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Cinema

Shinja Tsukamoto

Cronista dell’inespresso

Tokyo, 12 maggio 1998.

Tsukamoto e Tokyo
L’ambiente culturale in cui si forma Tetsuo

Giampaolo Rampini (GR): Divenuto con Tetsuo un riferimento obbligatorio per la scena postindustriale, movimento che segnò la fine degli anni ’80, Shinja Tsukamoto, regista, sceneggiatore, produttore e attore dei suoi film, inizia in realtà fondando il gruppo teatrale Kaijyu Theater.

Shinja Tsukamoto (ST): Kaiju Theater è un gruppo teatrale. Per la verità all’inizio, da teen-ager, avevo fatto del cinema; poi durante il liceo iniziai l’attività teatrale; partendo da queste due esperienze sono arrivato a sviluppare contemporaneamente cinema e teatro. Finita l’università sono stato assunto da una ditta che produceva spot commerciali, dove ho potuto apprendere la tecnica cinematografica… non so perché mi sono licenziato ed ho intrapreso l’attività teatrale!

I temi teatrali sviluppati in quel periodo sono collegati a Tetsuo. La fusione di corpo umano con metallo e tecnologia e le espressioni del cyber-punk erano le tematiche di tre spettacoli, di cui dal terzo, intitolato “Il ragazzo con il palo elettrico” (The adventure of Denchu Hozo) fu tratto un filmato, presentato anche dalla tv italiana. Poi ho fatto Tetsuo. Questo tipo di teatro mi ha condotto al cinema underground e a Tetsuo.

Kaijyu significa mostro marino… costruimmo una grande tenda, simile a una baracca, a forma di animale marino dentro il quale organizzammo spettacoli Cyberpunk e SF. Questo è il Kaiju Theater.

Dopodiché mi misi a girare Tetsuo.


L’utilizzo funzionale degli elementi simbolici

GR: Dalla critica vieni spesso definito un regista del genere new-horror. Tu la pensi allo stesso modo, oppure utilizzi un genere e una tecnica per delle finalità espressive, come ad esempio accadde nel cinema espressionista tedesco?

ST: Una difficile domanda. Mi piace qualcosa del cinema espressionista tedesco, come per esempio “Il gabinetto del dottor Caligari”. Il bianco e nero di Tetsuo è un omaggio all’espressionismo, anche se al momento della realizzazione non sono andato in cerca di contenuti così intellettuali.

Volevo realizzare contemporaneamente tante cose: la fusione di corpo e metallo, la mancanza di tempo per sentirsi vivere all’interno della Tokyo tecnologica e cosa significhi in tal senso la vita.

Dare la forma di un film a tutto questo mi era difficile, così, per renderlo facilmente comprensibile e simbolico, ho preso in prestito il design dell’SF e dell’Horror, che mi piacciono… Finirei per produrre film sperimentali se traducessi direttamente le mie idee in film!

Io definisco i miei film cult-entertainment, ovvero ho posto uno accanto all’altro due termini completamente diversi: creare un film direttamente dal mio pensiero è cult, mentre trasmetterlo nel miglior modo allo spettatore è entertainment e prende la forma dell’horror o della SF. Per quanto riguarda Tetsuo ci sono elementi dell’espressionismo tedesco e del futurismo italiano. Le immagini in bianco e nero, i razzi, i robot dei tempi del futurismo sono elementi a cui sono affezionato e di cui ho tratto l’essenza per costruire Tetsuo.

GR: Se nel film espressionista le allucinate ambientazioni erano costruite in teatro di posa, tu invece utilizzi uno scenario vero, che appare quotidiano al cittadino di Tokyo, reale, ma non per questo meno angosciante.

ST: Ho un’idea molto chiara. Molti dei miei film sono science-fiction, ma non mi piace che la SF debba avere relazioni solo con il mondo della fantasia: non lo trovo interessante.

Se devo fare un fantasy, prima di tutto voglio un’introduzione sulla realtà quotidiana. Nel momento in cui lo spettatore pensa di trovarsi in un contesto reale, inserisco un elemento estraneo che rapidamente lo spinge nel mondo della fantascienza. Vorrei che l’entrata per lo spettatore sia la realtà e che il film lo introducesse gradualmente in un mondo diverso. Per fare ciò è necessario uno scenario reale all’interno del quale agiscono elementi fantastici che possono essere Tetsuo o altro.

Lo scatenarsi di elementi fantastici entro uno spazio reale è un’idea che mi piace da molto tempo. Il mostro è normalmente posto nel mondo della fantascienza… ma non è necessariamente così. Unisco due elementi che non si incontrano per caso, e il fatto che nella quotidianità ci sia un elemento estraneo penso si possa collegare al surrealismo.

Businessman in Tokyo

GR: Il tuo lavoro rivela quell’inespresso esistente, celato dietro quella facciata perbenistica rappresentata dal businessman di Tokyo. Chi e che cosa rappresenta questa figura così centrale nei film Tetsuo I, II e Tokyo-Fist?

ST: L’impressione che uno straniero si fa del businessman di Tokyo è quella di una persona seria che lavora e si muove dando la sensazione di essere privo di preoccupazioni e forse esteriormente è così; ogni giorno i salarymen lavorano continuamente, dalla mattina alla sera, costituendo le parti di un ingranaggio che è il sistema di Tokyo. In realtà convivono con grandi stress e problemi esistenziali.

Tempo fa vidi un salaryman nella metropolitana mentre tirava un calcio ad una colonna con una forza straordinaria; era ubriaco e se gli fosse capitato di scontrarsi con la yakuza penso avrebbe avuto la meglio. Il salaryman ha certamente qualcosa che gli rode dentro. Per questo motivo, oltre a fare di Tokyo e dei suoi abitanti il tema principale del mio lavoro, ho scelto di evidenziare l’elemento più simbolico, il salaryman, che si muove come un ingranaggio a Tokyo. è il contrario di quello che mostra di essere, ha tanti problemi; l’ho scelto perché dal punto di vista simbolico è il più efficace. Credo che se un impiegato o qualsiasi individuo di Tokyo dovessero un giorno esplodere, potrebbero avere una grande forza.


L’altro

GR: I personaggi che interpreti in Tetsuo I e II sono una sorta di demoni rivoluzionari che vogliono fare tabula rasa di Tokyo. Nel primo Tetsuo vieni investito e ti vendichi, nel secondo sei il fratello del salaryman, in Tokyo-Fist interpreti invece il ruolo del salaryman stesso. Vorrei sapere chi è questo demone e se c’è forse un significato nel tuo cambio di ruolo.

ST: Ci sono due parti dentro di me: quella del salaryman e quella di colui che nei miei film (Tetsuo I e II), provocando il salaryman fa sì che questi si trasformi in Tetsuo. Io stesso ho interpretato il personaggio del provocatore. Il tema dei miei film finisce per essere sempre quello della città e dei suoi abitanti, che a Tokyo sono tantissimi. Io sono cresciuto vedendo i palazzi di Tokyo diventare sempre più grandi; era nel periodo koudo seicyouki (epoca dell’alto sviluppo). Da bambino mi piaceva molto vederli crescere, ma allo stesso tempo sentivo nostalgia degli spazi vuoti. Può darsi, non lo so, che lo scopo dei miei film sia di portare con sé la nostalgia degli spazi vuoti. Per riportare le persone che vivono nella città, e i salaryman che lavorano nei grattacieli, agli spazi vuoti di un tempo, finire col distruggere tutto a pezzi mi da’ l’impressione dell’esistenza.Immagine articolo Fucine Mute

Quindi, resa un’immagine della tecnologia, della città e le persone che ci vivono, finisco col voler distruggerla: sicuramente mi piace ma finisco col distruggerla. In qualità di una simile esistenza, il personaggio provocatore effettivamente finisce col distruggere Tokyo e per questo motivo è una figura diabolica. Finora, sento che questo ruolo mi è piaciuto.


Il gruppo e le culture non dominanti

GR: A Tsukamoto il gruppo sembra assolutamente senza coscienza, ancora più animale del delirio del singolo, vincolato alla volontà di distruzione. Queste forze dal basso, sono forse quelle persone che pur vivendo nella città non sono mai entrate a far parte di quella che viene chiamata società?

ST: Non so se ho capito bene, è una domanda piuttosto difficile.

Se ci si riferisce, per fare un paragone, a Tokyo, la città è come un bell’oggetto di vetro azzurro, imponente, ma allo stesso tempo delicato e fine. Al di sotto della città appare il gruppo di Tetsuo che è come l’immagine del ferro fuso, rosso, che viene trasformato in acciaio duro per poi salire in superficie e distruggere la città di vetro. Queste persone penso siano quelle di cui si sta parlando.

È un punto pericoloso anche rispetto alla nostra generazione… a Tokyo, l’Oumu Shinrikyu (setta religiosa che nel 1996 organizzò l’attentato al gas nervino nella stazione di Shinjuku e in passato altri attentati, ndr) è un prodotto della mia generazione e presenta delle somiglianze con le cose che vengono rappresentate in Tetsuo II; il gruppo che faccio vedere è di questo tipo. La differenza è che uno è realmente disumano e l’altro è un film. Hanno sì punti in comune, ma certamente quello che ha fatto l’Oumu Shinrikyu è imperdonabile. Anch’io sento il pericolo dell’estremizzazione dello spirito di coesione di gruppo; è molto sentita dalla mia generazione. Per quanto riguarda il piercing, l’ho usato come simbolo al momento del risveglio della protagonista di Tokyo-Fist. Improvvisamente Izuru si fa piercing e tatuaggi. A Tokyo si sta rarefacendo la coscienza di possedere un proprio corpo; a muoversi è il cervello ma non il corpo, che non si usa. Attraverso il piercing e il dolore che esso provoca, si risveglia la coscienza della corporeità e di uno stato animale. Per questo ho usato il piercing come simbolo.

La donna

GR: In Tokyo-Fist specialmente, la sfera fisica, la forza bruta travolge la sfera razionale, sinora salvaguardata dalla struttura sociale. Una natura nascosta e ormai dimenticata riemerge mediante quel tramite onnipresente che è l’essere femminile.

ST: In Tetsuo I e II la figura femminile non è rilevante quanto quella maschile; con Tokyo-Fist per la prima volta la donna agisce molto energicamente. Questo forse perché… adesso la donna lavora sempre di più, il detto “la donna deve stare a casa” sta scomparendo. Penso tuttavia che la donna non sia ancora completamente libera dalle convenzioni.

In questo senso la protagonista di Tokyo-Fist, Izuru, doveva essere una persona che stava accontentandosi di vivere a casa mediocremente, ma ad un certo punto si sveglia quando scopre un nuovo senso della corporeità. In una città come Tokyo, ben definita, quasi inorganica, mossa solo da segnali elettrici, quando la fisicità sta per essere assorbita gradualmente dall’inorganicità, all’improvviso quella donna apre gli occhi su una sua corporeità carnale e ha una reazione molto forte. Questa è la storia e penso che ci sia una tendenza a rappresentare la donna d’oggi come forte e sicura.

Ad esempio in “Alien II”, Sigourney Weaver pur non essendo asessuata è come se lo fosse: lottando contro il mostro per aiutare la bambina, ha la forza di un padre, interpretando i ruoli sia della madre che del padre. Un altro esempio è “True Romance” di Tarantino: generalmente nei film quando la donna sta per soccombere, l’uomo arriva in suo aiuto appena in tempo; ma in questo caso, mentre in cut-back l’uomo sta arrivando in suo aiuto, la donna si è già arrangiata da sola. Gradualmente la forza della donna nella società sta aumentando: nel mio film il cambiamento avviene improvvisamente, la donna acquista forza ed esplode.


I ragazzi di Tokyo

GR: In questi giorni stai terminando un nuovo film…

ST: Bullet-Ballet è il titolo del mio nuovo film. Bullet è la pallottola di una pistola, e Ballet è questo tipo di balletto… lalalalala’ …sul genere del ‘lago dei cigni’. Si potrebbe tradurre ‘la danza della pallottola’.

Il tema è lo stesso dei precedenti: la città , i suoi abitanti e il loro rapporto.

Come ho detto prima sono nato a Tokyo durante l’epoca del grande sviluppo, quando i palazzi crescevano smisuratamente. Io e i bambini di quella Tokyo siamo ormai arrivati alla quarantina; la generazione successiva alla mia è quella dei ventenni che nelle strade di Shibuya va a fare l’ojazi gari (caccia ai vecchietti, dove vengono presi di mira gli adulti inseriti nella società metropolitana, i salarymen, ndr) e a scatenarsi. Il film è su loro e sullo scontro che c’è fra la mia generazione e la loro, rappresentato dalla contesa per avere un’arma. Da questa contesa si espande l’enorme conflitto che voglio rappresentare.

Ora il film è stato ultimato e lo presenterò progressivamente ad una serie di festival; non so quando uscirà nelle sale giapponesi, sicuramente in un secondo tempo.


La forza del simbolico

GR: Sembra che i tuoi lavori si costruiscano su rappresentazioni simboliche attuate mediante la fusione di concetti tra loro opposti: in Tetsuo il soggetto assimila l’oggetto, il sesso da strumento di riproduzione, diventa strumento di morte. Quale potere hanno queste rappresentazioni simboliche?

ST: In fin dei conti i miei film sono sempre così: vi dipingo un sentimento simile al dilemma, e questo perché io stesso vivo dei dilemmi!

Sono cresciuto nel Koudo Seichoki e se da un lato con ammirazione vedevo crescere gli edifici di Tokyo, contemporaneamente mi piacevano gli spazi vuoti del passato.

Quando la metropoli diventa troppo imponente, finisco con l’aver voglia di distruggerla.

Mi piace, ma vorrei distruggerla. Questi sentimenti così diversi coesistono. Normalmente se si vuole distruggere, si distrugge e basta e se piacciono gli spazi vuoti inevitabilmente si preferisce il passato. Esiste un me stesso che non riesce ad immedesimarsi nell’uno o nell’altro… un me stesso instabile. Traspongo questa sorta di conflitto sempre così com’è all’interno del film. Perché questo conflitto c’è! In un film penso sia più interessante la presenza di un conflitto che non un tema unico e definito.

Galleria-Immagini


Il lavoro di Shinja Tsukamoto non è altro che una rappresentazione del vissuto quotidiano del cittadino di Tokyo, che si forma attraverso l’utilizzo funzionale del film di genere horror, SF.


Questa fu l’idea che mi feci girando la città per circa un mese, tanto che iniziai con sempre più interesse a rivedere i suoi film ed infine decisi di contattare la sua segretaria. Alla fine di una lunga serie di telefonate e fax, mi fu data la possibilità di girare l’intervista.


Il suo lavoro è un progetto globale. Shinja Tsukamoto si dimostra addirittura ossessivo nella denuncia, tanto che lo considero un cronista di quell’inespresso, presente nell’uomo di Tokyo.


Prendere delle immagini dal vero da alternare a spezzoni dei suoi film, mi sembrò a quel punto un atto più che motivato.


Questo lavoro poi è rimasto incompiuto fino a qualche giorno fa, quando grazie all’aiuto degli amici de La Cappella Underground, sono riuscito ad entrare in uno studio e l’ho finalmente montato.


L’intervista che segue quindi, è la versione integrale tratta da questo filmato.



Giampaolo Rampini


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