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Scrittura

Traduzione a cura di Fawzi Al Delmi

Altura che si affaccia al mare

Immagine articolo Fucine Mute

1.

Questi sono i nostri giorni

abbiamo imbiancato la pagina della notte

e lasciato i papaveri del dubbio

su pendii mai calcati prima

a grandi passi abbiamo traversato gli alberi

per impedire il risveglio dell’alba

ai tempi dell’alitare tropicale della veglia

e della risalita verso le trincee intrise di iodio.

Il mare ci ha decorato con le medaglie della sua furia

e i fucili evocato ricordi abbandonati nei giacigli

ai tempi della passione e del valore

della febbre e delle promesse.

Addormentati tra i respiri delle contadine

abbiamo lasciato ai nemici le strade alle nostre spalle

le loro idee

hanno illuminato

la posizione

delle nostre dita

sui

fori

del flauto.

Immagine articolo Fucine Mute

Immagine articolo Fucine Mute

2.

Siamo arsi di passione

allora sono venuti verso di noi con gli aratri e i fanciulli

ci hanno condotto ad una altura che si affaccia al
                                                                 [mare

come discendenti di quei viandanti

che intrecciarono parentele nei dintorni.

Con gli stendardi

e le maschere

abbiamo raggiunto le erbe più profonde

lasciando che il bagliore del fulmine

fendesse la gola della notte.

Questi sono i nostri giorni

rievocano l’argento della gente comune

e le vittime sacrificali dei posteri.

Londra — inizi 1989

Immagine articolo Fucine Mute

Immagine articolo Fucine Mute

Evento

… fino alle prime luci dell’alba

i principi continuarono a sopportare la veglia

e con spade di oro fino

sgozzarono caproni delle impervie montagne.

L’eccitazione rimase alta nel racconto

che fu ammannito agli spettatori venuti con i raccolti
                                                       [e le mandrie

e come sonnambuli videro:

galli che mangiano le proprie creste,

nei corridoi grida soffocate

che colano sul marmo,

antichi cavalieri che si tolgono i cappelli impolverati

e nelle stanze da letto chiedono ai servi di parlare

nella loro lingua madre,

crepitio di cartone

che suscita il terrore nel cuore delle tessitrici

uccelli che invogliano ad acque lontane

alberi dai corti tronchi,

morbide lune chine su esseri fermi sulla collina

donne che nelle doglie si aggrappano ad una luna
                                                             [calante

ballerine che volteggiano in mezzo ad amanti

fuggiti dalle braccia delle mogli,

il suono falso di monete date da ladri in cambio di
                                                           [tabacco,

corrieri che cercano tra le lapidi

indirizzi per lecite corrispondenze,

mogli che mostrano a giudici sonnolenti

i segni delle frustate sulle cosce,

pastori che sgozzano un montone davanti ad un
                                                             [amante

rapito dallo stupore,

pescatori con ami e cinghie di cuoio

che stendono grandi reti sulle rocce

e bevono alla salute dei corsari che furono.

Uccelli

che escono

di scena

e si posano sulle teste degli spettatori.

E i principi,

cambiate le divise insanguinate con altre d’oro,

– brillavano le loro spalle all’orizzonte –

affondarono le eleganti spade nella rugiada della favola

e si richiusero

nel libro.

Immagine articolo Fucine Mute

La rosa di pizzo nero

Quando lui vide ciò che vide

ella chinò il capo

si ricompose

e lo ignorò.

Siediti

ti prego

con questi due campi arati

con le corna di un bue, ho già garantito il raccolto.
                                                               [Siediti

e divaricale

un po’ d’aria per il ramo piegato dalle sue pere.

La perla al naso

la piccola stella d’oro

brilla sotto lo sguardo diritto.

O tu, beduina del freddo,

ricoperta di lentiggini

divaricale

che arrivi un po’ d’aria al tartufo che spunta

sotto l’aratro.

Le mie piogge sono asciutte

le tue labbra bagnate.

Il freddo ci avvolge nel profondo

tremiamo perché le lentiggini che scagli contro di noi

piovono sulle ferite.

Il mio cuore trema per un freddo antico.

La notte.

Il treno tirato da vecchi buoi,

la donna diffonde il suo biancore sullo straniero.

Bianco è il latte

bianca questa notte dal cuore nero

bianco

astuto

prezioso

e superbo

con scarpe nere.

Bianco è il biondo sorvegliato dall’erba insonne

l’erba della dolce belva scatenata sul pendio.

Bianco

brillante

sottomesso

radioso

che provoca i singhiozzi

bianco di spuma

e la morte è sul cuscino dell’estasi.

Bianco

con neo

e marmo

bianco turchese

dalla bianca rotondità

bianco dei lembi della rosa

bianco di colline non risalite

bianco nascosto

avvolto in nastri

addormentato nella seta

bianco vincente

bianco spudorato

bianco del sonno e dei rimorsi

bianco delle nubi che piovono nei giacigli

il bianco potente

che ci ha privato di ogni eredità

bianco di servilismo e d’obbedienza

bianco dell’implorazione e delle avvisaglie di pioggia.

Oh bianco vincente

portatore di profumi e turbamenti.

Dorme nei suoi luoghi

il mio piccolo signore

non si sveglia coi flauti della mano.

Zolletta di zucchero

che si scioglie nell’arida terra.

Fanciullo

e adorno di pizzi e gioielli.

Pulito

liscio

e presente

nella sua rugiada luccica l’olivo.

Lavato con pioggia e fulmini,

ha questo odore:

d’erba tagliata al mattino.

La serpe s’attorciglia

il grande occhio osserva.

Timorosa, lascia le vesti per la testimonianza

sulla lancia che ha squarciato l’uccello di bosco.

Lascia il suo odore

lascia i suoi respiri

le dita impresse sulle curve della camicia

il sudore delle ginocchia

cancella l’inchiostro della notte

ed emana l’odore della febbre.

Immagine articolo Fucine Mute

L’oro della vetta risplende.

Versato e fluito

vacilla con cura

conosce i suoi luoghi splendenti

le ombre in cui cade lo straniero

i petali si protendono dietro il velo

alle grida segue la piena.

L’odore rivela il suo contenuto

l’odore del tesoro conservato.

Il nero seppellisce la forza e la conserva

la forza che livella

l’elettricità che paralizza

il terrorismo sperimentato

il grande incanto dell’oro

cola sulla caviglia

propone guerra a oltranza.

Avvicinati alla mano che si offre per te

i vulcani del simile non bastano a valutare la gravità.

Immagine articolo Fucine Mute

La sofferenza

è tangibile

lussuriosa

e volubile.

Abbracciare in piedi

con le membra tese

con un abbraccio rapace

abbracciare in piedi

in un treno che corre tra due fila di alberi.

Con un tocco, libero il prototipo dalla sua sagoma

e alla luce delle acque trasparenti

giungo

all’origine

del grido.

Libero, sciolto, va nel buio

si protegge nella sua valle trafiggendo chi guarda con
                                                [un’oscura gemma

ebbro del vino

che stilla dalle sue parti.

La lama

taglia

il filo

del dolore.

I lombi e quel che conservano prima delle acque

l’emanazione

della discesa

della materia

dalla fessura dell’icona.

La rosa di pizzo nero

è in cima alla coscia

il bacio del re felice nella millesima notte

quando il serpente maculato scivola nell’umidità

per sorvegliare il basilico .

Le membra respirano e preservano la loro ricchezza

ti chini sulla castagna

la rotondità risplende nello specchio d’aria

e sale l’odore di corso d’acqua.

In cima

nera è la seta

sotto il cui nodo si azzuffano i principi

si sparge saliva

giungono al gioiello imploranti

strisciando sui gomiti.

Delirio dell’amore

ingurgito l’aria rimasta.

Fammelo vedere, fresco di sonno

ricolmo di promesse.

Sulla sua frangia c’é rugiada

e alle orecchie melograno.

Voglio

vederlo

uscire dal suo torpore

attirando a sé

la rugiada del mattino.

Immagine articolo Fucine Mute

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Esilio

Hai visto?

Non siamo molto cambiati

e forse non lo siamo per niente:

le parole sature

il timbro beduino

il lungo abbraccio

le domande sulla famiglia e sul gregge

la risata squillante

l’odore della legna stagionata,

la legna accatastata nelle stalle

odora ancora nei nostri vestiti.

Hai visto?

Non siamo molto cambiati

e forse non lo siamo per niente:

le sedute accovacciati

il bucato che ingombra gli ingressi delle case

i visi dei ragazzi imbrattati di terra

il tè alla menta di sera

il pettegolezzo inebriante

l’accontentarsi di poco

la vendetta

il sangue che non diventa acqua.

E tutto ciò

come se fossimo a Mifraq o nel Salt

sul Kark o a Ramtha

come se non avessimo attraversato i confini del nord

verso le grandi metropoli

e le coste.

Dove romba una guerra

e romba un mare

e gli stranieri si aggrappano l’uno all’altro

per il bavero

o sparano pallottole

dai balconi

sulle corde del bucato.

Beirut 29.1.82

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