità.

Il Presidente del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno dà nel 1993 una felice e valida spiegazione del fenomeno: “A parte il ritorno alla casa madre di coloro che sebbene fossero ‘nostri’ si dichiaravano croati o jugoslavi, c’è stato un contributo di croati che hanno optato per la nostra nazionalità rifiutando la scelta, quasi raccomandata dal nuovo regime, di sentirsi croati purosangue. È una ribellione all’etnocentrismo che vorrebbe snaturare la particolarità multiculturale e multietnica locale. È per tal motivo che la maggioranza dei croati guarda con estrema simpatia il nostro vivere. Si rendono conto che resteranno croati istriani, slavi istriani, solo se noi esisteremo quale diversità… A questo lento maturare nei nostri confronti non sono estranee le famose pensioni militari erogate dall’Italia. I primissimi anni era addirittura proibito accettarle…” (6)

Questo simpatizzare in Istria nei confronti dell’etnia italiana è dovuto al carattere della popolazione istriana, tollerante e felice della propria composizione multietnica, dalla quale la guerra viene vista come un conflitto tra serbi e croati, come un qualcosa che riguarda loro, e non l’Istria, un qualcosa che l’ha coinvolta in maniera drammatica, contro la volontà, gli interessi pacifici, gli ideali e la cultura che si distingue per la ricerca della pace.

Oppure, come direbbe Rodolfo Segna, qualche anno fa direttore della Voce del Popolo, “l’Istria è una regione in cui il discorso nazionale esclusivista non passa, perché la gente ha già vissuto sistemi totalitari dove si faceva gran richiamo allo stato forte nazionale — il fascismo — o l’imposizione, in secondo tempo, del comunismo internazionalista. Sono regimi che possono condurre solo al male”. (7)

5.4 I rapporti tra Unione Italiana e Dieta Democratica Istriana

Al fatto che la Dieta sostenga il valore della multietnicità e sia pertanto molto solidale con la minoranza etnica italiana, abbiamo già accennato in precedenza. Cerchiamo ora di vedere un po’ più nel dettaglio i buoni rapporti presenti tra l’IDS e l’Unione Italiana.

Il prof. Rota, allora presidente dell’U.I, dà conferma nel ’93 di un “tacito accordo con il partito regionalista, la Dieta Democratica Istriana”. Già all’epoca l’U.I. riesce a ricoprire così 110 posti in tutta l’Istria fra sindaci e consiglieri comunali.

“Il voto per la Dieta è ‘nato’ anche per opposizione all’HDZ. L’HDZ, espressione della Croazia interna, non comprende l’Istria. Zagabria vuole centralizzare al massimo togliendoci addirittura i diritti acquisiti — bilinguismo, esposizione della bandiera nazionale in occasione delle festività, rilascio della carta d’identità — sotto il passato regime ‘totalitario’ che, in un certo qual senso, si era dimostrato più democratico dell’attuale.” (8)

In vista delle elezioni per le autonomie locali il 26 dicembre 1992 si tiene un incontro tra il Presidente dell’U.I. Rota e Ivan Nino Jakovčić della Dieta.

“Al termine le due delegazioni hanno concordato quanto segue: le leggi sulle autonomie locali, sulle contee e sulle elezioni, attualmente in dibattito al Sabor, dovranno prevedere l’inserimento attivo della Comunità nazionale italiana nella cogestione del territorio mediante la predisposizione di strumenti legislativi che le garantiscano la presenza nelle assemblee delle unità delle autonomie locali nella forma di seggi garantiti, del doppio voto (politico e minoritario) e del diritto al consenso necessario per le questioni di vitale importanza per la tutela, il mantenimento dell’unitarietà e lo sviluppo della Comunità italiana. Affrontati inoltre i problemi della tutela del territorio con particolare riferimento alla sua fisionomia storicamente pluriculturale e multinazionale, esprimendo altresì l’esigenza di una strutturazione delle autonomie locali nello spirito del più avanzato regionalismo europeo”. (9)

5.5 Le recenti elezioni amministrative in Istria

Le elezioni amministrative del 13 aprile 1997 si concludono con la vittoria della Comunità Democratica Croata (HDZ) in quasi tutto il paese. Alla camera delle contee l’HDZ si aggiudica ben 57 dei 63 seggi complessivi.

Ma nella contea istriana le cose vanno in diversa maniera: vi è la netta, anche se non clamorosa, vittoria della Dieta: 46 per cento dei suffragi. Vi è quest’anno un nuovo partito, fondato da Delbianco, ex presidente della giunta di contea, che per problemi all’interno del partito se n’era andato dall’I.D.S. La sua nuova lista, il Foro Democratico Istriano, ottiene il 12 per cento dei suffragi, voti che altrimenti sarebbero andati alla Dieta. L’HDZ ha il 16 per cento. I socialdemocratici l’8 per cento. Nell’assemblea istriana la Dieta si aggiudica così 26 seggi, 4 ne ottiene il Foro, 6 l’HDZ, 2 i socialdemocratici e 2 i liberali. (10)

5.6 La popolarità del presidente Tuđman in Istria

Chi sono coloro che in Istria condividono le idee del presidente croato e del suo partito? Per quali motivi lo fanno?

È di certo difficile individuare le motivazioni che spingono una parte dei cittadini istriani ad approvare la politica del partito al governo, in una terra dove una forte tendenza al regionalismo è davvero percepibile nell’atmosfera, al contrario di ciò che avviene nelle altre contee. E sarebbe senz’altro errato e semplicistico definire quel consenso che l’HDZ sembra ancora godere un fenomeno diffuso in una parte dei profughi — soprattutto i croato-bosniaci — ancora presenti in Istria, come a volte la gente tende a fare. E neppure si può dire che la simpatia ancora presente per il partito sia dovuta al voto favorevole di coloro che lavorano per polizia ed esercito. I motivi sono senz’altro complessi e di vario genere; e probabilmente sono da collegare al successo quasi totale che altrove il partito possiede. Forse è la forte campagna pubblicitaria che anche in Istria si è fatta l’HDZ, soprattutto coi media e i murales. E forse anche, potremmo pensare, un certo desiderio di stabilità politica che trova soddisfazione in questo partito e nella forte e carismatica personalità del presidente.

Ho ritenuto opportuno sentire un intellettuale istriano, specializzato in materie storiche, che sembra dimostrare notevole simpatia e appoggio nei confronti del presidente. Inizio col chiedergli un parere sulla terza guerra balcanica e il coinvolgimento dell’Istria nel conflitto. Si oppone anzitutto alla definizione del conflitto come terza guerra balcanica. Dice che si tratta di un “domovinski rat”, una “guerra patriottica” per la liberazione della Croazia. Dice che l’Istria è tra le županje, contee, che maggiormente si sono impegnate a questo scopo. Sostiene che gli storici stranieri che studiano tale guerra — americani, inglesi, italiani, ecc. — si basano su fonti non attendibili, su fonti serbe.

(fine seconda parte)

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