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Cinema

Dietro la macchina da presa (I)

Come e perché si fa un film

Esigenze industriali nel concepimento del progetto film.

La storia del cinema è una storia industriale ed economica, basti ricordare i suoi inizi: i primi film venivano proiettati nei baracconi dei parchi di divertimento e gli spettatori pagavano il biglietto per accedere allo spettacolo, per svagarsi in quella mezz’ora di proiezione. Inoltre — è da tenere presente che l’oggetto-film ha dei costi di fabbricazione molto alti — necessita investimenti notevolissimi. L’industria cinematografica, però, è un’industria completamente anomala perché fabbrica solo prototipi. Infatti, ogni film deve essere, possibilmente, unico, diverso dagli altri e quindi non avviene come nelle altre industrie dove, quando un prodotto funziona, lo si fabbrica poi in serie. Nonostante questa anomalia, il film resta una merce, che viene “venduta” allo spettatore che acquista il biglietto; è il pubblico che riporta il denaro a chi lo ha investito. Gli spettatori formano il mercato, che è il committente. Chi esprime, materialmente, la domanda sono gli esercenti delle sale cinematografiche. Ora, con l’avvento e la diffusione delle grandi catene televisive, il mercato è rappresentato dal circuito delle sale cinematografiche insieme a quello delle grandi televisioni di stato e private poiché anche queste sono un mercato di sfruttamento dell’oggetto film. Questo mercato ha delle caratteristiche che cambiano rapidamente, è un committente strano, come è strana la domanda che subisce modificazioni con l’oscillazione del gusto del pubblico. Sono soprattutto i gestori delle sale cinematografiche gli interpreti del cosiddetto “gusto del pubblico” (il cui concetto, tra l’altro, è estremamente vago).

Comunque, il successo di un film fa spesso intuire quale sia la domanda latente, segreta, presente negli spettatori, verificata solo all’uscita del film. Gli esercenti, quindi, che conoscono o intuiscono, le esigenze del pubblico, esprimono il loro parere ai distributori i quali hanno loro sottoposto un’ipotesi di progetto di film. Questo al fine di verificare su quanti “punti vendita” potrebbe contare quel dato film. Che cosa spinge il gestore ad assicurare l’uscita nel suo cinema ad un film? Il probabile successo, il buon incasso; e la maggiore garanzia d’incasso è la presenza dei divi popolari. Il sondaggio sulla possibile accoglienza che un film riceverebbe viene fatto proponendo a tutti gli esercenti di cinema italiani il progetto di massima (titolo, interpreti principali, regista e soggetto di massima). La previsione viene fatta dai distributori, che hanno agenzie regionali in tutta Italia e quindi conoscono capillarmente il circuito delle sale e i singoli esercenti. Questi vengono contattati dal distributore il quale verifica la quantità dei possibili punti vendita e crea un vero e proprio calendario, una programmazione sala per sala fatta con una stagione di anticipo. Quali sono gli elementi che influiscono sulle decisioni dell’esercente? Prima di tutto sono importanti gli interpreti e il titolo. Se gli interpreti garantiscono già il successo, il titolo diventa indifferente. Se il film è straniero, è essenziale il risultato che il film ha ottenuto sui mercati esteri. Se, comunque, rimangono delle incertezze, l’esercente può chiedere di vedere il copione.

Questa previsione, in seguito alla quale si saprà se il film avrà o meno un buon mercato da sfruttare, diventa un mezzo di pressione su chi ha la responsabilità finanziaria del film, il produttore. Come emerge da questa descrizione, il meccanismo economico-industriale del cinema ha tre facce: 1) gli esercenti, cioè i gestori delle sale cinematografiche; 2) i distributori, che operano sull’intero territorio nazionale tramite le loro agenzie regionali e sono gli intermediari tra esercenti e produttori; 3) i produttori che sono i responsabili del singolo film. Tutti e tre fanno pressione su chi fabbrica materialmente il film: gli scrittori (sceneggiatori) il regista e gli interpreti. Ma come nasce il progetto del film? Attualmente — ma è comune a tutta la storia del cinema — l’iniziativa industriale fa perno sui divi. Quindi non si comincia dall’autore, o dal regista, ma dall’interprete. A questo viene proposto un dato soggetto oppure gli viene chiesto di pensare lui quale personaggio, quale storia potrebbe e vorrebbe interpretare. È l’industriale, soprattutto, che preme per avere il divo, perché la sua preoccupazione maggiore (niente affatto malsana) è quella di recuperare il denaro che ha investito ed è appunto il divo che costituisce l’elemento principale di richiamo del film. Per assicurarsi questa presenza, però, l’industriale (il produttore) deve tener conto delle richieste del divo che sono di vario genere, materiali ed “ideologiche”. Ottenuto il consenso dell’interprete, inizia il lavoro di preparazione del soggetto, sia che questo sia stato abbozzato dal regista e dallo scrittore già prima di sottoporlo all’attore, sia che esso sia tutto da inventare dopo che gli elementi essenziali della storia e del personaggio sono stati proposti dal futuro protagonista del film.

Si parte, naturalmente, dal titolo che viene comunicato dal produttore al distributore, insieme a regista ed interpreti principali. Come ho già detto prima, per distributore ed esercente valgono soprattutto i nomi degli interpreti; quello del regista è secondario, soprattutto ai fini delle previsioni d’incasso. È importante, comunque, come garanzia professionale per la puntualità ed il rispetto dei preventivi di costo. C’è anche la possibilità che sia il nome del regista ad attirare il pubblico, ma sono fenomeni isolati che non durano nel tempo. Non mi riferisco ai grandi nomi, a cui è riconosciuta la dignità di autore (e che raramente sono registi di cassetta) ma a quei registi intorno ai cui film è stato creato un caso. È successo, per esempio, a Lina Wertmuller, improvvisamente celebre dopo “Mimì metallurgico ferito nell’onore”, film che ha lanciato anche la coppia Giannini Melato, e che incassò moltissimo, smentendo tutte le previsioni. Grazie a questo primo film la Wertmuller stessa è diventata una diva e ha potuto fare altri film dettando lei le condizioni; ma siccome i risultati, dopo due o tre film, non sono stati più così sorprendenti, il suo nome non è stato più ritenuto una garanzia.


Progetto scritto del film: soggetto e sceneggiatura.

In questo quadro comincia il lavoro di messa a punto scritta del film. Il soggetto, come saprete, può essere tratto da opere preesistenti (romanzi, racconti, novelle oppure testi teatrali) oppure lo spunto è originale, inventato apposta per quel film. Ci sono, tra i film tratti da opere letterarie precedenti, quelli che citano apertamente l’opera (per esempio un film la cui sceneggiatura si basa su “Rosso malpelo” di Verga). Ma ci sono anche quelli dove non si cita l’opera a cui ci si è ispirati: gli scrittori di cinema “rubano”, salvano lo scheletro e gli mettono un altro “vestito”. Il soggetto originale nasce dalla discussione fra scrittore — o scrittori — di cinema professionisti (sono gli sceneggiatori), il regista e talvolta gli attori. Prendendo in considerazione le idee per il futuro soggetto, questa équipe deve tener conto delle possibili obiezioni del produttore che possono riguardare sia la storia in se stessa (il produttore giudicherà, soprattutto, se è commerciale o no) sia il preventivo dei costi. Il soggetto originale può prender forma dagli spunti più diversi. Il cosiddetto cinema d’impegno civile si orientava su temi di attualità, su personaggi e situazioni che fossero significativi di una condizione umana più vasta, che evidenziassero le contraddizioni e le storture della società. Il soggetto originale, però, può avere degli spunti del tutto fantastici, anche se si tratta di un film di denuncia. In ogni caso nasce da discussioni e ricerche: può essere ispirato a fatti storici o ai resoconti, alle cronache di questi fatti. Il grande problema, sia quando ci si rifà alla cronaca, sia quando si riprende un’opera letteraria o teatrale, è la trascrizione per lo schermo. Le difficoltà vengono dalla lunghezza molto limitata del film: 100 minuti sono pochissimi, specie quando si deve fare la trasposizione di un romanzo. In questo caso, infatti, ben pochi sono gli esempi riusciti soprattutto dal punto di vista della compattezza stilistica e dell’unità di racconto, poiché generalmente ci sono troppe cose. Veniamo alle varie fasi della scrittura del film.

Nella fase iniziale c’è, prima di tutto, la scaletta (termine tecnico), cioè lo schema generale del racconto, fatto prima di cominciare a scrivere e serve, soprattutto, per rendersi conto dello sviluppo necessario alla vicenda. La scaletta permette d’individuare, almeno approssimativamente, la lunghezza del film, cosa determinante perché bisogna sempre tener presente che difficilmente un film di cinque ore troverebbe un mercato. L’importante è raccontare una sola storia senza aggiungere troppi elementi; ciò che importa sono i personaggi, raccontare con un avvenimento una condizione umana, individuare lo stimolo iniziale della vicenda e la sua conclusione. La scaletta, una pagina fatta di punti salienti, è frutto di discussioni perché, generalmente, la scrittura di un film è una messa a punto comune. Scrivere per il cinema da soli è molto difficile; c’è il bisogno di confrontarsi, altrimenti si rischia di fare degli sbagli tremendi, come accorgersi di un errore fondamentale nell’impostazione iniziale del copione solo dopo un anno di lavoro. Quindi, è spesso in una discussione che emergono gli elementi che comporranno il soggetto. Qualcuno tira fuori un’idea, un altro propone uno sviluppo, e così via: si delineano i personaggi, si discute l’ideologia che si vuole esprimere, le situazioni narrative, ecc. Il tutto è sintetizzato in 4 o 5 punti salienti, ma il lavoro complessivo di definizione della scaletta può durare anche due o tre mesi; anche se il risultato sulla carta sembra misero, si è già stabilito l’arco di svolgimento del film.

Immagine articolo Fucine MuteQuando — trovatisi d’accordo scrittore, regista e, eventualmente, interpreti — l’impianto di massima ormai esiste, la scaletta viene sottoposta ai committenti. Quindi, il produttore o il regista va dal distributore per illustrare il progetto; in questa fase verranno coinvolti — se ancora non lo sono — gli attori. Questi, visionato il soggetto, potranno esprimere il loro parere, proporre eventuali modifiche. Solo dopo si potrà continuare il lavoro, cioè la fase della scrittura vera e propria. Primo momento è quello del “trattamento”, vale a dire lo sviluppo del soggetto, che diviene un testo vero e proprio. Il trattamento di un film normale (100-110 minuti) è un testo di 80-90 pagine, scritte a pagina piena, mentre per la sceneggiatura, come vedremo in seguito, la pagina è divisa a metà. È la lunghezza, quindi, di un romanzo o di una novella. Il trattamento è un racconto già molto analitico, ma è pericoloso superare le cento pagine, diventa troppo lungo. Viene scritto sempre al presente, poiché nel cinema un’azione non si può rappresentare al passato o al futuro; al massimo si possono usare delle convenzioni cinematografiche (i flashback, ad esempio) dalle quali s’intuisce che l’azione mostrata si è svolta nel passato. Un altro modo di alludere a qualcosa che è già avvenuto; un modo più diretto, è farlo esprimere ad un personaggio in una battuta.

Quindi, tutto deve essere risolto o con l’immagine o con il dialogo. La meravigliosa facoltà dell’espressione letteraria di mescolare presente, passato e futuro continuamente, è negata al cinema. Il trattamento è lo sviluppo della situazione presentata dal soggetto con le indicazioni relative ad ambienti e personaggi ma senza il dialogo vero e proprio in terza persona, descrive soltanto il contenuto dei dialoghi fra i personaggi e lo sviluppo che questo provoca nel proseguire dell’azione. Invece sono indicati con precisione i singoli ambienti e ogni particolare relativo a questi e ai personaggi (abbigliamento ecc.) tutti elementi importanti dal punto di vista industriale e finanziario. Bisogna anzi essere molto minuziosi perché è in questa fase che si fa la previsione di costo. Nel trattamento si può sorvolare sul dialogo ma bisogna specificare ogni particolare relativo alla messa in scena (per esempio quante comparse servono in una scena, se essa avviene in interni o in esterni), cosa importantissima dal punto di vista pratico; è sulla base di quanto descritto nel trattamento che viene fatto il preventivo di massima del film. Quindi, dopo il primo progetto, la scaletta di 15-20 cartelle, proposto a voce ai distributori e accettato, viene questo trattamento di 90-100 cartelle esaminate dagli attori e, soprattutto, dal produttore che darà il suo giudizio sul finanziamento reputato necessario.

Immagine articolo Fucine MuteLa produzione e la distribuzione a questo punto hanno già deciso quanto intendono spendere per quel film; quindi, se il preventivo di massima supera la cifra che loro avevano previsto, bocciano il progetto e, come spesso avviene, tutto si ferma lì. Altrimenti, si discute il taglio di alcune scene oppure la sostituzione di tutto ciò che costa troppo con qualcosa d’altro, fino a che si arriva a un trattamento revisionato che dovrà essere definitivamente approvato, dopo di che si confermano gli incarichi a regista e sceneggiatori. A questo punto si fanno anche i contratti con gli attori (se non erano già stati fatti) oppure si confermano quelli preliminari. Il trattamento approvato dall’attore è una garanzia perché assicura che il film sarà effettivamente rispondente a questo testo che è vincolante. Il trattamento è una garanzia anche per il produttore, perché prevede una data cifra necessaria per la realizzazione, specificata per le varie scene; lo è anche per il regista poiché tutto è messo per iscritto e potrà opporsi ad eventuali richieste di cambiamento da parte dei divi oppure del produttore. A questo punto si dà il via alla fase successiva, quella della sceneggiatura. La prima cosa da dire è che la sceneggiatura viene scritta non a pagina piena bensì in pagine divise a metà: a sinistra c’è la descrizione relativa alle immagini, a destra quella relativa a ciò che si sente, musica, rumori, dialogo. La sceneggiatura di un film di durata normale, non superiore ai 120 minuti, è generalmente di 240-250 pagine e viene divisa in scene, di solito 45-50. Questa suddivisione in scene viene fatta sulla base dell’ambiente in cui si svolge l’azione e dell’effetto di luce che si vuole ottenere. Quindi accanto ad ogni scena (che viene numerata progressivamente) nella metà sinistra della pagina si scriverà, per esempio, “appartamento, interno, giorno” oppure appartamento interno; notte”.

Qualche volta si mette anche il numero delle inquadrature e la descrizione tecnica della scena. Ciò avviene correntemente in America; i copioni americani sono molto analitici e questo perché tradizionalmente ad Hollywood i produttori volevano che tutto fosse previsto e che il regista non potesse portare dei cambiamenti e seguisse anzi scrupolosamente il testo scritto. Questo procedimento è stato acquisito dal cinema pubblicitario — nel qual caso esiste addirittura uno storyboard, un copione che riporta ogni inquadratura accuratamente disegnata — ma non è comune nel cinema europeo tradizionale. Nella metà destra della pagina viene scritto il dialogo; c’è il nome del personaggio (in maiuscolo) e nella riga sotto la battuta. Nella riga corrispondente a sinistra si trovano le indicazioni sull’azione del personaggio (dov’è e cosa fa nel momento in cui pronuncia la battuta). In tal modo il dialogo può essere letto facilmente dall’attore tutto di seguito nella metà destra della pagina mentre gli amministratori, il direttore di produzione, ecc., avranno chiaro, nella metà sinistra, il quadro di tutto il fabbisogno. Un altro vantaggio che viene dal copione scritto su doppia colonna è la possibilità di cronometrare il dialogo senza difficoltà in modo da fare una previsione abbastanza precisa della durata totale che è anche, pressappoco, la lunghezza complessiva del film. Ovviamente, il dialogo non è semplicemente letto, ma recitato. La sceneggiatura viene sottoposta a revisioni continue, perché scrivendola ci si accorge spesso delle incongruenze presenti nel trattamento; per i buoni film italiani si fanno tre o quattro stesure della sceneggiatura.


Preparazione del film: ambientazione, sopralluoghi, scenografie, impostazione del cast.

I testi scritti di cui abbiamo parlato finora, trattamento prima e sceneggiatura poi, si fanno anche, o soprattutto, per ragioni industriali. Infatti, il film ottiene il finanziamento quando esiste un preventivo scritto e motivato, unico punto di riferimento per chi investe. Dal punto di vista artistico la descrizione scritta ha poco valore, lo sforzo per descrivere sulla carta quella che dovrà essere l’immagine non è mai sufficiente. Con ciò non voglio dire che questo lavoro sia inutile, anzi è indispensabile non solo per i risvolti materiali, finanziari, ma anche, ad esempio, per la parte scritta, i dialoghi, fondamentali per il funzionamento del film. Comunque, questi possono essere cambiati durante le riprese; il copione, quindi, è un lavoro di servizio, ed esiste soprattutto per ragioni organizzative. Tutto il copione con le scene numerate viene diviso — in gergo si dice che si fa “lo spoglio” — e tutte le scene che si svolgono nello stesso ambiente vengono raggruppate. A questo punto si deve decidere se gli interni verranno girati in un teatro di posa con ambienti ricostruiti oppure dal vero. In quest’ultimo caso, si deve cercare il luogo adatto, con tutte le conseguenze. Se invece si opta per il teatro di posa, come avviene nella maggior parte dei casi (anche perché la legge prevede che il 30% dei film deve essere realizzato negli stabilimenti di posa) il procedimento somiglia a quello del teatro.

Il bozzettista propone dei disegni al regista e al produttore dopo di che viene assunto uno scenografo che, letta la sceneggiatura, propone degli schizzi per realizzare i singoli ambienti. Quando c’è il parere positivo del regista e del produttore si fanno delle piante in scala e dei rilievi tecnici in modo da poter prevedere il fabbisogno (da ciò che è necessario costruire — pareti, ecc. fino all’arredamento). Quando il progetto è approvato si fa il preventivo. Se si sceglie invece un appartamento reale, preesistente, si devono fare delle ricerche. Talvolta è bene cercare un appartamento vero nella zona che si ritiene più adatta, dopo di che si girano gli esterni del palazzo dove sta l’appartamento, così come le scene viste dalla finestra, e poi il resto in interni che vengono ricostruiti in studio. Non tutte le scene in esterni, d’altronde, vengono effettivamente girate in esterni: si fa un modellino del luogo reale scelto, oppure si gira veramente in quel luogo ma senza alcun personaggio, in modo che successivamente il girato viene proiettato in studio su di uno schermo e davanti a questo attori e comparse recitano la scena. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un trucco: è il cosiddetto “trasparente”. Così si evitano le trafile burocratiche (tutti i permessi necessari per girare in esterni) e molti costi. Oltre che tutti i particolari relativi all’ambiente, è necessario indicare le caratteristiche dei personaggi (abbigliamento ecc.) in modo che non ci siano incongruenze. Quindi si fanno degli elenchi con tutte le necessità. La preparazione del film, come si vede, è fatta in gran parte al tavolino ma anche andando in giro, soprattutto per trovare gli esterni. Il tempo di preparazione, fatto seriamente, è in media di tre mesi, un lavoro pesante fatto dal regista, dal direttore di fotografia, dall’operatore, dallo scenografo, dall’aiuto regista e dal direttore di produzione; sono, perciò, cinque persone che già entrano in paga. Di solito, anzi, il regista lo è già, mentre gli altri entrano in paga, come abbiamo visto, tre mesi prima delle riprese, in questa fase molto faticosa.

A questo punto tutto ciò che è previsto nel copione per la parte visiva del film (descritto nella metà sinistra) viene sottoposto ad un collaudo spietato, perché una riga di descrizione può comportare costi molto alti, può comportare costruzioni, effetti speciali, ecc. Lo snodo principale della preparazione è l’impostazione del cast. Nel film ci sono i protagonisti principali ed altri sette od otto personaggi principali. Se tra questi c’è anche un bambino la ricerca è molto complessa perché, non trattandosi generalmente di un professionista, si deve andare in giro per fare le audizioni, i provini, ecc. Si va nelle scuole, si parla con centinaia di bambini per fare infine una prima selezione (su cento ne saranno scelti dieci). Dopo che si ha la documentazione fotografica e dopo che si è fatta questa prima selezione, s’incontrano i bambini prescelti e si fa fare loro un provino di recitazione con una scena del film. È un lavoro molto lungo perché bisogna preparare dei bambini che generalmente non hanno nessuna conoscenza; dopo questa prova di recitazione si ha una selezione ulteriore: saranno sei o sette i bambini ammessi infine al provino girato vero e proprio. Intanto per questo lavoro può esser andato via un mese.

La stessa cosa deve esser fatta per gli altri personaggi, fino a che non si ha il cast completo.  Per i personaggi secondari — che possono essere anche 30-35 — il lavoro di selezione è fatto dall’aiuto regista. A questo punto, terminata la scelta degli interpreti, si fanno tutti i contratti e si richiedono i permessi necessari. Quando sono previsti degli effetti speciali, vengono preparati in questa fase, concludendola.

(fine prima parte)

materiali critici | filmografia

NOTE BIBLIOGRAFICHE

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P. Uccello: Cinema, tecnica e linguaggio, Edizioni Paoline, Alba 1966.

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M. Porro, G. Turroni: Il cinema vuol dire…, Garzanti.

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N. Burch: Prassi del cinema, Pratiche Editrice.

Il presente articolo è tratto da:

CIN&MASSMEDIA, Storia, linguaggio e relazioni tra mezzi di comunicazione contemporanei.

Corso di storia del cinema per insegnanti.
Trieste 23 novembre 1981-31 maggio 1982.

A cura di Annamaria Percavassi e Stella Rasman

Edito da La Cappella Underground con il contributo della Provincia di Trieste (marzo 1983)

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