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Fumetto

Thierry Groensteen

Fumetto e teoria in Francia e Belgio

Fabio Bonetti (FB): Personalmente approvo l’approccio proposto in Système de la bande dessinée. La rinuncia al riscontro di unità minime all’interno del quadro elimina un fondamento che non solo è inutile ma, soprattutto, percorre vie già eccessivamente battute (le teorie cinematografiche ne parlano dopo l’uscita di Cinema: lingua o linguaggio di Metz). Qual è stato il suo percorso personale che in questa presa di posizione metodologica? Può essere che la comune definizione di fumetto come “linguaggio ibrido” (accettabile e pericolosa al tempo stesso) e, di conseguenza, il suo particolare legame con il linguaggio del cinema, costituisca il terreno privilegiato di un’analisi incentrata principalmente sul piano sintattico?

Thierry Groensteen (TG): Mi permetta inizialmente di sottolineare il fatto che non sono un semiologo di formazione. Non avendo seguito un percorso universitario tradizionale, non mi dichiaro appartenente a nessun campo disciplinare in particolare. Il mio lavoro da vent’anni verte su una comprensione complessiva del fenomeno fumetto sotto tutti i suoi aspetti: storico, sociologico, estetico e semiologico. Per quanto attiene alla semiologia, non sono molto convinto degli sforzi fatti dai miei predecessori per applicare al fumetto (e all’immagine in generale) le categorie proprie della linguistica. L’immagine non è una lingua, non vi si ravvisano le doppie articolazioni e tutti coloro i quali (Umberto Eco in particolare) si sono sforzati di scomporre un disegno in unità minime, hanno dovuto convenire che queste, se esistono, sono diverse da un disegnatore all’altro, cosicché non si possa costruire nessuna teoria.

Non definisco il fumetto come un “linguaggio ibrido”, poiché sottolineo al contrario il fatto che la presenza di un testo non è indispensabile e, di conseguenza, non può rientrare a pieno titolo nella definizione del mezzo. Del resto, il fumetto non è multimediale: anche quando associa diversi sistemi semiotici (immagine e testo), non sollecita altro che il senso della vista.

Immagine articolo Fucine MuteFB: A proposito del linguaggio cinematografico, numerosi autori ne utilizzano alcune peculiarità, compatibilmente con le specificità del linguaggio del fumetto. Lei ne ha parlato, non solo citando alcuni teorici del cinema, ma offrendone anche dei begli esempi, riconoscendo tuttavia alcuni limiti a tali parallelismi (mi riferisco all’analogia tra “l’incrustation” e l’inserto cinematografico, ma potremmo citare, tra quelle “riuscite”, il montaggio analitico in Crepax). Crede che una maggiore attenzione alla sintassi cinematografica, con gli accorgimenti necessari, possa essere utile per un miglior rilevamento di alcune forme utilizzate del fumetto?

TG: Per quanto riguarda il rapporto con il linguaggio del cinema, è l’aspetto sintattico ad essere maggiormente interessante, perché, in entrambi i casi (fumetto e cinema), l’immagine è sequenziale e posta al servizio della narrazione. Per il resto, credo che l’immagine disegnata sia ontologicamente distinta dall’immagine cinematografica, e che ogni lavoro scientifico serio debba vertere su sulle specificità, piuttosto che sugli aspetti generali.

Per il succitato motivo, sono alquanto diffidente per quanto attiene ai parallelismi con il cinema, che spesso trovano sbocco solo in metafore approssimative, fonte di confusione. Non ci sono movimento né suono nel fumetto, non vi è alcuna operazione equivalente al montaggio (v. Système de la bande dessinée, p. 118-9) ed è impossibile assegnare una durata precisa ad un’immagine fissa. Queste differenze sono troppo importanti per portare avanti il parallelismo.

Esiste invece, sotto diversi aspetti, una “grammatica dell’immagine”, indipendente dalle sue manifestazioni (pittura, illustrazione, manifesto, fumetto, cinema o fotografia). Dato che la teoria del cinema è più vecchia e meglio formalizzata rispetto alla teoria del fumetto, vi si possono trarre determinati concetti quanto all’uso dell’immagine in generale. È tuttavia d’obbligo l’uso di cautela nell’esaminare ognuno di essi, trattandosi del fumetto, che è dotato di meccanismi propri.

Ciò può dispiacere ai semiologi, ma è un dato di fatto: a differenza del linguaggio verbale, l’immagine (figurativa) è immediatamente referenziale. Al di là di tutte le interpretazioni, semplificazioni o deformazioni che la caratterizzano, essa non smette mai di essere somigliante.

Immagine articolo Fucine Mute

FB: Immagino che, in quanto approfondito lavoro di ricerca, Système del la bande dessinée abbia suscitato numerose reazioni. Qual era la situazione del dibattito sul fumetto in corso nei Paesi francofoni al momento dell’uscita del libro? In ultimo luogo (domanda piuttosto vaga, ma non pretendo una risposta precisa), quali sono state le reazioni, e in quale misura corrispondono alle sue aspettative? Lo chiedo in quanto alcuni hanno criticato l’uscita tardiva del libro, che tratterebbe temi già dibattuti e sui quali non era necessario ritornare.

TG: Per quanto ne sappia, Système de la bande dessinée non ha suscitato altri commenti, oltre a quelli leggibili sul mio sito (se si eccettua un resoconto che sarà pubblicato nel prossimo numero del bollettino dell’Associazione francese di Semiotica). Ciò non deve stupire: il fumetto non è praticamente insegnato nelle università francesi (al contrario del cinema, il cui insegnamento è generalizzato). Quanto agli studiosi di fumetto interessati dalle questioni che sollevo nella mia opera, sono meno di una decina, e la maggior parte di essi non ha, in quanto Autori, accesso regolare o facile alle pubblicazioni scientifiche.

Non si può dunque parlare di tendenze nella ricerca sul fumetto, perché siamo troppo pochi, troppo dispersi e troppo lontani dalle istanze accademiche. Non esistono ricerche, se non parziali, isolate. Posso tuttavia annunciare che Harry Morgan sta attualmente preparando uno scritto dal titolo Principi delle letterature disegnate, il quale sarà indubbiamente il primo a discutere ed usufruire dell’impianto teorico che ho proposto.

FB: Non crede che sia auspicabile un studio intenso ed organizzato dei processi di lettura del testo a fumetti? Spesso gli aspetti testuali non trovano alcun riscontro, né una trattazione come tema da considerare a sé, se non occasionalmente in corrispondenza di un’analogia in  (quando non si relega addirittura all’immaginazione del lettore l’intero processo interpretativo…).

TG: Sì, sono d’accordo con lei sull’importanza dei processi di lettura e d’interpretazione. Ma confesso di sentirmi disarmato per superare, in questa questione, la fase dell’empirismo. Non so quali potrebbero essere gli strumenti di verifica dell’ipotesi. Inoltre la speculazione di tipo psicanalitico mi è, al momento, del tutto estranea. Credo il mio amico quebecchese Jacques Samson, in alcuni suoi articoli, si sia spinto più lontano ed in maniera più convincente in questa direzione.

FB: Un’ulteriore linea di ricerca potrebbe prevedere, al di là di implicazioni commerciali evidenti che ne caratterizzano alcune manifestazioni, lo studio delle convergenze tra il fumetto e le forme contemporanee di arte visiva popolare, nell’ottica di una riqualificazione del concetto di “comunicazione visiva” in opposizione al logocentrismo della cultura occidentale, che anche lei ha sottolineato? Qual è la situazione dell’insegnamento del fumetto e delle arti visive nelle Università francofone, e qual è (lo chiedo perché un escluso eccellente nelle bibliografie francesi è, ad esempio, Roman Gubern) il rapporto con i Paesi non francofoni in questo senso?

TG: Non ho molto da dire su questo, perché le direttrici della ricerca che Lei mi propone non sono esattamente le mie. Non credo che il fumetto sia intrinsecamente una forma d’arte visiva popolare. L’Editore più interessante in Francia da dieci anni è l’Association, la cui maggior parte delle edizioni non ha superato la tiratura delle 2000 copie!

Non pongo nemmeno sul piano della comunicazione visiva (privilegiata dai semiologi perché le forme di comunicazione maggiormente studiate, soprattutto la pubblicità, riposano su canoni univoci, quindi facili da decodificare) ma su quello dell’estetica, posto che il fumetto è una forma artistica a pieno titolo. Assimilare una forma d’arte a un messaggio, è una riduzione alla quale rifiuto di prestarmi.

Lei ha ragione, gli Autori stranieri sono poco citati dai ricercatori francesi, per un semplice motivo di accessibilità linguistica: Roman Gubern o Daniele Barbieri non vengono tradotti e non possiamo leggerne gli scritti (personalmente, leggo e parlo tedesco, olandese e inglese). A contrario, Le dirò che nessuno specialista americano ha mai citato Fresnault- Deruelle, Benoît Peeters , Jan Baetens o me medesimo. L’ignoranza — deplorevole — non è propria degli autori francofoni.

FB: Roman Gubern (1969), Pierre Fresnault-Dereulle (1972), Daniele Barbieri (1991, sebbene non ritenga I linguaggi del fumetto la sua produzione più brillante), Thierry Groensteen (1999). Ho tracciato, in forma assolutamente essenziale, gli autori che raccomanderei a chi si avvicinasse alla semiologia del fumetto. Poiché tra i nostri lettori ci sono molti studenti universitari, ci fornirebbe qualche indicazione bibliografica secondo le Sue preferenze? E potrebbe anticiparci se è prevista un’edizione italiana di Système de la bande dessinée?

TG: Non è al momento prevista alcuna traduzione di Système de la bande dessinée, ma se lei conoscesse un editore italiano che potrebbe essere interessato, La ringrazierei di farmelo sapere!

Quanto ai libri di cui raccomando la lettura, sono soprattutto:

  • Benoît Peeters, Case, planche, récit: comment lire une bande dessinée, ed. Casterman, 1991 1998

  • Jan Baetens- Pascal Lefèvre, Pour une lecture moderne de la bande dessinée, ed. Sherpa/ Centre Belge de la bande dessinée, 1993

  • In attesa di quello di Harry Morgan.

L’intervista che segue delinea, in buona sostanza, i criteri di ricerca adottati da uno tra i più brillanti studiosi dell’area francofona, di cui abbiamo offerto la traduzione di due saggi.
Possiamo affermare che, sotto certi aspetti, ci viene qui rivelato quanto possa essere distante l’approccio semiologico ad un linguaggio da chi non è semiologo di formazione, come si evince da numerosi passi dell’intervista, offrendo tuttavia tra le più interessanti argomentazioni mai proposte sul genere. E, soprattutto, siamo rimasti colpiti dalla panoramica offerta da Groensteen circa la realtà degli studi sul fumetto in Francia e in Belgio, che credevamo ben più legati agli ambienti accademici, vista la qualità di testi prodotti nel corso del tempo in questi Paesi.


Thierry Groensteen (1957), belga naturalizzato francese, giornalista e saggista, è tra i principali animatori della scena fumettistica francofona, cui i suoi numerosi saggi hanno fornito un consistente contributo. Sceneggiatore dagli anni ’80 (collabora con Casterman, con la rivista “Spirou”), redattore per i Cahiers de la bande dessinée (per i quali tra il 1984 e il 1988 realizza più di quaranta interviste e un centinaio di articoli, di cui alcuni pubblicati anche all’estero) e per il supplemento letterario de Le Monde (1986-1990). 
Dal 1986 al 1989 insegna linguaggio del fumetto presso l’Institut des Hautes Etudes des Communications Sociales (già frequentato da studente), e partecipa ad altre innumerevoli attività.


Tra queste, segnaliamo l’impiego, in qualità di “consigliere scientifico”, presso il Centre National de la bande dessinée e de l’image (CNBDI) dal 1989  al 1992, e poi dal 1993 come direttore del Musée de la bande dessinée. 


Tra le sue pubblicazioni, citiamo Système de la bande dessinée (che gli valse il dottorato in lettere moderne con menzione nel 1996 e che trova pubblicazione nel 1999), di cui Fucine Mute proporrà un’analisi critica sul prossimo numero, congiuntamente ad un’intervista all’autore e alla traduzione di un altro saggio.

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