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Cinema

Tiziana Finzi

Le immagini dell’Europa che cambia

Martina Palaskov (MP): Tiziana Finzi è la curatrice della sezione Immagini. Che cos’è la sezione Immagini?

Tiziana Finzi (TF): è un contenitore, un contenitore un po’ anarchico, un rudere. La sezione più libera. Quando intendo libera penso ai diversi formati che possono essere presentati, le diverse durate, poi i generi; sia registi professionisti e noti, ma anche autori per un giorno, cioè registi per un giorno, di reportage. Diversi i soggetti: dalla fiction cinematografica pura al clip d’autore, alla pubblicità, al cortometraggio, al documentario di tematica sociale e politica. Direi quindi che si tratta di un contenitore libero, dove puoi trovare cose che non hanno a che fare solo con il cinema, ma anche con la comunicazione. Tra l’altro, è nata come una sezione di contaminazione multimediale. Nel corso del tempo, durante le varie edizioni, sono riuscita a portare spettacoli teatrali, concerti, videoart, Internet caffè, il primo, quando Internet era ancora alle origini. Sì, insomma, è un contenitore aperto a tutte le espressioni che hanno a che fare con l’immagine.

MP: Così ricco e così ampio, dunque questo contenitore; con che criterio avviene la selezione dei film?

TF: Guarda, applico un criterio unico. La sezione, all’interno, si divide in cortometraggi e video… comunque reportage, che possono essere documentari o fiction. Tendo a dare, solitamente, la priorità alla sezione fiction. Io faccio un lavoro di ricerca per altri festival, durante l’anno, nove, dieci mesi all’anno, quindi ho la fortuna di andare molto in giro, di viaggiare per i festival più grandi, quelli più noti, ma anche in piccolissime realtà nazionali, di paese in paese dove vengono presentate le produzioni più recenti dell’anno. Parlo proprio di paesini. Innanzi tutto c’è, dunque, una ricerca soggettiva, nel senso che posso anche essere influenzata da impulsi personali. Riesco ad essere quindi attratta da un cortometraggio o da un lavoro piuttosto che da un altro. Procedo, poi, per area geografica. Parlo di criterio di selezione cinematografica: cerco di prendere quello che secondo me è il meglio delle espressioni di quel momento, di quel periodo o di quella scuola, di quell’autore o di quel festival. Per quanto riguarda l’ultima fase del lavoro, da fine estate a tutto l’autunno, sto anche molto attenta ai segnali, agli impulsi che mi possono venire da riviste di cultura e non, e quando dico ‘non’ penso a riviste varie, sia su Internet che su carta, che possono, per l’appunto essere di moda, di musica, di comunicazione, di tendenza, di comunicazione usa e getta, anche fanzine… cose di questo tipo.

Oppure viaggiando, posso trovare quello che accomuna la grande metropoli al paese di provincia… che so, un determinato tipo di musica, un determinato tipo di focus su cui viene centrata l’attenzione giovanile. Di anno in anno, di volta in volta, soprattutto negli ultimi mesi che portano alla chiusura e alla definizione del programma (che non è solo il mio, ma è anche quello del concorso, per esempio quello seguito da Annamaria Percavassi con uno staff che la segue, che l’aiuta che le suggerisce dove andare a cercare, a parare)… nell’ultimo periodo, dicevo, viene anche fuori la cronaca e l’attualità. La musica, il segnale. Tutto quello che è più attuale in quel determinato momento, che di conseguenza, in un contesto mio, molto molto vicino alla realtà va anche a parare su quella che è l’espressione giovanile. Il documentario dell’ultimo momento, la denuncia, o magari il gruppo musicale. è un lavoro che viene fatto in due fasi. C’è un lavoro di ricerca che dura parecchi mesi, ed è legato molto di più al cinema e poi negli ultimi mesi ci si concentra molto di più sull’attualità. Poi, sai, solo per la mia sezione arriveranno all’incirca quattrocento cassette. Quest’anno è molto sentito da tutti il problema dell’emigrazione, dei confini, di persone che vanno alla ricerca di una vita normale: in un contesto europeo come il nostro è proprio alla portata di tutti, e di tutti quelli che si occupano di attualità e di indagine. Infatti l’argomento è presente non solo nei film che vengono proiettati ad Immagini ma anche nei lungometraggi che vengono presentati al Festival.

MP: Facciamo un paio di segnalazioni dei film che possono essere i più importanti, i più interessanti.

TF: Per quanto riguarda le cose più interessanti e stimolanti, si può dividere il tutto in tre filoni diversi. Uno, Cinema e poesia, cioè Cinema. Viene spontaneo dire cinema e poesia perché nei pochi film di fiction che ho inserito nella sezione Immagini, il legame con la poesia è molto forte. Poesia che si può trovare nel film Freedom di Sharunas Bartas. Bartas è uno dei registi più estremi, più radicali. Viene dalla Lituania, vive in Lituania. Si tratta di una persona molto particolare. Vive nel bosco, tra la neve, in una piccola casa studio-chalet, dove tiene anche il suo studio di produzione… quella in cui vive lui è proprio una piccola comunità. Io gli sono particolarmente affezionata. Primo, perché è un grande autore in cui trovo l’espressione cinematografica altamente poetica. Ho anche curato una retrospettiva sui suoi film, molto piccola, credo due anni, forse tre anni fa, durante l’autunno, con Alpe Adria cinema, e Trieste Contemporanea. Sharunas Bartas, ripeto, è uno dei personaggi più eminenti del cinema contemporaneo europeo. Infatti, trovate i suoi film in concorso a Cannes, in concorso a Venezia. Il suo è un cinema che sicuramente non parte dalla fiction, ma parte da una realtà spesso molto dura, cruda, emarginata. Lui con grande passione e sensibilità indaga l’animo umano di due, tre, quattro personaggi al massimo. Personaggi che sono sperduti nella natura, ma nella natura più forte. Una volta persi in una pianura della Siberia, un’altra volta chiusi in una situazione metropolitana di disagio, alla periferia di una città russa. O, come questa volta, abbandonati tra il mare e il deserto, perduti, ma alla ricerca di loro stessi e di una ragione di vita. Si svolge nel deserto del Marocco che poi va a cadere nel mare. Un cinema d’immagine, di poche parole, ma di grandissimi contenuti e di bellissime immagini. Direi che forse è il mio film preferito. Infatti, qui all’interno della mia sezione, l’ho proposto come Evento Speciale. Il film era in concorso all’ultimo festival di Venezia.

C’è un altro film molto particolare, in bianco e nero, fatto con pochissimi mezzi. Proveniente dal Tagikistan, co-prodotto dai francesi e dagli svizzeri, opera seconda di Djamshed Usmonov. Usmonov è un autore proveniente dall’ex Unione Sovietica. Questo è il secondo film di una trilogia, dedicato all’acqua. L’acqua per noi non ha grande importanza, ovvero noi la beviamo minerale, serve per lavarci, e però è ancora pregiata e rara in alcune parti del mondo. La storia è molto tenera, di un ragazzino che è stufo di portare i secchi d’acqua per far bere la sua mucca. La storia, poi, ha lo scopo di mettere a confronto realtà ed esigenze consumistiche. Penso alla maglietta di Rambo, indossata dal bambino e allo stereo. Oggetti inseriti in una realtà tribale e lontana.

MP: Il Pozzo? (Tchoh)….

TF: Sì, Sì… Il Pozzo.

Ancora, nella mia rassegna puoi trovare tantissimi piccoli film. Ossia i corti che sono in concorso. In gran parte sono corti di fiction, ispirati a normali fatti quotidiani. Gran parte degli autori sono studenti, quindi sono corti di diploma o di esame di Storia del cinema o di regia o di direzione della fotografia piuttosto che di recitazioni. Accanto ai corti dei giovani studenti ci sono anche opere d’autori affermati, di registi che hanno un’esperienza professionale soprattutto in ambito pubblicitario. Per quanto riguarda l’Italia, la pubblicità è un settore dove puoi lavorare bene se sei bravo. Ma ci sono anche gli autori dall’estero che lavorano sempre nel settore della pubblicità. Accanto a questi film, ti potrei dire che altre cose interessanti possono essere… be’, un omaggio, che è stato trattato più ampiamente al festival di Torino. Quest’anno ricorrevano i venticinque anni della morte di Pier Paolo Pasolini. Molti autori come Guido Chiesa, Gianluigi Toccafondo, Daniele Vicari, su commissione o autoproducendosi, hanno pensato a dedicare un omaggio a Pasolini. Io ho scelto le tre opere prodotte dalla Fandango, che è una delle case di produzione più interessanti nell’orizzonte cinematografico italiano. Ho scelto Essere vivi o Morti è la stessa cosa, che secondo me è un amabilissimo cortometraggio di animazione, realizzato da Gianluigi Toccafondo, che credo sia il più grande animatore che ci sia in Italia.

Ancora, fanno parte dell’omaggio a Pasolini, le opere di Guido Chiesa e di Daniele Vicari. Sono due opere piccole, nel senso della durata. In Morto che parla, viene intervistato l’attore romano, che ricorderete tutti sicuramente, caratterista romano, interprete de La Ricotta di Pasolini. Viene intervistato e spiega come Pasolini ha girato quelle scene, che cosa chiedeva. L’altro, che trovo assolutamente molto curioso come video, si intitola Provini per un Massacro, di Guido Chiesa. è ispirato ai provini che Pasolini aveva fatto per il suo ultimi film Salò o le 120 giornate di Sodoma. Il regista Chiesa, fa un casting, dove vengono chiamati diversi giovani. A questi ragazzi chiede se sono disposti a girare determinate scene, descrivendo la durezza di queste scene appunto, senza dirli che si tratta di un provino fittizio delle 120 giornate. Si nota la sorpresa e il rifiuto da parte di alcuni o l’approvazione da parte di altri. è un video molto interessante perché rivive l’esperienza del film dopo tanti anni di distanza da quando Pasolini, con grandissima maestria era riuscito a girare Salò. Sì, queste sono forse le cose che ricordano più da vicino il Cinema.

Poi ci si può soffermare sull’attualità e sul sociale. Si è parlato molto, anche in questi giorni, dei tre documentari austriaci sulla figura di Haider. Tre diverse testimonianze austriache su questo personaggio. E ancora tre diversi corti, realizzati con il sostegno di Tele+ e del il ministero della Sanità e della Pubblica Istruzione. Sono tre i corti, mi sfuggono adesso i nomi… mi viene in mente Piergiorgio Gay…

Tele+ ha dedicato questo progetto alla lotta contro la tossicodipendenza, soprattutto la tossicodipendenza chimica, data da ecstasy, come sapete molto diffusa tra i giovanissimi. Sono tre lavori che vengono presentati a mezzanotte… li ho messi in programma a mezzanotte. La cosa interessante è che le sceneggiature dei tre (due sono in pellicola e uno è in video) sono state scritte da ragazzi che vanno a scuola e che vivono direttamente e hanno vissuto direttamente questa esperienza. Sono, dunque, molto molto vicini a quella che è la realtà dei corti. Sono interessanti, secondo me, sia dal punto di vista cinematografico, poiché sono delle bellissime opere, sia come messaggio. Nessuno dei tre dice “non usare”, ma ti da dei determinati segnali. Non ti invita sicuramente ad usare ecstasy o altre sostanze. Affronta il messaggio in maniera alternativa, dal punto di vista del giovane, piuttosto che riferirsi alla proibizione assoluta o alla condanna totale. Interessante, secondo me, perché sono storie scritte da giovani che queste esperienze le vivono.

Poi, ancora, per esempio, una cosa di cui sono particolarmente contenta quest’anno è la presenza sostanziosa di documentari italiani. Il documentario è una cosa che altrove è considerata alla pari del cinema tradizionale; sia come preparazione sia come studi, scuole, produzioni e investimenti. Invece in Italia, tempo fa si realizzavano dei bei documentari per la Rai, negli anni 60, 70. C’erano dei bravissimi documentaristi. Adesso, però, negli ultimi anni, se qualcuno vuole studiare cinema per diventare un bravo documentarista ha delle difficoltà, poiché ci sono pochissimi esponenti che s’interessano a questa disciplina. Da quest’anno però, anche al festival di Torino, è stata presentata una sezione Doc. Italia 2000 dove c’era la possibilità di vedere opere più o meno valide, prodotte attraverso coproduzioni interessanti. Per esempio Tele +, Fandango, Vesna films, Arté… Finalmente si iniziano a smuovere le acque anche da noi. Soprattutto, è più facile trovare i fondi in Italia per muoversi e completare le opere con finanziamenti esteri, dove sono più sensibili alla produzione del documentario.

Direi che questo è tutto. Be’, puoi trovare documentari politici, come quelli di Haider, oppure quelli dedicati all’ex Iugoslavia come The Punishment (di Goran Rebic, N.d.R.) o Les résistantes de l’ombre (di G. Markovich, N.d.R.)

E ancora, il debutto alla regia in modo abbastanza scherzoso di una punk rock star come Nina Hagen, famosissima in Germania negli anni 80, che dopo una ricerca mistica di se stessa fatta in India ha trovato un modo per dedicarsi a salvare e ad aiutare tantissimi bambini che stanno male, aprendo un ospedale. Il tutto, però fatto senza grandi autocelebrazioni ma con lo spirito che la contraddistingue da sempre. Il documentario è stato girato in digitale, da lei e da una sua amica in India.

Queste sono le cose alle quali tengo di più.

MP: Parliamo della collaborazione con la Tv Internet Luxa…

TF: Si tratta di un’idea pensata all’ultimo minuto, quando la rassegna era stata già chiusa. Insieme allo staff di Alpe Adria cinema ho cercato di estrapolare dai 28 cortometraggi in concorso quelli che per argomento, per ironia e per durata (perché chiaramente su Internet ci sono ancora dei problemi di durata… infatti per Internet è difficile far passare un film lungo anche se si tratta di un documentario…) fossero adatti al concorso della Luxa. C’è stata, poi, un’ulteriore scrematura e sono riuscita a mettere insieme 16 corti, dopo avere avuto la liberatoria, per farli passare in rete. Li abbiamo riversati dalla pellicola al digitale. Sono visionabili su Internet (www.Luxa.tv). Il concorso si è aperto il giorno 19 e si è chiuso la notte del 26. Ogni corto è stato votato sul sito attraverso e-mail o attraverso la votazione per “stellina”. Chiaro, i voti sono controllati, ovvero la stessa postazione non può votare più di cinque volte lo stesso corto. Al massimo uno può darsi quindici voti, poi dovrà essere votato da altri. Il premio che verrà dato sarà una Webcam, una piccola cosa ma molto utile per chi lavora in digitale e con il computer. Il cortometraggio in pellicola, che invece fa parte della rassegna Alpe Adria cinema, verrà come al solito votato da una giuria di studenti di Storia del Cinema di Trieste, che assegnerà un premio di tre milioni dell’associazione Laboratorio Mediterraneo.

MP: Passiamo alle domande personali. Tu hai lavorato per il Festival di Venezia, adesso lavori a Locarno, e ancora Alpe Adria… Quanto ha contribuito questa tua personale esperienza cinematografica per una sezione così bella come Immagini?

TF: Io ho iniziato a lavorare con la Cappella Underground ancora quando studiavo, quindi parlo di quindici anni fa. Ho poi contribuito alla fondazione di Alpe Adria Cinema, dodici anni fa, con Annamaria Percavassi. Parte dello staff di allora è andato perso, parte collabora ancora. Devo tutto alla Cappella e ad Alpe Adria Cinema. A Venezia sono stata chiamata per curare la sezione di cinema indipendente sull’Est Europa. Sono rimasta a Venezia cinque anni ed ho cominciato ad occuparmi di altro. Però sono partita da qua (Trieste, N.d.R.) e qui sono sempre ritornata, a prescindere da miei impegni, anche quelli più importanti, internazionali. Torno sempre in autunno per Alpe Adria. A Venezia avevo incominciato a curare i film in concorso, quelli della notte, quindi non mi occupavo più di film indipendenti, ma di major. Poi ho avuto una proposta da Locarno. Si tratta di un festival che si distingue da altri perché tratta i film indipendenti. Un contatto diverso con gli autori e il cinema che presenta è molto particolare. A Locarno sono felicissima di collaborare perché ho una libertà d’azione su tutto il mondo, in particolare sulle opere in digitale, quelle indipendenti, il cinema d’autore. Mi occupo di tutte le realtà in via di sviluppo, quindi i paesi più poveri del mondo, che possono essere quelli più vivaci, più espressivi.

Tutto ciò, su Trieste, veramente, non ha fatto che apportare cose nuove. Immagini era nata inizialmente prima della mia collaborazione con i festival grossi, quelli internazionali. Però quest’esperienza incrementa il mio arricchimento personale. Viaggio molto e vedo tantissimi film. Chiaramente, Venezia e Locarno, avendo tante più offerte e proposte di Trieste, mi danno l’opportunità di viaggiare molto. Tutte le cose più belle che vedo nel corso dell’anno che hanno a che fare con l’area geografica o tematica (penso anche a film inglesi o di diverse realtà) adatte al Festival, io le porto a Trieste. Tutto il bene possibile. è un lavoro che sviluppo molto. Per gennaio, quando ci troviamo al Festival, cerco di portare il meglio dell’anno precedente che ho avuto la fortuna di trovare in giro.

MP: Trieste sempre nel cuore quindi…

TF: Sì, anche perché, credo, non mi costa fatica farlo, ma anche quando posso sentirmi stanca, ho notato che la rassegna sta diventando molto importante per la città. Vedo gente che ci segue da anni, tanti giovani che in questi dieci anni si sono avvicinati, si sono conosciuti, che hanno trovato una loro strada all’interno di questa passione. Mi riferisco alla Film Commission. I ragazzi che hanno fondato questa organizzazione sono stati presentati da me ad Alpe Adria come autori di un video. Siamo diventati amici, hanno incominciato a chiederci informazioni. Hanno trovato supporto, aiuti, soprattutto da parte di Annamaria, uno slancio, una spinta. Sono stati bravissimi. Sono riusciti a fare una cosa che sicuramente porterà grande prestigio in città. Infatti si è visto, in un anno, sono riusciti a raccogliere parecchie troupe. So che in questo momento sono in giro con una troupe di Roma per far vedere le location. Non solo loro, ma tante altre realtà. Credo voi stessi (i super ragazzi di Fucine, N.d.R.), come i ragazzi della Luxa. Tutte persone che girano intorno a noi e Alpe Adria. Studenti, la giuria degli studenti. Ragazzi che ci chiedono informazioni su dove andare a studiare cinema. Funziona, ed è un peccato non andare avanti e non portare a Trieste opere che altrimenti sono difficili da vedere perché in Italia non escono.

Siamo tutte triestine (lo staff). Non solo io, ma anche altre ragazze dello staff, gran parte delle ragazze che ha imparato il mestiere qua, adesso sono corteggiate. Io a Venezia non lavoro più, ma ci lavorano altre due persone di Alpe Adria Cinema. Io spero di portare qualcun’altra a Locarno.

Da noi, poi è anche partita un po’ per gioco tutta l’organizzazione che si occupa della traduzione dei film. Adesso le ragazze lavorano in tantissime altre piazze italiane, traducendo i film che arrivano da Cannes e da Venezia. Da una nostra passione, è dunque nata la professione.

La redazione di Fucine Mute Webmagazine desidera ringraziare tutto lo staff di Alpe Adria Cinema, con particolare riferimento alla Sig.ra Marzia Milanesi, per la cortese disponibilità dimostrata lungo tutta la durata della manifestazione.

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