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Cinema

Ferec Moldovanyi

Deca, Femijet, Kosovo 2000

Presentiamo Ferec Moldovanyi, regista del documentario Deca, Femijet, Kosovo 2000. La splendida pellicola raccoglie le testimonianze di bambini albanesi e serbi che raccontano la loro tragica storia vissuta durante gli anni terribili della guerra in Kosovo.

Martina Palaskov-Begov (MP): Parliamo delle due parole scelte per intitolare il suo film…

Ferec Moldovanyi (FC): Le due parole usate vogliono dire “bambino” rispettivamente in lingua serba e in albanese. Volevamo infatti raccontare le sofferenze dei bambini ingiustamente coinvolti nel conflitto. Abbiamo però raccolto le testimonianze dei bambini di entrambe le genti. Il materiale doveva essere equamente diviso, ovvero volevamo che il tempo a disposizione per raccontare queste storie fosse il medesimo. Il titolo scelto non è quello di un luogo specifico, bensì quello del problema, che poi abbiamo sviluppato e dibattuto nel documentario.

MP: Lei ha anche inserito nel film degli spezzoni a colori girati dai bambini stessi durante quegli anni, se non vado errata

FC: Esatto. Le parti del film in bianco e nero sono state girate dalla mia troupe, ma le immagini a colori sono dei bimbi. Ci abbiamo pensato a lungo e abbiamo deciso che era impossibile parlare di questa guerra utilizzando il colore; si tratta di un argomento troppo triste e delicato. Così abbiamo pensato che solo i bimbi coinvolti nel conflitto potevano mostrare le loro tragedie a colori. I media hanno utilizzato delle immagini tremende per testimoniare questa guerra. Lo scopo era quello di scioccare la gente, il pubblico. Noi abbiamo preferito inserire delle immagini molto lente e lunghe così da offrire la possibilità allo spettatore di riflettere e non di disgustarsi. La tragedia umana era ciò che mi interessava veramente. L’anima dei bambini era la vera essenza che volevo cogliere con la telecamera. Il mio non ha mai voluto essere un approccio politico alla tematica. Il dire duemila o cinquemila vittime non mi interessava. Ciò che ha veramente distrutto le persone doveva essere l’approfondimento del documentario; le conseguenze del conflitto, i rancori e le intime impressioni della gente.

MP: C’è un motivo in particolare, forse personale che le ha fatto scegliere il Kosovo come luogo e protagonista della sua triste storia?

FC: I Balcani e i conflitti che si sono succeduti in quelle aree sono degli argomenti che mi hanno sempre interessato. Voglio sottolineare però che il nostro obiettivo non era affatto quello di girare un film sul Kosovo, e sulla guerra in Kosovo. Abbiamo rivolto la nostra attenzione principalmente sulle conseguenze e gli effetti della guerra sulla gente e in particolare sulla vita quotidiana dei bambini. Chiaramente una situazione del genere la si può scovare in molte parti del mondo; i rancori, il razzismo, le stragi etniche. è strano però pensare come all’inizio del nostro secolo l’inizio delle tragedie del mondo occidentale siano incominciate proprio in questi luoghi. La nostra intenzione era quella di girare un film universale sulla guerra.

MP: Avete avuto dei problemi nel far parlare dei bimbi di argomenti così dolorosi e pesanti?

FC: Il partner principale di questo nostro progetto e il finanziatore principale è l’Unicef. L’Associazione ha fatto in modo che potessimo lavorare con un gruppo di psicologi e pedagoghi che ci dessero una mano nello scegliere i bambini più adatti per il nostro progetto. Abbiamo incontrato più di cinquanta bambini in sede di preproduzione e solo alcuni, quelli che avete visto nel film, sono stati scelti. Una delle condizioni indispensabili era che appunto i bambini fossero disposti a parlare delle loro vite… nessuna costrizione o opera di convincimento. I bambini dovevano voler parlare delle loro tragedie personali davanti a una videocamera… una situazione non facile, molto delicata. Credo che i bambini abbiano voluto confidarsi così intimamente con la videocamera per potersi liberare dall’incubo che hanno vissuto.

MP: I bambini, e serbi e albanesi, sapevano che il documentario avrebbe coinvolto entrambi, ovvero erano al corrente che le due fazioni nemiche sarebbero state rappresentate nella stessa pellicola?

FC: Abbiamo cercato di creare una certa simmetria tra le diverse storie. Infatti, sfortunatamente abbiamo sentito i racconti tragici di molti bambini. Abbiamo quindi scelto di analizzare le storie più simboliche e più simili tra di loro nelle due diverse comunità. La città di Mitrovica, in Kosovo, è divisa in due. Prima della guerra i bambini di diverse etnie giocavano insieme e non si preoccupavano troppo dei problemi che poi hanno causato tanto orrore.

Storie simbolo e simmetriche dunque. Ad esempio, le vicende delle due adolescenti, una serba, l’altra albanese, sono molto simili. Entrambe hanno perso i genitori e adesso debbono mantenere i fratellini orfani. Abbiamo cercato questa simmetria di proposito per far capire che l’orrore non ha confini e che la guerra crea solo vinti non vincitori.

MP: Ma i bambini sapevano che sarebbero finiti nello stesso film dei loro “nemici”?

FC: Non abbiamo nemmeno esposto ai bambini le nostre intenzioni…

MP: Hanno visto il documentario?

FC: No, il film non è ancora stato presentato in Kosovo. Spero di poterlo presentare quanto prima. Stiamo scegliendo i festival più adatti. Vorremmo che il film, in Serbia e in Kosovo, fosse distribuito gratuitamente. Aspettiamo solamente che il film venga visionato e approvato dalle varie associazioni e televisioni.

Al momento tuttavia preferisco che i bambini non vedano il documentario. Penso che siano ancora tutti troppo giovani e sensibili… aspettiamo ancora un po’.

MP: Avete avuto dei problemi con la gente locale che ha evidentemente visto che stavate lavorando con entrambe le etnie?

FC: No. Di fatto la situazione è quella. Noi abbiamo solamente raccolto le testimonianze. Abbiamo lasciato che i bambini parlassero. Avrete notato che il film è caratterizzato da lunghi piani sequenza proprio perché abbiamo cercato di manipolare il meno possibile il materiale girato.

MP: Avete girato e raccolto molto materiale. Pensate di adoperarlo per degli altri progetti, forse mostre o esposizioni video?

FC: Non abbiamo girato poi moltissimo. Due settimane. Abbiamo utilizzato una piccola macchina da presa super 16mm. Lo staff era limitatissimo, cinque persone, proprio per non disturbare e infastidire i bambini mentre raccontavano le loro storie.

Abbiamo raccolto più o meno seimila metri di pellicola pari a sei volte la lunghezza del documento. Gl’incontri tenuti con i bimbi di cui parlavo prima non sono stati filmati, li ho incontrati personalmente senza macchina, per farmi un po’ un’idea. Il primo passo infatti è stato quello di incontrare i bambini e fare la loro conoscenza senza la macchina da presa.

MP: Che cosa ha imparato lei personalmente da questa esperienza? È cambiato qualcosa nella sua vita?

FC: Anche per noi tutti è stata un’esperienza triste e dolorosa, ma volevamo realizzare questo progetto. Bisogna parlare di queste tragedie, non possono passare inosservate, non si possono celare questi orrori, sperando che possano servire come testimonianza di vicende che non dovrebbero più avverarsi.

MP: Lei, infatti ha sottolineato che la proiezione non sarà una proiezione piacevole…

FC: Infatti, il dolore poi passa anche al pubblico che soffre nel vedere le immagini e nel sentire le parole soffocate dal pianto di innocenti. Questo tuttavia è il nostro dovere, quello di condividere il dolore con questi bimbi innocenti, vittime della guerra. Spero che il film possa essere anche una prevenzione per altre guerre sperando che orrori di questo tipo non accadano più in Europa.

MP: è la prima volta che lei viene a Trieste, cosa ne pensa del festival?

FC: Si, è la prima volta che vengo a Trieste e che assisto al Festival. Si tratta di un manifestazione molto “calorosa”. Penso inoltre che si tratti di un festival importantissimo per i film dell’Europa centrale e dell’Est. Mi ritengo fortunato ad essere stato invitato e presentato all’edizione di quest’anno.

MP: Trieste è la dimostrazione, invece, che molte culture ed etnie diverse possono vivere accanto…

FC: Infatti, è stupendo. Il luogo ideale per presentare il documentario. Il film inoltre è stato accettato benissimo in Italia. Prima di venire a Trieste abbiamo presentato il film a Torino, Cinema Ambiente, anche lì è stato molto applaudito e premiato. Gli italiani sembrano essere molto sensibili riguardo alla problematica balcanica. Inoltre sono felice che molta gente abbia assistito alla proiezione del mio film nonostante che sia l’ultimo giorno del festival.

MP: Prossimo progetto?

FC: Non abbiamo ancora deciso nulla. Probabilmente continueremo la nostra collaborazione con l’Unicef che ha molto apprezzato il risultato del film. Anche l’altro partner che ci ha sostenuti, il Fondo per il documentario di Soros, ha intenzione di sponsorizzare il nostro prossimo progetto che sarà ancora una volta un “documentario di creazione”. Ho anche in mente di girare un film di fiction… ma non posso ancora dire nulla.

Kosovo, primavera 2000. L’inverno è finito, ma solo nel senso meteorologico. Rovine e sofferenza. I segni della devastazione in un paesaggio illuminato dal sole. “Deca” e “fëmijët” significano “bambini” in serbo e in albanese: queste parole non trovano posto nel dizionario irrazionale della guerra, anche se sono proprio i bambini le vittime più indifese di questa guerra alimentata da un odio folle. Besarta, Violeta, Edmond e Valdrin, Miljana e Jelena sono bambini albanesi e serbi: il film racconta la loro storia in bianco e nero, con immagini a colori in Super8 girate dai bambini stessi.


(fonte: www.spin.it/
alpeadriacinema
)

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