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Scrittura

Traduzioni Laboratorio Casa della poesia

Immagine articolo Fucine Mute

Fondazione della città

E adesso dove sopra quale vincolo a quale

bottino appoggerò l’anima

a quale pietra per favore a quale

ieri. Nessuno mi disse che sarebbero cominciati

oggi i secoli della notte. Lunedì

di una città nella desolazione.

Qui c’è stata una popolazione già spennata

il cacicco sbranato. E il piano

delle distruzioni? E i casati

disegnati dalla strage?

Voglio inventarmi una città. È necessario

fondare un nome, quasi l’annuncio

di una capitale, come una predizione.

(Io potrei chiamarla Immaginata, Abbandonata,

Non-nata.) Soltanto un suono che nessuno ascolta

utile per stabilire la proprietà

sulla durata dei resuscitati.

Ah non nata. Solo nominata. Solo

vento senza ululato che possa scacciare

l’eccesso di morte. Eccomi qua

a piantare lo stendardo di un rumore solitario

a giocare coi campanili a disegnare

strade immemorabili a inviare specialisti

nel provocare l’eco per non sentirmi

soltanto solo ma moltissimo più solo.

A completare l’involucro orale di una città

che è stata e che dopo sarà abitata

dal figlio di chi di chi

sepolto vivo nella sua armatura

che sarà statua vivente

di una statua collerica e pelosa.

Rovesciata. Perché ancora non ha avuto tempo

per le nuove posizioni dell’amore.

Immagine articolo Fucine Mute

Meticciato

Chi conosce suo padre, chi

l’ha visto stancarsi il rene

o ha tastato dall’interno la pelle

fra il vento e l’anima. Le vedove,

giare di noia, feconde trascurate

nell’assalto?

Io so che fui una macchia

notturna su un corpo, quella non lavata

quella che non domandò di me. Come domando:

Passeggeri di fretta, chi di voi

mi riempì di odio fin dall’utero, come

da una stanza di un albergo a ore,

chi spianò la fodera di violenza

dove mia madre urlò (sento nel mio osso

il grido, piuttosto un’eco del suo osso),

può lei riconoscere la barba, provare

– il reggimento in formazione — la lingua

con la lingua e dire: È stato questo l’uomo?

Ha avuto una parola da uomo, rotta

in sillabe dal bacio o soltanto peli

e liquido? E il resto, è mio il resto

di vivere ogni giorno tutto il giorno, tutta

l’oscurità della fronte e dell’inizio?

Orbene: a un tratto esisto, appena

inaugurato. E non ci sono setacci nel sangue,

non c’è visitatore che lo conservi integro,

il nome a volte: oh cognome del ventre,

stirpe che indaga chi è proprio, cosa

diavolo vuole, per mettere insieme come acque

due memorie, e il rancore che sorge

fra le due costole.

(Ma è grave

il resto: essere perché sì, illecito, d’urgenza,

questo iniziare con un soldato e finire

con un soldato, come un racconto di guerra.)

Immagine articolo Fucine Mute

Cereria

Hai portato il tuo corpo? le domando,

e mi dai tutto il tuo chiarore, nuda.

Un’estate notturnale ti fece ardere le foglie,

i petali della camicia e gli occhielli,

e poi un vino robusto ti gocciola sordamente

dai grappoli. E io, denso,

animale opaco, ombra tua perché da te

mi divide il mio braccio, dietro di te

perché fa buio, o ai tuoi piedi

perché sì.

Sopra di te perché alla mia anima

avvicini il tuo fianco, perché ci rimane

il cuore, la sua forma riunita, quando abbiamo

ormai bruciato l’angelo che ti popola,

e sopravvive il nardo di sudore e di vuoto

che tieni fra i tuoi seni. Inevitabile

il tuo sudario, chiaro involucro fugace,

inevitabile la vena che amo profondamente,

ma impermeabile galleggi e ti assenti

nella tua vasca di sogni, e ancora nell’accendere

i fiammiferi, e un’altra lingua infervorata

ti sollecita.

Assoggettato a te portami

e incollami: non voglio più il mio mestiere

duro di tagliatore di pietre, mi ha vinto la tua
                                                         [ubbidienza

facile come il delitto: i miei polpastrelli hanno lasciato

le sue orme sui tuoi cilindri, come su di uno

strumento.

Fermati, anche se

in piedi, mi illumini la tua breve durata, il tuo puro

termine, ancora devo saldarti ai fianchi

i pampini con pianto, gli ingiusti paramenti.

Non aprire: che nessun vento forestiero

venga a ridurre la tua fiamma, né il sole

a disfarti a suo capriccio, non sia che mi resti

di te senza di te solo il tuo odore, come il fumo,
                                                              [traccia

dell’implacabilmente consumato.

Immagine articolo Fucine Mute

La visita

(Capitolo di romanzo)

Busso alla porta.

— Chi è, domando.

— Io, rispondo.

— Avanti, dico.

Io entro.

Mi ritrovo quello che sono stato tempo fa.

Mi attende quello che sono adesso.

Non so quale dei due è più vecchio.

Immagine articolo Fucine Mute

Agosto è il mese più crudele

perché è qui di nuovo a rimuovere gli amanti dai ponti

e sono tornate le signore inglesi dell’altro anno

cinquant’anni più vecchie per via della svalutazione
                                                        [della sterlina

e delle leggi contro la segregazione razziale nel lavoro

che hanno provocato l’ira dei dockers di londra

nipoti snaturati dei famosi proletari che ci fecero
                                            [credere nel manifesto

sono tornate a svalutare le loro gonne le ragazze
                             [apolidi o svedesi (non si sa mai)

le loro fette di coscia mordibili definitive per un
              [apprezzamento strutturalista delle violazioni

e il dumping di sottoprodotti del violino sui terrazzi

i giovani biondi mendicanti che dovevano diventare
                                                                 [geni

in ginocchio rifanno i loro velázquez di gesso sui
                                                         [marciapiedi

tra ornamenti di fil di ferro gatti di lana quattro o tre
                                                             [monete

e la gentaglia che arriva da tutto il mondo come se
                             [soltanto qui ci fossero ristoranti

e donne decise lentamente a spogliarsi o a spogliarsi
                                                        [lentamente

ma di giorno non c’è altro da fare che andare a vedere
                                                [il louvre e questo

e si avvicinano scettici perché a volte si tratta di una
                                                               [poesia

e si allontanano prudenti sorridendo perspicaci

perché è scritto grazie in tutte le lingue

e perfino in arabo risulta imbarazzante

ma in qualsiasi momento si può ricreare il disturbo

come un cane chiuso in un attico che aspetta

qualcuno che apra la porta dopo le ferie

perché il quartiere latino è il solito con in più la polizia

che solleva il selciato e ricopre con l’asfalto la
                                         [spianata che c’è sotto

perché la gioventù marxista-pessimista

non si porti dietro la sua giustizia accumulata fin da
                                                              [maggio

ecco l’unica novità dell’estate

e che troveranno senz’altro altre armi quando
                                                            [vorranno

e che sto peggio come prima o più di prima se è
                                                            [possibile

e che sentiamo la mancanza di quelle notti di fuoco
                                                          [ogni notte

e ci sentiamo inutili di fronte a tante automobili intatte

monumento successivo all’animale pre-umano

e la calma cotonata l’ordine come un’accusa

di quella festa della violenza che abbiamo avuto resta
                                                      [solo l’orgoglio

di essercene infischiati dei limiti del possibile

esigendo tutto il potere per l’immaginazione

lei è adesso la vera pazza della casa

qualcosa avviene passa non è reale ancora

e tuttavia è l’unica cosa vera

tu ad esempio

non ho altre risposte

alle domande idiote della logica

Immagine articolo Fucine Mute

Funerale di un’eccezione

Ora cerco il volto che dovevi avere

prima che io nascessi da te per sopravvivermi

il tuo gemito simile al mio nome sotto la mia bocca

il tuo odore di femmina di tigre con copia per la mia
                                                             [camicia

Ormai non siamo che il resto che si accomoda nei
                                                         [nostri limiti

dopo dodici notti di animale dismisura

e ci lasciamo amare e divorare alle spalle

dagli amari avvoltoi della memoria

Busso ancora alla porta del tuo abito

ma non rimane dentro nessuno che mi apra

né rancore che provi che una volta ci amammo

plausibile segnale di essere esistiti

Forse qualcuno ci sognava e si svegliò senza avvisarci

e ci lasciò di colpo così disorientati

guanto che perché mai ti riempirà una mano a piene
                                                                 [mani

e io perché persempremente ormai senzadite

Immagine articolo Fucine Mute

L’amore dissepolto1

[…]

Quando ciechi o nell’ombra la carezza intuisce l’osso

nel passare la mano come un fazzoletto che deterge

il movimento di rotazione della spalla

o nell’atto dell’amore la colonna sdraiata dalla nuca al
                                                          [calcagno,

è possibile trovare il rilievo assoluto

– negazione duratura del fugace cui ci afferriamo -,

baciare le costole che ignoriamo a causa dei seni,

cercare nel fondo della sacra convessità dei fianchi

l’osso piatto, specchio dove mi riconosco,

mordere il femore dove c’era la coscia,

toccare infine dentro il macchinario umano

che trepida e non soltanto quello che suda,

con la stessa tenerezza, la stessa paura

con cui nella disperata lussuria

si tocca la donna, con la paura che svanisca

(donna sempre di passaggio),

fieri di aver aggiunto lentezza all’istinto

e, come gli scopritori, nominiamo regioni, membra

dicendo: pianure, pendii, colline, affluenti,

valli, montagne, lago fra due diramazioni:

termini sostantivi di una facile geografia di retorica
                                                              [pigrizia

perché non conosciamo lo scheletro della donna ma il
                                                         [paesaggio.

* * *

Sabbia ho detto e niente ho detto tranne le sei lettere
                                                          [del nome,

niente tranne le sue erranti sillabe che la brezza
                                                               [muove

come pesci morti da un mare secco che il mare
                                                       [seccamente

avesse tolto a morsi,

e trascinata da correnti di vento o di acqua, girando a
                               [volte come una trottola cieca,

la sabbia se ne va dal mondo, se ne va nel mondo, la
                                      [portano via e la riportano

e ritorna concubina a giacere sotto la polvere,

coperchio sempre malamente fissato della bara del
                                                               [suolo,

e la terra la inghiotte facendola rotolare verso la sua
                                                             [tenebra

dove coloro che si amano aspettano abbracciati

sotto quella grigia pelle estranea che un soffio
                                           [basterebbe a disfare.

E quando colui che sa di queste cose ha pulito

con un pennello più leggero dell’alito

la terra, la polvere dello sperma e delle ossa mescolate

in una sola farina torbida,

ci portiamo dietro come ricordo del posto dove giace
                               [l’amoroso monumento vivente,

qualcosa di tangibile, ad esempio valve dove la sabbia

si sistemò per riposare l’altro ieri notte in un altro
                                                              [secolo,

o ad esempio una manciata di quella sabbia.

Meglio così,

così ci scivolerà fra le dita, cadrà a terra,

tornerà ad andarsene chissà dove e triste,

ci lascerà nuovamente liberi per perdonarci

ancora il nostro rimorso.

* * *

L’uomo lasciò la palma pronta sulla vorace tenera
                                                              [fessura

come ad impedire che ne uscisse l’urlo

o come uno che strappa un mazzo di fiori dagli steli,

magari peli che a forza di accarezzarli

gli cancellarono le linee della mano

(chiromanzia superflua, infruttuosa profezia                                                      
                                            [all’incontrario

perché il destino vaticinato — vietato invecchiare — è
                                               [passato compiuto)

e rimaniamo a guardare con spavento commosso, anzi
                                                        [con invidia,

quella carezza fondamentale,

eternamente lunga,

senza intervalli di numeri, lacrime, rimproveri,
                                                           [aggettivi,

di coloro che non giurarono amarsi fino all’arrivo
                              [dell’avvoltoio e dopo del verme

(era troppo presto ancora,

non si era degradato ancora il linguaggio

nell’erosione della goffa promessa teatrale e
                                                      [ingannatrice,

né il vertiginoso amore si prolungava nella sciocca
                                                          [menzogna

come il suono nel silenzio),

né fu offerto dall’uno all’altra il suicidio sacralmente
                                                              [inutile,

ma continuano a morire fino ad amarsi davvero per
                                                             [sempre.

Che voglia di cominciare daccapo, di tornare all’iniziale
                                                         [tenerezza,

dicendoci che forse da qui a diecimila anni

magari saremo di nuovo innocenti,

di nuovo umani, capaci di inventare ogni volta la
                                              [carezza primigenia,

e viene voglia di convocare qui anche le madri affinché
                                            [imparino pur se tardi

(le nostre madri, povere, che ebbero soltanto un
                                                              [marito,

che si confessavano, come fosse una colpa, per
         [essersi eccitate una notte con l’urlo vaginale 
                                                        [della vicina,

quelle che il coniuge e il prete avevano convinto di
                                                                [avere

un’apertura soltanto perché ne uscisse il figlio

mentre nell’altra era fenditura in cui beveva il
                                                         [pellegrino).

Venga dunque pure mia madre a bruciare i suoi panni
                                                           [di sangue

vedendo per la prima volta la carezza che arde ancora
                                               [come rovo rituale.

* * *

Per parlare della morte mi alzo presto,

come un sordomuto cui da noia il silenzio.

Per parlare, diciamo, dell’uomo che accumula i suoi
                                                [morti sotto terra,

conducente di esiliati che tornano tenaci nel paese
                                                           [verticale.

Ma questa volta chi è stato — giustiziere collerico o
                                            [assassino invidioso –

il becchino ruffiano di cui parlano gli ossologi

(“Ritengo che queste persone non ricevettero la morte in questo luogo né in questa posizione, ma piuttosto che i loro corpi vennero sistemati in questa posizione evocativa dopo la morte […]. Il braccio destro del primo individuo è disteso sul corpo dell’altro e una gamba è sollevata sopra le gambe dell’altro, coprendole”2 ),

insolente lascivo scultore che concepì l’uragano di due
                                                                 [corpi

(di principi, sacerdoti, o capi, dico,

perché nessuno avrebbe regalato — inventandolo — un
                     [amplesso postumo agli amanti poveri).

Mi alzo presto per domandare, ad esempio, chi

– la tribù, sempre la tribù, ancora la tribù? –

portò le sette pietre, e da dove le fece rotolare
                                                      [sistemandole

in un ordine sterile, infruttuoso,

visto che non poterono impedire che la testa dell’uomo
                            [pensasse alla donna dopo morto,

né che il petto della donna continuasse ad amarlo con
                                          [il cuore, come si dice,

e sopra ogni sesso pietra

(pietra accanto a ogni sesso),

punizione per il tabù senza lucchetto né serratura

perché il male, appena scoperto, non scappi fuori
                                                         [contagioso

(grave male, perché da sesso a sesso allora c’era la
                                                        [tenerezza).

Che non si presenti qui chi non ha mai potuto
                      [annodarsi internamente con un altro,

perché questo è santuario e preghiera del desiderio,

non videocassetta pornografica né scena da bordello

spiata attraverso mirini dai fornicatori del sabato sera.

Traduzioni: Laboratorio di traduzioni di Casa della poesia

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