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Arte

Frida, Diego e Tina (I)

Il Messico dipinto e fotografato, alla grande

Tre grandi protagonisti dell’arte figurativa messicana. E non potrebbero essere più diversi fra loro: Diego Rivera, Frida Kahlo e Tina Modotti.

Come vediamo dai loro nomi, si tratta di un uomo e due donne: lui era di gran lunga il più anziano, perché lo separavano dieci anni da Tina e ben ventuno da sua moglie Frida.

Tre artisti, e tutti tre produssero delle immagini. Ma quali fossero queste immagini, quali la tecnica di produzione e i significati, è tutto da mettere in evidenza, senza prescindere (e non sarebbe possibile) dalle loro particolari esistenze e dall’ambiente storico e sociale in cui i tre si trovarono a vivere, che è poi praticamente il quarto personaggio importante del nostro racconto: il Messico.

La storia di Diego: gli inizi.

Guanajuato è un’antica città del Messico, situata proprio nel cuore dell’enorme altipiano. è piena di ricordi storici dell’Indipendenza e di miniere d’argento, ormai in buona parte esaurite.

Diego Rivera vi nacque l’8 dicembre del 1886 insieme al gemello Carlos, che sarebbe vissuto meno di un anno. I Rivera erano una coppia di piccoli borghesi, lui maestro di scuola e lei una brava levatrice.

Il nonno paterno di Diego aveva combattuto a fianco di Benito Juarez contro gli invasori francesi di Massimiliano, e la nonna materna era di pura discendenza “india”: Diego ne era molto orgoglioso e diceva a tutti di essere un autentico “mestizo”, cosa che la sua stessa fisionomia confermava in pieno.

Quando Diego ha sei anni, i Rivera si trasferiscono a Città del Messico per vari motivi, compreso il fatto che le idee progressiste del padre non sono molto gradite nella pacifica Guanajuato. Il ragazzo viene iscritto a una scuola cattolica, dove si segnala ben presto per la sua precoce capacità di disegnatore, e i genitori lo trasferiscono alla “Academia Nacional de San Carlos”, una delle migliori scuole della capitale nel campo artistico. Papà Rivera pensa a questo suo unico figlio maschio (era nata anche una sorellina) nelle vesti di cadetto in qualche accademia militare, ma Diego non ne vuole proprio sapere. Del resto comincia anche a delinearsi il suo fisico grassoccio, ben poco adatto alle imprese d’armi.

Durante la sua permanenza al San Carlos impara le regole della prospettiva dal pittore José Maria Velasco, e alcuni suoi paesaggi non tardano a portarsi su di un livello quasi pari a quello del maestro. Poi conosce Gerardo Murillo (semplice omonimo del grande pittore del tempo passato), che ha lo strano soprannome di “Doctor Atl”: un grande studioso e conoscitore della cultura pittorica pre-ispanica in Messico. Grazie a lui, ottiene una borsa di studio per l’Europa, trasformando in realtà il primo grande sogno della sua vita.

Diego sbarca in Spagna nel 1907. è un giovane di ventun’anni pieno di speranze e ambizioni, come si sarebbe visto lui stesso in seguito. Trascorre due anni a Madrid, ospite del pittore simbolista Eduardo Aguera, e studia a fondo, al museo del Prado, i capolavori di Velasquez e del Greco. Ma frequenta pure i circoli dell’avanguardia spagnola, dove conosce Picasso, Juan Gris e altri artisti che dividono la loro attività fra Madrici e Parigi. E ben presto ritroviamo Rivera a Parigi, fra i pittori delle scuole “en plein air” sulle sponde della Senna. Arriva fino a Bruxelles, dove conosce la pittrice russa Angelika Beloff che sarà la sua compagna sentimentale per molti anni. Per Diego sarà semplicemente Angelica.

Viaggi e vicende di cuore non diminuiscono il suo entusiasmo per la pittura, e alcuni suoi ritratti su tela, come la “testa di donna bretone” dimostrano già una vigorosa padronanza tecnica del chiaroscuro

La sua borsa ai studio europea scade nel 1910, e deve tornare in Messico. Può esporre, e con molto successo, i suoi migliori quadri a Città del Messico, trovando anche molti compratori, fino a raggiungere la possibilità economica di tornare a Parigi, cosa che lui e la sua compagna fanno con gioia perché nel frattempo nel paese, politicamente inquieto come d’abitudine, si è dimesso il presidente Porfirio Diaz, cedendo il potere a Francisco Madero e dando inizio ai famosi e difficili “Diez años” della Rivoluzione, dieci anni di grossi problemi sociali e politici.


Parigi e il cubismo, poi l’Italia.

Tornato in Europa, Rivera si trattiene prima a Toledo dove si sente affascinato dalla pittura del Greco, che aveva già vista in precedenza, e soprattutto dai suoi paesaggi. Lo colpisce un panorama di Toledo che lui stesso cercherà di imitare secondo lo stesso angolo di prospettiva. è una nuova sovrapposizione di forme e superfici nello spazio, che lo porterà verso la concezione cubista dell’arte. Si trasferisce ancora a Parigi, sempre con la fedele Angelica, dove l’ambiente è molto innovativo e favorevole: una sua esposizione di venticinque opere cubiste ha un buon successo e gli procura il denaro necessario per la continuazione del suo lavoro. Fa ancora un viaggio in Spagna e vi incontra molti amici messicani che vivono a Madrid e formano il gruppo di “los pintores integros”. Poi, al ritorno a Parigi, gli giungono grandi novità dal suo Paese: sono i giorni di Emiliano Zapata, l’eroe più popolare della Rivoluzione in corso. Uno dei suoi quadri cubisti si chiamerà “Paisaje Zapatista”, una sintesi del movimento rivoluzionario (fucile, sombrero, cartucce e altre simbologie): è forse il suo più famoso di quel periodo.

Nell’agosto del 1916 nasce un “Dieguito”, e questo suo figlio gli ispira “Maternidad”, un’altra tavola del suo periodo cubista. Purtroppo il bambino non sopravvive all’epidemia influenzale che imperversa in Europa, la micidiale “spagnola”, e muore a un anno e mezzo di età.

È un periodo tormentato per Diego: ha molte discussioni con Picasso e altri amici francesi, da cui deriva una clamorosa rottura, con il definitivo distacco dal cubismo e dai suoi epigoni. Tornerà ben presto alla pittura figurativa, e si faranno avanti le sue scelte definitive: Cézanne, Renoir, i fiamminghi.

Intanto è entrato in amichevole rapporto con Elie Faure, medico e critico d’arte che diventa uno dei suoi maggiori estimatori e lo induce a praticare un’arte “sociale”, fondata, per esempio, sulla pittura murale come forma di rappresentazione.

Nel febbraio del 1920 l’ambasciatore del Messico a Parigi ottiene per Rivera il finanziamento d’un viaggio di studio in Italia, voluto dal nuovo rettore dell’Università messicana, José Vasconcelos. Diego visita tutti i luoghi dell’arte italiana per la durata di un anno e mezzo, usando la sua straordinaria capacità di accostarsi a ogni cultura, dagli Etruschi fino al Rinascimento. Purtroppo molti suoi quaderni pieni di appunti preziosi, scompariranno senza che se ne sappia mai nulla. Ma quelli che restano, e che parlano delle pitture murali del Trecento e Quattrocento, con gli affreschi di Giotto, sono sufficienti per documentare la grande svolta di Diego Rivera, che sarà quella definitiva.

In Messico, José Vasconcelos è diventato ministro della cultura, e insiste affinché il suo protetto si dedichi completamente ai “murales” nei pubblici uffici della nazione, il mezzo più suggestivo per spiegare al popolo la storia e le vicende della sua Patria.

Intanto la vita privata di Rivera, specchio fedele del suo carattere inquieto, ci offre ancora alcune cose singolari: lascia a Parigi Angelica Beloff, e ha una figlia da un’altra sua compagna, artista russa lei pure e per di più buona amica di Angelica.

Al definitivo rientro in Messico perde ogni contatto con entrambe le donne, pur continuando a spedir loro del denaro per mezzo di amici: non si potrà definirlo un marito e un padre esemplare, anche se generoso.

Con questo ritorno in Patria, il capitolo “Europa” sarà definitivamente concluso. Lo attendono altre esperienze molto importanti, come uomo e come artista.


Pittura murale e ideale post-rivoluzionario.

Siamo a metà del 1921. Rivera fa appena in tempo a raggiungere il suo Paese, che si trova già coinvolto -quasi d’autorità — nel programma governativo tracciato dal ministro Vasconcelos. Sono trascorsi gli storici dieci anni della guerra civile e, come abbiamo già visto, il nuovo governo vuole che i cittadini conoscano la loro storia per mezzo delle pitture murali, affidate ai più competenti artisti disponibili: Rivera innanzitutto, ma ci sono anche Siqueiros, Orozco e alcuni altri, di cui diremo fra poco.

Vasconcelos si fa promotore d’un dettagliato viaggio culturale di questi pittori attraverso i cimeli archeologici della civiltà pre-ispanica, di cui il Messico è letteralmente sovraccarico, e Diego vi partecipa con il massimo interesse. Sei mesi dopo il suo rientro dall’Europa, nel gennaio del ’22, ha già cominciato a dipingere il suo primo “mural”. La sede è la “Escuela Nacional Preparatoria”, un centro di studi pre-universitari nell’antico palazzo di San Ildefonso della capitale. A imitazione dei maestri del Cinquecento italiano, Diego traccia i suoi bozzetti sulle pareti a carboncino e lapis rosso, e poi procede sicuro con la pittura. Il dipinto si chiamerà “La Creacion”, nel quale saranno evidenti dei segnali mistici destinati a sparire del tutto nelle opere successive, pervase di un potente realismo politico-sociale. Qui invece vediamo qualche aureola dorata di angeli e beati, chiaro ricordo delle recenti esperienze italiche. Ma il loro cromatismo è originale e sorprendente, né manca, nella parte bassa del dipinto, qualche figura di giovane “india”, scultorea e nuda. è un primo segnale.

Nello stesso 1922 Diego ha una giovane modella per il suo quadro “Eva”. Si chiama Lupe Marin e viene da Guadalajara. è molto bella, e ha inizio fra i due una relazione che sembra distoglierlo dagli abituali amorazzi con tante altre modelle precedenti. Si sposano in giugno e si stabiliscono in una zona molto centrale, non lontano dalla grande piazza del Zocaló. Avranno due bambine: Guadalupe nel ’24 e Ruth nel ’27, e a queste due figlie lui resterà sempre molto affezionato, anche se la durata del matrimonio non andrà oltre i cinque anni.

Alla fine di questo 1922, un anno movimentato, si consolida l’amicizia fra Diego e David Alfaro Siqueiros, il pittore messicano col quale aveva condiviso per un certo tempo il suo soggiorno a Parigi. Si unisce, insieme a molti altri, anche José Clemente Orozco, e questi tre nomi passeranno alla storia mondiale dei “murales”, legando l’arte del Messico al ricordo perenne di uno stile e d’un periodo storico.

Proprio in quei giorni Diego Rivera va nel comitato esecutivo, con Siqueiros, del “Partido Comunista Mexicano”. Attività politica ed artistica avranno in futuro delle interferenze, non sempre felici.

Parecchi biografi sottolineano infatti la sua difficoltà ad accettare i dogmi, di qualunque tipo ed origine: e quando viene fondato il “Sindacato rivoluzionario di pittori e scultori”, al quale è iscritto d’autorità, non gli mancheranno le occasioni di scontrarsi con qualche collega più “allineato”.

Intanto ha inizio, nel 1923, la sua seconda opera murale, che è la prima in ordine di tempo fra quelle di grande dimensione e soprattutto di grande estensione, e che lo impegnerà per oltre quattro anni. La sede è il nuovo edificio del Ministero della Pubblica Educazione, nella zona centrale di Città del Messico. Si tratta d’un complesso di murales che si chiamerà “Visión politica del pueblo mexicano”: Rivera e i suoi aiutanti realizzano oltre cento pannelli su una superficie di quasi 1500 metri quadri, che coprono tutte le pareti di due vasti cortili, sui tre piani interni della grande costruzione. In piena libertà espressiva, ecco illustrati i temi che sono cari all’autore: il lavoro, le scienze, le arti, le feste del suo Messico. E in tutti è sempre evidente la contrapposizione degli elementi popolari (operai, contadini, soldati), a quelli del capitalismo e del clericalismo.


“Abito a Coyoacàn, e mi chiamo Frida Kahlo”.

Racconta Rivera nella sua autobiografia: “Un giorno stavo lavorando alla Secretarìa de la Educaciòn, su uno degli affreschi superiori, quando sentii una voce femminile che mi chiamava dal basso: ‘Diego, scendi per favore, ho da parlare con te di cose importanti’. Era una ragazza bruna di circa diciott’anni, dal viso delicato, i capelli lunghi e delle sopracciglia che si univano al disopra del naso, facendo corona a due straordinari occhi marrone. Io scesi, e mi disse: ‘Non vengo a divertirmi, devo lavorare per guadagnarmi la vita. Voglio sapere se posso diventare un’artista abbastanza buona perché valga la pena dì continuare. Ho portato tre miei quadri. Vuoi vederli?’. Scesi dalla scala: erano tre ritratti di donna che rivelavano un’energia espressiva poco usuale per una principiante ambiziosa. Quella ragazza era un’artista autentica.

Le dissi che doveva continuare a dipingere, e rispose subito: ‘Spero che tu di domenica non lavori. Posso pregarti di venire a vedere altri quadri?’. E mi diede il suo indirizzo e il suo nome: abitava in Avenida Londres 126 a Coyoacan. Era Frida Kahlo.”

Coyoacan è oggi uno dei tanti quartieri periferici dell’enorme capitale, e vi si arriva comodamente con la linea 3 della metropolitana che incrocia le grandi Avenidas del centro. Negli anni ’20 c’era un autobus che la ragazza usava per tornare a casa dopo la scuola, un liceo piuttosto distante, e il 27 settembre del 1925 vi fu uno scontro nel quale Frida riportò delle ferite molto gravi, che avrebbero segnato la sua vita. Ne dovremo parlare fra poco.

Era nata a Coyoacan nel 1907 in una casa d’angolo di un solo piano, in Calle de Londres, un po’ di giardino intorno, e le pareti d’un bel colore azzurro. Questa “Casa Azul” è oggi il Museo Frida Kahlo, meta di tanti visitatori. Lei era la terza figlia dei coniugi Kahlo, penultima di quattro ragazze delle quali Cristina, la più piccola, era la sua prediletta.

Il suo nome si scriveva “Frieda”, una derivazione dal tedesco “Friede”, che vuol dire pace e che si pronuncia senza la prima “e”.

E tedesco era il padre, Wilhelm (poi Guillermo in spagnolo) che era giunto in Messico come giovane diciottenne proveniente da BadenBaden, di lontane origini ungheresi. Aveva una bottega da fotografo e una buona clientela. La madre, señora Matilde, era di Oaxaca, messicana. Lui era un uomo di bell’aspetto, molto preciso e cordiale, nonché pittore a tempo libero. Con Frida aveva una straordinaria rassomiglianza.

Diversi anni dopo, in un suo quadro del ‘36 — “I miei nonni e i miei genitori” — lei avrebbe dipinto una bambina di tre anni, cioè se stessa, nuda nel patio della “casa azul” con tre coppie, padre, madre e rispettivi genitori di entrambi: uno dei suoi tanti lavori pieni di simboli e di fantasia.

La famiglia Kahlo era in buone condizioni economiche, e il padre aveva anche un impiego statale come fotografo dei monumenti più validi del patrimonio nazionale. Ma con la Rivoluzione le cose andarono meno bene, e per di più Frida si ammalò di poliomielite quando aveva sei anni. Superata la malattia e un tirocinio riabilitativo affrontato con molto impegno per una bambina della sua età, le rimase una gamba destra più esile e più debole. E questo fu il motivo del suo uso, per tutta la vita, di gonne molto lunghe, quasi sempre da costumi regionali o anche, in certe occasioni, di abiti da uomo, cosa molto singolare in quegli anni.

Ma i guai della señorita Kahlo toccarono il vertice con l’incidente del 1925. Era una delle migliori alunne della famosa “Escuela Preparatoria”, proprio quella dove Diego Rivera aveva dipinto, pochi anni prima, il suo affresco murale “La Creación”. Un giorno, di ritorno a casa, avvenne lo scontro fra il suo autobus e un tram a due vagoni, in pieno centro. Vi furono dei morti e parecchi feriti. Lei era accompagnata dal giovane Alejandro Gomez, il suo fidanzato ufficiale degli anni di scuola, e venne ricoverata d’urgenza: aveva riportato parecchie fratture alle vertebre, alle costole e alla clavicola, ma il trauma peggiore era stato causato da un passamano di acciaio che, staccatosi dalla parete dell’autobus, le aveva trafitto il bacino. Nel corso dell’immediata operazione, i medici dubitavano della sua sopravvivenza, ma Frida, minuta e forte, poté tornare a casa dopo un mese, per affrontare una lunga immobilità a letto. La sua vita si trasformò in un calvario, con qualche altro necessario intervento e relative sofferenze, con il corpo imprigionato per mesi in successivi corsetti ortopedici di gesso.

Sua madre, poiché Frida si era dedicata da tempo e con passione al disegno e alla pittura, le fece costruire in alto, sopra al letto, una specie di baldacchino con uno specchio, e lei cominciò a dipingere ancora, usando se stessa come modello. Acquistata poi una certa libertà di movimento poté affinare il suo stile passando dagli autoritratti alle figure di amici e parenti. Nel 1927 si era quasi ristabilita quando il fidanzato Alejandro, di ritorno da un viaggio all’estero, le annunciò che stava per sposarsi con una loro comune amica.

Un nuovo colpo si aggiungeva alle sue disgrazie. E questa fu la fine della sua prima giovinezza. Ma la vita doveva andare avanti, e quel suo primo incontro con Diego Rivera avrebbe avuto poi un seguito piuttosto importante: il loro matrimonio.


Diego, fra donne e murales.

Torniamo a Rivera e al suo impegno con la SEP, cioè la Secretaria de Educacion Publica, che avrà una durata di ben cinque anni: 1923-1928. In questo tempo, mentre lavora assiduamente alla grande opera murale, deve interromperla per recarsi nel ‘27 a Mosca alla celebrazione del decennale della Rivoluzione di Ottobre come rappresentante del Partido Comunista de Mexico. Non ne sarà del tutto entusiasta.

Al ritorno, mentre sta per separarsi da Lupe Marin, madre delle sue due bambine, lo attende già un altro impegno, questa volta, per fortuna, solo di lavoro: deve dipingere degli affreschi nel convento di Chapingo, in una zona archeologica prossima alla capitale, che poi diverrà una sede universitaria per la Facoltà di Agricoltura.
Negli affreschi che Diego porterà a termine in questo periodo spiccano tre presenze femminili, ognuna con la sua particolare importanza nella vita del loro autore: Kahlo, Marin, Modotti.

Delle prime due sappiamo già qualcosa. ma non altrettanto della Modotti: il suo nome è Tina, una bella trentenne bruna, il cui cognome rivela chiaramente l’origine italiana. Risiede in Messico dal 1922, proveniente dagli Stati Uniti dove era arrivata molto giovane, da povera emigrante, con la sua famiglia. Di professione è fotografa, molto abile, visto che ha imparato l’arte da Edward Weston, uno dei maestri dell’obiettivo in America. Vivono insieme nella capitale, in Avenida Veracruz, e la loro casa è un ritrovo di artisti e intellettuali molto noto.

Weston racconterà dell’impressione che gli aveva fatto Rivera quando lo aveva conosciuto: “Portava alla cintura un revolver, che contrastava con il suo aspetto cordiale e sorridente. Gli chiesi se per caso lo usava come difesa alle sue magnifiche pitture…”. Si erano incontrati, infatti, in visita ai suoi murales della SEP.

Tina è presente in due affreschi. Nel primo, “El Arsenal”, che ha al centro Frida Kahlo occupata a distribuire fucili, con altri personaggi, nella sezione destra del grande dipinto. In un altro è invece ritratta in alcuni nudi simbolici di due pannelli del “Canto a la tierra”, il complesso dei murales di Chapingo di cui abbiamo già detto.
Si pensa che vi sia stata anche una breve relazione fra Tina e Rivera, e si ricorda anche uno scontro fra le due rivali, Tina e la Lupe Marin, regolarmente divorziata da Diego, ma ancora con presunte prerogative amorose nei suoi riguardi. Le due signore, in seguito, sarebbero diventate ottime amiche.

Rivera era decisamente brutto, obeso e molto pesante, ben oltre il quintale, con un pancione notevole. Si è parlato molto di questo suo fascino sulle donne, che pareva irresistibile. Sapeva essere molto dolce e persuasivo, ma a volte anche collerico e violento. Era un uomo intelligente e colto, un grande artista senz’altro. Sul dove e quando avesse conosciuto Frida Kahlo vi è ancora qualche dubbio: ma pare certo che, prima della famosa visita di lei sotto l’impalcatura d’un murale in esecuzione, si fossero già intravisti a casa della Modotti. Quando si sposarono, nel 1929, un commento più o meno amichevole fu, fra i tanti: “Se casàron el elefante y la paloma” (L’elefante e la colomba si sono sposati…).

Era il 21 agosto del 1929. Diego, nei mesi precedenti, aveva frequentato la casa dei Kahlo con assiduità e simpatia, e il padre di Frida si intratteneva volentieri con quest’uomo che aveva le dimensioni di almeno due Fride messe insieme. Quando lui gli disse che voleva sposare sua figlia, il señor Guillermo Kahlo gli chiese, tra il bonario e il minaccioso, se ne era proprio sicuro. Alla sua risposta decisa e affermativa gli disse semplicemente: “Guardi che è un demonio”. E Diego: “Lo so”. “Bene” disse Kahlo, e si congedarono.

Era veramente un demonio questa ragazza esile e già tanto provata dalla sorte? La sua vivissima intelligenza e il suo spirito anticonvenzionale il suo modo di vestire e poi i suoi stessi dipinti lo avrebbero confermato. Sapeva benissimo chi era Rivera e come si comportava, in genere, con le donne. Ma tutto questo non le faceva paura, anzi…


Gli sposi, il lavoro, i viaggi. E l’America.

Il pranzo di nozze si svolse sulla terrazza della Modotti. Un loro amico racconta: “C’era anche molta biancheria intima stesa ad asciugare, un ottimo sfondo per una festa nuziale…”. Atmosfera bohème sotto il sole del Messico. La loro prima residenza è al numero 104 del Paseo de la Reforma, una delle più belle strade della città, dominata dal Monumento a la Independencia con il suo “Angel de Oro”, una specie di protettore laico della metropoli. Però la casa non è comoda e neppure lussuosa, perché ha uno spazio in comune con vari altri inquilini, fra i quali i coniugi Siqueiros, per fortuna ottimi amici.

Frattanto Rivera si è messo in contrasto con il Partido Comunista Mexicano, al punto che pochi mesi dopo gli viene comunicata la sua espulsione… Ironico e amareggiato, scrive egli stesso la motivazione del suo castigo, che è legato alla sua attività professionale, in quanto una buona parte dei suoi lavori gli viene commissionata dal governo, inviso agli intellettuali estremisti del momento.

Ha terminato finalmente tutti gli affreschi della SEP. E nel dicembre del ‘29 riceve una richiesta dall’ambasciatore americano in Messico, suo grande ammiratore (specialmente dopo il distacco dai comunisti) per un lavoro nella città di Cuernavaca, distante solo sessanta chilometri dalla capitale e benedetta da un clima eccezionale. Si tratta di dipingere i saloni interni d’uno storico edificio, il “Palacio de Cortés” che era stato la residenza del conquistatore spagnolo del Messico, e Diego si propone di svolgere il doppio tema della Conquista e della schiavitù, contrapposto alle immagini della rivoluzione e del riscatto. Per di più siamo proprio nello stato di Morelos da dove erano partite le imprese di Emiliano Zapata, l’eroe leggendario che qui viene raffigurato in pieno assetto di guerra.

Apro, secondo la mia invadente abitudine, una breve parentesi personale, perché ho dei profondi e cari ricordi di famiglia che mi legano a Cuernavaca. E ogni volta che posso tornarvi, complice la sua suggestione di città-giardino, così vicina ma pure lontana dal traffico della capitale, ne ricavo una sincera emozione. Il “Palacio” ospita sulle sue pareti alcune delle più belle pitture di Rivera, nelle quali è palese la “mexicanidad” del loro autore e l’orgoglio di essere un figlio del grande Paese fra i due Oceani.

Il lavoro di Diego a Cuernavaca avrà la durata di circa un anno, ed è un momento felice per i due neo-sposi. Anche Frida lavora, dipingendo le sue tele con impegno, e a questo periodo appartengono alcuni suoi suggestivi autoritratti con il costume, quasi abituale da “tejuana”, che indossano le fiere abitanti dell’istmo di Tehuantepec, il territorio che restringendosi divide il Messico in due parti, fra Nord e Centro-America, secondo le regole della geografia fisica.

Il carattere vulcanico di lui si manifesta anche qui, con serate fra gli amici del posto o in visita, cospicue bevute e lavoro. La vita dei due sposi procede bene: Diego è un giudice attento ma benevolo della pittura di sua moglie, e lei a sua volta gli dà, quando richiesto, qualche giudizio sui murales in corso. Degli autoritratti di Frida e di tutta la sua pittura in genere, sarà necessario parlare più a lungo: per ora è da sottolineare il felice periodo a Cuernavaca subito dopo questo loro matrimonio, che in seguito conoscerà dei momenti molto meno sereni.

Il lavoro di Diego si fa ancora più intenso con l’inizio degli anni ‘30: c’è un suo vasto progetto murale per il palazzo del Governo della capitale, al quale si dedica per qualche mese. Ma subentra un richiamo dagli Stati Uniti per tutta una serie di affreschi e anche per una grande esposizione delle sue pitture su tela, destinata ad un sicuro successo, e così il lavoro in patria sarà ripreso più avanti.

Il suo primo risultato americano è una “Allegoria della California” sulle pareti della Borsa di San Francisco dove vengono raffigurati molti protagonisti della cultura, dello sport e delle tradizioni locali. Segue subito un altro affresco alla Scuola di Belle Arti che rappresenta minutamente i tempi e i modi dell’esecuzione di un “mural” messicano. Poi si sposta a Detroit per un ciclo dedicato alle attività del grande centro industriale, sul tema “L’uomo e la macchina del tempo”.

Nel 1933 è a New York dove espone le sue simbologie in un affresco dal titolo “L’uomo che spera in un futuro migliore” al Rockefeller Center. Qui, malgrado le simpatie dei gruppi di americani più progressisti, viene severamente criticato dai committenti conservatori, con l’invito a ridipingere l’intera opera. E lui, per tutta risposta, se ne torna in Messico.

Frida è stata con lui per buona parte dei tre anni trascorsi oltre confine ed è lieta di questa decisione. Rivera ha lasciato comunque negli “States” delle testimonianze della sua arte difficilmente dimenticabili.

Il più famoso scrittore contemporaneo del Messico, Carlos Fuentes, nel suo capolavoro “Años con Laura Diaz”, immagina un viaggio in treno della sua protagonista con Diego e Frida diretti a Detroit.

Si accosta finemente ai loro difficili caratteri con l’aggiunta di un delicato umorismo, mentre i due personaggi vengono messi a contatto con un mondo straniero molto diverso dal loro.

È uno dei tanti tributi di simpatia della letteratura messicana a queste due grandi figure, forse il migliore a tutt’oggi.


Ritorno in Messico: il “Palacio Nacional” e i problemi di coppia.

Al loro rientro in patria, nel 1934 trovano già pronta la loro nuova casa attrezzata da abitazione e studio a cura di un loro amico architetto: è nella zona denominata “San Angel Inn”, non lontana da Coyoacan, oggi sede di un “Museo Estudio Rivera”. Un curioso edificio moderno formato da due grossi cubi collegati da una passerella in metallo, un po’ Messico e un po’ Bauhaus.

Appena arrivato, Diego riprende il suo grande progetto murale sulla scala principale del Palacio Nacional, sede del Governo. Lo completerà in un anno, formando una specie di trittico coi tre pannelli collegati assieme in ordine cronologico, oltre ad una balconata sul cortile sottostante. Il grande Palazzo è al centro preciso della capitale, nel posto dove era la reggia del grande Moctezuma, distrutta dopo la conquista degli Spagnoli, ed esso occupa l’intero lato Est della vastissima Plaza del Zócalo con la sua Cattedrale.

Questi affreschi costituiscono il più grande complesso murale eseguito da Rivera, quello che tutti i turisti hanno conosciuto negli anni fino ad oggi, vista anche la sua sede centrale e la sua enorme attrattiva. è praticamente tutta la storia del Messico che si offre ai visitatori: la metropoli lagunare degli Aztechi nella grande piana di “El Valle” dominata dai due grandi vulcani, con i suoi riti crudeli, gli scambi mercantili e culturali con gli altri popoli, e così avanti fino a Juarez, Massimiliano, Hidalgo, Morelos e la riscossa sociale.

Il titolo dice : “Epopeya del Pueblo Mexicano” , e dice proprio tutto. Ci troviamo davanti a centinaia di personaggi disposti secondo un preciso ordine storico: sono figure eroiche e tragiche, talvolta ridicole, offerte al nostro giudizio con feroce cattiveria verso gli oppressori e tenera compassione verso le loro vittime. è il sincero amore di patria di Rivera, secondo la sua visione: sono grandi ma anche grottesche. Proprio come era lo stesso loro Autore.

Il visitatore che salga con attenzione lungo la rampa di destra può anche vedere due belle e giovani donne assieme a due bambini: sono Frida e sua sorella Cristina con i suoi figli. Ma di Cristina c’è da dire ancora qualcosa.

È un momento in cui la salute di Frida è continuamente compromessa da una serie di eventi negativi. In questo anno 1934 è al suo terzo o quarto aborto: i danni irreparabili al bacino, insieme ad una insufficienza della funzione ovarica (a quei tempi si parlava di “infantilismo delle ovaie”) non le consentiranno mai di realizzare il suo sogno di maternità. E in quei giorni l’instancabile coniuge donnaiolo la tradisce ancora: non con le solite signore di passaggio, ma proprio con Cristina, la sua diletta sorella minore.

Angosciata, Frida lascia la casa di San Angel e va a vivere in un appartamento del centro, da sola. Poi fa anche un viaggio a New York con delle amiche: al suo ritorno la breve relazione tra Diego e Cristina si è già conclusa. Ma lei sa benissimo che le avventure galanti del marito donnaiolo non cesseranno per questo. Però è proprio da questo momento che pure Frida comincerà ad avere dei rapporti con altri uomini, e anche, specialmente nei suoi ultimi anni di vita, con qualche donna. Conosce intanto un giovane scultore americano di origine giapponese Isamu Noguchi, e ha con lui una storia appassionata, con la complicità di Cristina che ospita i loro incontri nella sua casa di Coyoacan: è una specie di saldo del suo debito precedente. Il tutto a insaputa di Diego che, incredibile, è gelosissimo e sempre pronto ad estrarre la sua pistola-spauracchio. Ancora un po’ di “pochade” sotto il sole del Messico, a vantaggio della signora Frida Rivera, comunque delusa dalla vita.

Nel 1935, mentre lei continua a vivere da sola, Diego ha delle difficoltà politiche ed è sempre più in dissidio con i comunisti messicani i quali, da quando è tornato dagli Stati Uniti, lo accusano di simpatie trotskiste e di anti-stalinismo. In un pubblico convegno ha uno scontro con Siqueiros, già amico fedele, che difende a oltranza la linea del conformismo: più tardi si riconcilieranno, perché l’arte la spunterà sulla politica. Contribuisce alle idee di Rivera l’avvento alla presidenza della Repubblica di Lazaro Cárdenas, sostenitore di una politica liberale che sembra ispirarsi alle storiche istanze (Tierra y Libertad!) di Emiliano Zapata e che promuove pure la nazionalizzazione dell’industria del petrolio, molto utile all’economia del Paese.

L’interesse sociale, in completa affinità di vedute, favorisce la riconciliazione dei Rivera, che chiedono al presidente Cardenas di concedere asilo politico a Trotzki e sua moglie. Sbarcano in Messico all’inizio del 1937 e per due anni saranno ospiti della “Casa azul” di Coyoacan.


Visite dall’Europa e altre cose, fra cui un divorzio.

Nel corso di quello stesso anno, c’è una breve relazione amorosa tra Frida e il celebre russo, esule dalla sua patria tormentata. Il fatto passerà piuttosto sotto silenzio: solo molto tempo dopo, e specialmente nei nostri giorni di “revival” della Kahlo, non mancheranno gli articoli dedicati alla “artista che sedusse Trotzki”. Malgrado la notevole differenza di età (quasi trent’anni), lei si sentiva attratta da questo personaggio col suo pizzetto bianco, in giro per il mondo a cercare un po’ di pace e per di più ammirato con devozione da Rivera che, a quanto pare, ignorava la relazione dei due. Pochi anni dopo, sempre in Messico, Trotzki cadeva vittima d’un feroce omicidio, di chiara natura politica.

Il 7 novembre del ‘37 Frida manda a Trotzki un suo delicato autoritratto, nel quale non è la solita pittoresca “tehuana” in costume tipico, ma un’elegante signora con un foglietto in mano, sul quale si può leggere “…con todo mi cariño…” (con tutto il mio affetto) Era il compleanno di lui, e un preannuncio del congedo.
Nell’aprile 1938 un’altra coppia arriva dall’Europa: il francese André Breton, maestro del surrealismo, accompagnato dalla moglie Jacqueline per un ciclo di conferenze, ben lieto di incontrare anche Trotzki, del quale condivide le idee politiche. Breton ammira l’arte del Messico ma la sua attenzione si concentra sui quadri di Frida con vero entusiasmo, e la qualifica “tout-court” un’autentica surrealista: qualifica non del tutto condivisa da altri critici, per i quali il suo stile è una specie di ingenuo surrealismo “inventato da lei per se stessa” (Bertram Wolfe, biografo dei Rivera).

Grazie a Breton, Frida è invitata ad allestire la sua prima esposizione all’estero, e nello stesso anno è a New York, impegnata nella nota galleria di Julien Levy. Non ha mai dipinto pensando molto al pubblico, ed è stupita per l’immediato successo e per le richieste d’acquisto da parte di esperti collezionisti, fra i quali c’è anche l’attore del cinema Edward G. Robinson Il presidente del Museo d’arte moderna vorrebbe un suo dipinto che risulta già venduto, e gliene chiede uno simile: Frida, in piena euforia artistica, riesce a fare, nella sua stanza d’albergo e prima di partire, uno dei suoi quadri più belli, il celebre “autoritratto con scimmia”.

Questa permanenza da sola in America sembra giovare molto al suo morale. è serena e disinvolta: la lontananza e anche l’indipendenza economica da Diego le conciliano uno stato d’animo che da tempo non aveva più conosciuto.

Ha anche una appassionata relazione con un giovane e valente fotografo americano d’origine ungherese, Nickolas Muray: ne faranno testimonianza le molte lettere che gli manderà nei mesi successivi. A sua volta Muray è l’autore d’una bella fotografia a colori di Frida che quasi non sembra lei: un dolce sorriso, pochi peli, sopracciglia divise; potenza dell’amore…
Siamo nel gennaio 1939. Frida non rientra in Messico, ma s’imbarca per la Francia, perché Andrè Breton vuole organizzare a Parigi una mostra per lei presso la galleria Henou, specializzata in pittura surrealista: verrà denominata “Exposition Mexique”, con l’aggiunta, assieme ai quadri, di cimeli e sculture precolombiane di proprietà dello stesso Breton, La cosa non è gradita all’ospite messicana che si scopre cordialmente avversa per questi “surrealisti figli di…”. Non le piace neppure Parigi con i suoi ambienti intellettuali sui quali, oltre al resto, incombe la guerra in arrivo. Nell’estate torna in Messico: sempre più estranea a Diego, lascia la casa di San Angel e si trasferisce nella dimora dei Kahlo a Coyoacàn, la sede della sua giovinezza.

Il 6 novembre 1939 si legalizza il loro divorzio. E poco tempo dopo lei finisce quello che sarà il suo quadro più originale e più conosciuto nel mondo.


“Las dos Fridas”, “La Pelona” , e il matrimonio-bis.

L’abbiamo ammirato nella recente mostra veneziana (giugno — ottobre 2001) di cui costituiva l’opera “clou”, un forte richiamo all’attenzione collettiva. è uno dei suoi quadri di maggiore dimensione (172 x 172), dato che in genere si teneva su misure più contenute; e non credo necessario un lungo commento, dopo i tanti che la stampa gli ha già riservato negli anni. Lo definirei una felice espressione del surrealismo tanto personale della geniale pittrice: qui c’è lei doppia ma sola, che vuole affidare al pubblico un suo messaggio di dolore.

Vediamo una Frida con il suo costume da “tehuana” seduta accanto all’altra, che le tiene una mano: entrambe hanno il cuore scoperto. “L’altra” è un’elegante signora vestita di pizzo bianco, e i due cuori comunicano attraverso una sottile arteria che oltrepassa la Frida in bianco spargendo il sangue sul delicato tessuto. Entrambe hanno un volto triste e quasi inespressivo: una è un po’ più scura di pelle, l’altra è pallida, secondo l’origine europea e messicana di Frida.

Un altro particolare ancora. In molti autoritratti di lei appare la figura grassoccia di Rivera, sovente sulla fronte, a riprova del pensiero costante che ha per lui. Qui abbiamo invece un bambino nel medaglione che la Frida messicana tiene con la mano libera, ed è ancora un piccolo Diego, forse a ricordo di un figlio mai avuto… Sullo sfondo, nessun panorama, solo una densa cortina di nuvole, e il simbolo è ovvio.

C’è qualche altra opera di Frida, dipinta nel periodo della separazione da Diego, che contiene dei simbolismi, fra i tanti che lei prediligeva. Uno dei più interessanti è l’autoritratto con i capelli tagliati, conosciuto anche come “La pelona”, quella con la testa rapata. Lei indossa un abito da uomo che le sta molto largo (forse di Diego) e si è appena tagliata generosamente i capelli, tutti sparsi sul pavimento. Il commento, sulla parte superiore del quadro, viene da una nota canzone popolare messicana: “ti amavo solo per i tuoi capelli, ora che sei rapata non ti amo più…”. C’è un amaro umorismo in questo dipinto piuttosto triste.

Proprio in quello stesso periodo, dobbiamo segnalare un’altra separazione, stavolta non coniugale: è la conseguenza di un’amicizia che si dissolve, in seguito a una violenta disputa ideologica fra Rivera e Trotzki. Era da un po’ di tempo che i loro punti di vista erano del tutto divergenti.

Qualche mese dopo, giunge ancora a Diego un’altra richiesta per un progetto murale negli Stati Uniti. È il momento in cui la Russia è in trattative con la Germania di Hitler e lui, per reazione, si fa sostenitore d’una solidarietà fra americani, in completa opposizione a tutto questo. Accetta la proposta e va a San Francisco, dove dipinge, per la Golden Gate Exposition, dieci grandi pannelli intitolati “Unità panamericana”. è un’opera complessa, popolata da personaggi di tante nazioni: c’è anche una bella Frida in abito messicano non lontana da un’altra bellissima in abito alla moda, che è l’attrice Paulette Goddard. Era stata in Messico da turista qualche tempo prima e aveva conosciuto i Rivera, respingendo, a quanto pare, l’inevitabile corteggiamento di “Big Diego”.

Il 1940 è un anno importante per i due Rivera. Mentre Diego è ancora molto impegnato in America, Frida ha dei problemi di salute in Messico , con intensi dolori alla colonna vertebrale. Non si sente troppo fiduciosa dei medici locali, e si mette in contatto con il dottor Leo Eloisser di San Francisco, un valido professionista che si era già preso cura dei suoi molti guai all’inizio degli anni ’30,quando lei e Diego erano in California. Eloisser è anche un caro amico, e Frida gli dipingerà un suo dolente e affettuoso autoritratto con relativa dedica. La convoca al più presto nella sua clinica di San Francisco, e lei parte immediatamente.

La coincidenza sembra veramente casuale: a San Francisco vi sono contemporaneamente i due separati, Rivera per lavoro, e Frida per curarsi. Siamo al termine del 1940 e un bel giorno Diego va da lei in ospedale e le propone di risposarlo. “La nostra separazione non ha avuto dei buoni effetti”, dice lui con amarezza, e lei conferma. Sono lieti per questa decisione: tuttavia Frida, più determinata che mai, pone alcune condizioni, fra cui una completa autonomia sentimentale o sessuale che sia, da parte di entrambi. E anche dal punto di vista economico lei sarà indipendente, poiché il suo lavoro si sta facendo molto redditizio, con tanti ricchi committenti che la cercano.

L’otto dicembre del ’40 si festeggia il cinquantaquattresimo compleanno di Diego, ed è anche il giorno del secondo matrimonio: la loro separazione era durata poco meno di un anno. Frida, grazie al bravo dottor Eloisser, sta molto meglio, e può rientrare in Messico, alla sua pittura. E Diego la raggiunge poco dopo, al termine del suo incarico americano. Questa nuova signora Rivera è forte e fiduciosa, e vuole affrontare la vita su un livello molto diverso da prima.

Le tristi “Dos Fridas” si sono felicemente ricongiunte.

(fine prima parte)

E’ semplicemente enorme la quantità di opere figurative che nel corso dei tempi hanno messo in evidenza ogni possibile aspetto della cultura messicana. E nel secolo appena trascorso vi sono tanti nomi la cui fama si è sempre più consolidata nel mondo:oggi i loro anniversari sono diventati delle date da celebrare ovunque con mostre, revisioni biografiche, pubblicazioni di ogni tipo.


Bisogna quindi limitarsi ad alcuni di questi Autori, in particolare a quelli che portano con sé non solo l’originalità e il pregio delle loro creazioni, ma che ci richiamano da un lato alle loro intense vicende esistenziali, non raramente drammatiche, mentre dall’altro evocano l’epoca in cui tali vicende si svolsero nel loro paese, una grande e suggestiva nazione, piena di fascino e di contraddizioni.


Proprio per questo ho voluto riferirmi soltanto a tre di questi famosi protagonisti, ben consapevole delle tante necessarie omissioni, di cui devo scusarmi . Due di essi furono strettamente uniti dalla loro vita e dalla loro pittura, e la terza persona visse una sua esperienza artistica che non era molto diffusa tra il sesso femminile del suo tempo, quella della fotografia.


Solo tre nomi, in sostanza, ma con tanta arte da farci vedere e apprezzare. E speriamo di riuscirvi.


Bibliografia e iconografia.


Il contrassegno indica dati bibliografici e iconografici nella stessa fonte.


Andrea Kettenmann: Diego Rivera, un espiritu revolucionario en el arte moderno. Ed. laschen, Koln 1997, trad. in spagnolo.


Andrea Kettenmann: “Kahlo” Ed. Taschen, trad. italiana per l’Espresso”, 2001


A. Bonito Oliva e L. M. Lozano (a cura di…) Frida Kahlo e i capolavori della pittura messicana. Ed. Mazzotta, Mil. 2001


Hayden Herrera: Frida, una biografia de F. IKahio. Ed. Diana, Mexico, 1994


Raquel Tibol: Frida Kahlo, una vita d’arte e di passione Rizzoli, MI 2002


Antonio Rodriguez: Arte murale nel Messico. Ediz. La Pietra, Milano 1967


Bradley Srnith: Mexico, a History in Arts. Ed. Doubleday & C.)N. York 1968


David Alfaro Siqueiros: Dipingere un murale. Fabbri Ed. Milano 1976


Mario De Micheli (a cura di..) Siqueiros e il muralismo mess. Ed. Guaraldi Firenze 1967


Antonio Haas e Rodrigo Rivas: Messico. Ediz. Touring Ci. It. 1982


José Guadalupe Posada: Popular Mexican Prints. Dover Publ. N. York 1972


Emilio Cecchi: Messico. Adelphi Ed. Milano 1985 (su Diego Rivera)


Pino Cacucci: Tina . Edizioni “Interno Giallo” Milano,1991


Agostinis Valentina (a cura di..) Tina Modotti, gli anni luminosi. Ediz. Cinemazero, Pordenone, 1992


Carlos Fuentes. Los años de Laura Diaz. Ed. Alfaguara, Mex. 1999. P. 2l9-262


Articoli su periodici:


Ernesto Gagliano: morte di una rivoluzionaria. La Stampa, 16-2-92


G.Luigi Colin: Voluttuosa Tina, passionaria della foto. Corr. Sera, 21-8-92


P.B.:Tina, fragile cuore d’acciaio. Il Piccolo, 27-8-92


Sebast. Grassof Dov’è finita l’epopea contadina? Corr. Sera, 11-6-1901


Fiorella Minervino: Frida Kahlo, il rinascimento messicano. La Stampa,23-6-01


Laura Laurenzi: Frida, una passionaria a Hollywood. La Repubblica, 8-6-01


Giusi Ferrè: Messico, la rivoluzione surreale. “Io donna” Suppl. Corr. Sera, 8-6-01


Donata Righetti: Il fascino dell’artista che sedusse Trotzki. Corr. Sera,2-1-02


Paola Piacenza: sul set di Frida Kahlo. “Io donna” Suppl. Corr. Sera, 8-12-01


L.S.: Vita della Modotti in un CD. Messaggero Veneto, 18-10-2001

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