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Cinema

Alakus Buket

Anam

Siamo con Alakus Buket, giovane regista turca che ha presentato all’alpe Adria Film Festival 2002 il suo primo lungometraggio Anam.

Martina Palaskov-Begov (MP): Parliamo dei tre diversi significati della parola Anam…

Alakus Buket (AB): In italiano, non so se la mia pronuncia sia giusta, sarebbe…. “Mamma Mia!” Il primo significato, appunto, si riferisce a quando un uomo vede una bella donna e bisbigliando dicesse “Anam”. Però Anam può anche gridarlo un bambino alla sua mamma quando è caduto a terra e si fa male. Il terzo significato si riferisce per lo più a delle donne anziane che vedendo piccoli “bambini” dolcemente dicono “Anam” per indicare quanto dolce sia la creatura.

Quando stavamo cercando un titolo per il film, ho pensato alla mia protagonista come alla migliore delle madri. Infatti, lei è bella, è molto dolce, quindi abbiamo deciso di chiamarla così. Abbiamo cercato di far leva sul significato del nome per conquistare il pubblico turco, proprio per i tre modi diversi di interpretare il sostantivo.

MP: Quindi lei non ha scelto un significato in particolare?

AB: No, la mia Anam ha in sé tutte e tre le caratteristiche del nome. Si può alternare il significato a seconda delle situazioni in cui la donna si trova; è una donna molto attraente, ha un volto bellissimo, a volte sembra avere un’espressione molto dura e a volte invece molto vecchia poiché attraversa dei momenti difficili, assieme ad altre donne. Il film è un film sulle donne.

MP: Da dove ha ricavato l’idea per il film?

AB: Io vivo in Germania, ad Amburgo, e ho vissuto per molto tempo tra le strade che sono protagoniste nel mio film, e ho visto molti ragazzi tossicodipendenti. Ciò mi fa molto arrabbiare, soprattutto quando vedo ragazzi turchi o d’origine turca avere a che fare con questa robaccia. Vede… io capisco quello che si dicono tra loro, posso sentirli…

Penso sempre a dove possono essere i genitori di questi ragazzi, proprio loro che hanno messo al mondo questo essere e dopo ci rinunciano.
Ho pensato parecchie volte di dover girare un film su quest’argomento. Poi ho pensato al sesso del mio eroe, e ho detto a me stessa “è facile essere un uomo, un uomo è forte, è un terminator”, invece non sembra per niente facile essere una donna turca per affrontare una situazione del genere. Non è facile essere una donna delle pulizie che vive in famiglia osservando una rigida tradizione turca.

Ho pensato a tutte queste realtà. Lei (Anan, la protagonista del film, n.d.r) è una donna che non può permettersi un avvocato, ad esempio. è costretta ad andare personalmente alla ricerca del figlio tossicodipendente. Quando cammina attraverso questi vicoli, si vede come lei gradualmente acquisti potenza e forza. La madre sente come una donna, riesce ad assaporare la bellezza della gioventù e della vita, sorride. Questa ricerca la porta infine a crescere, a comprendere tanti particolari del suo carattere che non conosceva.

Ho pensato di comunicare al pubblico che quando una cosa la si vuole veramente la si può ottenere.

MP: Si potrebbe pensare ad un film su tutte le donne in generale, non solamente donne turche…

AB: Si, assolutamente. Alla fine della pellicola io dedico il film a mia madre però in fondo penso sia un regalo per tutte le madri. Penso alle madri, che sono in grado di creare una persona, sono in grado di allattare, produrre latte… sembra stranissimo, una cosa da extraterrestri… è speciale.
La mia donna mostra come essere una donna, debole paragonata ad un uomo, ma sempre in grado di crescere e di capire. Infatti, nel film ho cercato di far vedere i tanti volti della mia protagonista, volevo far notare bene al pubblico questo processo di trasformazione del personaggio.

MP: Ci sono anche tante altre donne nel film; mi riferisco alle amiche di Anam, alla figlia, alla ragazza del figlio che lei cerca di soccorrere…

AB: Cinque, cinque donne molto diverse tra loro. La bambina piccola è molto furba, quando l’ho vista durante il casting ho deciso subito di ingaggiare lei proprio per quel suo volto sveglio, sembra un piccolo demone. Poi c’è la donna di colore, amica di Anam (Audrey Motaung).
Lei non è un’attrice professionista. Audrey in Amburgo canta, il suo mestiere è quello. Quando l’ho vista esibirsi per la prima volta ho notato la potenza che il suo carisma emanava, quando lei sorride il mondo intero sorride ed ho pensato che lei sarebbe dovuta essere Didi.

La donna tedesca (Saskia Vester) è molto brava, penso che lei possa essere facilmente in grado di recitare la parte di una regina come quella di una donna povera. Poi ancora Patrycia Ziolkowska, una principiante ma perfetta per la parte da tossicodipendente.

Per quanto riguarda l’attrice principale Nursel Kōse… be’, lei è un’attrice molto versatile, viene dal cabaret. Quando l’ho vista ho pensato a quanto tipica fosse la sua faccia. In Germania, le persone sono abituate a vedere le donne turche con un fazzoletto in testa, e probabilmente pensano che sotto quel fazzoletto cerchino di nascondere dei difetti. Invece si tratta di una donna bellissima, dai mille volti per l’appunto che vengono mostrati al mondo nel momento in cui lei quel fazzoletto lo toglie.

Sono un piccolo gruppo di donne, forti. Quando dormono a letto tutte e cinque insieme, hai l’impressione di vedere delle persone che ridono e che scherzano. Per una donna penso che la situazione possa dar adito a immedesimazioni. Alcuni uomini italiani mi hanno avvicinato dopo la proiezione del film e mi hanno fatto capire quanto a loro volta anch’essi siano stati toccati dalla mia storia. Quindi ho pensato a quanto la pellicola fosse adatta anche per un pubblico maschile e non soltanto femminile.

MP: M’interessava molto il fazzoletto che le donne turche devono indossare per portare rispetto verso i propri mariti. Quest’usanza è ancora molto in voga in Turchia oggi?

AB: Si molto, perché la Turchia è divisa a metà. Alcuni sono molto tradizionali e impongono alle mogli di indossare il fazzoletto, per una questione religiosa o semplicemente perché il marito è geloso.

Ho voluto avere la mia protagonista abbigliata in quel modo per far vedere che la sua era una famiglia che segue le tradizioni turche, anche in Germania. Quando lei cresce, si rende conto di non avere più bisogno del fazzoletto perché la fede viene dal cuore senza che ci sia il bisogno d’esternarlo attraverso un accessorio d’abbigliamento.

È come se lei improvvisamente decidesse di essere libera e di ricominciare.

MP: Lei parlava di questa realtà divisa. A Istambul ciò è geograficamente molto chiaro. La città è divisa in due, una parte europea e una asiatica. Questo doppio modo di vivere lo si riscontra anche in altre città turche?

AB: Si, ovunque è così. Le persone sono molto diverse e la cultura turca è una cultura molto eterogenea e variegata. Capita avvolte di vedere soltanto donne sposate indossare il fazzoletto, avvolte invece il tradizionalismo si estende a tutta la famiglia, allora anche le bimbe devono indossare il velo. Io, per esempio, non lo ho mai indossato. Nursel temeva che, indossandolo, la sua bellezza venisse sminuita. Ho cercato più volte di farle capire il perché del fazzoletto doveva essere in indossato. Vede, l’attrice è molto bella, quando cammina per strada tutti si girano a guardarla. Mi disse ” se io indosso il fazzoletto nessuno mi guarderà più” (ride).

MP: Dopo l’undici settembre, che cos’è cambiato in Turchia e che cos’è cambiato nella comunità turca in Germania?

AB: La gente sembra essere molto confusa. In Palestina e a Gerusalemme combattono, combattono per la religione. Però, per quanto stupido possa essere, lo fanno da un sacco di tempo. In America invece, non sono abituati ad attacchi di questo tipo. Si tratta di una cosa incredibile.

La gente turca ha molta paura, poiché crede nello stesso Dio che altri, terroristi e selvaggi, credono di venerare. I turchi, attraverso il fazzoletto, per esempio, esplicitano le loro appartenenze religiose. Adesso alcune donne turche in Germania temono di far veder troppo a che cultura appartengono proprio perché non vogliono che nessuno pensi che hanno qualcosa a che fare con chi ha terrorizzato gli Stati Uniti. Io stessa non potevo crederci, ho pensato inizialmente a un film ad uno scherzo. Poi non riuscivo a muovermi, non credevo ai miei occhi. Penso che per la comunità turca sia lo stesso, ne parlano ma hanno paura.

MP: La comunità turca in Germania è riuscita in qualche modo ad integrarsi con il resto della società?

AB: Dipende dalla famiglia e dal tipo di cultura che regna in casa. Quelli più restii ad accogliere le tradizioni europee non hanno grosse esigenze d’integrazione, mentre le persone con cui lavoro io — cineasti, attori, artisti in generale — non hanno di questi problemi. Anzi, la multiculturalità sembra essere all’ordine del giorno.

Io conosco persone non solo tedesche ma anche coreane, italiane, americane. Preferisco essere libera ed aperta a qualsiasi cultura e società. Però credo anche che la gente tenda ad andare alla ricerca di persone che hanno le loro stesse abitudini e stili di vita. Questo capita in Italia, in Germania e anche in Turchia. Nella comunità turca forse questo è più evidente a causa delle tradizioni che impongono certi comportamenti.

MP: Volevo parlare del suo modo di lavorare sul set. Con gli attori improvvisa? E come sceglie i suoi movimenti di macchina e la sceneggiatura?

AB: Il mio film è un progetto low budget: i soldi a disposizione erano veramente pochi quindi a volte mi capitava di avere grandi idee per gli spostamenti di macchina ma il mio produttore frenava i miei entusiasmi poiché i ciak erano limitati. Abbiamo cercato di girare in modo molto semplice e lineare. Spero di poter realizzare ciò che avevo in mente per questo film, nel prossimo che intendo fare.

Sto imparando molto, tuttavia, il problema nel cinema sono i soldi, lo sono sempre stati e lo saranno sempre. Pochi soldi portano inevitabilmente a poco tempo. Sono sempre aperta, però, ad accettare idee che arrivano dall’esterno, dai miei stessi collaboratori e attori. Se l’idea funziona io la inserisco, non ho paura di dire che non è roba mia.

La sequenza finale, per esempio, quella in cui lo spacciatore corre dietro ad Anam minacciandola con una pistola in mano. Lei, tranquilla con lo sguardo fisso, cammina a piedi nudi verso l’uscita; è stata un po’ un problema per l’attrice poiché lei tendeva naturalmente ad arrabbiarsi. Io non volevo che lei esplodesse e non volevo che lei reagisse.

Per l’attore che impersonava lo spacciatore, la stessa cosa: gli ho ripetuto di non toccare Anam, volevo soltanto che le gridasse in faccia di fermarsi. Lui però, nell’impeto della recitazione finiva sempre per toccarla e io mi arrabbiavo molto. Quando ci siamo ritrovati a montare la scena mi è venuta un’idea. Ogni volta che l’attore toccava Anam io tagliavo la sequenza.
Quindi ne è uscita quella scena che avete visto nel film: lei cammina, forte della sua potenza, senza guardarlo in faccia e anche se lui sbraita e urla con la pistola in mano si può notare quanto egli sia piccolo, mentre lei è potente, proprio come Gesù Cristo, mentre lui sembra un grosso mostro che vuole mangiarla ma che non ci riesce poiché lei è troppo forte.

Ho avuto la fortuna di poter aggiungere questo effetto alla pellicola montando la sequenza come volevo che venisse girata. Lo stile è un po’ funky ma mi piace molto.

MP: E lei, giovane regista e donna turca in Germania, ha avuto qualche problema?

AB: Non è facile essere una donna in generale. Io sono turca, però non faccio parte delle donne tradizionaliste di cui parlavo prima. So come affrontare i dogmi che impone il tradizionalismo poiché sono stata allevata da una famiglia molto severa. Non sono venuta in Germania pretendendo di essere turca. Una parte di me è turca, quando parlo turco con le persone che come me vengono dalla Turchia.

Quando parlo in tedesco mi considero tedesca. A volte mi capita di sognare in turco e parlare in turco a persone che sono tedesche. Il mio problema è stato piuttosto quello del sesso. Essendo donna nessuno inizialmente si fidava delle mie capacità. Quando entrai nell’ufficio la prima volta per affrontare il progetto, ricordo che la gente pensava che io fossi un’attrice o la costumista… ciò può talvolta costituire un problema.

MP: Ultima domanda. Prossimo progetto?

AB: Ho tante cose in mente, però il problema è sempre quello… il denaro. Ho parlato con il mio produttore, gli porto sempre un paio di storie da analizzare, storie che vengono dal mio cuore.
Quando gli ho portato la mia storia su Anam, all’inizio era molto restio, “si tratta di un film molto difficile”, mi disse “però se vuoi farlo lo facciamo”, allora ci ritrovammo a combattere in due per la pellicola.
Anche questa volta gli ho portato tre storie da leggere e lui come un dottore mi diceva “possibile, impossibile”.

MP: Il film Anam, è stato distribuito in Germania?

AB: Non ancora, ci sto provando, non sembra essere cosa facile. Ho parlato con la Night Hawk produzioni, loro hanno prodotto un interessante film sugli skins in Germania…

Speriamo, io combatto…

La quarantenne Anam, madre e moglie, è una donna turca fedele alle tradizioni. Vive con la famiglia ad Amburgo. Anam fa la donna delle pulizie insieme a Rita, una tedesca estroversa che prende la vita come viene, e a Didi, una donna africana molto superstiziosa. Le amiche sostengono che Anam dovrebbe pensare un po’ più a se stessa e cercare di realizzare i suoi sogni. Ma Anam non riesce ad andare contro i desideri del marito. Il mondo le crolla addosso quando scopre che il figlio maggiore Deniz è tossicodipendente e che il marito ha una relazione con una collega. Disperata va in giro per le strade di Amburgo alla ricerca del figlio insieme alle compagne di lavoro. Decide di prendersi cura di Mandy, la ragazza di Deniz, anche lei tossicomane. Riesce a rintracciare il figlio ma capisce quanto sia difficile aiutarlo. Mandy muore in un incidente, mentre sta tentando di far riconciliare Deniz e la madre. Anam è disposta a tutto. Va dallo spacciatore che rifornisce il figlio.


(fonte: www.spin.it)

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