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Omnia

L’ultimo esilio di Quetzalcoatl ad oriente (III)

L’utero del pullman

Il pullman delle linee Ado si stacca dalla pensilina alle 22.30

Merida Cinquecentocinquantaseichilometri Palenque… un’intera notte da attraversare con le tendine dei vetri tirati cercando di dormire un po’ mentre le dicerie che in molti ti hanno ripetuto fino alla nausea, continuano a ronzarti nel cervello:

..Gli zapatisti assaltano i pullman che scendono in Chiapas e i militari li fermano per ispezionarli, viaggio rischioso e tormentato.

Il pullman si riempie di giovani donne che si tirano dietro borse e bambini, viaggiatori anglosassoni tipicamente biondi, pantaloni corti sopra il ginocchio, pedule grosse e immancabili occhi azzurri.

Si siedono accanto a contadini stanchi e seri come maschere.

Sedili in file di due a due.

A me tocca un professore di storia, viso gioviale ed intelligente di mestizo. Posa la sua cartella di pelle e si presenta, felice dello spagnolo che mastico.

Parla sottovoce, mentre i contadini russano di li a poco, impedendo il sonno degli anglosassoni.

Da ora in poi vedrai il vero Messico se sei diretto a sud.

Il regno degli indios ancora incontaminati e bistrattati dal governo centrale, una delle terre più affascinanti del pianeta, ricco di storia, ricco di minerali, ricco di grano e cacao, ricco di povertà e contrasti. Lo Yucatàn a confronto è una vetrinetta per i turisti. Lo Yucatàn si vende facilmente.

Il Chiapas meno, è troppo orgoglioso e rigoglioso.

Parliamo di Marcos, degli interessi americani sul petrolio chiapaneco, della tradizionale propensione all’indipendenza di questa gente che Città del Messico cerca d’isolare… cose che non capisco.

Parliamo dell’Italia, del calcio, del processo di globalizzazione mondiale… cose che intuisco.

Poi si addormenta, lasciandomi solo in questa navicella buia che percorre il buio delle campagne con le tende tirate e il rischio d’essere fermata da famigerati banditi. Magari si tratta soltanto di gente esasperata dalla povertà che viene braccata dai militari.

Mi addormento e sogno il mago di Uxmal; quel nano nato da un uovo che accettò la sfida di un viceré madrileno e costruì una piramide in una sola notte. L’unica piramide ellittica del mondo maya. Il nano riuscì anche ad ammazzare il governatore, nell’epilogo di un duello scandito a colpi di mazzate in testa.

Sogno il nano che liberò la sua gente dal giogo spagnolo. Queste sono terre che resistettero per secoli all’invasione castillana, dando filo da torcere ai conquistadores più di quanto gli europei non potessero mai immaginare, avevano la giungla dalla loro parte.

Dormo poco più di quattro ore, colpa del topazio che si risveglia con le prime luci dell’alba… il resto del pullman dorme ancora… contadini, donne e bambini, viaggiatori anglosassoni e professori di storia.

Scosto la tendina.

Il sole è appena sopra l’orizzonte. Non ho mai visto prati e boschi tanto verdi. Tutto è talmente ricco di verde da riuscire a trasformare l’idea del mondo intero in un verde brillante. I colli chiapanechi sono teneri e sensuali. Riposanti. Mucche bianche appaiono come fischi che lacerino improvvisamente un silenzio incantevole.

Così mi apparirono gli avamposti del Chiapas la prima volta che li vidi, violando l’utero interno e buio di un pullman…

Nacqui così per la seconda volta.

Extraterrestri a Palenque

Il sito archeologico di Palenque dista circa dodici chilometri dalla tranquilla città omonima.

Dodici chilometri di foresta pluviale incontaminata, nebbie e salti d’acqua che disegnano giochetti di luci e suoni tra frasche e declivi. Farsela a piedi respirando humus di primo mattino, è un’esperienza che un europeo non può tralasciare… A metà strada ( a metà fatica ) — se capita — il passaggio del carro colectivo che conduce al lavoro il personale impiegato nel sito, viene accolto come un dono del cielo.

Al segno “internazionale” d’autostop, per fortuna si ferma.

Entrare per primo a Palenque con le nebbie che non hanno fatto ancora in tempo a diradarsi è letteralmente emozionante.

L’antica Palenque è bella perché mentre la guardi t’infonde un senso d’equilibrio. L’armonia del complesso urbano riesce ad esaltare le diversità delle singole parti che ne fanno un impianto architettonico unico. Ti da l’idea di una città sposata ai segreti della selva e della vita primordiale.

Città avvolta dai rilievi Chiapanechi ammantati da fitte foreste. Non oso immaginare quale poteva essere l’effetto originale degli intonaci, un tempo tinti di rosso.

Mi piacciono i cuori della città, le essenze, rovistarne i profumi perduti.

Il centro di Palenche è il tempio delle iscrizioni dove è sepolta la stele di Pakal, il signore più famoso della città. Sulla lastra di pietra, posta a protezione del suo sarcofago, s’ipotizza sia incisa la cabina di pilotaggio di un’astronave extraterrestre. La stele non la vedrò mai visto che il palazzo è chiuso per restauro.

Poco importa.

Il centro di Palenque è pure il palacio, una torre dalle linee simili a quelle del rinascimento italiano. Una torre ridossata all’agglomerato labirintico d’antiche abitazioni. Dalla cima di quella torre i signori di Palenque salivano ad osservare i movimenti del sole.

Più su, sopra terrazze naturali, due piramidi dirimpettaie — dette della croce e del sole – fungevano da guardiani della città. Sono poste dove i fianchi della conca centrale riprende a salire sulle colline che chiudono a corona Palenque.

Fermandosi ad osservare il pannello che si trova dentro il tempio del sole, raffigurante due sacerdoti intenti a rendere onore alla stella più vicina alla terra — fonte di vita — s’intuisce quanto i toltechi chiapanechi sentissero l’esigenza di armonizzarsi con il tutto.

Gli uomini e la città con la foresta, e la foresta con il sole alto nel cielo…

Senza dover disturbare per forza presenze extraterrestri

Mentre fisso il ricamo di pietra corroso dal tempo, mi viene da pensare che probabilmente i veri extraterrestri siamo soltanto noi uomini moderni; eredi diretti delle divinità che i maya attendevano “in pace” e che invece riuscirono soltanto a distruggere tutto — perché quel tutto — già allora, fummo incapaci di sentirlo con anima e corpo…

L’armonia semplice e sensibile, non è retaggio di tutti.

Seduto in cima alla piramide della croce mi soffermo a contemplare la città di Palenque che si distende tra le pieghe della valle. Giù in fondo la pianura è rivestita d’oro e violetto… tavolozza nuziale di nebbie, foreste e sole.

Pace che dura poco… è in arrivo l’orda dei moderni quetzalcoatl sbarcati da enormi uccelli d’acciaio. Li vedo formare già una linea sottile di conquistadores arrancanti.

Arriva di colpo.

L’urlo proveniente dalla giungla è impressionante; rompe la calma di Palenque improvvisamente.

Le scimmie urlatrici lanciano il loro ruggito cavernoso contro gli invasori.

Attirato da quel richiamo ed impaurito dalla fiumana che risale contropendenza, m’inoltro dentro il fianco boscoso della giungla. Una sorta di timore misto alla curiosità mi stringe il petto:

Ho sentito parlare delle scimmie urlatrici ma non le ho mai viste. Dal tenebroso verso che lanciano fino a chilometri di distanza sembrerebbero bestie enormi. Vivono in branchi sulle chiome delle giungle, spesso a ridosso dei siti maya.

Il sentiero che ho preso è scosceso, reso scivoloso dalle abbondanti piogge cadute di recente.

I telegiornali di tutto il mondo hanno definito il fenomeno come un vero e proprio disastro. In Chiapasil disastro — è conosciuto invece come la normale stagione delle piogge.

Naturale tendenza al drammatico e alla notizia ad effetto, delle quali è preda l’occidentale.

Di vero c’è che da settembre ad ottobre quest’anno il cielo si è scatenato più del solito, versando giù tutto il diluvio che è riuscito a scrollarsi di dosso. Questa volta però alcuni giornali europei hanno sfiorato la leggenda:

Villahermosa inondata ha permesso ai caimani d’invadere le vie della città del Tabasco e seminare panico tra la popolazione.

Quando ho raccontato da queste parti la notizia letta in Italia, la gente ha riso per due giorni…

Sono ancora la che ridono! …Vatti a fidare dei giornali! …Carta che si lascia scrivere!

Mi avvicino sempre di più agli urli… mi rendo conto che entrerò a contatto con le scimmie dopo un’ora di cammino, appena girerò quell’angolo…

Adoro la sensazione sviluppata dalla paura che si mistura alla curiosità:

Quintessenza dell’Avventura!

-“No debes tener miedo de los monos”-

La voce mi giunge da dietro. Un vecchio, agile quanto un gatto, mi si fa incontro completamente a suo agio, dove io ho rischiato più volte l’osso del collo. Due zampettate e mi raggiunge; è minuto, peserà si e no cinquanta chili. Porta un panama consunto sopra la testa e un sorriso aperto. Mi fa vedere le scimmie urlanti e si mette a conversare con loro. Le scimmie urlatrici sono scimmiette nere, timide e riservate. Quando urlano, gonfiano le gote facendo risuonare la voce dentro il torace che funge da cassa armonica.

Noi indios crediamo che le scimmie urlatrici siano la reincarnazione degli anziani della selva scomparsi da poco. La morte da noi non esiste, è soltanto una trasformazione! Fedeli al legame d’amicizia con chi è rimasto, continuano quindi a restare accanto ai vecchi amici. Dall’alto delle chiome ne custodiscono i passi sul sentiero, assicurandoli della loro presenza con richiami che si amplificano per chilometri. Vedi – prosegue — sono ghiotti di “cicales” quanto noi…e la cosa ci accomuna.

Raccoglie da terra un paio di frutti grandi come palline da ping-pong. Le spella e me ne porge una, invitandomi a masticarla. Il frutto appiccicoso ha la consistenza e il gusto del cewingum.

Da dove vieni? mi chiede

Dall’Italia

Non so dove sia, ma dev’essere molto lontano da qui… anche se sai parlare bene lo spagnolo.

Ridiamo assieme, poi continua a raccontare la giungla che lo circonda e allora mi siedo ad ascoltarlo, recuperando le sensazioni di quando ero bambino e leggevo le avventure scritte da Salgari.

Una volta la selva era ricca d’animali selvatici; il mitico tigrillo, giaguari pezzati e neri, armadilli. Poi l’uomo le si è talmente accanito contro da produrre uno sterminio totale. La natura allora è ricorsa ai ripari, sfoderando armi di difesa. Il numero dei serpenti velenosi è aumentato, ed è molto pericoloso incamminarsi da queste parti, specie di notte. Dormono arrotolati negli anfratti del terreno e se malauguratamente ci finisci sopra, scattano e colpiscono con il loro morso micidiale. Uno dei miei fratelli ci ha rimesso una gamba per un morso del genere…e senza gambe è difficile vivere nella selva.

Si ferma un attimo, mi si avvicina, e prende qualche cosa che è atterrato sopra la mia testa.

Mosquito

Questi non sono pericolosi, ma ne esiste una specie terribile. Ti colpisce lasciandoti un marchio indelebile, come questo.

Scopre l’avambraccio tirando su la manica della camicia a quadri e mi mostra una piaga rigrinzita che ricorda una bruciatura.

Sono rimasto colpito da ragazzo! Fortunatamente noi della selva ne conosciamo l’antidoto.

Si sposta di qualche passo e raccoglie una piantina verde dal gambo forte e le foglioline di un verde chiaro.

Ecco così — vedi — tritando le foglie e applicandole sulla ferita si impedisce alla piaga di progredire, alleviando il dolore.

Ha un viso d’eterno bambino e una gran voglia di comunicare. Due occhi dolci e vivi si muovono veloci dentro un volto affilato. Sotto il naso un baffo canuto e curato. Sopra, il panama chiaro ma consunto.

Bene amigo, ora devo proprio andare; mi aspettano ancora tre ore di buon cammino per arrivare al villaggio… !hasta luego y que te vaja bien!

Ritorno a Palenque contento dell’incontro. Non so nemmeno come si chiami quel vecchino incontrato per caso… potrebbe rappresentare a pennello la mutazione carmica di Pakal, come le scimmie urlatrici sono per lui la reincarnazione dei vecchi amici che urlano contro l’invasione dei turisti:

I veri extraterrestri di Palenque.

(fine terza parte)

Il brano riportato è tratto dal suo primo romanzo, “L’ultimo esilio di Quetzalcoatl ad Oriente”, diario di un lungo viaggio nello Yucatàn. 
Paolo è anche l’autore di tutte le fotografie che illustrano il racconto.

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