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Omnia

Sul filo del sogno

Fa caldo. Quasi quaranta gradi cui si aggiunge la delusione cocente (sono trascorse poche ore) dell’eliminazione mondiale, se mi consentite pochi caratteri di argomento calcistico sulle pagine di Fucine Mute.

Fa caldo a Trieste come, la scorsa settimana, si boccheggiava a Milano, a Cremona, sui colli piacentini, dove una trasferta tra il lavorativo ed il contemplativo ha condotto, insieme a me, Enrico Baravoglia e Christian Sinicco, quest’ultimo definitivamente promosso a responsabile della sezione poetica.

Perché a Milano, presso la Galleria Lattuada, il nostro amico Paolo Cervi Kervischer esponeva, tra gli altri lavori dal gusto metafisico di cui potete trovare riscontro sui passati numeri di Fucine Mute e sul sito ufficiale (qualcuno ha parlato, paragonando, di Tapias), i ritratti di alcuni tra i maggiori poeti italiani – o a pieno titolo adottati dal nostro Paese, come Juan Octavio Prenz -, taluni presenti nella giornata di sabato 14 giugno non solo ad ammirare le opere in mostra, ma anche ad offrire al pubblico ascolto i propri componimenti in un intreccio tra poesia ed arte visiva (stava per sfuggirmi un alquanto limitativo e fuorviante “arte figurativa”) che si è rivelato spunto di notevole riflessione tra i convenuti.

Oltre alla nutrita documentazione filmata e alle interviste ai poeti di cui troverete a breve l’ampio resoconto, abbiamo provveduto alla trasmissione in diretta dell’evento aggiungendo il nostro personale apporto, con sorpresa di molti, alla contaminazione linguistica principale già in atto. Da questo punto di vista una partecipazione marginale rispetto al tema dell’indagine proposta dall’artista, eppure un ulteriore invito, accolto con piacere, ad interrogarsi sui diversi sbocchi che la poesia può intraprendere alla ricerca di nuovi percorsi. Così come siamo stati coinvolti, abituati come siamo alla fruizione personale del testo poetico (prassi che è stata oggetto di animate discussioni nei momenti di pausa tra i colli emiliani), dalla viva voce dell’autore nella restituzione dell’ideale interpretazione dell’opera. Personalmente, pur raccogliendo le istanze che mi paiono più ragionevoli, ritornerò al testo scritto alla luce di questa esperienza; ma per ora passo e declino, nell’attesa delle considerazioni più competenti che Christian non mancherà di sviluppare per il prossimo numero.

Tra il profumo dei tigli, i delicati vini dell’Emilia e le rocche secolari a cavallo del Po che sembrava non esistere si è ovviamente discusso di Fucine Mute Webmagazine e dei piani per il futuro. Senza escludere una diversa periodicità della rivista è stata abbozzata anche l’idea di un supplemento, nonché la ripresa dei numeri speciali lo scorso anno giocoforza esclusi. Su alcuni di questi progetti siamo già al lavoro.

Nel frattempo il numero che state per leggere non è lontano dall’essere uno speciale: l’ampio spazio dedicato al Far East Film Festival costituisce la sezione più corposa di questo mese, laddove Martina Palaskov Begov ha brillantemente curato le numerose interviste che ci aprono ulteriori porte su cinematografie talvolta ingiustamente trascurate. Ma come pretendere altrimenti, se le difficoltà economico / distributive iniziano già in patria? Vediamo di affrancarci dalle solite benché legittime considerazioni sulle posizioni culturalmente egemoniche dalle cui colpe possiamo per una volta essere parzialmente esentati, specie alla luce di peculiarità radicate più nell’indagine antropologica, difficilmente importabile insieme alle pellicole, che nel business – pur non mancando il lato storico / politico della questione, come vedrete.

Per l’occasione, Martina raccoglie gli inviti dell’ultimo editoriale – più saggi – e ci propone un denso scritto dai temi sicuramente “piccanti” ma non per questo meno approfonditi.

E che troveranno ulteriori riscontri nei prossimi mesi, sempre nell’indagine di alcune manifestazioni della componente erotica nella produzione popolare asiatica, versante Estremo Oriente.

Non si trattasse del corollario ad un’intervista, saremmo lieti di annoverare nella medesima categoria le malinconiche annotazioni di Riccardo Visintin a lato del suo colloquio con Andrea Bassato e Michele Bon de “Le Orme”. Piacevole sorpresa che forse prelude ad un ritorno se non altro part time alla primigenia vocazione per la monografia di un redattore storico della testata, maestro della penna nella sua accezione più elegante. Personalmente lo spero, considerati i precedenti.

Sul versante videoincontri, il numero prosegue con la Fantascienza triestina in merito al festival di cui presto conosceremo il proseguio, nell’attesa della terza edizione del nuovo corso; chiude il numero il secondo amico di Fucine citato in un editoriale, ossia Mariano Equizzi, con cui ci piacerebbe proseguire il discorso del fumetto digitale del dopo-Erinni, viste le perplessità espresse, come avemmo già modo di discutere, in conclusione di Romics 2001. Ma questo fa parte di un’iniziativa ben più sostanziosa cui auguriamo la partecipazione del poliedrico regista-artista-sceneggiatore-innovatore palermitano.

Per il momento, restate in tema con un interessante articolo tradotto e pubblicato da Smartweb.

Nulla di più lontano dalle linee ADSL, dalla nevrosi cittadina e dalla rincorsa alle incombenze ha caratterizzato la parentesi collinare dopo la trasferta milanese; c’erano persino le lucciole, resuscitate – mi sono blandamente informato – grazie all’abolizione di pesticidi di cui null’altro conosco, pur essendo nato e cresciuto in zone non certo prive di legami con la terra e con quella quiete che ho ricominciato ad apprezzare, forse perché non tocca a me la fatica di renderla produttiva e così degna di ammirazione. Sta di fatto che, pensando al mio lavoro tra le dolci alture e i filari di vigne, non potevo fare a meno di immedesimarmi nell’atmosfera (forse un po’ contraddittoriamente schizofrenica, ma che per brevi periodi dell’anno mi piacerebbe realizzabile, non potendo rinunciare a certe comodità “urbane”) che permeava alcuni vecchi spot pubblicitari in cui il contadino si serviva dell’e-mail, la suora chattava, e via discorrendo.

Ma sono altrettanto felice di lasciare in sospeso questa mia leggerissima riflessione, inevitabilmente troncata dalla brevità della pausa vacanziera, e tuttavia conservata nella piacevolezza della memoria; in fondo, qualsiasi afflato di lirismo si sarebbe probabilmente arreso all’impeto delle zanzare e all’afa insopportabile della calura estiva. Non per nulla – un giorno recupererò la citazione – i poeti romantici venivano invitati a provare lo stesso rispetto e la medesima riverenza verso la natura una volta affrontate le insidie degli sterpi, con i conseguenti fastidi, a dispetto di qualsiasi predisposizione alla vita contemplativa.

E analogamente, tra il corpo tecnologico e l’anima orientata alle emozioni più indecifrabili e modulate, mi auguro che anche questo numero di Fucine Mute sappia offrirvi la gradevolezza di quella sottile antinomia dalla quale anch’io, senza prenderla troppo sul serio, mi sono lasciato trasportare per alcuni momenti.

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