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Musica

Peter Murphy

L’ultima e sola Star

Jamil Ahmad (JA): Salve Peter, benvenuto su Fucine Mute Webmagazine.

Peter Murphy (PM): Salve.

JA: Il tuo debutto dal vivo da solista è avvenuto il 22 maggio 1986 a Bologna. Ti sei esibito lungo un tour di otto date in Italia e una di queste tappe è stata Trieste. Conservi dei ricordi di quel tour?

PM: Il tour italiano fu in effetti la prima occasione che ebbi di esibirmi dal vivo dall’ultimo show dei Bauhaus nel 1983. Negli anni che intercorsero ho realizzato due dischi, uno era Dali’s Car-The Waking Hour, l’altro il mio primo album solista Should The World Fail To Fall Apart. Provai un senso di straordinaria eccitazione come un ragazzino che aspetta un regalo a lungo atteso. A ciò si univa (ormai vago ricordo) la paura del palcoscenico. Il tour era pure la volta in cui misi insieme il gruppo che in seguito chiamai The Hundred man, che sarebbe rimasto con me per sette anni attraverso molte e ardue registrazioni e i mirabili tour che seguirono.

Cosicché stavo per sperimentare lo sconosciuto elemento di un pubblico che sarebbe venuto a vedermi per la prima volta come Peter Murphy. Pensavo alla natura dell’esibizione e anche a come avrei affrontato il pubblico nel contesto dello spettacolo, così come al modo in cui volevo comunicare con musicisti eclettici per origini ed esperienze.

Ero molto occupato sul livello interno mentre proseguivamo il tour, e volevo apprendere ed indagare su come ispirare la band, come ispirarli a comunicare quella forza nell’esibizione che avevo veramente raggiunto, imparato e portato con me dal periodo dei Bauhaus. Da una parte hai un gruppo di persone riservate e che non necessitano di grande comunicazione verbale per quanto riguarda il parlare dello spettacolo, dall’altra i Bauhaus che erano molto organici. Era come interpretare il ruolo del leader del gruppo, del solista e del direttore d’orchestra, per cui era tutto nuovo.

Siamo arrivati e si trattava di un terreno decisamente nuovo e pericoloso, perché non avevo ancora sperimentato, come ho detto, il pubblico post-Bauhaus, e alla fine è risultato eccitante e in parte strano, perché il pubblico era là ovviamente perché io facevo parte dei Bauhaus, ed era quasi un nuovo pubblico dei Bauhaus. Così mi aspettavo la possibilità di essere paragonato, in un certo senso, con un’esibizione dei Bauhaus. Poi mi resi conto che ciò che davvero avevo fatto nei Bauhaus era interamente parte di me e ciò che stavo facendo da solista era altrettanto valido e perciò di qualità analoga in termini di performance.

Ricordo anche di essermi recato ad un club, penso potesse essere a Trieste, ma non ricordo esattamente la città dove qualcuno ci condusse ad un club dopo lo show. C’erano video dei Bauhaus, riprese dal vivo mostrate su uno schermo del club. Era bizzarro ed emozionante l’essere in grado di guardare quelle riprese dei Bauhaus a tre anni di distanza, nell’ambiente del club, e ricordo l’impressione che ebbi, quasi di guardare qualcuno che non avevi mai visto prima, a causa del vuoto di tre anni. Mi resi conto di quanta potenza veniva comunicata e di che incredibile gruppo si trattasse.

Facemmo un concerto a Bari; era in un centro artistico. Credo che il promoter mi prenotò a causa del progetto Dali’s Car. Non ne sono sicuro, ma forse si attendevano una band meno orientata all’esibizione live, o almeno questa è l’impressione che ho avuto. Suonammo sul palco di questo meraviglioso complesso artistico. È stato bello perché non era il tipico, ordinario, luogo da concerto rock o punk, ed era effettivamente inserito nel contesto di un artista in un istituto di belle arti. Era un grandioso contesto in cui prodursi in uno spettacolo. La mia esibizione stava per essere vista attraverso gli occhi di un pubblico appassionato di belle arti e la cosa era davvero interessante.

Ciò soddisfaceva davvero una parte del mio credere nel genere di spettacolo che io faccio. Che è molto meno…beh, c’è nel rock’n’roll o nel rock, se vuoi, ma non in un gruppo post-punk o di musica alternativa, e perciò uno c’era dentro eppure non faceva parte di esso. Perciò in questo era bello.

L’Italia fu la mia scelta per la mia prima incursione da solista, semplicemente perché conservavo ottimi ricordi del mio periodo Bauhaus ed ero — e lo sono ancora — molto attratto dall’Italia per qualche inesplicabile ragione. Voglio dire, per l’amor di Dio!, passare dallo squallido paesaggio di Northampton del 1981 con i Bauhaus a Bologna, la città degli archi, era come farsi trasportare in un incredibile, ornato e sensuale mondo delle belle signore della piazza cittadina, del vero espresso, l’opulenza dei caffè di piazza e la folla, oh! Quelle masse di energia… Mi stavo per rovinare nell’occasione e sebbene trovai un pubblico curioso di vedere LUI senza di LORO mi ha fatto molto piacere. C’era, ricordo, un’accresciuta sensazione di sensualità intorno al tour, una sorta di intossicazione di sensualità (spiacente, niente dettagli)… Davvero non vedo l’ora di tornare in tour.

JA: Possiamo aspettarci una tua esibizione live in Italia per l’anno prossimo?

PM: Ascolta, davvero mi manca e ho desiderato ardentemente di suonare in Europa come Peter Murphy per anni, ed è sempre stato un problema. Quando ho firmato per la Beggars Banquet, concessero i diritti dei miei album al licenziatario europeo ed mi trovavo sempre nella situazione di aver bisogno di un po’ di soldi per sostenere i costi dei tour e renderli possibili. Non hanno voluto sostenermi (cosa molto comune del business musicale). Le etichette sotto l’aspetto promozionale sponsorizzano il tour fino ad un certo limite per rendere la cosa possibile all’artista, ma la Beggars creava difficoltà, ed era veramente avara, il che finiva per significare che mi era impedito di andare in tour dalla mia stessa casa discografica. Non voglio sparlare della Beggars, avevano le loro ragioni, ma dal mio punto di vista la cosa non aveva giustificazione, e questo è stato uno dei motivi per i quali ho chiesto a Martin Mills, proprietario della Beggars e mio buonissimo amico, di lasciarmi andare, in modo da permettermi di seguire altre etichette che mi avrebbero supportato. Tutto ciò può suonare strano al fan, ma è così che funziona la macchina del business.

Quando con i Bauhaus abbiamo girato l’Europa è stato molto piacevole, abbiamo girato la Gran Bretagna e l’Europa intera. È stato grandioso, mi è piaciuto e a tutt’oggi c’è ancora un pubblico dai contorni precisi per me. Non aver girato l’Europa in tour è stato per me come essere tenuto lontano dalla mia famiglia, capisci cosa intendo. Così ho definitivamente spianato tutte le mie armi contro i miei manager, diventerò una vera primadonna per questo prossimo album e voglio che si faccia, e se non dovesse farò una scenata! Voglio assolutamente un tour italiano! Ovunque io vada in Italia o in Europa la gente mi conosce! C’è un pubblico per il quale dovrei suonare. Per questo voglio fare un tour in Italia, in Europa, etc.

JA: Nell’ottobre 1988, il tour mondiale Bauhaus Resurrection ha avuto una data a Milano. Ero a dir poco stupito da quanto vivo e fresco fosse stato quel concerto dei Bauhaus. Era come testimoniare alla nascita di un nuovo gruppo, veramente vivo e potente. Quando ascoltai la versione da studio di “Severance” e “The Dog’s Vapour”, quella potenza e quella spontaneità dei Bauhaus erano vivi, e davvero mi aspettavo l’uscita di un albo completo, ma così non fu, e penso sia stato un peccato. Pensi che Bauhaus Resurrection avesse più potenziale di un tour mondiale e basta?


PM:
Be’, l’intera cosa è stata gestita nel tipico stile Bauhaus. La premessa era come ti senti quando arrivi per fare uno show. E per me ciò era tipico, era una proposizione molto sottovalutata, se avessi dovuto risvegliare qualcosa stile Bauhahus. La domanda sul fatto se dovessimo o meno riformarci e lavorare di nuovo insieme era una domanda truccata, perché era qualcosa che avevo definitivamente escluso negli anni tra il 1983 e il 1990. Quindi l’intero evento si sviluppò in corso d’opera.

Personalmente amo ciò che hanno significato i Bauhaus, per ciò che erano, ciò che hanno rappresentato e ciò che effettivamente hanno dato al pubblico. Penso che abbiamo un posto di diritto nella storia della musica non riconosciuto per vie tradizionali e sono anche convinto che non siamo mai stati riconosciuti per ciò che abbiamo rappresentato e fatto, nel più ampio contesto della stampa e dei media.

Qualcosa di molto speciale si è risvegliato in me, perché sono una sorta di protettore dei Bauhaus, e non per criticare gli altri, ma penso di prendermi estrema cura di tutte le attività dei Bauhaus, persino se si tratta di materiale d’archivio. E così quando accettai di passare a Los Angeles ad incontrare gli altri, ci andai con piena disponibilità, tuttavia determinato a che ciò non succedesse se non avessi ottenuto il tipo di risposte che volevo dal resto del gruppo. Hai parlato della qualità assolutamente unica del gruppo, e che immediatamente mi bloccò non appena ci incontrammo nella stanza.

Li invitai tutti al mio albergo, e nel momento in cui ci ritrovammo nella stessa stanza c’era questa energia che riconoscevo e sentivo presente… Fu davvero molto bello, meraviglioso. E ciò fu confermato in seguito durante la settimana quando provammo a suonare qualcosa, per vedere l’effetto che ci avrebbe fatto, e ovviamente controllai tutto il tempo se ciò sarebbe stato valido per il pubblico come idea effettivamente valida. Il momento in cui attaccammo la spina fu spaventoso: era come se non fosse una retrospettiva, e provammo tutti la stessa sensazione.

Credo che i Bauhaus si siano sciolti originariamente laddove avevano sprecato un’opportunità. Ma non che la cosa potesse essere evitata, se non probabilmente in un altro mondo, in altre circostanze e con altre personalità. Eravamo sul punto di diventare un vero grande successo mondiale. Tuttavia c’era qualcosa di bello nel finire in quel momento, mantenendo in noi quella qualità segreta, quella qualità meravigliosa che le band hanno appena prima di sfondare. E così nel 1998 quella sensazione era ancora viva così come l’integrità del gruppo. Sai, tutti possiamo parlare di ciò che i Bauhaus hanno significato per noi, ma non credo nessuno, nessuno di noi sia in grado di spiegarlo e definirlo con esattezza. Ma è sicuramente un fattore emotivo… un tipo di pungente ed evidente qualità che tanto la band quanto il pubblico hanno semplicemente provato, a livello pressoché intuitivo.

Così si arrivò naturalmente al tour, perché una volta confermate l’interiorità e l’integrità si confermava l’evento esteriore. Facevamo spettacoli di prova da qualche altra parte per il mondo, il primo dei quali a Chicago, che come quello di Los Angeles face il tutto esaurito in mezz’ora. Quindi aggiungendo analogamente altre apparizioni, l’intero pubblico in sostanza determinò che il tour sarebbe proseguito. C’era stata una tale potente reazione nel mondo che semplicemente cavalcammo l’onda.

Nei termini dello stare insieme, be’!, ti ritrovi in un mucchio di ambiti complicati, in termini di personalità, in termini di circostanze. Puoi smontare la cosa e fornire delle ragioni circostanziate o altrimenti dei perché e percome, ma alla fine… c’è una sorta di ingenuità all’interno della band che toglie il fiato e che, sebbene abbia i suoi aspetti positivi, ne ha anche di negativi, nel senso che impedisce di raggiungere un unico, conclusivo accordo sull’intera questione. Ciò nonostante, ero pienamente convinto che se fossi riuscito a radunare le truppe e in qualche maniera comunicare la mia comprensione, la cosa avrebbe eventualmente potuto funzionare… ero certo di ciò. Quindi in sostanza ho passato due anni a lavorare con gli altri membri, ma come poi si rivelò, quell’ingenua mancanza di abilità nella band nel cogliere al volo le opportunità e cavalcare il momento è ciò che ha determinato l’impossibilità di continuare. Non penso che i Bauhaus proseguiranno più… ora me ne rendo conto. Penso che si trattasse dell’evento Bauhaus finale, e che fu veramente perfetto, perché come dici tu penso fosse come la continuazione del periodo dei primi quattro anni insieme. Eravamo una stella che bruciava, ed è bruciata presto. Abbiamo brillato intensamente e ci siamo spenti… una parte di me pensa che sia stata una grande opportunità sprecata, tuttavia un’altra parte riconosce una bellezza poetica in tutto questo e che in un certo modo compensa.

JA: Il tuo ultimo CD si intitola Alive-Just For Love, che è una doppia raccolta live; include l’intera performance senza interruzioni, che è stata presa durante il “Just For Love Tour” in America lo scorso anno. Si è unito a te sul palco il chitarrista Peter Di Stefano e lo straordinario violinista Hugh Marsh. Classici come Indigo Eyes, All Night Long e Cuts You Up sono stati riportati in vita dando luogo and un ambiente musicale minimale ma più intimista. Penso che il CD abbia veramente catturato l’atmosfera di un concerto dal vivo, nel senso che ciò che ascolti non è solo Peter Murphy ma anche la tua relazione con il pubblico. Quel tipo di energia, che ti fa sentire parte effettiva dell’esibizione e non solo spettatore. Ma penso che catturare tutto ciò su CD, come hai fatto, sia incredibile. Qual era l’ispirazione dietro il “Just For Love Tour” e puoi dirci qualcosa sul mixing e sulla produzione della raccolta?

PM: C’è un’etica che mantengo, cioè che se raggiungi uno stato un cui pensi di non avere un’opportunità, vedi di creartene una. O se te ne stai seduto a non fare nulla, stai sprecando il dono divino alla vita in quel momento… è stato l’anno di un tour in cui ho supportato la raccolta di Peter Murphy “Wild Birds” nel marzo 2000. Istintivamente, sentii di aver raggiunto un punto nel quale qualcosa mi stava accadendo, nei termini del mio percorso musicale dopo l’album “Wild Birds”. Mettendo insieme l’album, ebbi la sensazione di dare l’addio ad un certo periodo che durò dal 1986 fino a quel momento, che includeva tutti i miei album solisti e il mio EP “Re-Call”, e che ciò avrebbe rappresentato il culmine di un approccio alla performance, agli arrangiamenti e ad ogni altra cosa che avevo fatto durante gli anni dei miei numerosi tour da solista. Ho così messo insieme un gruppo, che era la classica band rock/alternative, dopo il quale non avevo idea di ciò che facevo, eccetto ovviamente lo scrivere l’album. Ma durante il Wild Bird Tour il pubblico non ci lasciava andare sebbene avessi suonato per un’ora e mezza, che è molto per me! Quindi dal momento in cui non avevo provato nulla col gruppo tranne il corpo di pezzi che suonavamo, vista l’incredibile reazione del pubblico decisi di uscire e suonare versioni acustiche di alcuni dei pezzi che non avevo cantato sul palco. In sostanza, ero io che semplicemente uscivo e restavo solo con uno strumento, suonando le mie canzoni. Questo mi ha dato quest’esperienza davvero bizzarra, in un modo in cui non avevo mai considerato prima.

In effetti una persona al concerto di Washington, un mio buon amico, ha osservato che sebbene l’intero allestimento fosse potente, il quarto d’ora acustico conteneva una qualità che era addirittura più efficace nella sua semplicità. Ha rimarcato di essersi improvvisamente reso conto che la voce era lì e quanto fosse potente, che non era il solito cantante che canta le sue cose in maniera spoglia, ma che la voce aveva una tale potenza orchestrale e che avrebbe voluto vedere un intero show in questo modo. Immediatamente qualcosa si svegliò in me e ricordo che pensai che sarebbe stato qualcosa di realmente unico relativamente a Peter Murphy e anche relativamente a ciò che si definisce Unplugged, che gli artisti fanno da anni su MTV, che non ho mai amato molto. Ebbi la sensazione che il mio amico poteva aver ragione perché nel corso degli anni la gente ha sempre fatto osservazioni circa la mia voce e sai, è quasi come se io non potessi vedere la cosa oggettivamente o non avessi una gran opinione della mia voce. È quasi come guardarsi allo specchio, vedi cosa vorresti vedere e non ciò che vede la gente.

Continuai e la premessa di base del tour era che lo facevo solo per amore, perché mentre lavoravo con Mercan Dede a Montreal un mese dopo il Wild Birds Tour, giocando con le idee che sarebbero eventualmente confluite nel nuovo album, Mercan iniziò a parlare di uno dei numerosi festival che hanno luogo a Montreal, che si chiamava “Just For Laughs”, ma io pensai che stesse dicendo “Just For Love”, per via del suo accento turco; pensando a quale brillante idea sarebbe stata creare un evento solo per amore. Ciò che evocò in me era così puro, una performance solo per amore; era un’idea talmente potente e semplice insieme. Poi Mercan disse: “non solo per amore, solo per ridere! È un festival di commedie”. E io: “Mio dio, avevo capito solo per amore”. Rispose di no, allora dissi: “allora questo sarà il mio prossimo tour”. “Cosa?” — mi disse. “Be’, suonerò solo per amore”. A Mercan piacque molto l’idea. La proverbiale mela che ti cade in testa. Un sacco di gente mi chiese: “aspetta, sei sicuro?”. Dicevo: “A costo di morire, lo farò”. Era una decisione basata puramente sul fatto che un artista stava reagendo a qualcosa che riteneva importante, e non su una mossa carrierista o strategica.

Perciò considerando che la premessa di base era che io salissi sul palcoscenico e cantassi le mie canzoni… e praticamente dovevo farlo da solo, senza neanche la musica, ma poi pensai che sarebbe stato come tirare la corda un po’ troppo. In realtà, un’altra versione del tour era quella di farmi apparire in un ambiente simile a quello di un’esibizione, che fosse come un palco teatrale ed io dovessi soltanto cantare tutto il tempo a cappella, usando il materiale scenico, l’ambiente e soltanto me stesso, con la mia voce ed il mio corpo come esibizione principale. Eppure più la consideravo come una produzione, più mi sembrava chiaro che sarebbe stato ben più complesso di quanto avessi immaginato. Così questo è un qualcosa che prendo in considerazione di fare nel futuro, certamente non come la mia prossima apparizione, però è un’idea che ancora mi solletica. E poiché ciò sarebbe stato così complesso sia in termini di produzione che di costi, sarebbe andato contro l’idea della semplicità di apparire con soltanto il minimo indispensabile ad affrontare il pubblico. Piuttosto come se io dovessi camminare in mezzo alla folla e cantare.

Così io pensai: “Ok, solo l’essenziale”. Avrei chiamato nuovamente Peter Di Stefano, che aveva imparato la maggior parte dei brani nel tour precedente, il Wild Birds Tour. Volevo effettuare dei tagli nelle schitarrate rock e dovevo dare a Peter la direzione che il suo ruolo avrebbe dovuto essere quello di fornire la base degli elementi degli accordi delle canzoni. Poi pensai anche a Hugh Marsh, come risultato di una visita a Mercan Dede ad Antalya, in Turchia, dove Hugh stava suonando nella Mercan Dede Ensemble. Quello era un momento in cui ero curioso riguardo a Mercan, perché mi piaceva il suo lavoro e capitò che Hugh stesse suonando proprio con lui in quel periodo. Venni colpito immediatamente da questo violinista che ra come Jimi Hendrix, Michael Brook, Mozart ed il più tosto musicista jazz tutti insieme in una persona. Pensai: “Be’, è lui l’uomo giusto, quello che deve suonare con me!”. Fu una cosa istintiva, come se non avessimo mai suonato insieme prima d’allora. Spiegai a Hugh che avremmo cominciato a provare per due settimane, riducendo i brani a praticamente un niente, li avremmo costruiti e li avremmo suonati dal vivo. Ed egli amò quell’idea! Mi piace pensare che Hugh ed io siamo nati per suonare assieme, per quello che fa lui, riconoscendo la freddezza dell’estetica occidentale, nei termini elementi di musica alternativa e progressiva, ed egli riesce ad integrare l’elemento turco in quello occidentale. Pensai che Mercan sarebbe stata la persona perfetta per comprendere ciò di cui io stessi parlando, nel senso che io volevo quegli elementi nella mia musica. Così quest’album fu davvero composto non con un atteggiamento del tipo: “Facciamo un album turco”, ma piuttosto questo è stato un album di Peter Murphy che fosse complementare dei temi lirici e dei temi dell’esibizione che sono davvero radicati nel cuore dei cuori, la mia esperienza in Turchia. Così piuttosto che modellare gli strumenti turchi in un modo che sarebbe risultato falso e turistico, nello stesso modo in cui i Bauhaus erano indefinibili e molto avanti, quest’album ha le stesse caratteristiche. Non lo descriverei come un album del mondo, internazionale, ne’ un album turco od occidentale; eppure ha l’autentica brillantezza di queste belle persone turche, questi incredibili musicisti turchi che sono dei musicisti al top del mondo e sono così meravigliosi; senza alcun senso di arroganza in loro. è stato un vero piacere lavorare con loro. È stato un lavoro profondamente sentito nel cuore per tre mesi… ed io penso che sarà un album sorprendente per un sacco di persone.

JA: il tuo sito web è alquanto bello, molto piacevole alla vista ed ha un aspetto molto vivo. Ma ciò che di esso mi è piaciuto davvero, è che sia alquanto criptico ed a causa di ciò mantiene sveglia l’attenzione di chi lo guarda. Talvolta hai la sensazione di arrivare su un altro livello del sito che non ti aspettavi. è alquanto emozionante. Quanto sei stato coinvolto nella progettazione e nel contenuto del sito?

PM: Ho lavorato con un altro artista turco chiamato Orkan Telehan. Ha la base ad Ankara ed è un designer estremamente intelligente. Mi piaceva molto, dalla conversazione che avevamo avuto durante il nostro primo incontro. Il contenuto è stato diretto da Orkan e da me stesso, è stata una vera collaborazione ed Orkan è stato grande nel rappresentare graficamente ciò che il sito di Peter Murphy avrebbe dovuto essere. Egli voleva sapere che cosa io avessi in testa, incontrarmi come persona piuttosto che come l’icona Peter Murphy. Ho trovato tutto ciò molto interessante perché egli reagiva con me personalmente. Non aveva idea della mia storia, il che era forte, in un certo senso, perché mi confermava che io fossi sulla pista giusta riguardo il mio senso della comunicazione di ciò che faccio, semplicemente perché non ha portato con sé alcuna storia di chi io fossi. Eppure stava reagendo nel modo in cui io speravo che il pubblico reagisse!

Noi lavoriamo ancora assieme ed abbiamo altri progetti, si potrebbe dire un sotto-livello criptico del sito web.

Questo è ciò che il mio lavoro significa per me… è come quando fai una conversazione con una persona o quando incontri una persona e senti su molti livelli cosa sia veramente quella persona e viceversa. In una conversazione c’è un terzo elemento che non appartiene a nessuna delle due parti, eppure informa entrambi riguardo ad una parte della persona ancora più essenziale della conversazione. Così quando qualcuno visita il web site, mi piacerebbe che fosse come una specie di conversazione, così com’è una persona che ascolta la musica ed una persona che venga a vedere il concerto dal vivo. È la stessa azione, eppure in una rappresentazione diversa, per esempio una rappresentazione grafica. Perciò amo l’idea di non mantenerla in senso letterale, ma di comunicare in un modo che accenni a qualcosa al di là delle apparenze. Liricamente c’è molto che tu possa fare… voglio dire, se vuoi sapere qualcosa su Peter Murphy, allora leggi i testi e ciò ti terrà occupato a sufficienza, perché in un certo senso sono un’autobiografia. Il sito web è come uno scambio dal vivo volatile.

JA: a parte i due stupefacenti annunci pubblicitari televisivi che hai fatto per la compagnia di cassette Maxwell negli anni ’80 e la tua apparizione nel film di Tony Scott “Miriam si sveglia a mezzanotte”, hai anche recitato nel ruolo principale in un breve film chiamato “The Grid”. Hai mai considerato di fare l’attore ancora e c’è un tipo particolare di film che ti sia veramente piaciuto e che tu abbia trovato come ispiratore?

PM: sì, quest’anno mi è piaciuto “La tigre ed il dragone”. Credo sia un film così brillante, con molti elementi analoghi e messaggi metaforici. Mi ha fatto permanete impazzire, ma quel film è basato unicamente su un soggetto culturale taoista cinese, che può essere affrontato soltanto dai cinesi.

Recitare è molto attraente, lo è l’intera idea di recitare ed essere assorbito in un personaggio e riuscire a convincere veramente il pubblico sulla scrittura e sulla storia che sono state usate nella sceneggiatura. Mi attrae davvero molto… Mi piacerebbe, ma non posso pensare di preoccuparmi di cominciare un’intera nuova carriera. Sono un po’ come… be’, se dovessero venire da me e chiedermi di farlo, ci penserei sopra. Ma poi dipende anche da che ruolo sia. Sai, mi sarebbe piaciuto apparire in “Matrix”, nel ruolo dell’ “Uno” [ride] o di qualcuno riguardo alla parte mitica del film.

Mi piacerebbe apparire in qualcosa come un film di Martin Scorsese o di Wim Wenders, uno di questi registi, ma dipende anche dalla sceneggiatura. Forse un film su Gesù, questo è davvero un qualcosa al di sopra di me, ma io credo che Gesù sia stato parzialmente frainteso e sono sicuro che ciò sia comprensibile dall’album live. Hugh è un musicista così versatile, che quello che mi è piaciuto così tanto di lui era il modo in cui mi seguiva e complimentava il mio modo di cantare, cambiando spesso di spettacolo in spettacolo, rendendo così l’esibizione sempre nuova. Entusiasmante!

Questo è il modo in cui lavoro; il primo momento dell’idea. Perché se tu non hai idee, ed io immagino che questa sia una descrizione di come un artista lavori in qualsiasi campo… se ti siedi davanti ad un foglio di carta bianco, senza alcuna idea di quello che andrai a fare, la stessa azione di sforzarti a fare almeno qualcosa, è come quel detto dei Sufi: fai un passo avanti verso il tuo Signore ed il tuo Signore farà dieci passi verso di te… in altre parole, se ti senti vuoto, allora fai un gesto, fa’ almeno qualcosa. Questo è stato il modo in cui è nato il tour — la scintilla del tour. Dal momento in cui ho accettato l’idea che stessi per farlo senza alcun preconcetto dall’inizio alla fine. Per me, questo è un esempio ed una prova che le cose vengano come vuoi tu, se così deve essere. E se tu hai l’intenzione, tu vieni ricompensato con il risultato di quell’intenzione… Era una cosa che non dipendeva da me, come si, ed è stato magnifico.

Riguardo alla produzione dell’album, l’ho registrato praticamente allo stesso modo in cui è stato fatto l’intero tour. è stato senza brividi, è stato messo a nudo piuttosto che cadere nella trappola di noleggiare uno studio multi-tracce costosissimo e sopravvalutato. L’ho registrato su un DAT a 16 piste, è stato fatto molto semplicemente, l’ho mixato a Montreal, perché Montreal era un luogo che io avevo considerato e pianificato per lavorare sul nuovo album (che Peter ha completato). Ed è stato un modo di mettere alla prova l’ambiente dello studio, che alla fine fu il Planet Studio di Montreal. è andato tutto bene, e come ne è venuto fuori, la prima intenzione di questo album era di coinvolger Hugh e lavorare con Mercan e tutto ciò è finito in un modo molto organico e fluido. In questo modo l’album dal vivo completa il nuovo album registrato in studio.

JA: il tuo nuovo album è stato co-prodotto con Mercan Dede. Io credo che in “Sufi Dreams” ed in “Journey Of A Dervish” sia davvero riuscito a produrre il giusto equilibrio tra la musica del medio-oriente e quella occidentale, in un modo molto fresco ed attuale. A dire il vero quando ho sentito per la prima volta “Sufi Dreams” ho pensato che la tua voce sarebbe stata perfetta per qualche canzone di quell’ambiente musicale. Come è nata la tua collaborazione con Mercan Dede e puoi dirci qualcosa del nuovo album?

PM: Be’, prima di tutto, non è che questo sia come un album di Mercan chiamato “Sufi Dreams” con la voce di Peter Murphy sopra a tutto. Mercan è molto interessante in modo anomalo, essendo un turco che vive in occidente. Va sotto lo stendardo di un musicista ispirato dai Sufi ed ha un alter ego! Ha un “Mercan Dede” che usa delle scale turche tradizionali e tracce di musica religiosa tratte dalla cultura islamica turca. L’altro alter ego è chiamato “Arkin Allen” , un dj elettronico che prende e ricama un tipo di musica elettronica rave da dj molto speciale, che incorpora anche molti elementi tribali. Mercan è come una spugna, viaggia nel mondo, ed assorbe idee ed artisti di cui ha bisogno, da’ loro una voce attraverso i suoi stessi progetti che lui capeggia, cosicché possano plasmarsi e trasformarsi in manifestazioni diverse. Il che è na cosa che mi piace molto.

Mercan è il primo artista turco che io abbia sentito negli anni e che sia riuscito a convincermi che se io volessi incorporare qualcosa assolutamente classico dal punto di vista turco alla mia musica, avrebbe dovuto essere qualcuno che avesse un’autenticità che non fosse soltanto una riproduzione di un uomo del XIV secolo, che è ciò che la maggior parte della musica tradizionale turca abbia qui in Turchia. Naturalmente, ciò è qualcosa di grande nel suo contesto. Ma non se tu sei come me, un occidentale che sia conscio dell’ambiente chiamato “World Music” ed abbia preso la decisione di non affrontare mai un ambiente di World Music, perché io ritengo che la World Music sia come la mania per l’oriente, è una specie di turismo musicale. Suona come se fosse autentica, eppure in un certo senso è presa a prestito, non è veramente compresa. Gli aspetti etici, spirituali e culturali che formano quella musica tradizionale possono solo appartenere alla fonte di quella cultura e non possono essere veramente rappresentati in un modo che sia assolutamente identico all’originale. Perciò questa è una delle ragioni per cui io non mi sia mai avventurato a fare un “album turco”, tra virgolette, perché credo che sarebbe stata fondamentalmente una stronzata poiché soltanto i turchi sono in grado di farlo, sai cosa io voglia dire. Perciò sarebbe stato troppo pretenzioso da parte mia, eppure ciò non significa che i mie album non siano pesantemente influenzati dalla mia esperienza turca, perché così come stanno le cose ora sono diventato praticamente come un turco! Così ora io sono in una posizione dove io possa tranquillamente dire che io abbia una certa familiarità con ciò che quegli elementi turchi evocano.

JA: C’è qualche artista o gruppo particolare che ti faccia venire voglia di sederti ed ascoltare quella musica?

PM: Recentemente l’album di Brian Eno e Peter Schwalm “Drawn From Life” , l’album degli Ovale l’album di Dido. Ho sentito che Paul Statham aveva scritto un paio di singoli di questo disco, aveva accennato al fatto che stesse lavorando con Dido, un paio di anni fa mentre stavano scrivendo quelle due canzoni dell’album. Ho sentito che fosse uscito e che fosse un successo. Pensai, ci sono centinaia di artiste donne rock-pop in America, sono brave, ma spesso sono sterili. Così immaginai che l’album di Dido fosse un altro di questi album rock fatti da una di queste donne… l’ho ascoltato e l’ho amato! Credo abbia questa voce eccezionale ed unica che si distingue dal resto. Ha fatto davvero qualcosa di speciale con quell’album… Sono un fan del pop brillante, come gli Abba, i Beatles del pop! Questa specie di artisti di pop brillante sono rari… da questo punto di vista mi è piaciuto anche il primo album delle Spice Girls e quello di Dido è stato il primo album che io ho sentito ad aver centrato quell’area di mezzo del pop, che abbia molta integrità, una maturità molto intelligente, naturale e bella.

Mi piace anche il lavoro di Moby. Ho sentito alcuni pezzi qua e là del suo lavoro in passato, è una specie di dj cristiano sincero nel cuore. Quando ascolti il suo lavoro c’è una rinfrescante innocenza in esso. È simile a quei demo fatti in casa, che non hanno un sacco di tecnica musicale, eppure sono in un certo qual modo speciali, e ciò mi piace.

JA: quando mi si chiede di descrivere la tua musica io dico che è universale, nel senso che è eclettica ed io sento che non possa essere davvero etichettata come un tipo particolare di musica. Pensi che Peter Murphy come artista possa essere inserito in una categoria od etichettato o… [interruzione]

PM: Io credo che tu possa tranquillamente dire che Peter Murphy sia l’ultima e la sola stella… è davvero così facile!

JA: Punto e basta?

PM: Sì!

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