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Scrittura

Divina Duse

Eleonora Duse nacque nel 1858 su un treno che attraversava la Lombardia. Apparteneva a una famiglia di attori veneti che si spostava continuamente per lavoro e già a quattro anni debuttò in teatro interpretando Cosetta ne “I miserabili”. A quattordici anni si rivelò come Giulietta nel dramma shakespeariano all’Arena di Verona e a diciannove riscosse il primo grande successo in “Fourchambault” di Augier ai “Fiorentini” di Napoli. Trascorse praticamente tutta la vita sul palcoscenico. Non è esagerato dire che in teatro nacque e in teatro morì. Nel 1924 infatti era impegnata in una tournée americana quando la tisi di cui soffriva da anni la stroncò a Pittsburgh.

La “Fondazione Giorgio Cini”, festeggiando nel 2001 il cinquantesimo anniversario della sua istituzione, ha allestito un’importante mostra sulla massima attrice italiana d’ogni tempo, “Divina Eleonora — Eleonora Duse nella vita e nell’arte”, nella sede storica della Fondazione sull’isola di S.Giorgio a Venezia. è un’occasione per vedere buona parte del materiale compreso negli archivi dusiani della Fondazione, di pertinenza dell’Istituto per le Lettere, il Teatro e il Melodramma di Venezia. Questo patrimonio eccezionale fu donato alla Fondazione nel 1968 dalla nipote della Duse, la monaca Sister Mary of St.Mark, e successivamente è stato incrementato da altre donazioni private.

L’allestimento dell’esposizione, curata dallo scenografo Pier Luigi Pizzi e che è arricchita da materiale proveniente anche dal Museo teatrale alla Scala di Milano e dalla Biblioteca nazionale di Parigi, propone un percorso della memoria attraverso alcuni ambienti ricreati. Si parte da Venezia, città a cui l’attrice fu sempre molto legata: una serie di fotografie d’epoca illustrano la casa della Duse e la splendida terrazza con vista sui tetti veneziani in cui l’attrice è immortalata. Attorno, alcuni manichini indossano diversi abiti che le appartennero: tuniche, vestiti di scena, molti mantelli col cappuccio che lei adorava. I sarti sono grandi nomi della sartoria europea, come Mariano Fortuny e Paul Poiret. E i materiali dell’epoca, velluto, taffetà, seta ricamata in oro, murrine applicate, ci riconsegnano intatto il fascino e il gusto di allora.

Numerosi sono i ritratti dell’attrice, dalle fotografie di Edward Steichen e del suo amico il conte Giuseppe Primoli, ai quadri di Gordigiani e Franz von Lenbach. Il nome di tanti artisti stranieri dimostra la straordinaria fama che la Duse riscuoteva in tutta Europa, in America, in Russia, nell’area mediterranea. A ventidue anni interpretò “La principessa di Bagdad” di Dumas figlio che le scrisse un’appassionata dedica sul copione che oggi è qui in mostra. Anni dopo la Duse sarebbe stata la protagonista, tuttora insuperata, del capolavoro dello scrittore francese, “La signora delle camelie”.

Il processo artistico dell’attrice, che partì dal dramma popolare per trasformarsi in una dimensione letteraria sognante, è caratterizzato anche dagli uomini che la influenzarono. Già interprete eccellente del teatro naturalistico (Zola, Verga), accrebbe la sua fama per la relazione con l’attore Flavio Andò che fu per lei tra i migliori partner sulla scena. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento il suo mito si esaltò nei teatri di tutta Europa mentre la sua ansia di rinnovamento e approfondimento, grazie anche al suo profondo rapporto con Arrigo Boito che la indirizzò a testi con più alti valori poetici, trovò soddisfazione nell’estetismo decadente di cui diventò appassionata protagonista.

Qui la sua strada s’incrociò a quella di d’Annunzio. Un busto con le fattezze della Duse, realizzato da Arrigo Minerbi, troneggia sulla scrivania che fu del poeta e che arriva, come altri oggetti esposti, dal “Vittoriale degli Italiani” di Gardone Riviera. Tra i due s’instaurò un complesso rapporto in cui amore, attrazione personale, interesse pratico e curiosità intellettuale si mescolarono in modo inestricabile per entrambi. La passione scoppiò nel 1894 a Venezia, città in cui d’Annunzio ambienterà la storia del romanzo “Il fuoco”, che attinge fortemente alla loro relazione. Lui la seguì in tournée in Egitto, in Grecia, come testimonia l’album di foto presente in mostra. Nella campagna fiorentina il poeta prese in affitto una villetta, “La Capponcina”, vicino alla casa della Duse, “La Porziuncola”, e da allora praticamente convissero, dando scandalo.

L’attrice divenne la protagonista ideale del teatro dannunziano: “Sogno di un mattino di primavera” venne scritto per lei in soli dieci giorni dal poeta. Seguirono “La Gioconda”, “Gloria” (il cui manoscritto di d’Annunzio è qui esposto), “Francesca da Rimini”. Nel 1900 fu pubblicato “Il fuoco”, romanzo che lo stesso poeta ammise “farà soffrire persone sinceramente amate”: il personaggio della Foscarina, in cui non è difficile riconoscere l’attrice, fornisce un’immagine ingenerosa della Duse, descritta con i suoi amori passati e l’allora decadenza fisica. Sorse uno scandalo, alimentato da amici comuni indignati come Matilde Serao, e il romanzo ebbe un incredibile successo: centro pulsante della storia è lei, trasfigurata in diva barocca che riempie la scena, l’unica, come scrisse d’Annunzio, “capace di trasformare la vita in teatro”. Malgrado tutto lei, che lo chiamava “figlio” per i cinque anni di differenza, lo autorizzò a pubblicare il libro ma il loro “patto di lavoro” terminò definitivamente quando lui la tradì artisticamente: due grandi tragedie, destinate alla Duse, “La città morta” e “La figlia di Iorio”, vennero affidate la prima alla grande Sarah Bernhardt, rivale francese della Duse, e la seconda a Irma Gramatica, l’attrice nativa di Fiume che era stata allieva della Duse.

L’ultima sezione della mostra ci fa entrare nel camerino della diva, forse la parte più intima della sua vita passata sempre sul palco. Si alternano, confusi, gli oggetti più diversi: lettere di esponenti del teatro e della letteratura da ogni parte del mondo, la corrispondenza tenerissima alla figlia in un misto di italiano e francese, un prezioso orologio Cartier, i tanti passaporti, un servizio da tè da viaggio, i suoi appunti sui copioni, lo spartito dell’inno nazionale norvegese usato per “La donna del mare” di Ibsen, e soprattutto il suo leggendario baule, oggi proprietà dell’attrice Claudia Koll.

Dal 1904 al 1909 Eleonora Duse rinnovò il suo repertorio e si fece interprete di Ibsen, riproponendo anche “Casa di bambola” e “Hedda Gabler”. Collaborò con innovatori della scena come Gordon Craig e personalità del teatro come Lugné-Poe. S’impose inoltre uno stile recitativo vicino a Copeau e Stanislavskij. Poi tra il’09 e il’21 si ritirò dalle scene, durante quel periodo interpretò solo il suo unico film, “Cenere” (1916) per la regia di Mani. E nel fondo di una sala si possono ammirare alcuni spezzoni di questa pellicola, tratta dal romanzo di Grazia Deledda, a cui la Duse collaborò per la sceneggiatura e il montaggio. è l’unica occasione per vedere in movimento questa donna straordinaria, seguirne la proverbiale mimica, farsi sedurre dal suo sguardo intenso, leggermente strabico.

Nel’21 la Duse si ripresentò in scena con una modernissima essenzialità di mezzi espressivi che conquistò ancora una volta il pubblico e la giovane critica. Propose, tra l’altro, “La porta chiusa” di Praga e “Così sia” scritto per lei da Gallarati Scotti. Il critico Silvio d’Amico, che per lei usava sempre la maiuscola nella parola Attrice, ricorda nella sua cronaca di uno spettacolo a Roma l’ovazione interminabile quando era entrata in scena, le ventiquattro chiamate al termine della recita, il palco pieno di fiori. Il firmamento cinematografico era già pieno di stelle ma la vera divina brillava a teatro.

Cechov, durante un suo soggiorno in Italia a fine Ottocento, assistette a una sua interpretazione. Al termine dello spettacolo gli fu chiesto il suo parere sulla Duse. Rispose: “Io non conosco l’italiano ma stasera ho capito ogni parola”. Tra le locandine dei teatri di mezzo mondo e le ironiche caricature di Ciro Galvani, sono esposti anche i libri dei conti delle sue compagnie. Perché oltre che essere una grande attrice, la Duse era una donna manager, che nel 1885 diventò capocomica fondando con Andò la Compagnia Drammatica della città di Roma e nel 1914 diede vita alla Libreria delle attrici sempre a Roma.

La Duse proseguì il suo appassionato e trionfale pellegrinaggio fino alla morte. Ultima rappresentazione in Italia nel’22 al teatro “Verdi” di Trieste per la ripresa di “La città morta” di d’Annunzio e “Spettri” di Ibsen. Ultima tournée negli Stati Uniti nel ’24: da Pittsburgh la sua salma sarà portata ad Asolo, dove l’attrice aveva infine scelto una dimora tranquilla e appartata. Tra Otto e Novecento la Duse fu il simbolo della ricerca di un’identità nazionale e, consapevole di ciò, riuscì a fondere le tensioni espressive e drammatiche all’esperienza della fatica quotidiana di vivere. Vicina alle corde popolari ma anche astratta come idolo del palcoscenico. La più grande attrice del suo tempo. Visionaria, carismatica, docile, dolorosa. Nessun’altra come lei. Divina Eleonora Duse.

Eleonora Duse nacque a Vigevano nel 1858, proveniente da una famiglia d’arte, girovaga e povera; fin dall’infanzia, quindi ebbe dimestichezza con il palcoscenico e giovanissima fu un’acclamata Giulietta nell’Arena di Verona (1873). Ma la sua fama ebbe inizio con la Teresa Raquin di Emile Zola per essere definitivamente confermata, con la Principessa di Baghdad di Dumas, come primattrice della compagnia Città di Torino.


Entrò presto nei salotti scapigliati milanesi grazie all’amicizia con Arrigo Boito, conosciuto durante la messa in scena della Cavalleria rusticana di Verga nel 1884. Le cronache ricordano la vastità del suo repertorio, che spaziava dal teatro classico inglese a quello francese, ma soprattutto viene sottolineato l’interesse maturato dalla Duse sul finire dell’800 verso la drammaturgia contemporanea in special modo italiana. Infatti con Gabriele D’annunzio ebbe a partire dal 1897 un rapporto particolarissimo, dal momento che ‘attrice interpretava le opere che il poeta scriveva appositamente per lei (“Il sogno di un mattino di primavera”, “Gioconda”, “La città morta” e naturalmente la più nota e forse anche la più bella delle opere dannunziane: “La figlia di Iorio”). La Duse interpretò un unico film “Cenere” diretto da Febo Mari nel (1916) e si ritirò dalle scene nel 1909, per tornare nel 1921 con un repertorio ibseniano e naturalmente per riproporre l’amato D’Annunzio. Morì a Pittsburg nel 1924

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