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Musica

Il piccolo uomo dalla lunga vita: Irving Berlin e le sue mille canzoni (I)

Un paragone, con tanta musica. 

La storia della canzone americana e dei “Musical” che ne sono usciti è ricca di nomi validi e mai dimenticati. Fra questi ve ne sono due che appartengono a personaggi molto diversi tra loro, ma che è necessario mettere a confronto: Irving Berlin e George Gershwin.

Due nomi famosi e stranamente legati da qualcosa in comune. Ebbero, se pensiamo alla loro vicenda umana, la più lunga e rispettivamente la più breve esistenza: scomparsi Gershwin a trentanove anni e Berlin a centouno (compiuti).

Erano entrambi ebrei di origine russa. Gershwin era nato pochi anni dopo l’arrivo a New York dei suoi genitori, mentre Berlin era giunto a New York quando aveva cinque anni, proveniente dalla Russia insieme a fratelli e genitori.

Fin qui le casuali analogie. Ma ve ne sono altre ancora. Berlin era nato dieci anni prima, ma tanto lui che Gershwin erano cresciuti nel formicaio etnico del Lower East Side di Manhattan, pieno di immigrati poveri.

Del tutto diverse furono poi le loro strade, i loro gusti musicali, le loro attività. George ebbe, nella sua breve esistenza, le caratteristiche di un autentico musicista, con la prodigiosa freschezza dei suoi pezzi sinfonici e di un’intera e famosa opera lirica, oltre alla base musicale di tante commedie per il teatro e per il cinema. Irving, invece, si era accostato ancora bambino alla musica per puro istinto, un vagabondo ambulante dotato di una capacità d’improvvisazione assolutamente stupefacente. E che durò un secolo.

Una vita breve e un intero centennio, due spazi di tempo tradotti in musica con il più incredibile fascino.

Gershwin e Berlin non ci sono più. Ma provate, qualche volta, a fischiettare in giro “Summertime” oppure “Cheek to Cheek” e prima o poi qualcuno li riconoscerà. Magari sarà qualche maturo nostalgico e un po’ noioso: ma intanto la loro musica avrà mosso qualcosa…

Di Gershwin ho scritto un paio d’anni fa. Ora è la volta di Berlin,  graditissimo ospite.

Storie di emigranti.

Il 13 settembre 1893 giungeva nel porto di New York la nave “Rhinland” della Belgian Red Star Line, che era partita da Anversa undici giorni prima. Un transatlantico non molto grande e con quindici anni di onorato servizio tra Europa e America.

Era letteralmente stipato di passeggeri, che venivano tutti accompagnati all’ufficio della polizia portuale con una prescrizione di “prolungato soggiorno”: in pratica un eufemismo per significare “emigranti”. Provenivano in parte da Francia, Belgio e Germania, ma in maggioranza erano intere famiglie di ebrei russi la cui patria era diventata gravemente inospitale a causa delle persecuzioni anti-giudaiche del governo zarista.

Una di queste famiglie era quella di Moses e Lena Baline, e veniva da Mohilev, una località della Russia Bianca. Avevano con loro sei figli, il più piccolo, Israel, aveva cinque anni.

Moses, il capofamiglia, era un cantore di sinagoga, basso e tarchiato, col suo regolare zucchetto in testa. Ma ai funzionari della immigrazione si era qualificato “lavorante di macelleria” temendo che “cantore” risultasse un po’ strano ai bravi americani.

La sede di elezione per gli immigrati era il Lower East Side di Manhattan, con una zona soprannominata “Jewtown”, città degli ebrei.

I ragazzi Baline non tardarono a trovare un po’ di lavoro, e anche il piccolo Israel si diede da fare vendendo giornali per strada. e facendo anche il garzone in un negozio di rigattiere. La loro abitazione era quanto di meno confortevole si potesse immaginare, ma questa cosa era un po’ uguale per tutti i nuovi abitanti della “Jewtown”, impegnati a resistere e a sopravvivere, comunque lontani da quella loro patria ferocemente ostile.

A sette anni Israel fu indicato a scuola come un alunno qualsiasi, ma anche con una caratteristica speciale: “sognatore, e inoltre canta da solo.” I suoi momenti più felici erano quelli che poteva trascorrere nella sinagoga del rione, unendosi con la sua voce infantile al coro frequentato da suo padre.

“Let me sing and I’m happy” (lasciatemi cantare e io sono felice) era la sua frase preferita. Aveva una predilezione per i motivi legati alle feste religiose, non solo ebraiche, ma anche dei suoi amici irlandesi o italiani.

“Io non ho il Natale”, diceva, spesso ai suoi compagni O’Hara, che a Natale improvvisavano l’albero con rami di pino raccolti in giro.

Lo avrebbe avuto in seguito, e anche “Bianco” quando il mondo avrebbe cantato questo suo motivo, il più famoso di tutti.

L’inizio: canzoni per la strada, poi anche “al chiuso”.

Immagine articolo Fucine MuteQuando Israel ha tredici anni gli muore il padre, dopo una lunga degenza in ospedale per una bronchite cronica. Anche una delle sorelle è morta qualche anno prima. La madre rimane sola con cinque figli, e il più giovane, che viene chiamato da tutti “Izzy”, si rivela per un ragazzo intelligente e simpatico, come ci conferma una sua fotografia.

A quattordici anni finisce il suo periodo di scuola obbligatoria: tutta la famiglia Baline abita nella “Cherry Street”, via dei ciliegi, che ovviamente non ci sono, e lzzy sfrutta la sua voce di giovane tenore cantando per le strade, con un discreto successo, i motivi in voga, per i quali ha un ottimo orecchio. Riesce a guadagnarsi da mangiare, e non è poco: è una fase della sua vita in cui la musica ha il ruolo di sostenere la sua sopravvivenza. Se va bene, lui mangia, se no, è la fame.

Qualcuno lo nota in strada, e ottiene un modesto ruolo nel coro di un “musical” che non dura molto, ma che gli apre comunque la visione su un mondo che lo affascina. In questo ambiente inconsueto conosce Harry von Tilzer, un compositore di canzoni (quel “von” è solo una trovata), che è lo zio d’una ignota ragazzina di nome Frances Gumm, la futura Judy Garland (che molti anni dopo canterà i motivi di Berlin in “Easter Parade”, sgambettando con Astaire). Ma per ora non la conosce per niente.

Von Tilzer gli trova un lavoro, cinque dollari alla settimana per eseguire con la sua bella voce di sedicenne delle canzoni in voga in un “Music Hall” popolare, nel quale si esibiscono anche “I tre Keaton”, genitori e figlio; e questo è Buster Keaton, destinato a diventare uno dei più grandi comici del cinema muto.

Molto alla lontana, è il mondo dello spettacolo che sta sfiorando questo ragazzo. Il locale si chiama “Pelham Cafe”, e qui Izzy diventa uno dei migliori “Singing Waiters” (camerieri-cantanti). Il lavoro è faticoso, ma lui ne è entusiasta, perché può osservare da vicino il lavoro dei pianisti addetti al doppio servizio. Uno di questi è un negro, che suona secondo un nuovo stile sincopato che viene chiamato “Ragtime”. Izzy ne è quasi stregato.

Ed è proprio al “Pelham Cafe” che fa la più importante scoperta della sua vita. Sentendolo cantare così bene dei motivi che, lui stesso sa improvvisare, qualcuno gli propone di volgerli in musica scritta, ma lui non sa collocare neppure una sola nota sul pentagramma. Nessun problema, ci sono i vari amici pianisti. Uno di loro, conosciuto come “Professor Nicholson”, gli fa cantare un allegro motivo che rientra nel fortunato filone all’italiana di quei tempi, (spaghetti, amore e gondole), già inventato e cantato più volte da Izzy, e poi lo trascrive in, musica. è “Marie from Sunny Italy”, una specie di serenata che ben presto renderà noto il nome del suo autore: Irving Berlin. Un nome in stile “Old Europe” che egli stesso si è creato, usando le sue vere iniziali: quelle di un cameriere-cantante che sa comporre le canzoni senza saperne scrivere la musica.

Così, a diciannove anni, scompare Israel Baline e nasce quello che sarà il nome del numero uno nella canzone americana.

Il giovane Berlin ha una notevole intelligenza, pur essendo di carattere un po’ chiuso e riservato. Vuole rendersi indipendente dal proprietario del locale, che per di più è un personaggio nel redditizio traffico dell’oppio in Chinatown, conosciuto in giro come Nigger Mike, anche se non è un negro, ma solo abbronzato.

Per Berlin è giunto il momento di cambiare strada, e gli viene incontro lo stesso padrone con un improvviso licenziamento. Si chiude per lui un periodo di formazione, faticoso ma ricco di esperienze. Può anche permettersi il lusso d’una modesta camera d’affitto in Union Square, che divide con un amico, il compositore Max Winslow: gli sarà utile la sua guida su molte cose del suo lavoro.

Prima Tin Pan Alley, poi il pianoforte specializzato

Il lavoro del cameriere-cantante si è concluso definitivamente, e senza molti rimpianti. Gli è però servito a conoscere una grande quantità di motivi altrui e a impararne a memoria i relativi versi: una buona esperienza. L’espediente successivo di cantare le sue melodie al pianista-collaboratore che le trascrive, si rivela non solo molto pratico, ma anche redditizio, al punto che diversi pianisti si susseguono nella singolare occupazione.

Così nascono le prime canzoni a firma Berlin, dopo la storica “Marie” all’italiana, di qualche anno prima. Ma non basta: è il momento di un lavoro più complesso, quello di “Tin Pan Ailey”, il viale delle pentole di stagno, la zona di New York dove ci sono i “Song Pluggers”, cioè i propagandisti di canzoni da vendere (il nome deriva dal continuo frastuono di musiche incombenti lungo tutto il viale). Anche qui, naturalmente, Irving canta i suoi motivi al pianista che li trasforma in musica scritta, pronta per la vendita. Utile tirocinio anche questo.

Anni dopo, lavorerà a Tin Pan Alley un giovane compositore pieno di speranze: si chiama George Gershwin, e si dichiarerà sempre un grande ammiratore di Irving Berlin. Vi sarà anche un tenue progetto di collaborazione fra i due, che non avrà conclusione. Meglio così, ci sembra che due “grandi” insieme non avrebbero funzionato.

Ho accennato al frequente succedersi dei pianisti che, insieme a Berlin, trascrivono le sue canzoni sulla carta da musica. Talvolta lui fornisce solo le “Lyrics”, cioè i versi, ma per lo più è un suo “Hum”, un suo canto a bocca chiusa, ad avere la precedenza nel creare la base definitiva (mi scuso per i termini tecnici).

Fra i vari collaboratori merita ricordare George Whiting e Ted Snyder, i migliori nello svolgere il delicato incarico. Va anche detto che la voce di Irving adulto non è per nulla sgradevole, anche se non del tutto idonea a un vero solista di spettacolo: e lui ne terrà sempre conto nel futuro. Intanto si susseguono tantissime canzoni, poiché la creatività dell’ex cameriere nonché ex diffusore di musiche in Tin Pan AIley ha un ritmo serrato: le novità vengono composte in numero di “almeno” una per settimana, e tutte di buona Cattura. Irving è di statura medio-bassa e piuttosto minuto, ma è assolutamente instancabile nel lavoro.

Si rende pure conto che ormai è il momento di decidere qualcosa circa i rapporti fra lui e il pianoforte, e lo farà con molto impegno. Intanto prova a creare qualche semplice motivo usando solamente i tasti neri dello strumento, più accessibili alle sue mani impreparate: ma il campo d’azione è troppo modesto. Gli viene incontro una scoperta recente già sperimentata dagli inglesi: un piano che può cambiare la chiave di esecuzione se il suonatore muove una leva che controlla le due tastiere, la bianca e la nera. Si chiama “Transposing Piano”, cioè trasmutabile, e in un tempo ragionevole Berlin potrà veramente comporre di persona i suoi motivi, con scioltezza e guadagno di tempo.

Immagine articolo Fucine Mute

Chiamerà, con affettuosa ironia “Tricky Piano” (Piano truccato, oggi si direbbe “taroccato”) il suo nuovo utilissimo strumento.

Con gli amici Whiting e Snyder ha messo insieme nel 1909 una lieta canzone, “My Wife’s Gone To Country” (mia moglie è andata in campagna) che viene segnalata da “Variety”, il periodico dello spettacolo, alle sue prime uscite. Ma il grande esito di una sua canzone verrà l’anno dopo con “Alexander’s Ragtime Band”, e forse merita riassumerne la storia.

Berlin aveva raccolto, col progredire del suo lavoro, i richiami provenienti da New Orleans e dai suonatori negri del Sud. Uno di loro, il pianista Scott Joplin, stava lanciando un nuovo stile sincopato al quale aveva dato il nome di “Ragtime”, cioè tempo spezzato, a brandelli. La breve carriera di Joplin, morto giovane, aveva lasciato il segno, al punto che ovunque si parlava di “Rag” aggiungendovi a piacere altri termini come Time, Play, Dance, e così via, come sinonimo di ritmo insistente e sfrenato. Anche Tin Pan Alley vi si era adeguata.

“Alexander’s Ragtime Band”

La produzione delle musiche di Berlin sta avviandosi per una strada sicura e priva di ostacoli. L’uso ormai esclusivo del suo pianoforte modificato, la possibilità di avere dei testi gradevoli e spiritosi che ormai si scrive da solo, la sempre migliore collaborazione di specialisti che rapidamente redigono le partiture, e soprattutto la continua richiesta di canzoni da parte del pubblico: è la fama in grande crescita.

Lui rimane il personaggio serio e riservato di sempre: “A skinny little guy, very quiet” lo definirà Golda Clough, la sua segretaria (un tipo piccolo, scarno, molto tranquillo…). La sua voce è quieta, parla poco, si stenta quasi ad avvertire la sua presenza.

Invece si sentono bene, e come, le sue canzoni: continuano a fluire da quel suo magico pianoforte, e vengono sempre più richieste.

Il 1910 è un anno molto importante. Non è possibile fare un elenco, anche solo parziale, di tutte le composizioni di Berlin fino a quel momento. Però una di queste, ispirata come abbiamo detto ai ritmi sincopati di Scott Joplin a New Orleans, si distingue sopra tutte le altre: durerà nel tempo, col suo ritmo che ricorda quasi una marcia militare:

“Come on and hear, come on and hear Alexander’s Ragtime Band…” 
E resterà per molti anni una specie di inno personale al suo autore.

Ma l’enorme popolarità della canzone non tarda a raggiungere le orecchie molto addestrate e sensibili di Florenz Ziegfeld, il sovrano indiscusso, già in quegli anni, del “Musical” americano che, dal 1907, offre regolarmente al pubblico le sue mitiche Follies, “glorificando” le ragazze delle sue riviste. Berlin scriverà ancora per lui parecchi motivi, fra i quali uno dei più belli, “A pretty girl is like a Melody” (una bella ragazza è come una melodia), del 1919: lo ricordiamo ancora oggi, perché il cinema sonoro lo farà sentire più volte.

In America, il marchio del successo arriva sempre con l’iscrizione ad un Club di persone importanti, e questa era anche la regola nei lontani anni ‘10. Per Berlin, nella primavera del 1911 arriva il festeggiamento inevitabile, con l’ammissione al “Friars Club”, club “dei frati” secondo il consueto stile gioviale di prammatica.

Lo presenta George M. Cohan, un pezzo grosso dello “Show Business” che è un suo sincero ammiratore, avendo anche scritto, in precedenza, qualche buon testo per le sue canzoni. Ma Cohan è già noto in tutto il settore dello spettacolo come autore di “Give My Regards to Broadway” (Porta i miei saluti a Broadway), altra canzone-inno di grande successo. E nel 1942 James Cagney avrà un Oscar per aver interpretato un ottimo Cohan al cinema.

Nel discorso di benvenuto, Berlin è definito cordialmente “quel ragazzo ebreo che si è voluto chiamare come un attore inglese accoppiato alla capitale tedesca”: l’attore era Henry Irving, molto in voga al momento. Sulla autenticità di questo abbinamento non esistono altri controlli.

Nel settembre del 1911 viene ancora festeggiato come “il compositore di cento successi” in un teatro di Times Square: accoglie l’applauso con evidente soddisfazione, senza perdere la sua abituale compostezza. Ha potuto sistemare sua madre in un comodo appartamento vicino al Central Park, per farle dimenticare le grandi miserie precedenti, e anche lui si può concedere una buona residenza da scapolo. E viene costituita la Waterson, Snyder & Berlin Co. con i suoi fedeli collaboratori dei tempi magri.

Un altro successo ancora, in questo periodo veramente fortunato: il motivo è “Everybody’s doin’it” (tutti lo fanno), legato sempre al ritmo del “Ragtime” e anche molto adatto come ballabile. è un momento in cui molte danze dal nome curioso nascono un po’ dappertutto.

Tristezza per Dorothy, poi trionfo a Broadway.

Agli uffici della Berlin & Co. affluiscono molte ragazze in cerca d’una scrittura per cantare in pubblico. Una di queste è Dorothy Goetz, una brunetta di ventitré anni, sorella d’uno dei tanti collaboratori di Irving. Il risultato sarà molto semplice: Berlin s’innamora, ed è la sua prima esperienza sentimentale. Meticoloso come sempre, fa presto a identificare amore e matrimonio come conseguenti.

Nel febbraio 1912 si sposano con una semplice cerimonia, e partono per Cuba, dove troveranno un bel clima mite. Trovano, purtroppo anche un’epidemia di febbre tifoide appena scoppiata, che è una cosa molto grave nell’era precedente agli antibiotici. Ritornano subito a New York, e poco dopo Dorothy si ammala; subentrano poi delle complicanze al polmoni e la morte, cinque mesi soltanto dopo il matrimonio. Viene sepolta a Buffalo, la città della sua famiglia.

Berlin è di nuovo solo. Si dedica completamente al suo pianoforte e alla sua musica, componendo moltissimo. Ma questa volta vuole anche scrivere qualcosa sulla giovane sposa scomparsa, e il risultato è una canzone semplice, a tempo di valzer lento, niente ragtime. Il titolo è “When I lost you” (Quando ti ho perduta). Ed l’unico motivo, fra tutti i suoi mille e più, che ricorderà sempre come legato ad un evento della sua vita. Trascorreranno dodici anni prima del suo secondo matrimonio.

Nel 1913 fa un viaggio a Londra, sollecitato dal crescente successo inglese delle sue canzoni: il solo “Alexander’s” ha già venduto in Inghilterra cinquecentomila copie con parole e musica, mentre a Londra il Ragtime con le sue varie versioni è in notevole diffusione. Dice Berlin in una intervista ai giornalisti inglesi: “Io mi limito a canticchiare i miei motivi mentre faccio la doccia o giro per strada, poi aggiungo le parole…”. Ha venticinque anni e ne dimostra meno di venti, ed è una sorpresa per tutti che questo garbato giovane americano sia veramente “The King of Ragtime”.

Immagine articolo Fucine MuteNel giugno dello stesso 1913 è di ritorno a New York dove due ballerini, marito e moglie, sono attualmente gli applauditi esecutori di alcuni suoi motivi ritmici. Si chiamano Vernon e Irene Castle: tanti anni dopo, nel 1939 un’altra coppia famosa (di non-coniugi, però), con il nome Rogers e Astaire, rievocherà i Castle in un film che sarà anche il loro ultimo girato assieme.

Nel 1914 la bravura e la simpatia dei due Castle attirano l’attenzione di Broadway, e nasce il progetto di una commedia musicale con la loro interpretazione. Se ne occupa il migliore impresario del momento, Charles Dillygham, che a sua volta fa scrivere il libretto ad un esperto, Harry Smith. Per la musica, nessuno ha dei dubbi: la commedia deve contenere esclusivamente “Castles dancing and Berlin’s music”…

Il titolo è spiritoso: “Watch your Step” (attenzione a dove metti i piedi) e la trama è piacevole, un contrasto fra le musiche classiche (c’è anche un fantasma di Verdi!) e l’immancabile progresso dei ritmi moderni. La professionalità dei due Castle e degli attori, insieme ai motivi molto piacevoli di Berlin, determinano l’esito trionfale della “prima” al New Amsterdam Theatre di New York. Il pubblico reclama Berlin in persona al proscenio, al grido di “Composer, Composer!”. E lui riesce anche a mettere insieme un discorsetto di ringraziamento. Serata memorabile.


Canzoni e spettacoli.

Berlin non ha un carattere fragile. Non lo illude il successo appena ottenuto a Broadway, e si mette subito al lavoro, per sfruttarlo al meglio. In primo luogo, nel novembre 1914 costituisce una sua ditta personale, la Irving Berlin Inc., sistemandosi nella zona teatrale della città, e lo affianca un buon avvocato. La precedente associazione con Waterson viene sciolta: ha scoperto delle irregolarità da parte del socio, accanito scommettitore di cavalli. Anche Ted Snyder, l’altro socio, si metterà in proprio, senza contrasti.

Per la prima volta sente anche il bisogno di allargare le sue scarse riserve culturali dedicandosi a qualche lettura impegnativa, magari un po’ di Shakespeare e anche le lettere di Lincoln, molto care agli americani.

Da scolaro povero e intelligente, ha sempre amato i libri, e frequenta anche i concerti di musica classica, dove gli si aprono le melodie dei grandi compositori russi.

Conosce una simpatica ragazza, Elsie Janis, figlia di suoi amici attori: è sovente loro ospite a cena. Ma le cose non vanno oltre, senza richiami nuziali: per ora Berlin rimane un vedovo occupatissimo a scrivere canzoni.

Sono veramente molte, impossibile qualunque enumerazione. Ne possiamo ricordare due, una più leggera, “Cohen owes me (mi deve) 97 Dollars”, e l’altra più seria, “When I leave the World be’ind” (quando mi lascio dietro il mondo). Questa seconda piace molto a Al Jolson, un altro ebreo russo che ne farà un canto strappa-lacrime di successo nelle sue famose esibizioni, truccato da negro.

Un giorno del 1915 gli presentano un “duo” di giovanissimi danzatori, che sono Fred e Adele Astaire, all’inizio della loro carriera nel teatri musicali: tanta simpatia, ma non vi sarà un seguito. Molti anni dopo, quando i fratelli Astaire saranno da tempo divisi e sarà in pieno vigore il cinema sonoro, questo nome entrerà con Fred in alcuni dei più noti film musicati da Irving Berlin.

Abbiamo detto anche di un incontro fra Berlin e il giovane George Gershwin, suo grandissimo ammiratore. Ma George è già un vero padrone della tastiera, sulla quale sta ancora compiendo un rigido tirocinio di studio con dei buoni maestri, mentre il più anziano “songwriter” continua a fabbricare successi con il suo “tricky piano”. Sono due eccezionali musicisti, avviati su percorsi molto differenti.

Nel 1914 ha inizio la guerra in Europa. Per gli Stati Uniti vi saranno invece alcuni anni di neutralità, secondo le direttive del presidente Wilson. E per l’inevitabile reazione, lo “Show Business” è in grande movimento.

Uno del suoi esponenti più in vista è Florenz Ziegfeld, con il suo Century Theatre di Broadway: vi si rappresentano le “Ziegfeld Follies”, una garanzia di grande spettacolo. E quando decide di mettere in scena una commedia musicale, si rivolge subito a Berlin ricordando la sua precedente “Watch your Step” e il relativo successo.

Le prove sono lunghe e minuziose: la messa in scena e la direzione dell’orchestra spettano a Victor Herbert, un esperto. E così, nell’inverno 1915, le musiche di Berlin sottolineano un altro trionfo per “Century Girl”, cioè “La ragazza del Century”, che vale per il teatro e anche per il secolo.

Le canzoni della nuova commedia sono tutte gradevoli, ed è sicuramente essenziale il loro contributo al grande esito

All’inizio del 1916, Berlin si concede un breve riposo nel suo nuovo appartamento (da scapolo, si sa) nella West 72nd Street, tenendo però sotto controllo i suoi due uffici, uno a Broadway e uno alla Tin Pan Alley. E rivede un suo vecchio amico giovanile, Joseph Schenck, produttore alla Metro Goldwin Mayer, che, non amando la California — abita a New York — gli presenta tre giovani sorelle sue amiche.

Il loro cognome è Taimadge: due di loro, Norma e Constance, sono attrici del cinema muto e si avviano ad una discreta carriera: Norma non tarda molto a sposarsi col ricco produttore, mentre fra Constance e Berlin c’è molta simpatia, con i loro dodici anni di differenza e parecchie vedute in comune. Ma neanche questa volta ne uscirà qualcosa di concreto: lei seguirà con successo la sua strada nel cinema, specializzandosi in ruoli brillanti e ritirandosi dagli schermi quando arriverà il sonoro. Per la cronaca: la terza sorella, Natalie Talmadge, sarà poi la moglie, pare poco felice, di Buster Keaton.

Il sergente Berlin.

8 aprile 1918. La data entrerà nei libri di storia degli Stati Uniti: il presidente Wilson ha dichiarato guerra alla Germania.

Da Tin Pan Alley arrivano già le prime canzoni di guerra, e Berlin si adegua rapidamente con la canzone “For your Country and my Country”, subito adottata dalle giovani reclute. Si rende presto conto che le glorificazioni americane fondate sulle belle ragazze di Ziegfeld hanno fatto il loro tempo, almeno per ora: la musica è decisamente cambiata.

Ha ottenuto da poco la cittadinanza americana seguendo la trafila degli immigrati, lunga e molto complessa: in tempo, comunque, per ricevere la sua regolare chiamata alle armi.

Viene assegnato ad un reparto di fanteria a Camp Upton nel Long Island, abbastanza distante da New York, e non si può definirlo entusiasta dell’approccio iniziale: gli pesa soprattutto la sveglia ai mattino presto, tenuto conto che finora ha sempre lavorato la notte, svegliandosi nella tarda mattinata. Compone subito una canzone tutt’altro che marziale, “Oh, how I hate to get up in the morning!” (come odio alzarmi al mattino), piena d’umorismo e con qualche espressione popolare nel testo.

Il comandante del campo lo fa chiamare, e invece di deplorare la sua mancanza di spirito bellico, gli propone di organizzare uno spettacolo, dato che occorrono dei fondi per ampliare le caserme. Berlin compone ben sei motivi fra i suoi più gradevoli, e uno di questi è “Dream on, little soldier boy” (Sogna, soldatino). C’è anche un’altra canzone, più seria e nostalgica, che potrebbe entrare nella commedia, ed è come una preghiera: “God Bless America” (Dio benedica l’America).

Ma l’autore ha un ripensamento, considerandola poco adatta per una allegra rivista, e la mette da parte. La canzone uscirà a suo tempo dal cassetto di Berlin e andrà per il mondo, oggi come allora.

Lo spettacolo ha il solito grande successo, tanto più che il pubblico, militare o no, è molto propenso all’entusiasmo. E il soldato Irving Berlin viene promosso sergente.

La partecipazione americana alla guerra termina nel mese di novembre, con la sconfitta della Germania e l’armistizio. Tutto considerato, il periodo di Berlin sotto le armi in pieno conflitto mondiale, è stato più che sopportabile. Tornando alla vita civile si rende conto che la sua popolarità non ha sofferto della parentesi militare, e che è quasi cresciuta: ha un secondo incontro con Gershwin che vuole manifestargli la sua devota simpatia, anche se a lavorare insieme non è possibile pensare. Però, forse per la prima volta, decide di prendere qualche lezione di pianoforte da un ottimo maestro, ma l’esperienza ha un esito disastroso: bravo e paziente l’insegnante, del tutto renitente l’allievo. Berlin è un caso unico e non c’è rimedio: il suo destino è comporre canzoni, e tante, ma a modo suo. E i risultati gli danno ragione.

Florenz Ziegfeld si fa avanti invitandolo ad una ripresa della loro precedente collaborazione all’Amsterdamer Theatre di New York: lo spettacolo è, naturalmente, “The Ziegfeld Follies of 1919”, e il successo è garantito da un insieme di numeri musicali, fra i quali emerge il motivo che fa da conduttore: “A Pretty Giri is like a Melody”, una dolce canzone che dagli anni ’30 in poi entrerà nella colonna sonora di ben quattro pellicole, fra cui un “The Great Ziegfeld” del 1936, con l’ineffabile William Powell come protagonista.


“The Music Box”.

Questo ritorno al teatro ridesta in Berlin un vivo desiderio, quello di avere il suo personale palcoscenico a Broadway. Lo hanno preceduto in questo felice privilegio Kern e Ziegfeld, e adesso sente che è veramente il suo momento.

Due amici, il produttore Sam Harris e il compositore Jimmy Walker lo consigliano e lo aiutano nell’impresa. Il locale verrà costruito nella Quarantacinquesima Strada, non lontano dalla zona dei teatri, in piena Manhattan. Si presenta bene già dall’esterno, con una elegante loggia a colonne, e ha un lussuoso interno per oltre mille spettatori. La spesa è notevolissima e si rende necessario l’aiuto di un ulteriore finanziatore: sarà il vecchio amico Joseph Schenck, quello che ha sposato l’attrice Norma Talmadge facendo il produttore a Hollywood.

In pieno accordo si decide il nome del teatro: The Music Box, cioè la scatola della musica. Tutto procede bene, e il 22 settembre, con una folla enorme di spettatori, si alza il sipario su “The Music Box Revue of 1921”. Il successo riempie le pagine dello spettacolo nei giornali del mattino dopo: “New Berlin Show, a Stage Revelation” e grandiosità simili, ma ben giustificate. Qualche motivo musicale: “Say it with Music” (dillo con la musica) oppure “The Legend of the Pearls”. Ma Berlin ha anche voluto riprendere sulla scena il bellissimo “A Pretty Girl is like a Melody”, che si avvia ad entrare nell’elenco dei suoi grandi classici.

A partire dal 1921 vi sarà una “Music Box Revue” per quattro anni di seguito. Questa prima edizione passerà alla storia dello spettacolo con 440 repliche, ma anche le successive saranno replicate al massimo.

E c’è ancora un trasloco: Berlin si compera un vasto appartamento non lontano dal suo teatro, ed è molto vicino all’Algonquin Hotel, la sede ufficiale della “Round Table”, un club con una cinquantina di soci, tutta gente dello spettacolo; attori, giornalisti, imprenditori e così via. Non è propriamente il suo ambiente prediletto, ma gli è molto utile per il lavoro: sappiamo già che è un uomo piuttosto schivo, ma anche un ottimo amministratore dei propri interessi. Così, diventa un membro stimato del prestigioso club.

Affluiscono alla “Round Table” anche molti soci di sesso femminile. Due nomi: la scrittrice Dorothy Parker e Neysa Mac Meir, una bella disegnatrice di moda per la quale Irving ha una evidente simpatia che, al solito, non sembra produrre dei legami più solidi. In ogni caso, è proprio in questo periodo che escono, firmate Berlin, due canzoni destinate al migliore successo: si chiamano “What’ll I Do?” (Cosa farò?) e “All Alone” (Tutto solo). I due titoli sembrano abbastanza indicativi.

Nell’estate del 1922, mentre sono già in atto i preparativi per la seconda edizione della “Music Box Revue”, muore a settantadue anni Lena Baline, la madre di Irving. Con lei se ne va il suo legame più importante con il tempo già lontano della sua prima giovinezza. E un’altra morte avrà un analogo significato, quando scompare, pochi mesi dopo, quel “Nigger Mike” proprietario dei locale che lo aveva accolto come cameriere-cantante a Chinatown. Due occasioni per sentirsi solo, nel pieno del suo successo.

Continuano intanto le annuali riviste del “Music Box” con esito ottimo. Così è l’edizione 1922, mentre per la successiva c’è anche la rivelazione di Grace Moore: è una giovane di ventiquattro anni con una bella voce di soprano, che fa il suo debutto cantando un motivo di Berlin, “Tell me a Bedtime Story” (Raccontami una storia per dormire). La Moore, in seguito, passerà alla lirica e al teatro Metropolitan, un mondo parecchio differente.

Lo spettacolo del ’24 è l’ultimo della serie con Irving Berlin. Ne faranno seguito molti altri, e per lungo tempo: nei 1936, per esempio, il famoso scrittore americano John Dos Passos ricorderà la fama del teatro ambientandovi la carriera dell’eroina d’un suo romanzo; “The Big Money” (Un mucchio di quattrini).


“Always” e le nozze con Ellin.

Una sera di febbraio dello stesso anno, Berlin, di ritorno da una breve vacanza in Florida e in vena di tranquillità, va a sedersi al bar di Jimmy Kelly, un vecchio amico che, come lui, è passato dalla miseria al benessere. Quasi tutti i presenti riconoscono quel cliente, ma nessuno osa disturbarlo: fa eccezione una giovane disinvolta, lei pure piuttosto conosciuta, che desidera stare un po’ in compagnia del famoso “songwriter”. è Ellin Mackay, figlia d’uno dei maggiori magnati dell’industria telegrafica americana, ha quindici anni meno di Irving, è molto graziosa, ama la musica ma ha pure delle simpatie letterarie. Se non avesse incontrato Berlin quella sera, si sarebbero visti prima o poi alla “Round Table”, il club dei benestanti.

Hanno ancora qualche incontro, e Clarence Mackay, padre di Ellin, che ha mobilitato degli investigatori, rimane molto deluso della assoluta stima che gode quest’uomo dello spettacolo. Mackay è molto ricco e molto rigido, un cattolico d’origine irlandese, convinto razzista: questo Berlin, ebreo russo che si è fatto ricco tra musica e teatro non gli piace affatto. Farà di tutto per tenerlo lontano da sua figlia.

Secondo lui il migliore provvedimento è quello, tipico, da padre miliardario: un lungo viaggio con la figlia su e giù per l’Europa. E poi Ellin resterà per qualche tempo in Francia, ospite di amici. Niente di più sbagliato, perché la prolungata separazione consolida l’affetto dei due innamorati. Si racconta d’un tumultuoso incontro con Berlin: “Il giorno che mia figlia si sposerà con lei, io la diseredo”. Risposta: “E io, quel giorno, depositerò in banca due milioni di dollari per Ellin”. è una guerra a base di milioni, abbastanza umiliante.

Fortuna vuole che in questo periodo Berlin sia molto impegnato. è in preparazione “The Cocoanuts” (Le noci di cocco), una commedia musicale ambientata in un albergo di lusso della Florida, interpretata dai fratelli Marx (che sono ancora in quattro) con testi di George Kaufman e canzoni di Berlin. Ma le cose non vanno bene, i Marx sono indisciplinati e non c’è accordo fra gli organizzatori.

Lo spettacolo ha ugualmente successo, ma il suo vero riscatto si avrà nella sua versione cinematografica del 1925. Una canzone, comunque, ha un titolo che sembra un sospiro da innamorato “When my dreams come true” quando si realizzeranno i miei sogni. E, tanto per restare in territorio romantico, va ricordato un altro motivo che sarà sempre “nel repertorio infinito di Berlin, e che è appunto “Always”.

Settembre 1925: Ellin torna a casa dopo il suo soggiorno europeo. Passano pochi mesi, e non tardano a mettere in atto il loro grande progetto: si tratta d’una autentica fuga matrimoniale. Con due amici fidati come testimoni, si sposano il 4 gennaio del ’26: una brevissima formalità burocratica in Municipio.

L’unica persona della famiglia Mackay che viene messa al corrente è la madre di Ellin, da molti anni divorziata dal burbero marito, che si dimostra piena di affettuosa solidarietà con gli sposi clandestini. I quali tre giorni dopo le nozze, si imbarcano sul “Leviathan” per Londra e poi raggiungono Madeira col suo clima molto idoneo a un viaggio di quel genere. La canzone d’obbligo che Berlin mette insieme per il felice periodo si chiama “Always April”. Tornano ancora a Londra per qualche tempo, ma il periodo nuziale deve comunque concludersi: Berlin è richiesto in America, e c’è anche una felice gravidanza.

Il cinema parla e canta.

Il ritorno al lavoro prevede una breve sosta in Canada, poi il viaggio in treno fino a New York, dove trovano una folla di giornalisti e fotografi in attesa: Berlin appare nervoso e intollerante, ma Ellin sta bene. Il 25 novembre 1926 dà alla luce una bella bambina, di nome Mary-Ellin, e questa volta abbiamo in evidenza un padre felice.

Con la ripresa del lavoro, c’è un episodio simpatico: si rivolge a Irving una sua vecchia amica del Musical, alla quale manca una canzone per completare il suo repertorio. Lei e suo marito lo pregano, di aiutarli al più presto, e Berlin trova subito una soluzione: ha da parte un motivo, ancora incompleto, che potrebbe servire. Lo sistema in una notte, e pochi giorni dopo il pubblico può applaudire “Blue Skies” (Cieli Azzurri), una delle grandi canzoni di Berlin che figureranno poi in diversi film: il sonoro è in attesa…

Il nervosismo di Berlin riappare, in coincidenza con una fase critica nella sua posizione professionale. Molti suoi colleghi, che si chiamano Jerome Kérn, Cole Porter, Oscar Harnmerstein e altri, diffondono, con crescente successo le loro canzoni. Lui ha superato i quarant’anni e si sente “vecchio”, in ritardo nella crescente corsa all’affermazione, mentre questi altri musicisti non sono dei volonterosi autodidatti come lo è stato lui: sono persone colte e preparate, e hanno studiato…

Ma sta per aprirsi una nuova era nella storia dello spettacolo musicale. Per la prima volta, fra il 1927 e il ‘28, il cinema parla e canta. Il pioniere degli attori-cantanti è Al Jolson, che nel film “The Jazz Singer” si mette al pianoforte per far sentire alla sua inevitabile e lacrimosa “Mammy” proprio il bellissimo “Blue Skies” di Irving Berlin.

Immagine articolo Fucine Mute

Questo film, e quelli che presto lo seguono, segneranno il passaggio della commedia musicale da Broadway a Hollywood. Questi primi “Cieli azzurri” risuoneranno ancora in alcune pellicole degli anni futuri, con interpreti Alice Faye, Bing Crosby, Danny Kaye.

Tuttavia Berlin è ancora perplesso. Si rivolge a un amico del passato, Joe Schenck, che sta entrando bravamente nei nuovi territori del cinema sonoro, e non mancheranno i risultati del suo appoggio. Nel 1929 esce un film dal titolo curioso, “Puttin’ on the Ritz” (più o meno come “Mettere in scena al Ritz”), e una canzone che è nella colonna sonora con lo stesso titolo, è di Berlin. Un ritmo serrato e attori provenienti da Broadway, come Harry Richman e la giovane Joan Bennett, procurano un discreto successo alla pellicola. Berlin, incoraggiato, va a Hollywood per meglio conoscere questo nuovo ambiente di lavoro: vede i racconti costruiti a pezzi con il montaggio, la musica messa insieme a parte, e così via. C’è parecchio da imparare.

Il 1929 è l’anno del crollo in Borsa e della grande paura, ma la fabbrica, delle illusioni di Hollywood prosegue la sua strada. Un film di quell’anno è “Reaching for the Moon” (Acchiappando la luna), commediola sentimentale con Douglas Fairbanks e musiche di Berlin. Le canzoni sono eseguite da un giovane magro che fa il cantante nella famosa orchestra di Paul Whiteman. Si chiama Bing Crosby e canterà ancora molte cose di Berlin: nel suo domani c’è anche un “Bianco Natale” al cinema.

Il 1930 comincia con un fatto nella vita privata di Berlin: il terribile suocero miliardario, duramente colpito dalla crisi economica e minato nella salute, decide di conciliarsi con “il piccolo ebreo” che gli aveva portato via la figlia e che, per di più, è anche diventato ricco e famoso. Morirà alcuni anni dopo: è un monumento alla generazione spietata del denaro che finisce tristemente in pezzi.

La recente permanenza a Hollywood insegna a Berlin che il domani è tutto aperto al cinema, tuttavia non si sente ancora pronto per dedicarsi soltanto allo schermo. E così all’inizio del 1932, in collaborazione con il commediografo Moss Hart, presenta a Broadway una novità accolta con molto favore dai critici, che scrivono di “Un suo salto di stile” dagli anni ’20 ai ’30. Questa commedia ha per titolo “Face the Music”.

Il nuovo successo teatrale apre al risorto entusiasmo di Berlin parecchie attività: teatro, cinema e anche pubblicazioni (la stampa di musiche in serie è molto redditizia). 


“Recovery”. 

Dopo la sua spettacolare fuga d’amore con la ricca Ellin di sei anni prima, è stato costretto ad affrontare un problema dietro l’altro: opposizione del suocero al matrimonio, depressione economica, difficoltà di inserirsi a Hollywood… Meglio dedicarsi ancora per un certo tempo ai benamati palcoscenici della sua Broadway.

Il suo teatro personale, quel “Music Box” di cui è tuttora il proprietario, si è liberato da un periodo di affitto concesso ai due fratelli Gershwin. Riprende subito al suo fianco il bravo Moss Hart per un nuovo “script”, e si delinea un altro Musical che si chiamerà “As Thousands Cheer” (Come migliaia di applausi): un titolo che vuole essere un invito all’ottimismo.

Il soggetto è essenzialmente un succedersi di “Sketches”, brevi scene derivate in buona parte dall’attualità: politica, finanza, eventi sociali e così via. è un genere insolito per lui, ma ne ha già fatto una prima esperienza col precedente “Face the Music”. Le canzoni sono tutte belle e orecchiabili quanto mai: “Heat Wave” (Ondata di calore), “Supper Time” (Ora di cena) e soprattutto “Easter Parade” (Parata di Pasqua), che sarà il motivo principale, nel ’48 di un suo film di grande successo, con Astaire e la Garland.

Questo secondo Musical di Berlin e Hart sarà il maggiore evento della stagione 1933-’34 a Broadway: la messa in scena accurata dei singoli episodi, la simpatia degli interpreti, il fascino delle musiche con il prevalere di un senso di leggerezza, sono tutti elementi che commentano benissimo la fine della Grande Depressione americana e mondiale.

I protagonisti sono Clifton Webb, al momento disinvolto cantante-ballerino, ma futuro “Mister Belvedere” degli anni ’50, insieme a Marilyn Miller per le danze e la negra Ethel Waters per il canto femminile, attrice già in piena carriera. Questo titolo, con le sue “Migliaia di applausi” terrà il cartellone per un anno: Berlin è felice e orgoglioso di questa sua grande ripresa, “A Recovery”, come sottolinea la stampa. E per di più, proprio nel “Music Box” la sua creatura prediletta.

C’è ancora qualcosa da segnalare: nel maggio 1934, sulla copertina del “Time”, abitualmente dedicata alle persone importanti, figura un Irving Berlin assorto ma sorridente, con le mani nel suo pianoforte. Ha quarantasei anni, e il suo amico e rivale George Gershwin l’aveva preceduto di nove anni. Ora le cose sono a posto con il Time, e la rete radiofonica NBC trasmette regolarmente i suoi motivi, in uno “special” del sabato sera, che durerà parecchio.

Adesso la fama di Berlin ha raggiunto il livello delle sue speranze, con il successo nel suo “Music Box” di Broadway d’uno spettacolo che, dopo un anno di repliche, è ancora in atto. Questo gli permette di sentirsi soddisfatto veramente.

Siccome il cinema sonoro sta procedendo veloce nel suo enorme richiamo sul pubblico, decide che è il suo momento. Detto e fatto: parte in aereo per Los Angeles nel dicembre ’34, lasciandosi dietro una fredda New York invernale.


E adesso il cappello a cilindro.

È stato convocato un produttore della RKO (Radio Keith Orpheum) di Hollywood: si chiama Pandro S. Berman e gli chiede subito di scrivere parole e musica per un film che avrà come protagonisti Astaire e la Rogers.

I due hanno già recitato e ballato insieme in precedenti pellicole: “Flying Down to Rio” (Carioca) nel ’33, “The Gay Divorcée” (Cerco il mio amore) nel ’34, e “Roberta” nel ’35. Le musiche erano rispettivamente di Youmans, Porter e Kern, autori di tutto rispetto: basti pensare al motivo cult di Jerome Kern in “Roberta”, che è “Smoke Gets in Your Eyes” una canzone che non avrà mai tramonto, e ancora a “Night and Day” di Porter, altro “Hit” senza fine.

Preceduto dunque da celebri compositori, Berlin non ha alcuna esitazione, perché alla base d’ogni sua iniziativa c’è sempre un forte desiderio di successo: ora o mai più.

L’ambiente di Hollywood non lo trova impreparato: c’era già stato anni prima, e si mette subito al lavoro con Fred e Ginger, ottimi amici e collaboratori. Sul “set”, inoltre, ci si abitua anche all’invadenza della signora Lela Rogers, madre di Ginger, piuttosto fastidiosa come vigile curatrice degli interessi della sua bella e redditizia figliola.

I numeri di ballo procedono con la precisa collaborazione fra Astaire e Hermes Pan, infaticabile coreografo e alter-ego di Fred. Il regista è Mark Sandrich, un esperto del Musical.

Il primo film è “Top Hat” (Cappello a cilindro), ancora del ’35. La canzone che si impara subito è “Cheek to Cheek” (guancia a guancia): il grande Astaire, impeccabile nel suo primo approccio con “lei”, le canta sottovoce: “Heaven, I’m in Heaven”, e smonta subito una certa riservatezza della ragazza (un classico atteggiamento da copione), dando un felice inizio ad uno dei numeri più visti in tutta la storia del Musical. Poi c’è la canzone che dà il titolo al film, con la quale Fred ci spiega la sua eleganza: cilindro, cravattino bianco, frac… è il famoso numero con tanti ballerini nella stessa tenuta, sui quali lui finge di sparare con il suo bastone usato come un fucile, uno splendido saggio di virtuosismo.

Sull’onda del successo di “Top Hat” la RKO produce subito un secondo film senza cambiare interpreti, coreografo, produttore, regista e ovviamente autore delle canzoni. Molto diversa è invece l’ambientazione: una nave della Marina americana in porto, le comparse tutte in bianco nella divisa della U.S. Navy, esattamente l’opposto degli elegantoni in frac del film precedente. Ma fa la sua figura anche Astaire-marinaio, sebbene la sceneggiatura lo voglia inevitabilmente “gentleman”, magari per una sola sequenza. E infatti: a bordo viene organizzata una recita musicale in abiti borghesi, per beneficenza. E qui Fred ha la sua impeccabile tenuta in frac, essendo un giocatore di roulette rimasto al verde, pronto a spararsi. Ma quasi nello stesso tempo vediamo Ginger che si accinge a buttarsi in mare (per problemi d’amore?). Solo lui può allontanarla dal fosco progetto: è sufficiente che, con le note dell’orchestra sullo sfondo e con la sua voce inconfondibile le rivolga un invito: “Let’s Face the Music and Dance”, restiamo davanti alla musica e balliamo…

Un delicato numero di danza suggella il patto, e la canzone è tanto bella; nessun suicidio, assolutamente.

“Storico” è l’episodio d’una larga manica dell’abito di Ginger che, durante la languida danza, colpisce Fred in faccia. E lui, con il, suo perfetto “fair play” che non dà alcun segno dell’incidente…

Il titolo di questo film nautico è “Follow the Fleet” (Seguendo la flotta, 1936).

Avremo ancora un film con Berlin, le sue musiche e la splendida coppia, nel 1938, sempre per la RKO. Una vicenda meno spettacolare, anche se l’idea di affidare a Fred il ruolo di uno psichiatra che deve curare Ginger è proprio inedita. Il titolo è “Carefree”, dirige ancora Mark Sandrich. Sicuro il lieto fine ma anche in questo film sono le canzoni di Berlin e la leggerezza dei due danzatori le principali attrattive. Carefree vuol dire “senza problemi”, infatti.

Una sola citazione: il numero “Change Partners”, uno di quei motivi musicali sommessi e trascinanti che Irving creava su misura per Astaire. “Change Partners and Dance With Me” è la precisa indicazione medica per la bella paziente, che avrà (lo sospettavamo) un felice risultato, compresa una danza di Ginger in ipnosi.

Passeranno dieci anni prima che Berlin e Fred Astaire siano ancora insieme sul lavoro, ma non vi sarà Ginger. Ne riparleremo.

(fine prima parte)

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Jerome Kern, uno dei più geniali compositori di canzoni per le commedie teatrali di Broadway e per le pellicole di Hollywood, ha scritto: “Irving Berlin has no place in american music. He is american Music” (non ha un posto nella musica americana, lui è la musica americana)


Questa frase ricorre sovente nelle biografie di Berlin, nell’introduzione alle sue raccolte di canzoni e in ogni circostanza dedicata al suo ricordo, che è ancora tanto presente.


Berlin ha vissuto centouno anni, e ha composto un numero mai precisato di motivi musicali, quasi sicuramente qualcuno più di mille. Sono cifre incredibili per un uomo piuttosto serio e introverso, sostenuto da una mentalità di scrupoloso fabbricatore di musica, a volte dubbioso, mai stanco.


I suoi motivi più belli sono vivi come fossero appena venuti al mondo. Dopo il terribile dramma di New York dello scorso settembre, gli americani cantavano in coro “God Bless America”, e a Natale, l’immancabile “White Christmas” ha fatto scendere sulla gente la nostalgia dei fiocchi di neve dell’infanzia e una grande speranza verso qualcosa di ancora buono e innocente. Erano due omaggi a Irving Berlin, che ormai non hanno più età.


Per lui non vi saranno mai scadenze. La sua musica è come un patrimonio di tutti, e per sempre. 


Bibliografia e iconografia:


Il contrassegno indica dati bibliografici e iconografici nella stessa fonte.


Volumi:


Laurence Bergreen, As Thousands Cheer. The Life of Irving Berlin, Ed. Penguin Books, 1991.


Stanley Green: Encyclopaedia of the Musical Film, Oxford University Press, 1981


Ernesto G. Oppicelli, Musical!, Gremese Ed., Roma, 1989.


Roy Pickard, Fred Astaire, Crescent Books, New York, 1985.


Clive Hirshorn, The Hollywood Musical,. Uctopus Books, London, 1981.


Tom Vallance, The American Musical, Library of Congress, 1970.


Marion Vidal & Isabelle Champion, Chansons du Cinéma, M.A. Paris, 1990.


Stanley Appelbaum, Quiz Book of Hollywood Musical, Dover Publications, New York,  1971


Raccolte di canzoni:


American Songbook, Messaggerie Musicali, Milano, 1953.


Evergreen, Ed. Curci, Milano, 1938.


Articoli su periodici:


Alvise Sapori, E’ morto Irving Berlin, La Repubblica, 24-9-1989.


Mario Pasi, Il mondo intero ha cantato il suo Bianco Natale, Il Corriere della Sera, 24-9-89.


William Weawer, Bianco Natale all’Università. La Stampa, 16-6-1994.

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Commenti

Un commento a “Il piccolo uomo dalla lunga vita: Irving Berlin e le sue mille canzoni (I)”

  1. Amo la musica straordinaria di Irving Berlin

    Di PASQUINO ZANOTTI | 16 Settembre 2012, 09:22

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