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Scrittura

Voci dall’Est

Le voci di dieci autori provenienti, per lingua e tradizioni, da dieci realtà diverse rilevano, già di per se stesse, la caratteristica precipua di una realtà di confine. Se fossero state scelte da un ipotetico corpus che racchiude il patrimonio letterario delle nazionalità che si affacciano dall’Est, probabilmente sarebbero appena sufficienti a rendere conto della complessa stratificazione anche etnica e religiosa di quelle terre. Invece provengono da una selezione fatta su testi palpitanti, ancora non racchiusi dentro lo scrigno prezioso di un sapere codificato, seppur composti da autori tutt’altro che alle loro prime esperienze, che sanno bene quanto sia improbo verificare continuamente i propri dubbi e le proprie attese. Si tratta, infatti, di poesie che hanno vinto o che si sono segnalate al “Premio Neruda”, organizzato lo scorso anno da AltaMarea con il patrocinio dell’Azienda di Promozione Turistica e dell’Assessorato alla Cultura di Trieste. Dunque, sono state scelte da una giuria che si è trovata di fronte a centinaia di voci, tutte egualmente degne di essere ascoltate, anche se, per motivi squisitamente editoriali, non tutte destinate alla pubblicazione: è nata così la raccolta Voci dall’Est, Hammerle Editori di Trieste, appena uscita nelle librerie.

La spinta a trasformare le emozioni più intime in una forma espressiva è venuta anche dal desiderio di aggiornare il proprio linguaggio, per provare a se stessi la possibilità di dar vita ad immagini che rappresentino nella contemporaneità i temi classici della tradizione poetica italiana, con i suoi paesaggi dell’anima, i suoi desideri proiettati in un utopico altrove, le sue riflessioni sul senso della poesia, i suoi dubbi sugli obiettivi di una storia ora macchiata da una guerra solo qui veramente vissuta. Jurij Palik medita sul senso di un vivere sul confine, e dunque su quello da dare alla sua scrittura di poeta. Gezim Hajdari con “parole di pietra” racconta il rassegnato aderire ai simboli di una terra sconvolta. Sergio Penco rivisita il Carso come luogo emblematico di un’anima tormentata che l’inverno priva di sogni. Daniele Tommasini s’interroga sulla contraddizione tra progresso tecnologico e civile e senso di inanità dello sforzo, quando dall’alto della cittadella del benessere vede chi ne è escluso morire di fame.

Franco Bulli rimodula il dramma di una memoria che ripesca figure di assenza. Matiaz Pikalo, nel suo “viaggio immaginario” scruta un orizzonte vuoto di punti di riferimento. Kim Komljianec assiste impotente al degrado di una Natura abbandonata all’indifferenza della società dei consumi. E se le voci delle donne si affannano a ricordare la bellezza di un paesaggio ancora vivo almeno nei ricordi, come fa Sonia Votolen, in altri casi avvertono il pericolo di rendere sempre più scabre e rinsecchite le nostre vite, come fa Tiziana Antonilli. Certo, è forse Olga Handjial ad abbandonare, chiuso in una bottiglia alla deriva, un messaggio che potrebbe essere raccolto almeno da chi sa ancora dare un senso al far poesia: “perché dia all’anima il segno di essere”. Ma al di là delle singole voci, quello che emerge da questa raccolta è l’espressione di un sogno comune, quello di sottrarre la poesia al lento sgretolarsi degli spazi a lei concessi. Quest’antologia ha cercato di realizzarlo.
Citando Franco Fortini, che è stato una delle voci critiche più alte degli ultimi decenni del secolo, Juan Octavio Prenz, amico di Neruda, afferma che la poesia può essere l’ultimo rifugio della disperazione e delle situazioni limite, anche per quelli che non hanno mai scritto in vita loro, perché è legata ai valori più profondi e preziosi dell’essere umano. Ricorda che nelle carceri e nei campi di concentramento dell’Argentina, durante l’ultima dittatura militare che ha reso tristemente celebre il termine desparecidos, sono stati ritrovati centinaia di testi poetici, scritti dalle vittime.


Juan Octavio Prenz e Pablo Neruda (al centro dell’immagine)

Cristina Benussi.

Rina Anna Rusconi

I.

Voglio

Scrivere

Parole

Che brillano

Felicità d’anima

Parole

Che aprono

Spazi luminosi

E nel trionfo

Dell’incontro

Vibrare

Un momento d’eterno

Franco Bulli

I.

Il mare oggi

è uno sguardo nuovo

fondo

animale

metallo liquido e vivo

Troviamo nel parco

fluire di odori

voci di uccelli

arie sottili

Seguiamo sentieri di ombre

dove nessuno mai passa

Scopriamo radure nascoste

aperte al solo respiro del golfo

e siamo soli

Chiazze di sole indorano le onde

macchie di luce danzano

sul tuo viso

Ho inventato l’altrove

per te

tra le solite cose.

Gezim Hajdari

I.

Non riesco a liberarmi

dal buio dei sassi

offerto dal mio Tempo

di fango e ombre

Sulla collina di sabbia

gli uccelli gridano

impazziti

Avrebbe senso ritornare

nel tuo sangue?

Come in altri tempi

ripeto parole di pietra

e volti sconosciuti rimpiangono

un territorio

svanito per sempre.

Olga Handjal

PJESMA

Ovog je trena poput ptice

na granje moje duše sjela

pjesma iz tmice

pjesma bijela,

pa lako poput perja drhti

i draška školjke mojih grudi

i kao kaplje slapa pršti

ljubeci snove što ih budi.

Ovog je trena tako milo

na granje moje duše sjela,

pa cvrkut svoj i lako krilo

u vruće moje grudi djela,

da ondje leti k vrhu svodà

da duši znamen bica daje

da bude tamo poput vodâ

i kao život da potraje.

LA POESIA

In quest’istante, come un uccello,
si è posata sui rami della mia anima
dall’oscurità, la poesia,
la poesia limpida;
poi, trema, leggera come le piume
accarezzando le conchiglie del mio seno
e come le gocce di una cascata, zampilla
baciando i sogni appena svegli.
In quest’istante, così gentile,
si è posata sui rami della mia anima
poi, il suo canto e l’ala leggera
ha messo nel mio seno ardente,
perché da lì voli in cima ai cieli
perché dia all’anima il segno di essere
perché sia là come le acque
e perché duri come la vita.

Kim Komljanec

PERSPEKTIVA

Ob zajtrku

berem časopis.

Po hrapavem papirju

pride mravlja.

Brez pomisleka

udarim

in jo ubijem.

Njeno zmečkano

trupelce

frcnem proč.

Potem preberem

članek do konca.

Vojna je.

Ljudi morijo.

Naslednje jutro

vstanem zgodaj.

Grem na vrt in –

se tulipanov samo dotaknem.

PROSPETTIVA

A colazione
sto leggendo il giornale.
Su quella carta ruvida
appare una formica.
Senza pensarci
colpisco
e l’ammazzo.
Soffio via
quel suo corpicino
schiacciato.
Poi finisco
a leggere l’articolo.
C’è guerra.
Uccidono uomini.
Il mattino seguente
mi alzo presto.
Scendo in giardino e –
i tulipani li sfioro solamente.

Jurij Paljk

I.

Zamašil si borri usta z besedami,

s praznim leporecjem visokodonečega zamejskega
                                                          [ pesnika,

govoril bom o tanki rezini kruha,

kako težko je biti pesnik med zamejci.

Tudi jaz bom gofljai o zamejski utesnjenosti,

o zamejski žalosti, razdel jenosti in stiski.

Govoril bom in govoril,

besed mi ne bo zmanjkalo

in ne kruha.

Sedal bom na rdečo stolico,

zvečer legal na belo posteljo,

kričal: — Tai sem, kot me hočete vi!

Ravno tak, ravno tak! –

Tudi jaz bom zamejski pesnik.

Čislan in spoštovan.

In nič več sam.

Mi tapperò la bocca con le parole,
con la vana retorica di un altisonante poeta d’oltre confine,
parlerò della sottile fetta di pane
e com’é duro essere poeta tra la gente d’oltre confine.
Anch’io ciancierò delle nostre ristrettezze d’oltre confine,
delle nostre tristezze, contrasti e angustie.
Parlerò a non finire,
non mi mancheranno le parole
e nemmeno il pane.
Mi siederò su un seggio rosso,
di sera mi sdraierò su un letto bianco,
gridando: — Sono come mi volete voi!
Tale e quale, identico! –
Anch’io sarò un poeta d’oltre confine.
Un grande poeta d’oltre confine.
Onorato e rispettato.
E non più solo.

Sergio Penco

DI NOVEMBRE SUL CARSO

Vieni con me sul Carso sgarbato e lunatico
di novembre, e la tua anima sarà sterpi e rovi
e irrimediabile arsura. Il tuo cuore diverrà pietra porosa
e il tuo stomaco si farà foiba profonda.

Di novembre il Carso bisbiglia con voce rauca ed irosa
e alberi vestiti di panno scuro mal stirato
protendono i rami macilenti verso un cielo patrigno
che minaccia percosse, e fanno la fame.

Di novembre i sentieri del Carso sono tormento e
                                                     [ verderame.

Una Bora affilata e malevola frusta le spine con l’alito
                                                             [ greve,
l’annottare è una rana acquattata
che miscela il suo filtro e lucida assorta le mele
per Biancaneve.

Di novembre il Carso rabbioso e insolente
ti uncina alle spalle e rivela la sua vera natura,
pare un’essenza sterile, morta, e invece, impietoso,
ti depreda della tua linfa e della tua buona ventura
e ti spoglia di sogni, e di bis

Sonia Votolen

I.

V tundri bi lahko rastia

Se naslonila na

neko steblo

in bila otožna

Ne da bi me

kdo opazil

Potrei crescere in una
tundra
Appoggiata a
qualche arbusto
potrei essere malinconica

Nessuno si
accorgerebbe di me

Voci dall’Est, Hammerle Editori in Trieste – Pagg. 88 – Lire 15.000 (fai click qui per ordinare il libro)

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