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Scrittura

Cose dell’estremo Ovest,da un confine sul mare

Nato in vista del Monviso e abitando in tempi molto successivi a Milano, ho passato comunque una bella parte dei miei giorni in località di mare: succede anche ai piemontesi.

E oggi vorrei ricordare un mio segmento “marino” di esistenza. Lo faccio volentieri, perché mi sono scelto un complice ignaro e involontario, uno scrittore torinese legato, come lo sono io, a certi luoghi che abbiamo abitato e amato in epoche piuttosto distanti, e ciò per ovvie ragioni anagrafiche.

Si chiama Nico Orengo, è conosciuto da un numero sempre maggiore di lettori, e i suoi romanzi, belli e originali, sono in buona parte ambientati in un angolo della costa ligure che mi è molto caro: la zona del confine fra Italia e Francia. quello è stato il “mio” mare di quando ero piccolo, e poi ancora, a intervalli fino ad oggi, sempre senza congedi definitivi.

E quando i casi della vita mi hanno portato altrove, fino a Trieste (altro mare e altro confine) una parte importante dei miei ricordi è rimasta ancorata ad una spiaggia:sassosa, nel rumore sommesso delle onde, sul lungomare di Marina San Giuseppe, a Ventimiglia…

Molti di questi ricordi me li richiama proprio Nico Orengo con il suo piacevole raccontare, e di questo gli sono infinitamente grato.

In viaggio verso Ponente.

Il treno che parte da Ventimiglia percorre l’ultimo tratto di costa italiana per raggiungere la vicina Francia. C’è subito un ponte sul Roia, il fiume che viene dai monti di Tenda e che si getta in mare attraversando una laguna piuttosto casalinga, popolata di anatroccoli e gabbiani vocianti Una prima breve galleria sbocca già. sulla costa alle Calandre, un tratto un po’ sabbioso (cosa rara da queste parti, Alassio è ben lontana..) . La ferrovia e la vecchia strada Aurelia proseguono più o meno insieme: si attraversa una piana verde con ville, ulivi e il paese di Latte che darà il nome a un racconto di Orengo. Poi c’è il dirupo sul mare dei Balzi Rossi con i suoi cimeli preistorici, e dopo un momento si è già in Francia, a Garavan, che è l’anticamera di Mentone, semplice e bella con le sue arcate sulla baia e il ricordo di residenti famosi. Uno per tutti, la scrittrice neozelandese Katherine Mansfield, una delle tante persone stregate dal fascino di questo mare, che abitava proprio a Garavan.

Fra Latte e Mentone c’è però una località di grandissimo interesse: qui la strada attraversa il capo della Mòrtola, che è tutto occupato da uno splendido parco, i Giardini di Villa Hanbury.

Il motivo di questo nome inglese è presto detto. Sir Thomas Hanbury, un gentiluomo britannico che aveva fatto fortuna in Oriente, scopriva nel 1867 questo Piccolo promontorio sul mare e ne rimaneva affascinato anche lui , cosa non rara, come già visto. David, fratello di Thomas, era uno studioso di botanica, e la Mòrtola offriva alle piante esotiche un clima ideale. Fu la loro residenza per sempre, come lo fu poi per Cecil, il figlio di David: la villa era nel cuore del parco.

L’ultima degli Hanbury fu Lady Dorothy, vedova di Cecil.

Poi venne la guerra del ‘40, col prezioso giardino in bilico fra gli anomali belligeranti di Francia e Italia mussoliniana, e ne derivò un lungo periodo di decadenza, finché si giunse ad una buona soluzione con il passaggio amministrativo all’Università di Genova e alla sospirata ripresa che è tuttora in corso con ottimi risultati.

Non vorrei proprio compilare una guida turistica, ma una cosa sulla magica villa devo ancora dirla. Gli Hanbury erano gente di cultura, e se ne possono avere molte testimonianze, una delle quali mi ha sempre colpito.

Un po’ infossato nella vegetazione del parco si può scoprire un breve tratto dell’antica Aurelia, la strada dei Romani. Ne fa testimonianza una vecchia lapide con una terzina dantesca, scritta in italiano e in inglese , nella precisa traduzione dell’americano Longfellow: comincia con “Fra Lerici e Turbia…” accostando fra loro i due estremi dell’intera costa ligure. Turbia, cioè La Turbie, è un magnifico rialzo panoramico che guarda verso il Principato di Monaco, mentre Lerici, come sappiamo, è nel Golfo dei Poeti, presso la Spezia.

Ricordi della Mortola, poi il “Tropicana” di Orengo.

Da qualche tempo non sono più entrato alla Mortola. Una volta, oltre all’ ingresso. principale sulla strada statale, c’era anche un’ entrata inferiore, proprio in riva al mare. Dovrò prima o poi andarla a vedere: è là sotto che ci si incontrava d’estate con gli amici di Ventimiglia e anche con qualcuno di Bordighera (ma loro avevano anche un’altra sede al Capo Sant’Ampelio dalle loro parti) e li chiamavamo i “bordigotti”.

Di solito ci tuffavamo dagli scogli che guardano su Mentone. E poi, in carenza di altre fonti di svago (erano tempi magri) c’era sempre a disposizione un grammofono portatile a manovella, proprietà di qualche privilegiato. Si poteva ascoltare “Mes jeunes années” di Charles Trenet o “Il pleut dans la route” di Jean Sablon su dischi francesi appena giunti da oltre il confine. E qualche volta c’era anche la tromba di Louis Armstrong o un vellutato “Stardust” di Bing Crosby, arrivati in qualche modo dall’estero.

Gravemente colpevoli di esterofilia musicale, eravamo comunque giovani e allegri, le ragazze erano belle e perbene, e il mare (pardon, “La Mer” secondo Trenet) era lì di fronte ad attenderci per far parte della compagnia.

Sono trascorsi tanti anni da allora. E oggi, quasi di fronte all’entrata del Parco, si possono ancora vedere le tracce d’un ristorante-albergo che si chiamava “Hotel Villa Eden” e che ha cessato da tempo la sua attività.

C’è solo qualche modesta insegna scolorita, mentre un cartello scrostato ci segnala che a cinquanta metri c’è l’ingresso ai Giardini Hanbury. Nient’altro, salvo un certo senso di desolazione, proprio a due passi da un posto così bello…

Come in una dissolvenza cinematografica all’indietro, quando si vuoi segnalare agli spettatori che è passato del tempo, interviene Nico Orengo, accurato testimone e tutore delle memorie locali. E lo fa secondo il suo stile abituale, incisivo e divertente insieme, in uno dei suoi romanzi di maggiore successo: “La guerra del basilico” , del 1994.

Per merito suo, proprio nel punto dov’era l’ “Eden” troviamo l’Hotel “Tropicana”, un nome di fantasia, forse un omaggio alla splendida flora del parco antistante. In questo albergo si svolgerà una vicenda molto interessante. Una sera vi giunge, di pessimo umore, una giovane signora torinese, Sandra Piovano. Doveva alloggiare a Montecarlo, ma un disguido. di prenotazione la costringe al Tropicana, che è il primo albergo reperibile subito dopo la frontiera con l’Italia. è un’esperta in biologia marina, venuta per collaborare con gli studiosi del Principato di Monaco nella lotta contro un’alga micidiale che minaccia di annientare la vita subacquea di una enorme zona marittima, la “Caulerpia Taxifolia”: bella, d’un verde intenso, eppure assassina. L’hanno segnalata in prevalenza proprio in quella zona, e sembra che questo dipenda da una grave perdita di liquido in una vasca di coltura dell’ Acquario di Monaco. Da ciò una certa riservatezza da parte dei colleghi locali che collaborano con lei più a parole che a fatti.

La gestione del Tropicana è nelle mani di due ex avvocati milanesi (di Magenta, per la precisione) insieme ad un collaboratore tuttofare di nome Adriano come cameriere, pianista, cuoco e che altro mai. La clientela comprende personaggi d’ogni genere, e il lettore non tarderà a ravvisarvi qualcosa che ricorda, in versione appena un po’ più seria, le vacanze di “Monsieur Hulot” il capolavoro di Tati del 1953, mai dimenticato. A un certo punto c’è anche una comitiva di entusiasti turisti giapponesi coinvolti in una surreale “festa spagnola” nella quale “La Cucaracha” e “Cielito lindo”, glorie della musica popolare messicana assumono valenze iberiche.

Alfio, uno dei due gerenti, ha la manìa del gioco d’azzardo, e ogni tanto scappa a Montecarlo riducendosi alla miseria o poco meno, alla ricerca d’una sua ipotetica formula vincente. E cosi via: la rassegna di questi fantastici personaggi giustificherebbe da sola la lettura del libro. E c’è molto di più, come vedremo adesso.

La diva sparita, con un racconto nel racconto.

Sandra, o meglio “la professoressa Piovano” svolge con impegno il suo compito di ricerca al Museo Oceanografico di Monaco, un grande palazzo a picco sul mare, di stile “adorabilmente positivista alla Jules Verne”, come lo definisce l’Autore. Fra i vari compagni di lavoro c’è anche un tale James Boyd, americano in trasferta europea, che le è subito amico (forse anche troppo), ma che è pure incaricato dalla Direzione Scientifica di tenerla controllata.

Ma i personaggi di maggiore interesse restano sempre quelli dei Tropicana, dove Sandra si è ormai stabilita. Uno di costoro è Oscar, un cacciatore di cimeli d’ogni genere lungo il litorale francese, che è in procinto di trovare, dopo tante ricerche, la sedia a sdraio sulla quale si riposava Grace Kelly al Beach Club di Cannes durante la lavorazione di “Caccia al ladro”, notissimo film diretto da Hitchcock nel 1954.

E qui si inserisce, “racconto nel racconto” , la storia della scomparsa per quattro giorni della splendida Grace dal “set” della pellicola. Storia vera o pura fantasia? Impossibile la risposta, ma sembra che l’assenza ci fosse stata veramente.

Hitchcock aveva accettato volentieri quella proposta della Paramount: un film in Costa Azzurra, tratto da un avvincente romanzo di David Dodge, “To Catch a Thief”. Tanto più volentieri avendo per la terza volta di seguito come protagonista Grace Kelly, dopo “Il delitto perfetto” e “La finestra sul cortile”.

Nessuno ignorava la simpatia amorosa del regista per la bellissima attrice bionda: simpatia e basta, perché lei era reduce da una tormentata relazione con il sarto alla moda Oleg Cassini ed era anche molto affaticata. Aveva dovuto interpretare qualche altra pellicola secondo un precedente contratto, una delle quali “The Country Girl” (La ragazza di campagna) con un Bing Crosby drammatico e senza canzoni, le aveva procurato l’Oscar come migliore attrice, sempre in quel laborioso 1954.

Quando giunse all’ Hotel Carlton di Cannes non ebbe neppure il tempo di rilassarsi e si mise subito al lavoro. Cary Grant era un buon partner, con i suoi cinquant’anni che erano il doppio dell’età di lei, ma pieno di quel suo “humour” sornione richiesto dal ruolo di un ex ladro di gioielli, sospettato di aver ripreso i suoi furti in piena Costa Azzurra.
E questi sono i fatti precedenti. Ma veniamo al “dopo”.

“La donna venuta dal mare”, storia d’un mistero.

A questo punto, nel romanzo di Nico Orengo viene riferito qualcosa di molto interessante. Un anziano ex-bagnino del Beach Club di Cannes racconta a Oscar, che

è venuto da lui per la sua solita ricerca della famosa sedia a sdraio di Grace, come l’attrice fosse improvvisamente scomparsa indossando una gonna gialla con una camicetta color fucsia , al termine d’una giornata di riprese sulla spiaggia, e rendendosi irreperibile per quattro giorni.

Ma c’è qualcuno che ne sa di più. Ed è proprio Adriano, il fantasioso factotum del Tropicana, che in quei giorni ha consegnato a Oscar una busta con dei fogli scritti a macchina. Trovato il tempo di leggerli, Oscar rimane molto sorpreso : non vi si parla di alghe letali e neppure di storie del surreale albergo. Il titolo è vagamente ibseniano: “La donna venuta dal mare”.

È la vicenda d’un giovane che, tanti anni prima, aveva trovato una sera, sulla sponda della Baia Beniamin, nei pressi della Mortola, una donna svenuta e completamente bagnata. L’aveva portata in braccio a casa sua, e indossava solo un’ampia gonna gialla. Era d’una straordinaria bellezza , e lui ne era rimasto talmente colpito da quasi non osare toccarla, limitandosi ad accarezzare la sua scultorea nudità. Rinvenuta, grazie all’aiuto di due vicine di casa, diceva frasi un una lingua incomprensibile, ma si rivelava dolce e piuttosto tranquilla.

Passarono tre giorni, e la straniera era sempre lì, assorta dietro a chissà quali pensieri. Il giovane usciva per il suo lavoro, e la terza sera, al ritorno, non la trovò più. Nessuno l’aveva vista.

L’autore del racconto, ed anche il suo protagonista era, com’è facile capire, Adriano nel 1954. Unico possibile indizio,un battello che era rimasto ancorato nei pressi della baia e che poi era andato via.

Nessuno ha mai riferito se in quei pochi giorni Hitchcock e Cary Grant avessero rivelato, fra il Carlton e la spiaggia, particolari inquietudini.

Adriano confida a Oscar che, qualche settimana dopo, gli era sembrato di averla vista al mercato di Ventimiglia, frequentato da tanti forestieri, ma c’era molta gente, ed era impossibile essere sicuri.

“Caccia al ladro” esce nel 1955. E’un film molto piacevole, pieno di colore negli esterni e di spiritose allusioni nell’interno. Del romanzo di David Lodge mi piace ricordare un brano: il protagonista (“Il Gatto”, ladro a riposo), si affaccia una notte dalla torre d’un castello sulle alture di Cannes e spazia per qualche minuto sull’arco dell’intera Costa Azzurra. “Novanta chilometri di gioielli” è il suo ammirato commento, e non sappiamo se intende i gioielli del magnifico panorama oppure quelli, veri, che le signore della Costa si portano addosso.

Grace Kelly, esaurito il suo impegno francese, interpreta subito dopo “High Society” di Walters e “Il Cigno” di Charles Vidor. Il resto è noto, purtroppo: divenuta Principessa di Monaco, perderà. la vita nel tragico incidente del 1982. Aveva solo 54 anni.

Termina la “guerra”, e arrivano Bogart e Ava Gardner.

Immagine articolo Fucine MuteIl titolo del romanzo di Orengo vuole una spiegazione. Adriano, che è ormai il vero “patron” del Tropicana, coltiva da molto tempo una enorme pianta di basilica dietro le cucine dell’albergo. Ne è gelosissimo, ma Rosanna, una dipendente, strappa di continuo dei ciuffi di foglie, facendolo disperare. è una guerra, e dura da molti anni. Il perché sta nell’ultima pagina del libro.

Boyd, quello del Museo di Monaco, viene a cercare Sandra in albergo, ma lei è appena partita per Torino, come gli riferisce Adriano. Mentre sta per entrare in auto, vede questa Rosanna, ormai donna matura, che indossa una gonna di colore giallo stinto, “ma ancora splendente”. è la gonna della “straniera” del 1954, che era stata assistita proprio da Rosanna in quei pochi giorni lontani. Adriano l’aveva sempre tenuta rifiutandosi di regalarla, per nessuna ragione al mondo.

Ne derivarono alcuni decenni di spietata “guerra del basilico” con Rosanna. Ora lui ha rinunciato al prezioso cimelio e lei può sfoggiare l’ambita gonna gialla.

La guerra è dunque finita. E così pure il romanzo, che si lascia dietro un penetrante profumo di foglie strappate.

L’anno 1954 è da ricordare per una singolare combinazione fra il cinema e l’estremo lembo della Liguria di Ponente. Oltre ai quattro giorni ormai mitici della fuga di Grace, vi furono nel ‘54 delle altre presenze, la cui documentazione, manco a dirlo, spetta ancora a Nico Orengo.

Si tratta d’un suo piccolo libro denso di ricordi della piana di Latte con le palme e gli uliveti, che ha per titolo “Gli spiccioli di Montale”.

Non mi è possibile spiegare perché si nomina anche il famoso Poeta, ma la cosa non è importante. Merita invece far presente che in quel tempo una agguerrita “troupe” americana guidata dal regista Joseph Mankiewitz si muoveva fra Sanremo e Montecarlo per realizzare “La contessa scalza” (un titolo che fa pensare un po’ a Calvino). I protagonisti erano due mostri sacri, Humphrey Bogart e Ava Gardner in compagnia di altri attori, fra cui degli italiani.

Orengo ci racconta d’una Gardner sfolgorante di bellezza, con un Bogart poco entusiasta della cucina ligure, così povera di uova al prosciutto…

E la splendida Ava era anche arrivata al bar del ristorante alla Mortola per confezionarsi da, sola, con vera maestria un Martini Dry, che il giovane Adriano le aveva poi servito, in estasi.

La Signora di Bordighera, e alcune valli.

Quando percorro la costa da Genova verso Ovest, mi sento a casa soltanto da Bordighera in avanti. C’erano, quella volta, gli amici “bordigotti” e loro bella brigata del Capo Sant’Ampelio, e andando poi per il Lungomare si vedeva verso la Francia il Mont Agel con la sua dolce gobba che guardava Montecarlo.

Dal giardino del Capo ci sorvegliava, bella ma severa, una signora seduta, tutta di marmo; la Regina Margherita, vedova del povero Umberto assassinato a Monza, che era stata a lungo una fedele abitante di questi luoghi sereni.

Il monumento è di Charles Garnier, architetto francese molto legato a Bordighera, che merita un breve ricordo. Abitava in Arziglia, un’altura gremita di palme subito dopo Sant’Ampelio, in una splendida villa ideata da lui stesso.

Portano il suo nome degli edifici famosi, testimoni del suo stile e della sua epoca: l’Opéra di Parigi, il Museo Oceanografico di Monaco, l’Osservatorio di Nizza, il Casinò di Montecarlo. Anche a Bordighera ci sono ville e pubblici edifizi firmati Garnier.

La brigata di Bordighera e della Mortola non si limitava a nuotare o suonar dischi. Avevamo tutti una bicicletta pronta per qualche gita nell’entroterra, e da Ventimiglia si faceva presto, percorrendo a ritroso la valle del Roia, a raggiungere Roverino e Trucco per una sosta (senza Armstrong e Trenet) in qualche locale a mangiare cose buone e semplici, come una pagnotta dimezzata e spalmata d’olio con pomodori a fette, acciughe salate e olive nere, squisite e preziose come le “madeleines” di Proust. Con qualche bicchiere di Rossese, era già una festa.

Se invece si voleva camminare, si saliva alla Madonna della Virtù per un sentiero panoramico sulla valle, con in fondo la foce e il mare.

Questi erano i miei anni di allora: cara Ventimiglia e cara giovinezza.

Orengo e Biamonti, voci del Ponente.

Ho citato più volte Nico Orengo. Ha cinquantotto anni, è nato a Torino, ma le sue origini sono saldamente legate al pezzo di terra e mare che c’è tra la piana di Latte e Mentone. Ha scritto molti romanzi la cui lettura è sempre stata per me un piacere e una sorpresa, e la sensazione si è rinnovata ogni volta che aprivo un suo nuovo volume.

Il primo che mi capitò di leggere fu “Dogana d’amore” del 1986, storia incredibile d’una trota del Roia che il giovane protagonista ha salvato dai vortici della foce e che, ospitata in una vasca sul suo battello a “scopamare”, cioè disinquinatore, divide con lui vita e avventure d’ogni genere. Un libro così non l’avevo mai letto, per di più su quello sfondo tra il fiume e Mentone, in presenza d’un pesce geloso.

Ne ho poi letti tanti altri, e mi sono dedicato alla “guerra del basilico” in particolare, a causa del forte richiamo al cinema che vi è contenuto, non solo per Grace e Hitchcock. E analogamente agli “spiccioli di Montale” per quella surreale migrazione di Bogart e Ava Gardner tra Latte e la Mortola, da non crederci. Così ho scritto qualcosa su queste due esperienze.

Tra Bordighera e Ventimiglia c’è anche Vallecrosia, dove abitavo una volta. Parte da quel punto una delle tante strade che portano verso l’interno, dove c’è San Biagio della Cima, il paese di Francesco Biamonti. Era nato nel 1933 ed è scomparso nell’ottobre del 2001 per un tumore polmonare.

Biamonti ha lasciato quattro romanzi di valore, nei quali il protagonista è soprattutto il mare (“Attesa sul mare” e “Vento largo” sono due titoli). I suoi personaggi si muovono in un’atmosfera rarefatta, portandosi dietro il respiro di queste loro terre dovunque vadano, anche molto lontano, con qualche carico rischioso da consegnare. Sicuramente avrebbe scritto molte altre cose belle.

Ogni anno c’è a Villa Hanbury un premio letterario che è giunto ormai alla sua decima edizione. Questa volta, in data 6 luglio 2002, la cerimonia della premiazione è stata preceduta da un convegno con il titolo: “Francesco Biamonti, un ricordo”. Fra i molti interventi non poteva mancare quello di Orengo: Biamonti meritava questa prova di stima e ammirazione nella sede più adatta, fra tanti amici, nella villa davanti al suo mare.

I dodici chilometri di strada costiera fra Ventimiglia e Mentone incontrano, come dirò fra poco, uno dei luoghi più suggestivi della nostra Riviera di Ponente, al quale vorrei riservare queste poche righe di apertura.


Vi si accede per la vecchia, ma sempre bella, strada Aurelia, visto che l’autostrada e la ferrovia passano più in alto e portano direttamente in Francia. Dirò poi anche di Thomas Hanbury, della sua famiglia e del loro saldissimo attaccamento a questa località.


Vorrei anche segnalare che la loro villa era stata, a suo tempo, una proprietà dei marchesi Orengo e che il parco contiene attualmente, oltre alle rarità  botaniche, molti elementi ornamentali come statue, fontane e diversi padiglioni. In uno di questi, di stile orientale, sono sepolti vari Hanbury, fedeli per sempre alla loro meravigliosa scoperta.


E questa breve presentazione del mio “Ovest” e del suo mare è dedicata a loro e a tutti quelli che continuano a voler bene ad una località che se lo merita davvero.


Bibliografia e iconografia (Le voci contrassegnate con contengono anche iconografie)


Volumi:
Nico Orengo, Dogana d’amore, Rizzoli, Milano 1986
Nico Orengo, Gli spiccioli di Montale, Ediz. Theoria, Roma-Napoli 1992
Nico Orengo, La guerra del basilico, Einaudi, Torino 1994
Francesco Biamonti, Attesa sul mare, Einaudi, Torino 1994
Katherine Mansfield, Quaderno d’appunti, Universale economica di Feltrinelli, Milano 1979
Emanuele Capone, Weekend a Ventimiglia, Guide turistiche SAGEP, Genova 2002
Giornali:
Ernesto Ferrero, Nei giardini di mare con Cézanne e Ava Gardner, “La Stampa”, 18-10-1992
Mirella Appiotti, Quel décolléte di Grace fra le alghe assassine, “La stampa”, 4-2-1994
Paolo Mauri, Grace Kelly, fior di basilico, “La Stampa”, 4-2-1994
Giulio Nascimbeni, Caccia alla ladra sognando Grace, “Corriere della sera”, 5-2-1994
Lorenzo Mondo, L’alga e la diva nella Riviera di Orengo, “Tuttolibri – La Stampa” no 890, Febbraio 1994
Nico Orengo, La mia battaglia privata all’AIDS del Mediterraneo, “La Stampa”, 13-9-1994 
Oreste Del Buono e Giorgio Boatti, L’Uomo che inventò la Riviera, “Tuttolibri-La Stampa”,  no 1319, 13-7-2002 


 

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