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Palcoscenico

Donatella Pandimiglio

Piccole donne & grande Musical

Giorgia Gelsi (GG): Allora, cominciamo con Donatella Pandimiglio, attrice e cantante con una luminosa carriera, interprete protagonista, in questi giorni, con lo spettacolo “Piccole donne”, nel ruolo della madre delle piccole donne, per l’appunto, delle quattro sorelle March. Ed è una mamma molto particolare, che non è certo molto simile a quella del romanzo della Alcott…

Donatella Pandimiglio (DP): Direi tutto il contrario… Innanzitutto buonasera, senz’altro un grande divertimento, forse una delle più grandi follie di questo spettacolo è proprio questo personaggio, una lettura di una madre molto moderna, fuori dalle righe. Solo in un momento, alla fine dello spettacolo, c’è un momento in cui questa mamma sempre piena di voglia di vivere, a volte un po’ superficiale rispetto quelli che sono i problemi del suo tempo, alla stessa lontananza dal marito, dalla guerra, lei pensa comunque a dispetto di ogni cosa, a se stessa, alla bellezza della vita e alla bellezza della femminilità. Alla fine dello spettacolo c’è questo momento in cui lei canta questo ultimo brano in chiusura, in cui c’è un momento di amarezza, della vita che passa, delle figlie che si allontanano dalla sua vita. Ma anche in questo caso, a dispetto di ogni cosa, lei dice: “Avrò comunque un ricordo della vostra presenza, ma libera volteggerò come un delfino, cioè continuerò ad essere libera, a vivere la mia vita fino alla fine in pieno”. Diciamo che è un personaggio che a me diverte moltissimo, è veramente una follia, e dopo lunghi anni di impegni con cose molto intellettuali, con Piovani, aldilà di molti spettacoli miei, diversi, il sodalizio con Piovani è quello che forse salta più agli occhi nell’ultimo decennio perché mi ha visto costantemente in scena nei suoi spettacoli, questo viaggio così folle devo dire che mi diverte molto; è una bella esperienza, sono circondata da grandi professionisti, in particolare ho la gioia di lavorare per la prima volta con Gianluca Ferrato, che conosco da anni e che stimo molto, e stavolta siamo anche vicini in scena.

GG: Passiamo infatti a Gianluca Ferrato, che ha già collaborato con la Contrada nello spettacolo “Un bellissimo settembre”, e che ritorna in questo teatro nelle parti multiformi della zia March — ringhiante — e del vampiro. Come hai lavorato per costruire questi personaggi?

Gianluca Ferrato (GF): Sicuramente mi sono fatto molto suggestionare dalla mia fantasia, dalla capacità di lasciarmi andare, di divertirmi…Credo sia l’aspetto più importante in uno spettacolo come questo, cioè la possibilità di divertirsi, di rendere al pubblico la stessa gioia che hai tu a fare due personaggi così folli, così sopra le righe. Non mi sono ispirato a niente e a nessuno, perché il vampiro è quasi classico, quasi cinematografico. La zia March invece è un’invenzione già preesistente, perché questo spettacolo quando fu fatto aveva già questo tipo di caratteristiche. Quando negli anni Settanta fu fatto da Luca Biagini, che tra l’altro è un eccellente attore: mi sono ispirato a quello, perché quello era il dettame della regia, e poi ci ho inventato delle cose mie, ci ho messo del mio, come si dice in questi casi. Con il risultato che mi sono divertito molto, anche per me, come per Donatella, anche se il suo percorso è molto diverso dal mio, anche per me è un bagno di follia, molto diverso dalle cose che ho fatto negli ultimi anni, quindi anche per questo è una bella scommessa, un modo di divertirmi. E devo dire che incontrare Donatella è stata una cosa molto bella, non lo dico perché l’ha detto lei, ma per il fatto di averla tanto ammirata, voluta bene… Poi io sono una di quegli attori a cui piace tanto stare con le persone che piacciono sul palcoscenico. Patisco quando non è così. Stare con Donatella sul palcoscenico è bellissimo, anche se in realtà abbiamo poche occasioni per incontrarci, e questo mi dispiace… Però mi piace molto, l’ascolto sempre in quinta quando canta perché è sempre una grandissima gioia ascoltarla, avere il suo plauso anche quando montavamo lo spettacolo è stato molto piacevole, sono molto contento di questo, e uno degli aspetti più belli dello spettacolo è proprio di aver incontrato Donatella.

GG: è comunque una commedia in cui si vede che c’è una grande armonia tra attori e ballerini e cantanti. Invece, ricordavi che questo spettacolo non è al suo primo allestimento, ma ha debuttato alla fine degli anni Settanta se non sbaglio. Una domanda che volevo fare ad entrambi, appunto insieme su un palcoscenico, all’interno di un musical, che è un genere alquanto particolare. Almeno qua a Trieste non capita spesso di vedere musical. E forse anche nel resto d’Italia non è un genere che vada molto. Mi viene in mente la Compagnia della Rancia, Garinei&Giovannini… ma insomma, è un genere che o è molto amato — un po’ come l’operetta — oppure lascia un po’ scettici, un po’ distanti. Dal vostro punto di vista, con esperienze diverse, avendo già lavorato, se non sbaglio anche ultimamente, in un musical…

DP: Sì, questo spettacolo che ho appena presentato in questa stagione a Roma al Teatro Greco, è una mia creatura insieme a Renato Greco e a Rosario Galli, alla quale sono molto affezionata. L’abbiamo appena messo in scena, però ci auguriamo che abbia lunga vita perché è partito molto bene, ed è anche questo un musical, che apparentemente ha un sapore vagamente hollywoodiano per certi versi, anche un po’ con un occhiolino a Broadway, ma che in realtà è profondamente italiano. Quindi la cosa che molto ha amato il pubblico, è che c’è questa eleganza di una commedia italiana, che è divertentissima, ma che poi ha questo grande respiro del musical americano. Il discorso che si faceva sul musical e questo spettacolo: quando nacque questo spettacolo, era un periodo in cui il musical in Italia non era ancora arrivato, quindi faceva parte di un altro tipo di tradizione. All’epoca chiaramente fece scalpore proprio per questo. Oggi, non a caso si ripresenta sul mercato intanto con uno staff di attori che cantano molto bene, si sanno muovere, nella fattispecie il mio personaggio è stato inventato in questa edizione, perché prima assolutamente non c’era: era semplicemente indicato da due grandi labbra che parlavano da una voce fuori campo, era indicativo. Senz’altro questa operazione è più attuale rispetto a quella che era all’epoca, è un’operazione un po’ a cavallo tra quello che era il musical vero e proprio e la commedia musicale all’italiana, quindi ci si può ritrovare un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Senz’altro il pubblico italiano ancora non è molto preparato soprattutto a vedere delle cose italiane. Perché magari è abituato a sentire spettacoli come “Chorus Line”, piuttosto che “My fair lady”, con dei riferimenti talmente popolari, per cui diventa quasi una cosa di tradizione, anche se non proviene da casa nostra. Vedere “Piccole donne” in forma di musical, con una lettura completamente diversa, e quindi con questa musica contemporanea, attuale, moderna, quasi pop in certi momenti, certo è un po’ spiazzante, perché non è né la lettura classica del musical all’americana, né la commedia all’italiana di Garinei&Giovannini.

GG: Sì, volevo solo completare la domanda e chiedere come si vede da un punto di vista privilegiato il futuro del musical in Italia.

GF: Sicuramente è un genere che in questo momento sta diventando talmente imperante che è facile pronosticargli un grandissimo successo. Mi riallaccio a quello che dice Donatella, che credo sia molto vero, che mi piacerebbe moltissimo che si trovasse un linguaggio nostro, perché è chiaro che “Chorus Line”, “Sette spose per sette fratelli” sono titoloni, ma si può trovare anche un linguaggio, come ha fatto Donatella con il suo “Backstage”, come ho fatto io in uno spettacolo musicale, dove le tracce erano soltanto di musica nostrana. Mi piacerebbe che la tradizione di Garinei&Giovannini così importante vada attualizzata e continuata. Abbiamo straordinari musicisti…penso al mio amico Maurizio Fabrizio, che magari non ha avuto la possibilità di rendere note le sue musiche. E spero che questo accada, più che in “Chorus Line”, trovando una nostra dimestichezza nel linguaggio musicale.

GG: E invece un’altra curiosità che esula un po’ dallo spettacolo in sé. Ma vedendo la resa fisica che avete in scena, oltre la splendida voce, anche la freschezza, perché ballate, cantate, saltate, mi chiedo — e penso tanti se lo sono chiesti in sala — qual è la preparazione che richiede questo, qual è il vostro modus vivendi per prepararvi a questi spettacoli e in generale.

DP: Diciamo che ognuno di noi ha poi il proprio modo di tenersi in allenamento. Io, la vecchierella del gruppo, la mamma, saltello un po’ meno, però indubbiamente se si deve rendere così in scena, ci si scalda: come un buon atleta, le ragazze vengono un po’ prima. Un pochino questo si fa, poi entra anche in gioco l’abitudine, l’allenamento a fare questo lavoro. Io confesso una cosa che forse può scandalizzare, ma, nonostante io abbia fatto per anni tanto teatro musicale, non sono una di quelle cantanti che si chiude mezz’ora prima in camerino a far grandi vocalizzi. Lo confesso, forse farò scandalizzare chissà quanti, ma no, onestamente: certo, faccio i famosi test, la mattina se mi sveglio che mi sento raffreddata, allora comincio a vedere se le note acute si aprono, se le sento… Certo, questo sì. Se non mi sento con la voce pulita posso fare queste verifiche. Poi in realtà il teatro è bello perché ci si tuffa in questa piscina insieme al pubblico, cercando di entrare in questo grande mare, e si va. Perché poi più si va in questo grande mare, più il divertimento è vero, meno costruito: chiaramente affiancato da una grande presenza professionale, quindi con grande consapevolezza, ma anche con grande, non dico incoscienza, ma divertimento, gioco: “We have to play”.

GF: Sì, io devo dire sono molto d’accordo con lei, nel senso che, postulato che uno abbia una tecnica, anche io sono uno che deve cantare per due ore e mezza per questo spettacolo, ma certo non mi chiudo lì in camerino… Anch’io considero di avere la voce a posto, so dove andare ad appoggiare i suoni, e vado, non mi metto lì a gorgheggiare…

GG: E aldilà della voce, proprio la preparazione fisica?

GF: Ma, la preparazione fisica, col numero degli anni che aumenta, uno si tiene in allenamento, cerca di mangiare bene. Io ad esempio cerco di non mangiare dopo lo spettacolo, ognuno ha un proprio modo di organizzare la vita quando è chiamato a fare prestazioni di questo genere, che non è Pirandello, dove hai la possibilità di utilizzare comunque la voce e il corpo, ma in maniera completamente diversa. In questo caso, uno si prepara, io ad esempio sono andato a correre tutti i giorni prima di cominciare le prove.

GG: Ecco, questo volevo sapere, piccoli trucchi…

GF: Sono arrivato qui essendo andato a lezione di danza prima. L’altr’anno quando cominciammo le prove ero strapreparato col fiato. Gino Landi mi ha insegnato una cosa molto carina, una sciocchezza. Io quando vado a correre canto a voce alta, fa il fiato.

DP: Questa cosa di allenarsi cantando prima in jogging e poi in corsa allena i fiati effettivamente. Io quando vedo che i miei allievi hanno problemi di fiati, questo è il modo per allenarli. Io invece, ho finito “Backstage” ventiquattr’ore prima di venire in prova qua, quindi sono arrivata col fiato lungo all’aeroporto.

GG: Ecco, un’ultima domanda per entrambi. Inizio stavolta da Gianluca: tu ti sei formato al Piccolo Teatro di Milano, quindi con Strehler. Se volevi intanto fare un ricordo di Strehler, che è legato come sai alla città di Trieste.

GF: Ti ringrazio che me lo chiedi. Ho un ricordo bellissimo legato a lui e all’apprendistato che è stato importante, e a segnali di vita — come dice Battiato — che mi ha lasciato molto forti, e che io mi ritrovo. Devo dire una cosa: che probabilmente non sarei stato in grado di affrontare il teatro musicale con la stessa serietà con la quale l’ho affrontato, se non avessi avuto un apprendistato che è passato attraverso di lui, Giancarlo Cobelli, Randone. Insomma, tutto un mondo che della commedia musicale sapeva pochissimo. Devo dire che ricordo molto bene quando Strehler al terzo anno ci chiese qual era il sogno della nostra vita. Io dissi: il sogno della mia vita è fare Garinei&Giovannini. Lui rimase molto sbalorditi di questo, perché tutti avevano detto “Donne del mare”, “Casa di bambola”, io dissi “Accendiamo la lampada”! Quando io poi ho realizzato questa parte del mio cuore che era poi quella che batteva più forte, poi lui è stato uno dei primi a spingermi verso questa direzione. E mi disse dopo, dopo proprio una commedia di G&G: sono contento che tu abbia fatto questa scelta così definitiva. Ho un ricordo molto bello e molto importante di lui, mi ha lasciato cose grandissime, tante quante me le hanno lasciate i miei “cosiddetti” maestri. In sostanza incontri brutti ne ho fatti pochi, qualcuno ma evito di dirlo per non dargli nessuna popolarità. Gli incontri del “teatro leggero” sono stati anche molto belli. Quindi da una parte un apprendistato serioso, poi sono passato a questo che credo sia un po’ la mia carriera definitiva, anche se poi non escludo di tornare a fare cose che non prevedono la musica, perché ho avuto anche in questi ultimi anni grandi soddisfazioni. Però devo dire che stare su un palcoscenico a cantare è una sensazione difficilissima da spiegare, che dona un senso di completezza rispetto questo lavoro.

GG: Infatti mentre guardavo lo spettacolo — un pensiero banale — riflettevo su quanto può essere a tutto tondo uno spettacolo in cui si può cantare, recitare, suonare.

DP: Infatti volevo legarmi a questo discorso del teatro per così dire “leggero”, così definito soprattutto da chi opera nel teatro cosiddetto di tradizione, classico. Ogni linguaggio teatrale prevede un modus d’essere approcciato, però non è sicuramente così leggero come la parola stessa lo vorrebbe definire. Apparentemente, perché siccome è un teatro che fa più sorridere, allora probabilmente può sembrare più leggero. In realtà avere un impegno completo fisicamente dell’artista sul palcoscenico — ed è anche questo che manca un po’ come tradizione nelle scuole, cioè di far capire che la recitazione, il canto, e la conoscenza del corpo che poi diventa danza in alcuni momenti, sul palco, è qualcosa che va legata insieme, poi nello specifico in alcuni casi si sfrutta più una disciplina che un’altra. Ma forse è proprio questo teatro leggero, è quello che richiede più all’attore, anzi gli richiede tutto, e gli permette di esprimersi al massimo, se vogliamo. Io ho delle radici diverse da Gianluca, non ho studiato con Strehler e questo chiaramente mi dispiace molto, perché non ho nemmeno avuto modo di conoscerlo. Ho avuto incontri con personaggi diversi, parlo del mio incontro con Nicola Piovani e Vincenzo Cerami, che ha segnato quasi la nascita di una compagnia stabile, essendo insieme per undici anni continuativi. Ho avuto la fortuna di lavorare anche con Garinei, con Gigi Proietti, sia al suo fianco, sia presso la scuola dove insegna, preparando delle regie di suoi spettacoli, e poi ho avuto la fortuna di avere uno spettacolo creato e diretto per me, recital, che è andato per due anni in scena. Personaggi diversi: sono convinta che ogni incontro porta comunque qualcosa, non rinnego neanche le cose più lontane, alle origini, festival internazionali, piuttosto che colonne sonore di film. Cioè, ogni tassello della nostra carriera, del nostro cammino poi ci porta come risultante a quella cosa che stiamo facendo in quel momento. Quindi siamo una specie di mosaico che si costruisce. Da ultimo volevo dire di questa esperienza dell’insegnamento, cui mi ha spinto un po’ proprio Proietti, mi arricchisce moltissimo: spinta e sostenuta da lui, mi arricchisce moltissimo, perché ho scoperto che mi dona una capacità di crescita continua: è un viaggio parallelo, tra quello che si fa sul palco e quello che si fa per i giovani. Ti arricchisce moltissimo e ti rinnova continuamente.

GF: Perché permette anche di migliorarti continuamente, si impara anche più che da certi spettacoli, siccome loro hanno un grande desiderio di imparare, tu sei solleticato a metterti in gioco.

GG: D’accordo, io vi ringrazio tantissimo, siete stati molto gentili, in bocca al lupo per gli spettacoli di questi giorni e per la tournée che si presenta ricca e variegata. Alla prossima.

GF: Grazie!

DP: Grazie!

Piccole donne: il musical! venne ideato alla fine degli anni ’70 in un periodo in cui presentare in Italia uno spettacolo musicale in cui entrano contemporaneamente in scena ballerini, cantanti e attori, era assolutamente inconsueto.
Affascinato dalle potenzialità che la musica può imprimere alle corde di uno spettacolo teatrale, Pulci non intende affatto realizzare una copia dei più classici musical americani, bensì creare uno stile nuovo, mai praticato in precedenza, dove la sonorità non è protagonista della scena ma sorregge, accompagna ed esalta il gioco del teatro.
Il celebre testo della Alcott è la base, il pretesto che dà vita allo spettacolo, il quale poi però si muove per percorsi propri attraverso il gioco teatrale, con ironia verso i musical americani, esasperando certe pose da anni ’50, un po’ fumettistiche e molto patinate e stravolgendo di continuo le “regole del gioco”.
Proveniendo da esperienze di teatro sperimentale, Pulci si contrappose agli schemi usuali del teatro cercando una nuova forma di comicità – ampiamente ripresa e sfruttatadalle esperienze per lo più televisive degli anni successivi – una comicità legata alle situazioni più che alle battute, fondata su un gioco di esasperazione. Il tutto costruito con grande rigore e professionalità, senza scadere nella volgarità o nella banalità. In una sorta di metafora svelata che mostra il meccanismo teatrale nel suo svolgersi, si mettono alla berlina i clichè più scontati e artificiali.
E perché il gioco teatrale funzioni al suo meglio, fondamentale rimane il ritmo serrato dello svolgersi dello spettacolo dove in ogni momento il pubblico può rimanere spiazzato.

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