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Palcoscenico

Gian Marco Tognazzi

A qualcuno piace caldo

Riccardo Visintin (RV): Siamo in compagnia di Gian Marco Tognazzi che torna a Trieste dopo un po’ di tempo…

Immagine articolo Fucine MuteGian Marco Tognazzi (GT): …quattro anni, eravamo qui a gennaio ’97…

RV: …di nuovo insieme ad Alessandro Gassman, suo amico, collaboratore, compagno di avventure…

GT: …e di sventure…

RV: …questa volta però alle prese con un musical. Credo che sia la prima volta, no?

GT: Sì.

RV: è scontato chiederti com’è stato il primo impatto, il momento in cui hai avuto per la prima volta il sentore che ti stavi addentrando in un’avventura di questo tipo: quando te l’hanno proposto per la prima volta, cosa hai pensato?

GT: Ho pensato che fosse insormontabile il problema di ballare e cantare perché non avevo nessuna cognizione del mio fisico e della sua gestione: non ho mai amato ballare, per cui ho pensato che fosse impossibile risolvere un tale problema, ma poi mi hanno convinto perché mi hanno fatto leggere il copione che era molto simile al film e che mi avrebbe dato una grande possibilità sotto il profilo recitativo e hanno colpito sulla mia voglia di fare una commedia eccezionale come A qualcuno piace caldo. Alla fine ho detto ‘okay, il problema del ballare e del cantare si risolverà e se ci sono riuscite altre persone ci riuscirò anch’io’. Poi quando sono iniziate le prove ho capito che tipo di fatica fossero le dodici ore e mezza di prove al giorno, cosa significasse ballare e avere una capacità di andare a tempo con la musica e poi integrare il tutto con il cantato. Infatti, il problema non è stato soltanto imparare a ballare i vari balletti, il problema è stato proprio riuscire ad associare il ballo al cantare dal vivo. Devo dire che è stato molto impegnativo, molto faticoso, ma è andata molto bene, anche perché tutti sono stati molto pazienti. Tony Sciortino, il nostro coreografo, e Giovanni Maria Lori, il maestro che ha rifatto le musiche della commedia, ci sono stati molto dietro, anche perché io e Alessandro Gassman abbiamo due caratterini piuttosto difficilotti, ed è andata molto bene.

RV: Questo feeling con Alessandro Gassman è visibilissimo anche nei momenti fuori scena anche perché siete amici e vi conoscete da una vita, dalla culla potremmo dire. Siete però due psicologie completamente diverse. Ma c’è un bel rapporto fra di voi, un affetto che vi lega e che legava le vostre famiglie, visto che, spesso, quando si parla della famiglia Gassman si parla anche della famiglia Tognazzi. Si sa quindi che è stato un nucleo affiatato, e questa è una bella cosa perché collega la storia del cinema italiano importante anche a una storia di affetti comuni, ma a parte il clan, vi è mai capitato di avere dei problemi a interagire l’uno con l’altro pur conoscendovi così bene?

GT: Certo che sì. Litighiamo quasi tutti i giorni, e certe volte anche pesantemente, proprio per la nostra differenza, proprio per le nostre caratteristiche diverse, proprio perché abbiamo due stili di vita privata diversi. Ma credo che questo vada sempre e comunque a vantaggio dei rapporti perché discutere e litigare non toglie l’affetto di fondo che noi abbiamo l’uno per l’altro e credo che il rispetto rimanga. Però, questo non ci ha impedito di litigare spessissimo sulle scelte, sul modo di vedere determinate cose del lavoro o della vita. Questo capita a noi come capita a tutti gli amici. L’importante è sapere di avere un equilibrio e ritornare a dare valore ai momenti importanti della vita che differenziano un’amicizia normale da un’amicizia particolare.

RV: Ti ringrazio e ti faccio un augurio generale esteso a tutti e due per quest’ultima tappa… questa intervista andrà su Fucine Mute che è la nostra rivista online…

GT: …anch’io ho un sito Internet, che se volete andare a visitare ogni tanto… www.gmtognazzi.it.

Certo, fa un certo effetto… sedere in platea e vederli lì “en travesti”, affiatati ed autoironici, capaci di sorreggere un valzer sardonico dove il rischio del ridicolo (quello non divertente, non funzionale ai sensi dello spettacolo) è sempre in agguato.

Alessandro Gassman e Gian Marco Tognazzi, brillanti protagonisti assieme a Rossana Casale della versione italiana di A qualcuno piace caldo, realizzata dalla Compagnia della Rancia, si trascinano dietro un’aura che confonde delizia e dannazione: quella del ricordo dei troppo famosi genitori.

Mentre il pubblico triestino si consumava le mani ad applaudirli, dopo centoquaranta minuti di performance praticamente senza cedimenti, stavo pensando a La Marcia su Roma, anno di grazia 1963, con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi soldati cialtroni durante gli anni caldi del Fascismo: l’affiatamento, la capacità di interagire senza pestarsi i piedi, è forse il patrimonio genetico meglio tramandato dai padri ai figli.

Difficile, impervia è l’operazione di far dimenticare al pubblico l’incancellabile prova attoriale del trio Monroe — Curtis — Lemmon, che nel capolavoro Anni Sessanta di Billy Wilder , sistematicamente citato dagli annuali del cinema come capolavoro, raggiungevano vette insperate di abilità ironica.

Intelligentemente, Saverio Marconi, tipologia di giovane regista attento e sensibile con il non comune merito di aver rilanciato il genere Musical in Italia, ha saltato a piedi pari l’ostacolo giocando molto sulle qualità vocali di Rossana Casale, sulla tracotante prepotenza scenica di Alessandro Gassman, sulla scoppiettante versatilità di Gian Marco Tognazzi.

Ecco, forse è proprio Tognazzi junior la sorpresa più piacevole dell’intero lavoro.

Semplicemente impagabile quando balla “La Cumparsita” insieme a Carlo Reali, con tanto di rosa in bocca, e convincente nel tratteggiare un povero cristo costretto dagli eventi ad indossare gli abiti muliebri, lui che è sensibilissimo ad ogni svolazzar di gonnella.

Privo della baldanza fisica di Alessandro Gassman, e forse psicologicamente meno portato a certe esuberanti manifestazioni esteriori, Gian Marco Tognazzi si è costruito un’identità d’attore non banale, su cui prima o poi bisognerà riflettere attentamente.

Rossana Casale, che come appreso in sede di conferenza stampa aveva molti dubbi sull’eventualità di imbarcarsi in una siffatta avventura artistica, costruisce invece mattone per mattone il suo ruolo che come sappiamo è continuamente minacciato dallo spettro della Bionda Platinata “par excellence”.

Ma questa volta le cattiverie, le recriminazioni, le facili critiche possono restare nel foyer del teatro, anzi il pubblico dimostra da subito il proprio affetto, la propria partecipazione emotiva, il proprio afflato partecipativo nei confronti di tre interpreti che evidentemente stima e sorregge.

In quello che è a tutti gli effetti un grande ed armonico gioco di squadra, notevole peso hanno le scenografie di Aldo De Lorenzo, che con spirito duttile e dinamico firma dei siparietti “volanti”, delle scene che si aprono e si chiudono, sempre per quella politica dei tempi senza respiro che è la linfa vitale del Musical. Tanto di cappello, poi, ai costumi sontuosi e coloratissimi di Zaira De Vincentis, sempre in elegante bilico tra la parodia e lo stile chic a cui ci hanno abituati i film di Vincente Minnelli con Fred Astaire e Gene Kelly.

L’orchestra, poi, suona dal vivo quelle melodie immortali che anche i più giovani hanno imparato a riconoscere ed apprezzare.

Una volta ancora, quindi, torna sul palcoscenico il vecchissimo escamotage del travestimento, una sorta d’arte mica tanto povera a cui in Italia ci hanno abituati Paolo Poli (il più grande, il più “poeticamente travestito”) ed altri comprimari forse meno originali, da Renato Zero ad Arturo Bracchetti.

Non tutti saranno d’accordo (e ci mancherebbe, il mondo è bello perché è vario), ma è ancora un modo di far ridere, specie quando si gioca con i difetti e le incongruenze.

Gioco artistico sottile, che in un baleno può divenir farsa greve, da trivio…

Lo faceva Totò nei suoi film diseguali, lo fece Tognazzi senior nel tristissimo Splendori e miserie di Madame Royale (Vittorio Caprioli, 1970), lo fece persino Vittorio Gassman in un gustosissimo episodio de I Mostri (Dino Risi, 1963), e nel Mattatore (Mario Monicelli, 1959), dove parodiava nientemeno che Greta Garbo.

Tutti esempi di un certo livello artistico, come facilmente si può osservare.

Siamo giunti ai giorni nostri, e vero com’è vero che nessuno inventa nulla di nuovo nell’arte di far ridere, è altrettanto vero che ci si può appoggiare a colonne sicure che poi clamorosamente crollano.

Così non succede con A qualcuno piace caldo, in fondo una bella parabola dove l’amore, di qualsiasi genere esso sia, se è sincero trionfa sempre, come nei sogni ad occhi aperti della biondissima Zucchero che nell’inevitabile happy end si concede a chi l’ha imbrogliata, Alessandro Gassman — Tony Curtis, faccia da schiaffi a cui tutto si perdona…

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