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Fumetto

Leggende d’oggi

Ad un certo punto del ventesimo secolo arrivò il 1968. E a Parigi la contestazione si estese anche al mondo dei fumetti. In Italia i giovani ribelli accompagnavano l’ascolto dei Nomadi e dell’Equipe 84 con la lettura del rivoluzionario Teddy Bob, mentre in Francia una serissima crisi d’identità accompagnata alla frustrazione della propria staticità rispetto il mondo che cambiava spinse molti autori a prendere posizioni estreme contro un’editoria arretrata e censoria.

La redazione di Pilote visse giorni di fuoco a cavallo tra anni ’60 e ’70: moltissimi autori fecero fronte comune contro l’editore Dargaud e soprattutto contro il direttore editoriale Renè Goscinny (il cocreatore di Asterix). In sostanza si voleva una maggiore libertà creativa, la possibilità di trattare problemi adulti e l’eliminazione della censura, che si era già abbattuta sulle opere di alcuni collaboratori. La necessità stessa di un direttore editoriale venne messa in discussione. Alle dimissioni di Goscinny coincise la diaspora di tantissimi autori che continuarono a lavorare per altre case editrici o che ne fondarono di proprie per pubblicare i parti della loro scatenata fantasia (Metal Hurlant nasce proprio da qui, ma è solo una delle nuove realtà create dalla situazione).

Il ritorno di Goscinny alle redini della rivista avvenne quando il “vecchio“Pilote si stava già adeguando (ottimamente, peraltro) al nuovo clima. Influenzato dall’atmosfera utopistica e libertaria che regnava a ridosso del ’68 Pierre Christin (tra i pochi che non si ammutinarono) scrisse una serie che segnò una svolta non solo nella rivista ma nella storia stessa del fumetto francobelga: Les legendes d’aujourd’hui, disegnata dall’astro nascente Enki Bilal.

Una premessa è d’obbligo: le “leggende d’oggi” nacquero nel 1972 ma a battezzarle graficamente non fu Bilal, bensì Jacques Tardi. Il primo episodio, Rumeurs sur la Rourgue, è una vera storia fantasma che, come il successivo Polonius (in Italia pubblicato presso Comic Art) è misteriosamente assente dalla maggior parte delle bibliografie ufficiali di Tardi. Bilal ha saputo imporre la propria personalità a queste storie in maniera decisiva ed è sicuramente al suo nome che le leggende d’oggi sono indissolubilmente legate, non certo a quello di Tardi (anch’egli inserito seppur in ritardo nella diaspora descritta sopra) che ne disegnò soltanto la prima. A rimarcare ulteriormente la distanza del lavoro di Tardi da quello di Bilal, va ricordato che Rumeurs sur la Rouergue uscì quasi clandestinamente in volume per Futuropolis solo quattro anni dopo la sua realizzazione, quando altre due leggende d’oggi erano state pubblicate ed una terza era già in cantiere.

Les legendes d’aujourd’hui è una serie di storie autoconclusive che terminano nell’arco dello stesso volume: quello che oggi anche in Francia viene definito “one shot”. Un solo personaggio (ma il termine “personaggio” assume in questa saga significati particolari) fa capolino, sempre con minor rilievo, in tutte e cinque le “leggende” di Christin e Bilal.

Ciascuna delle cinque leggende non esaurisce il suo significato nel semplice intreccio ma va letta come una parabola su alcuni problemi o miti della società moderna affrontati in maniera disincantata e molto critica.

Tra il 1973 ed il 1974 Bilal disegna la sua prima “leggenda”: La Croisière des Oubliés (La crociera dei dimenticati). La vicenda si svolge nel villaggio di Liternos, paesino sperduto che senza preavviso un bel giorno si mette a galleggiare nell’aria. Alla base dello straordinario fenomeno sono senza dubbio gli esperimenti che si stanno conducendo in una base militare lì vicino, ma anche il misterioso straniero dai capelli argentei e la sua compagna (ex membro del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica) hanno un ruolo importante nelle peregrinazioni aeree di Liternos.

Se il disegno di Bilal ha ancora un lungo cammino davanti, lo stile e la poetica di Christin sono stabiliti sin da questo primo episodio e rimarranno costanti nel raccontare tutte le altre leggende. Soltanto l’elemento grottesco (in questo caso, i militari che diventano mostri più buffi che spaventosi) andrà lentamente scomparendo nei successivi episodi, per il resto la struttura della narrazione e l’utilizzo dei personaggi rimangono praticamente invariati. Innanzitutto va notata la lentezza, molto descrittiva, con cui procede la storia: si ha, anzi, quasi l’impressione che non ci sia proprio alcuna “storia”. La struttura delle Leggende d’oggi prevede infatti in tutti i casi il lento approssimarsi degli eventi verso un roboante finale risolutore; praticamente tutti gli avvenimenti procedono per accumulo in attesa della conclusione. Quanto dicevamo sulla particolarità dei “personaggi” nelle Legendes d’aujourd’hui trova fondamento nella Crociera dei dimenticati. Chi è il protagonista della vicenda? Nessuno dei paesani emerge con decisione sugli altri (se non in maniera caricaturale) e 50/22 B, l’uomo dai capelli argentei, è più un deus ex machina risolutore che non un personaggio vero e proprio. L’idea del “protagonista collettivo” verrà mantenuta fino all’ultima Leggenda, Partie de chasse, ma con un dettaglio inversamente proporzionale al lento scomparire di 50/22 B. la sua eliminazione dal palcoscenico sarà inevitabile quando i singoli componenti dei gruppi protagonisti delle ultime leggende verranno maggiormente personalizzati e descritti in profondità. Forse soltanto il Jefferson B. Pritchard di Les phalanges de l’ordre noir ha uno statuto attoriale più forte e deciso, essendo il memorialista ed il motore stesso della vicenda.

Il “protagonista collettivo” non va comunque confuso con l’”eroe collettivo” ideato da Hector G. Oesterheld sin dai tempi del Sargento Kirk. In storie così attuali, realistiche e drammatiche come quelle delle leggende d’oggi non c’è posto per un manipolo d’eroi che risolva la situazione e la faccia franca: tutt’al più si può essere testimoni, vittime, burattini o al massimo “piccoli eroi” che organizzano una sezione sindacale dove mancava da cinquant’anni, ma la soluzione dei problemi, se ci sarà, avverrà grazie all’intervento di un potere superiore (non a caso il fantastico ed il soprannaturale sono elementi preponderanti nelle prime leggende).

Qualche parola va spesa per l’ambigua figura di 50/22 B. innanzitutto, in nessuna leggenda viene fatto il suo nome: la sigla che lo caratterizza sarà presentata soltanto in un prologo di 9 pagine pubblicato nel volume di La crociera dei dimenticati. Vista la natura metaforica della serie è limitativo pensare che Christin lo volesse usare come semplice deuteragonista o, al massimo, come deus ex machina. 50/22 B, coi suoi strani capelli d’argento, potrebbe benissimo essere un semidio, l’incarnazione di una giustizia atavica e primordiale che non tollera lo sfruttamento della natura né la sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Ma è una divinità sempre più stanca che pian piano lascia il ruolo di risolutore ad altri e si limita a contemplare l’operato degli uomini con sempre maggior distacco. Non a caso al termine di Partie de chasse il senso della storia sarà sfuggito anche a lui.

(una piccola curiosità filologica: in questo prologo di 9 pagine vengono citati, tra gli altri gesti di cui è stato partecipe 50/22 B, gli avvenimenti del precedente volume Rumeurs sur la Rouergue e vengono anche mostrate alcune immagini di quel fumetto. È curioso vedere come all’epoca Tardi si rifacesse allo stile caricaturale di Jean-Claude Meziérès).

Come dicevamo, il giovane Bilal aveva ancora un bel po’ di strada da fare e all’epoca il suo tratto si perdeva nel barocchismo dilettantesco dei disegnatori non ancora esperti, che sovraccaricano il disegno di particolari e tratteggi mentre non sottolineano con la dovuta determinazione gli elementi più importanti. Il disegno in sé non è comunque sgradevole ma una colorazione semplicistica ed approssimativa ne rende ostica la lettura. Va sottolineata la particolare architettura della tavola: molte vignette vanno lette sequenzialmente in senso verticale e non orizzontale come di consueto. Per fortuna, nei casi più arditi, delle frecce indicano il corretto senso di lettura (col tempo Bilal semplificherà molto le sue tavole, privilegiando spesso le vignette giganti).

Nella Crociera dei dimenticati Pierre Christin aveva come bersaglio l’ottusità dei militari e i loro pericolosi esperimenti segreti, che però stigmatizzava in maniera grottesca ed in fondo anche un po’ bonaria (d’altronde, dopo il ’68 prendersela coi militari era come sfondare una porta aperta). Col successivo volume, Le vaisseau de pierre (Il vascello di pietra), l’attenzione dello sceneggiatore si sposterà sul problema dell’industrializzazione selvaggia e del conseguente tentativo di difendere il proprio patrimonio culturale.

Il paesello di Trehoë t (i cui abitanti vivono di pesca, agricoltura o del lavoro nell’arsenale navale) rischia di vedersi imposta una drastica e non voluta modificazione strutturale, apparentemente foriera di benessere. Alcuni potenti uomini d’affari hanno deciso infatti di tramutare il villaggio in una località turistica alla moda, poco importa se per farlo dovranno prima radere completamente al suolo Trehoë t! per fortuna 50/22 B ed il misterioso abitante del castello sulla scogliera sapranno guidare i paesani verso altri lidi, utilizzando forse per l’ultima volta l’ancestrale “vascello di pietra” che condusse lì i loro antenati.

Il tono favolistico ed un po’ sognante della Crociera dei dimenticati (che ben le vale il titolo di “leggenda”) viene mantenuto anche nel Vascello di pietra ma ci sono alcuni particolari che differenziano la seconda leggenda dalla prima. Sono elementi meno che secondari, ma alla luce dello sviluppo futuro della saga destano un certo interesse. Innanzitutto la localizzazione geografica della vicenda è più dettagliata rispetto alla Crociera dei dimenticati e ciò aggiunge un tocco di realismo in più. E poi va sottolineata la figura del vecchio demente Joseph che, coerentemente col suo passato d’irredentista bretone, è ancora oggi ossessionato dall’idea di “far saltare” tutto e tutti: è un radicale contraltare al generale candore dei paesani (nonché un ottimo capro espiatorio finale, ma alla luce di questa analisi è più rilevante il suo ruolo di drastico inserimento realistico). Tirando le somme, la struttura delle prime due leggende è grossomodo la stessa (i “buoni” e genuini paesani mandano all’aria pacificamente i malsani piani di un gruppo “cattivo” ed immorale con l’aiuto di un potere arcano e misterioso) ed anche l’atmosfera si mantiene quasi immutata (forse quella del Vascello di pietra è ancora più magica: ci sono addirittura il Mago Merlino e degli strani extraterrestri) ma il seme per una nuova impostazione ideologica della saga è stato gettato.

Nel tempo che impiega a disegnare Il vascello di pietra (la cui realizzazione grafica va dal 1975 al 1976) Bilal compie qualche passo in avanti, ma solo col successivo episodio La ville qui n’existait pas potremo notare una decisa affermazione della sua personalità artistica.

E, come dicevamo, anche Christin cambia registro.

La città che non esisteva (1977) si apre con un bellissimo e fantasmagorico sogno cui segue un brusco risveglio. In fondo, in queste prime tre tavole è già descritto lo sviluppo della storia e quindi la morale che possiamo desumerne. Pierre Christin sceglie stavolta come bersaglio polemico un mito che ha inevitabilmente influenzato il 1968 e quindi anche lui: l’utopia. Un’utopia non metafisica ed astratta, ma decisamente concreta e palpabile: la città ideale teorizzata da Thomas More che tanti danni avrebbe provocato nei secoli a venire. Fedele all’etimologia greca (ou-tòpos: non-luogo), Pierre Christin afferma quindi, nel titolo e nella storia, che questa città non esiste (è, appunto, solo un sogno da cui dovremo svegliarci). Né può esistere, nemmeno se la ricca ereditiera che prende possesso del paese di Jadencourt decide di farne una città ideale in cui nessuno è obbligato a lavorare o ad andare a scuola. Al progressivo incupimento del tono delle leggende d’oggi corrisponde la lenta scomparsa di 50/22 B, ormai quasi solo autista ed accompagnatore della illusa benefattrice Madeleine Hannard (anche se sarà lui ad indicare la strada ai fuggiaschi, questo ruolo poteva essere rivestito da qualsiasi altra figura di contorno). Gli elementi della “leggenda” vanno scomparendo in favore di argomenti più crudi e di un’atmosfera irrimediabilmente intristita. Più che di leggenda si può parlare di “reportage” vista la dettagliatissima cura con cui vengono descritti scioperi e condizione proletaria. O forse, considerando quello che sarebbe successo nell’Inghilterra thatcheriana qualche anno dopo, è quasi più calzante il termine “profezia”. Questa particolarità di registrazione (se non di anticipazione vera e propria) della realtà prende adesso il sopravvento sugli altri elementi della saga.

Gli intermezzi umoristici sono ormai scomparsi, eccezion fatta per il momentaneo ritorno di Joseph che ancora una volta vuole far saltare tutto. La sua comparsata è l’unico momento in cui una nota rimanda ad un episodio precedente in tutta la saga e rappresenta quindi soltanto una strizzatina d’occhio sdrammatizzante indirizzata a chi ha letto Il vascello di pietra. Per il resto, La città che non esisteva non rassicura né consola i suoi lettori (la persistente goffaggine con cui Loulou si muove nel lussuoso palazzo degli Hannard sottolinea drammaticamente la distanza tra i loro due mondi e a nulla valgono i suoi rozzi commenti per risollevare la situazione; e la scoperta che il viscido Blèrancourt vada solo con travestiti e spenda fortune per soddisfare le sue perversioni non è certo un elemento comico ma serve a calcare ulteriormente la mano sulla sua amoralità).

Con Les phalanges de l’ordre noir (1979) la serie sarà ormai lontanissima per temi ed atmosfere dai suoi inizi. La vicenda non si svolge più in un paesino, anche se in effetti la storia comincia in una piccola località spagnola: Nieves. Ma i 72 abitanti del villaggio non fanno in tempo a far capolino nelle prime tavole che già alla quarta sono stati massacrati tutti. Lo sviluppo delle sorti dei villaggi rurali tanto cari a Christin è sintomatico della sua disillusione. Il caso Liternos veniva insabbiato al termine della Crociera dei dimenticati ma gli abitanti del paese galleggiante avevano comunque ottenuto una momentanea vittoria. Tutto sommato anche gli abitanti di Trehoë t potevano ritenersi soddisfatti: erano magicamente emigrati da un’altra parte lasciando gli speculatori con un palmo di naso. Ma a Jadencourt le cose erano andate diversamente: il paese in sé non esisteva più e la tanto attesa città ideale che l’aveva sostituito si era rivelata per alcuni una trappola paranoica. Adesso che stanno avvicinandosi gli anni ’80 i villaggi come Nieves sono irrimediabilmente destinati a sparire. In effetti cin Le falangi dell’ordine nero il campo d’azione si espanderà notevolmente ed il tema del paese in lotta contro la violenta modernità sarà sostituito da altri soggetti ben più drammatici ed attuali. Nel caso delle Falangi dell’ordine nero i riflettori sono puntati sul terrorismo.

Un breve dispaccio dell’agenzia Reuter sul massacro di Nieves è sufficiente a mettere in allarme il giornalista Jefferson B. Pritchard. A rivendicare il delitto è infatti un gruppo terroristico d’estrema destra che agisce sotto il nome di “le falangi”. Un dispaccio inviato dal suo vecchio amico Atadell gli rivela che a far parte del gruppo sono gli stessi falangisti che Pritchard, Atadell e i loro compagni delle brigate internazionali hanno combattuto in Spagna quarant’anni prima; senza esitazioni il giornalista contatta i suoi vecchi commilitoni ed organizza una task force di settantenni per eliminare definitivamente le “falangi”, dando loro la caccia per mezza Europa!

Non solo il soggetto è di un’originalità assoluta (tanto che Mario Monicelli fu coinvolto per una eventuale versione cinematografica: i dettagli su Pilot Nuova Frontiera n° 12) ma anche la sceneggiatura ed il disegno rappresentano un punto d’arrivo indiscutibile. Christin infatti ha ormai definitivamente accantonato gli elementi fantastici delle leggende precedenti sostituendoli con un realismo pressoché assoluto (shockante la tempestività con cui si fa menzione del caso Moro) che si manifesta non solo nel rigore documentaristico ma anche in piccoli dettagli che fanno apparire più umane e credibili le singole personalità: ad esempio nei fiori che Pritchard regala alla vecchia amica Maria Wizniewska. Il realismo è tale da introdurre di peso nella saga anche il tema della Morte, che fino a La città che non esisteva era qualcosa di distante, quasi del tutto assente. Ma non si tratta solo della cruenta morte per arma da fuoco: anche un banale raffreddore può rivelarsi fatale per un fisico provato e non più giovane, proprio come nella realtà.

Il “personaggio collettivo” presentato questa volta subisce un drastico e curioso cambiamento: non è più composto dalla piccola umanità marginale delle altre leggende ma da vari esponenti internazionali dell’élite culturale, politica, militare o finanziaria, alcuni forse non troppo diversi dai “cattivi” che volevano rimodernare Trehoë t o tramite cui Jadencourt divenne una città ideale. È solo un modo per non ripetersi o la disillusione di Pierre Christin gli fa sperare in una rivoluzione borghese dopo che il proletariato ha dimostrato la sua incapacità di prendere coscienza politica?

Enki Bilal ha raggiunto una tappa fondamentale nella sua carriera e, pur se la maturazione definitiva del suo stile avverrà tra un paio d’anni, ormai è un vero Maestro del fumetto, pienamente consapevole dei suoi mezzi. I fittissimi tratteggi degli esordi ora non sono più caotici e dispersivi ma pienamente funzionali al disegno e magistralmente dosati. se confrontiamo gli elementi industriali che compaiono nelle prime tre leggende (ruspe, tralicci, ecc.) notiamo come la loro rappresentazione sia sempre più dettagliata e definita dopo una loro prima apparizione come rapidi schizzi. Ma nelle Falangi dell’ordine nero la nuova precisione che caratterizza Bilal sarà ancora più profonda, quasi maniacale. Basandosi evidentemente su una cospicua documentazione, Bilal tratteggia alla perfezione automobili, palazzi ed interni. Ma il suo perfezionismo non scade mai nella leziosità o in un impersonale calligrafismo: i disegni sono pienamente funzionali alla narrazione, anche se il lettore talvolta può abbandonarsi ad ammirare alcuni dettagli, e lo stile rimanda indiscutibilmente, coi suoi nasi rotti e i suoi alberi quasi alieni, all’unico disegnatore capace di concepire simili visioni del mondo.

Le falangi dell’ordine nero non è innovativo soltanto per il brusco cambiamento d’atmosfera e per il maggior risalto che viene dato ad ogni componente del “personaggio collettivo” (50/22 B è ormai meno di un comprimario), ma è rivoluzionario anche nel quadro più generale del fumetto francobelga. La lunghezza della storia è infatti spropositata rispetto alle dimensioni medie di un volume “alla francese”: ben 78 tavole a fumetti contro le solite 46 (o al massimo 62) imposte dalla foliazione. Pilote si stava insomma adeguando alla nuova linea di tendenza inaugurata dalla concorrente (A suivre): lasciare liberi gli autori di creare quanto la loro ispirazione poteva consentire, senza porsi a priori limiti di spazio e durata. Curiosamente, proprio negli stessi anni in America Will Eisner teorizzava e realizzava concretamente i primi “romanzi grafici”.

Altro elemento innovativo è l’inserimento di finti documenti nei fogli di risguardo, in questo caso una fotografia con annotazioni e la “foto di gruppo” disegnata da Bilal per la copertina. L’idea di sfruttare spazi normalmente privi d’importanza con materiale “d’atmosfera” rende la storia ancora più partecipata e le dona una decisiva aura di verosimiglianza che, come dicevamo, sancisce il passaggio della saga da “leggenda” a “reportage”, se non a “profezia”.

Partie de chasse (1983) si aprirà e si chiuderà con le note biografiche dei carnefici e delle vittime protagonisti della vicenda.

Nove uomini si riuniscono in Polonia in una sontuosa reggia immersa nel verde; il motivo della loro rimpatriata è una battuta di caccia. Come apprendiamo dalle note introduttive e dai loro discorsi, i vecchi compagni sono, o sono stati, figure di primo piano nella scena politica sovietica e dei Paesi comunisti dell’Est Europa. Ognuno di loro deve qualcosa a Vassili Aleksandrovich Cevcenko, l’abilissimo tecnocrate che ha organizzato la battuta di caccia, e che oggi è reso muto da una paralisi facciale. Un giovane interprete è stato assunto per far comunicare al meglio gli invitati, ma in realtà (come gli spiega Evgeni Golozov) dovrà intervenire solo nell’eventualità che qualcuno si arrabbi con qualcun altro e voglia rifiutare di parlargli in francese, lingua che tutti i partecipanti alla battuta conoscono. Il suo ruolo appare quindi marginale, eppure gli viene fatto capire, all’inizio della storia, che dovrà rimanere alle strette dipendenze dei 9 uomini: infatti il suo proposito di aiutare uno straniero che ha problemi con la lingua alla frontiera viene subito ed energicamente dissuaso. Lo straniero è 50/22 B, che ricomparirà soltanto dopo 62 lunghissime pagine, intrise di drammatici ricordi, accuse più o meno velate, discorsi e gesti metaforici, incubi inquietanti ed oscuri riferimenti come “le cose serie cominceranno solo DOPO l’arrivo dei nostri ultimi invitati!” o “credevamo che i piani fossero stati cambiati”…

Tra le tante vicende ricostruite dai racconti o dalla memoria emerge la tragica figura di Vera Nikolaevna Tretiakova, vecchio amore di Cevcenko (nonché importante figura rivoluzionaria) sacrificata per la ragion di stato. Il suo fantasma sarà il più difficile da scacciare.

È stupefacente come Pierre Christin riesca a rimanere perfettamente fedele alla struttura narrativa che aveva ideato dieci anni prima e che in Partie de chasse trova piena conferma della sua validità. Ancora una volta infatti sembra di non essere di fronte ad una “storia” ma ad una accumulazione documentaristica (quasi pedante nel suo rigore), che però nelle ultime sequenze trova una sua ineccepibile giustificazione. E tutti quei frammenti che ci vengono proposti nei primi ¾ della storia si rivelano, alla fine, gli indispensabili tasselli del puzzle complessivo che potremo capire solo alla luce delle ultime pagine. L’esasperante lunghezza della storia (addirittura 82 tavole!) è anche un ottimo meccanismo per creare un forte climax e quindi una notevole tensione nel lettore. Ma una tale prolissità ed un realismo così dettagliato lasciano intravedere il pericolo della sclerotizzazione delle leggende d’oggi: Partie de chasse è indiscutibilmente l’apice della saga e sarebbe stato difficile per Christin proporre qualcosa che riuscisse ad andare oltre questa tragica storia così dettagliata, avvincente e partecipata. Infatti con Partie de chasse le leggende sono finite: riprenderemo il discorso più sotto.

Enki Bilal, dal canto suo, apporta ulteriori motivi d’interesse e d’ammirazione alla quinta leggenda. Tra il 1979 e il 1980 il disegnatore era diventato anche sceneggiatore ed unico colorista per un progetto interamente suo: La fiera degli immortali, primo capitolo della trilogia dedicata al suo eroe Nikopol. Questo fumetto rappresenta una notevole svolta nella produzione di Bilal ed un nuovo approccio alla tavola disegnata. L’uso del colore diretto, sperimentato nella Fiera degli immortali, farà infatti di Partie de chasse l’opera a cui universalmente si fa riferimento per indicare il momento in cui le tavole a fumetti hanno raggiunto non solo la piena dignità artistica ma anche il giustificato diritto di essere vendute e collezionate alla stregua di quadri e altre opere d’arte.

La genesi grafica di Partie di chasse sembra piuttosto tormentata, quasi incerta. Le prime tavole sono infatti l’esito dell’assemblaggio di immagini indipendenti: una tavola è costituita da due “metà” (tra virgolette perché irregolari e mutevoli da pagina a pagina) numerate autonomamente come nel Blueberry di Giraud; ad esempio si nota nella numero 3 l’esistenza di una 3A e di una 3B. l’incastro armonioso ma piuttosto ricercato ed irregolare lascia intuire un profondo lavoro di ricerca e sperimentazione da parte di Bilal, che comunque si abbandona ad una classica e rassicurante tavola unica con il procedere della narrazione. Il fatto che quasi nessuna matita di base venga cancellata contribuisce ad incrementare il forte tono sofferto dei disegni. Trasportato dal pessimismo e dalla disillusione di Christin (che ormai toccano vette altissime), Bilal abbandona l’accumulo di dettagli in favore di un’interpretazione emotiva, quasi espressionista, della storia. Il sangue è onnipresente, anche se in effetti ne viene versato poco: basta parlarne o ricordare quello già passato perché le vignette si tingano di rosso. Il “mostro comunista” di Ion Nicolescu è qualcosa di veramente osceno, e la vendetta ha le invisibili (ma ben presenti) fattezze di un falco lordo di sangue.

Il gusto teratologico di Bilal ha modo di scatenarsi e se ai suoi esordi si manifestava con omaggi a Moebius ben poco spaventosi, ora fa apparire marcio e decadente tutto e tutti, compresi alberi, edifici e uomini.

E proprio sugli “uomini” si concentra il disincanto di Christin, che dopo averlo utilizzato per tutte e quattro le altre leggende abbandona il meccanismo manicheo (e quindi rassicurante) della contrapposizione di due gruppi antagonisti. Il “male” non è più strettamente identificabile con gli speculatori, i militari o i terroristi di destra, ma è qualcosa che ormai pervade ogni rapporto umano e piega tutti gli uomini al suo volere. È superfluo cercare di definirlo o dargli il nome di “Storia”, “natura umana” o addirittura “marxismo”.

I nove uomini di Partie de chasse non hanno bisogno di un gruppo avversario complementare che sancisca la loro “identità positiva”: sono già capaci più che a sufficienza di ammazzarsi l’un l’altro ed ognuno ha una fitta rete di rapporti con gli altri che presenta non pochi aspetti oscuri e vergognosi (“bisognerà anche che impari a vivere con un sanguinoso segreto, come tanti di noi…” è uno degli insegnamenti che Evgeni Golozov impartisce all’attonito interprete).

Ormai l’aspetto umano è stato scandagliato a fondo e non necessita di ulteriori commenti da parte di Christin per sottolineare la parabola discendente del suo disincanto. Anche la tensione narrativa ha raggiunto il suo limite estremo (anzi, per alcuni detrattori di Christin lo ha già superato) ed obbiettivamente la lettura delle prime 60/70 pagine deve essere molto più lucida ed attenta di quella che il lettore è tenuto ad avere per un qualsiasi altro fumetto (e ricordiamo che di norma in Francia la lunghezza massima di un fumetto è di 62 pagine, mentre in Partie de chasse lo stesso numero di tavole serve appena ad introdurre i personaggi e l’ambientazione!). l’ultimo tassello del mosaico politico e sociale nato col ’68 è stato posto e sia Christin che Bilal hanno dato tutto il loro meglio per completarlo. Les legendes d’aujourd’hui possono quindi dirsi concluse, ed è sintomatico che i loro padri si dedichino dal 1984 a realizzare insieme dei finti reportage su New York, Il Cairo e la “stella dimenticata” Laurie Bloom (fino alla recentissima rimpatriata con Le sarcophage, nella collana Les correspondances de Pierre Christin, Dargaud 2001):

Ma la chiave di lettura definitiva delle leggende sarà data dalla Storia. Se ci soffermiamo a guardare alcuni degli avvenimenti degli anni ’80 come i grandi scioperi di Sheffield o lo scricchiolare ed il successivo frantumarsi dei regimi comunisti, il nome stesso della saga sembra improprio. Altro che “leggende”, quelle di Christin e Bilal furono delle vere profezie!

Dopo averne magnificato la qualità e descritto l’altissimo valore, resta l’imbarazzante questione del come leggere in Italia Les legendes d’aujourd’hui. Argomento “imbarazzante” perché di questa serie fondamentale nel panorama fumettistico mondiale esistono poche edizioni italiane ed alcune sono riflessi sbiaditi di quelle francesi. Un paio d’anni fa Alessandro Editore (un editore che ama i fumetti) ha ristampato egregiamente Partie de chasse, ma purtroppo finora è stato un caso isolato.

La crociera dei dimenticati può forse venire ancora recuperata nel volume brossurato che le dedicarono gli Editori del Grifo (1992). Il costo già all’epoca non era basso (16 000 lire per 64 tavole) e tra le leggende questa riveste senz’altro un ruolo di secondo piano, ma almeno la pubblicazione è integrale e comprende anche il prologo di 9 pagine.

Per le successive quattro leggende le cose si fanno più complicate. La Dargaud si associò alla italiana Fabbri per stampare alcuni volumi tratti dalle opere di Bilal: tra le Storie fantastiche trovarono posto anche Le falangi dell’ordine nero (maggio 1983) e Il vascello di pietra (settembre 1983). Successivamente la Dargaud cambiò partner e insieme a Bonelli editò nel 1984 La città che non esisteva (a luglio) e Battuta di caccia (a novembre). Va detto però che la grafica dei volumi Bonelli-Dargaud è orrenda. Federico Maggioni ebbe infatti la brillante idea di usare come copertina alcuni disegni dei fumetti ingranditi fino a diventare confusi e la testata dei volumi presentava il nome Bilal per quasi un terzo della copertina, mentre Christin veniva relegato ad un misero titolino sopra il nome del disegnatore. Anche se questi libri dovevano costituire una collana ideale dedicata al disegnatore (fu infatti Bonelli-Dargaud a pubblicare anche le sue Storie dell’Oltrespazio) il pochissimo spazio riservato allo sceneggiatore era veramente ingiusto vista la sua importanza.

I quattro volumi della Dargaud sono cartonati, di grande formato e allestiti con una carta robusta che ricorda la patinata opaca. Anche nell’eventualità di poterli rinvenire in qualche fumetteria o alle mostre bisogna tener presente che il loro prezzo potrebbe essere piuttosto alto. Già all’epoca della loro uscita costavano uno sproposito: dalle 8 000 lire di Il vascello di pietra alle 15 000 di Battuta di caccia, quando le riviste come L’Eternauta, Totem e Corto Maltese erano assestate sulle 3000/4000 lire.

La maniera migliore per leggere alcune leggende d’oggi è procurarsi le prime tre raccolte del Pilot della Nuova Frontiera (ognuna presenta quattro numeri progressivi della rivista), in cui sono presentate integralmente Le falangi dell’ordine nero, Il vascello di pietra e La città che non esisteva.

Partie de chasse fu invece pubblicata su Totem prima serie dal n°28 al n°34.

Pierre Christin nasce a Parigi nel 1938 e si avvicina professionalmente al mondo del fumetto quasi per caso. È infatti solo sul finire degli anni ‘60 che il suo amico d’infanzia Jean-Claude Mézières (tra l’altro, amico di Jean Giraud e suo compagno di classe alle Arti Applicate) gli chiede di stendere un soggetto per una storia. Così nel 1967, dopo il Monsieur Faust scritto da Fred, la rivista francese Pilote ospita un’altra opera disegnata da Mézières: Valerian, primo capitolo di una lunga saga fantascientifica che prosegue a tutt’oggi.


Proveniente dall’ambiente accademico, cosa che gli procurerà qualche contestazione da parte di altri autori in forza presso Pilote, Pierre Christin si firma per lungo tempo con lo pseudonimo di Linus, che abbandona progressivamente verso la fine degli anni ’70.


Scrittore raffinato, mai banale e dai molti interessi (oltre che professore e sceneggiatore è anche romanziere) ha realizzato parecchi fumetti con disegnatori tra i più importanti della scena d’oltralpe. Oltre all’avventuroso e dissacratorio Valerian vanno ricordate almeno le sue collaborazioni con Lesueur (varie storie brevi), Bilal (Leggende d’oggi e vari reportage immaginari) e Annie Goetzinger (La diva e il kriegspiel e La sultana bianca).


Contrariamente a Pierre Christin, Enki Bilal opera nel campo del fumetto sin da giovanissimo, da quando aveva vent’anni. Nato a Belgrado nel 1951, si trasferisce in Francia al seguito della famiglia intorno ai dieci anni. Frequenta per un certo periodo l’Accademia di Belle Arti ma rivolge presto la sua attenzione al mondo della letteratura disegnata. Risale al 1971 la sua prima collaborazione con Pilote, cui faranno seguito altri lavori e soprattutto la ripresa della serie Leggende d’oggi scritta da Christin e disegnata inizialmente da Jacques Tardi.


Seguace inequivocabile del Moebius di Cauchemar blanc, Bilal sviluppa nell’arco di tempo che va dal 1974 al 1979 un suo stile personale ed inconfondibile, divenendo a sua volta un punto di riferimento per gli altri disegnatori.


Realizza parecchie storie brevi di ambientazione fantascientifica e con lo sceneggiatore Jean-Pierre Dionnet dà vita allo “one shot” Sterminatore 17.


Gli anni ’80 segnano la sua definitiva consacrazione: non solo viene acclamato per la saga Nikopol, che realizza interamente da solo, ma Alain Resnais lo vuole come scenografo per il suo film La vie est un roman.


Dopo aver intrapreso anche l’attività di regista cinematografico, è ritornato recentemente (dopo alcuni anni d’inattività) al mondo del fumetto realizzando l’apprezzatissimo Il sonno del mostro.

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Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (II)

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Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (I)

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Nel castello di Giorgio Pressburger al Teatro Stabile Sloveno di Trieste

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Lucca Comics & Games 2023: Incontro con Pera Toons

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Il commissario Ricciardi 2: quattro puntate di noia profonda

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Sanremo anche no

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