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Arte

Raffaella Busdon

Target

Corrado Premuda(CP): Siamo al “Caffè Illy” per la vernice di una mostra di quadri di Raffaella Busdon. In questo momento sono vicino all’artista, Raffaella Busdon. La mostra s’intitola “Target”, le domando subito il perché di questo titolo e la scelta dei soggetti di questa mostra.

Raffaella Busdon (RB): La scelta del titolo dà adito forse a degli intendimenti erronei. Il target è colto come mirino ed è un mirino militare ma non ha niente a che fare con tutto ciò che riguarda le forze armate, cioè con il fatto che qualcosa o qualcuno sia sotto tiro di qualcun altro. Il target-mirino è essenzialmente un segno di vulnerabilità assoluta e ontologica dell’uomo, quasi a significare la scarsa “tenuta” dell’essere umano: una sorta di scacco che è tuttavia al contempo una possibilità, perché lascia spazio a una tensione, non verso l’altro ma rivolta alla vita. Il targhet rappresentaè in fondo questa paura dell’essere, del non senso, del nulla… C’è chi è morto per questo…

CP: Per le opere di questa sera quali tecniche hai utilizzato? So che tu parti dalle fotografie, poi ci lavori sopra… che tecniche hai utilizzato?

RB: Le piccole foto nascono da un incontro impossibile, casuale, la possibilità sta sempre in ciò che non sai, normalmente dopo una crisis. La crisis è passaggio e nasce da un gioco, un’elaborazione con la pittura sulle foto e da un’eccedenza di fotografie di modelle, di corpi. Quindi io parto dal corpo in un discorso di ambiguità tra realtà e immaginario, dove però ci sono degli elementi che conservano dei dati oggettivi, reali, come la pelle, quindi la pelle del corpo diventa la pelle di un volto, diventa occasione di elaborazione per creare un’atmosfera diversa, sempre all’interno di questa esplorazione che faccio dell’essere, dell’impossibilità dell’uomo, della difficoltà, dell’orrore e della bellezza. Dell’orrore e della bellezza che è l’uomo. Ecco, questo. E comunque olio, pennello virtuoso, tanto da non capire fino a dove arriva il pennello e dove entra invece la fotografia e viceversa.

CP: Da questa serata direi che la contaminazione di stili e di arte t’interessa molto: ci sono proiezioni di video, opere che partono dalla fotografia, e il pubblico è entusiasta, nel senso che c’è tantissima gente e la serata è sembra essere un successo. A te piace quindi contaminare tipi di arte diversa, materiali diversi?

RB: Sì, è naturale. è impossibile fare altrimenti, altrimenti saremmo degli assoluti monoliti. Ma io dipingo, so fare solo quello, per il resto sono un assoluto disastro, a parte l’intima capacità di ascoltare la parola di un poeta; ma questo appartiene al mondo, non solo a me. E quindi la poesia dice da sé. Ma pittura e poesia, parola e immagine sono un connubio che da sempre si sposa, s’innamora, forse non sempre si sposa ma spesso s’innamora. Al di là di questo poi c’è un video… Io non so, io so muovere solo il pennello, forse poi! è questo che faccio, grazie a Dio. E quindi c’è un’identità molto precisa. Non so se riuscirei a elaborare un’immagine video perché sono ignorante, profondamente ignorante. Anche quando ho un pennello in mano, ignoro… forse è la mia salvezza ma c’è una possibilità, ognuno con la propria identità, ognuno con il proprio modo, con la propria sensibilità, con la propria anima e la propria stupidità. Si è anche stupidi, meno male! Ognuno dà e poi c’è qualcuno che orchestra, c’è qualche cosa che unisce ma al di là di noi… un’occasione, sono solo occasioni umili, molto umili.

CP: Raffaella, guardando alcune tue opere del passato ho visto che l’uso del colore era molto importante per te, c’erano delle variazioni cromatiche notevoli. Invece nel progetto “Target” al quale ti sei dedicata e hai appena terminato il colore manca, e anche nelle cose che stai facendo adesso mi sembra che ci sia una presenza di chiaro scuri o bianchi e neri. Come mai questa scelta, questo cambiamento?

RB: Sostanzialmente perché il colore ha un carattere molto forte. Mentre prima lavoravo in maniera molto cromatica perché, per quanto ci fossero delle idee, un’idea di fondo, di per sé il colore “parlava” da solo. Infatti nei lavori del “Doppio ritratto” il colore è parziale, non c’è un cromatismo acceso. Via via che andavo avanti mi sono accorta che era fondamentale un’idea forte che in qualche modo urgeva ed essa si è mangiata il colore perché qualsiasi ulteriore definizione d’immagini in termini cromatici avrebbe sicuramente tolto non dico effetto, perché magari il colore dà un effetto anche più forte, ma avrebbe tolto qualcosa a quel principio, a quell’idea, che invece sostiene tutto il lavoro. Senza contare che tutta la gamma dei grigi può non far rimpiangere il colore, mentre io dipingo non rimpiango il colore perché dà possibilità di variazioni pressoché infinite.

CP: Tu sei principalmente una ritrattista, infatti sei particolarmente interessata alle espressioni, ai momenti espressivi dell’uomo, dell’essere umano. Mi raccontavi che a volte per strada ti capita d’incontrare dei soggetti particolarmente interessanti, a volte riesci anche a portarli nel tuo studio e a ritrarli. Quindi tu ovunque trovi ispirazione, trovi qualche soggetto che ha una particolarità che t’ispira?

RB: Sì, assolutamente. Voglio dire: l’uomo è l’uomo! L’uomo è immenso. E alle volte ci sono persone che sono quasi trasparenti o che hanno una forza… ma non in termini di bellezza esteriore, ma un’intensità quasi che ci fosse un accordo tra interno ed esterno, o se vogliamo qualche cosa che sfugge a un controllo, di cui loro non sono a volte neanche consapevoli e ovviamente non puoi esserlo neanche tu perché non conosci, però là si aprono porte non d’indagine ma di una sonda d’immagine infinita. Per strada si trova tutto, poi quando ho fatto i “Doppi ritratti” in effetti io ho preso dalle navi americane, una serie di aneddoti, o prostitute, insomma una gamma pressoché infinita dell’umano, ricco, molto ricco. Se non si nasconde è molto ricco. Ma a volte anche il nascondersi è interessante perché è un dato che si può cogliere e si può rendere vivo. E un poco ci nascondiamo tutti, insomma… è normale.

CP: Ci dici due parole sul progetto a cui ti stai dedicando adesso e poi se hai qualche sogno nel cassetto oppure qualcosa che vorresti realizzare in futuro?

RB: Adesso mi sto dedicando a un progetto ambiziosissimo che è il dopo “Target”. Il “Target” ha un imprinting molto forte, terrifico anche. E come ti dicevo, ha assunto una connotazione così forte soprattutto dopo l’orrore reale accaduto, le Torri e così via. E anche una spettacolarità, un’eccedenza d’immagine. Ha quindi preso una connotazione più precisa, cosa che io non volevo, io lavoro in un senso molto più lato, più sottile. E proprio in relazione a questo, mi sono interrogata su che cosa significhi l’orrore e dove va a insinuarsi, come si manifesta al di là dell’aspetto eclatante. E ho pensato che in realtà crea delle smagliature ed è lì che diventa ancora più terrifico, le smagliature del quotidiano dove si annida e si porta avanti. Un pianto lo fai e la questione si chiude, ma ci sono tanti orrori, anche quotidiani, ed è una mancanza di senso: ti trovi a legarti le scarpe, a farti la barba, a metterti il rossetto e per un attimo ti dici: ma tutto questo non ha senso! E lì si crea una smagliatura e proprio il gesto minimale, piccolo, fa da traino per andare forse oltre, per ritrovarsi con dignità comunque malgrado questa possibilità di naufragare nella mancanza di senso, soprattutto quando interviene qualche fattore forte. è questo credo il senso, questa smagliatura e allo stesso tempo questa possibilità… non so se mi sono spiegata sufficientemente. Ma è un progetto difficile da rendere sulla tela, difficilissimo, e forse per questo m’interessa. Ci vorrà molto tempo ancora!

CP: Allora ti auguro in bocca al lupo dato che la sfida mi sembra abbastanza tosta. E buon lavoro!

RB: Grazie, ciao!

Galleria-Immagini

E’ nell’elemento creaturale che la caducità offre il suo più intimo e tragico segno, in una vulnerabilità che interroga in quanto dato tragicamente ineludibile e sornionamente presente.
Due i fronti di indagine di questa artista, due i metodi esecutivi e un unico intento: esprime l’esserci. Presenza forte e tenuta debole, ecco come l’esserci è offerto e si offre nel lavoro della Busdon. Poca tenuta nella propria naturale fisicità, poca tenuta del pensiero con la sua impossibilità di affrancarsi a qualsiasi seppur minima certezza.
Il target – mirino è segno non solo di una minaccia che può incombere dall’esterno e stroncare ogni percorso individuale, è soprattutto segno di un’intrinseca, strutturale eppur straordinaria condizione umana, che consente di passare dall’orrore alla pietas. (Demetrio Favelli)

(comunicato stampa)

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