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Scrittura

Maurizio Cucchi

L’irresistibile Kohlhaas. Ragionamenti sui grandiosi sconosciuti

Christian Sinicco (CS): Fucine Mute intervista Maurizio Cucchi, curatore dei “Meridiani Mondadori”, pubblicista e consulente editoriale. Attualmente è collaboratore de “La Stampa”, tiene una singolare scuola di poesia su “Lo Specchio”. Questo ti permette di dedicare molto spazio ai giovani e ai poeti esordienti e a chiunque ti chiede consiglio, dunque ti faccio una domanda sulla critica: come selezioni i testi delle poesie?

Maurizio Cucchi (MC): è molto semplice, scelgo quelli che mi piacciono di più, naturalmente qualcuno potrebbe dire che non è un criterio critico ma io non sono un critico. Ci tengo a dirlo, ho sempre lavorato nell’amore per la poesia, leggendo la poesia degli altri, e credo di avere contribuito a metterla in circolazione. Come i ragazzi della vostra età, nati negli anni Settanta e Ottanta; mi sembra che abbiano una energia e una fiducia nella poesia insospettabili prima d’ora. Sono molto contento di incontrare questa realtà e di fare quanto è nelle mie possibilità per farli venire fuori.

CS: è uscito recentemente un tuo libro, la raccolta di tutte le poesie che hai scritto dal ’65. Tu usi spesso un espediente per parlare al lettore, che è l’espediente di un personaggio. Come scegli questi personaggi? Come una Giovanna D’Arco…

MC: La Giovanna D’Arco è un caso particolare, te lo dico dopo. Mi infastidisco quando si cerca sempre di ricondurre il testo alla storia personale dell’autore, anche perché spesso non se ne sa nulla e quindi mi sembra un percorso ozioso. Noi amiamo i poeti dei secoli scorsi, i pittori, gli artisti, non necessariamente conosciamo la loro vita. Io  oltretutto devo dire che personalmente non riesco a interessarmene neanche molto. Questo probabilmente è un problema mio.

Giovanna D'ArcoPerò amo il testo, amo l’opera ma non mi importa niente dell’esistenza della vita del personaggio, quindi anche per questo mi piace che certe situazioni che sono della mia esperienza, dei miei incontri, delle mie emozioni, mescolati agli elementi dell’immaginazione o rielaborati dall’immaginazione diventino circostanze dell’esistenza di personaggi immaginari come avviene ed è sempre avvenuto nel grande romanzo tradizionale che io amo moltissimo, che amo più di ogni altra cosa, in letteratura. E per quanto riguarda Giovanna D’Arco è un caso un po’ particolare perché una persona che neppure conoscevo e che stimo molto, Iolanda Cappi, un giorno mi ha telefonato e mi ha chiesto se volevo fare un testo teatrale su questo personaggio. Ero un po’ in difficoltà perché devo confessare di non essere particolarmente appassionato di teatro e neanche di Giovanna D’Arco, però ho capito che il personaggio era di tale importanza che si poteva comunque ricavarne qualche cosa che per me fosse autentico; soprattutto si poteva fare una operazione interessante, cioè quella di vedere di mantenere la profondità e complessità del linguaggio poetico in una situazione che richiede una comunicazione immediata, perché a teatro se perdi una parola non è come nel libro che la puoi rileggere. Scappa, va via, e quindi occorreva riuscire ad arrivare al pubblico subito senza perdere però la forza della parola. Non so se sono riuscito a farlo, però ci ho provato e mi interessava proprio per questo.

CS: Ho notato — in una poesia che mi ha colpito tantissimo — che tu hai cantato il destino comune di tutti gli uomini, affermando, cito, che “occorre essere eroicamente parte che non si afferma”. Ora, leggendo questa poesia, abbiamo la sensazione di oltrepassare quelli che sono i confini dell’individualismo, nonostante l’uomo sappia dei propri limiti, ed anche oltrepassare il concetto di massa perché l’uomo comunque riesce attraverso i propri limiti a trovare la propria individualità e a riconoscersi.

Immagine articolo Fucine MuteMC: Sì, è vero, c’è una sorta di contraddizione. Tu vedi che in questo tempo tutti danno una grande importanza a se stessi e ai propri caratteri psicologici: basta ascoltare i discorsi della gente. Io l’ ho fatto, sono molto curioso nei tram, nelle strade. Dicono sempre:”Io sono uno che…“. È un modo strano, un po’ banale e infantile di rapportarsi a se stessi. In qualche modo ognuno di noi dà importanza alla propria individualità. E poi aldilà di questo lo stesso che dice “Io sono uno che…”, si confonde in una situazione di cultura di massa terrificante e ci va proprio perché riesce in genere ad avere una possibilità di scambio di emozioni con altri. Tra questi ragazzi mi ha colpito molto uno che non era male,  che però mi ha fatto notare: “La poesia contemporanea lei mi dice che è profondamente diversa dalla canzone, ma io la conosco poco, la seguo poco, perché con la canzone posso confrontarmi e avere scambio di rapporti su queste cose con i miei coetanei”. Io credo che tutti questi siano problemi da risolvere.

Io ammiro tantissimo le miliardi di persone che nella storia sono esistite e che non hanno desiderato lasciare traccia di sé. Credo siano persone che hanno fatto la storia, persone di cui nessuno si è occupato e che ammiro perché anch’io in fini dei conti non è che ambisca all’anonimato; però questa mi sembra una gran forza dentro il grande progetto dell’esistenza che prescinde purtroppo completamente dai nostri destini individuali. Dunque vivere per la meraviglia che la vita continuamente ci dà senza pretendere niente altro. Solo una forma di sublime grandezza, di eroismo, degli umili.

CS: In questa società quale può essere la funzione di internet per la poesia?

Immagine articolo Fucine MuteMC: Non lo so. Io ho sempre preso tutti i prodotti della tecnologia come strumenti, nel senso che non li ho mai caricati di un valore ideologico al contrario dei miei coetanei che dicono di rifiutare internet… Quando vai a comprare il giornale cosa credi di star facendo? Tu non rifiuti niente perché non puoi farlo. Quindi questo è un atteggiamento enfatizzato, ingenuo e ideologico. Continuo a credere che come è una tecnologia il libro così può essere una tecnologia il libro elettronico, non gli do molta importanza. è chiaro, i mezzi di comunicazione più facili possono produrre degli scambi più facili, purchè non si arrivi a confondere la poesia come un banale sfogo personale per cui la gente fa girare delle stupidaggini che costituiscono qualche cosa che non ha nulla a che fare con l’arte.

CS: A questo punto volevo chiedere a Maurizio se vuole leggerci una poesia.

MC: Di che genere la preferisci?

CS: Del genere che preferisci tu.

MC: Io non ci avevo pensato, mah… Mi piacerebbe arrivare verso tempi più… Ah, sì, questa qui, in fondo… è un po’ strana, si riferisce a un grande personaggio della letteratura, Kohlhaas di Michael Heinreich Von Kleist, uno dei racconti più belli io credo della narrativa di tutti i tempi: Kohlhaas vittima di una ingiustizia macroscopica, a un certo punto perde completamente la testa, e pur essendo un personaggio piuttosto tranquillo, che fa una vita normalissima, diventa un terrificante bandito. Una poesia sulla giustizia, sul concetto di giustizia, ma anche su come a un certo punto l’idealità può portarti addirittura — ed è una bella cosa secondo me, non perché lui andava in giro ad ammazzare la gente comunque –  ad andare contro ciò che sai che comunque non puoi vincere. Diventa una forma di utopia folle che ha qualche cosa di grandioso, tenuto conto del fatto che noi quotidianamente viviamo in una dimensione di amore per la vita sapendo che ne saremo ricambiati con la morte.

Prendiamo a esempio e figurina
il probo mercante bandito.
L’iniquità dei privilegi scatenò
l’immenso erompere della sua furia
grandiosa e sanguinaria.
Da quieto orafo col bilancino
passò tutti i confini nel delirio
e si fece assassino.
Vana e insensata, metafisica
fu la sua lotta con l’offesa. Altissimo
il volo micidiale contro Dio.

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