Attilio Micheluzzi nasce l’11 agosto 1930 a Umago, in Istria. Figlio di un ufficiale pilota della Regia Aeronautica, coltiva fin da bambino la passione per il disegno e per gli aerei. Questa passione lo accompagnerà per tutta la vita e quando deciderà di dedicarsi professionalmente al fumetto, diventerà una costante della sua poetica. Da ragazzo segue il padre nei suoi spostamenti di lavoro e ha modo di girare l’Italia. Intraprende studi di carattere tecnico, si iscrive inizialmente alla facoltà di Architettura a Roma, completando in seguito a Napoli, dove incontra fra l’altro anche la sua futura moglie Giovanna. Si avvia alla professione di architetto, che eserciterà con successo per ben dieci d’anni, prima in Italia e poi in Africa. A partire dal 1961, progetta case nel Senegal, in Guinea, in Costa d’Avorio, in Mauritania e in Libia. è sul punto di essere nominato Architetto della Casa Reale a Tripoli, quando Muhamar Gheddafi innesca un colpo di stato che lo obbliga a rientrare in Italia.
Tornato in Italia, non trova più la convinzione né le opportunità necessarie a riprendere la professione e, giunto ormai all’età di quarantadue anni, stabilitosi a Napoli, si dedica al fumetto. Invia alcune tavole al “Corriere dei Ragazzi” di Francesconi, il quale favorisce il suo esordio all’interno della serie Dal nostro inviato nel tempo Mino Milani. Il primo episodio, dal titolo Il pilota che morì due volte, tratta curiosamente un fatto d’aviazione ed è datato marzo 1972. è l’inizio di una proficua collaborazione con il “Corriere dei Ragazzi”, che proseguirà fino al 1976, con una serie di racconti scritti dai vari Milani, Selva, Carpi, Ventura e illustrati da un Micheluzzi che inizialmente si firma con lo pseudonimo di Igor Artz Bajeff. Risalgono a questo periodo due serie molto apprezzate quali Johnny Focus e Capitan Erik, quest’ultimo sui testi di Claudio Nizzi, che è in seguito diventerà sceneggiatore titolare di Tex, dopo l’abbandono di Gian Luigi Bonelli. Si tratta di serie dal taglio decisamente popolare, nelle quali tuttavia Micheluzzi da già sfogo alla sua mirabile capacità grafica. Probabilmente l’inserimento tardivo di Micheluzzi nel mondo del fumetto ne ha sancito fin dagli inizi una forma di maturità stilistica alquanto rara nel percorso di altri autori. Va da sé che la svolta che porta Micheluzzi da Capitan Erik a Petra Chérie sul “Il Giornalino” non è molto più che un passaggio da semplice disegnatore ad autore completo.
Con Petra Chérie entriamo dunque nel vivo della poetica di Micheluzzi, che iniziamo pure a conoscere a partire dalla descrizione del personaggio. Petra de Karlowitz è un’affascinante ragazza di origine polacca che ha vissuto a lungo in Cina, che parla correttamente cinque o sei lingue e vive le sue avventure negli anni della prima guerra mondiale. Abita in una grande casa a Sluis, nell’Olanda neutrale, dove amministra la società commerciale della famiglia. Da vera anticonformista qual è, nutre una certa simpatia per gli alleati franco-inglesi, osteggiando invece le forze tedesche. è un pilota spericolato ed è pronta a sfidare la sorte a testa alta, fa sempre quel che le pare senza aspettare l’approvazione di nessuno, ma senza dover essere considerata per questo un’antesignana del femminismo. Anzi, l’autore la considera quasi una sorta di risposta:
“…ad un tipo femminile che andava allora di moda, sguaiato, violento, spesso poco pulito, innamorato dei ‘collettivi’, che credeva di realizzarsi solo dicendo ‘cazzo’ ad ogni istante…”1
Questo il profilo del personaggio, ma più interessante ancora ai fini della poetica di Micheluzzi è conoscerne la genesi. Inizialmente il personaggio di Micheluzzi non era infatti una donna, ma un uomo che avrebbe dovuto chiamarsi Ruppert de Karlowitz, detto il “Vicario” per la sua abitudine a citare versi estratti dalla Bibbia in riferimento alle varie situazioni. Da alcuni studi preparatori, che mostravano il concepimento del personaggio in una fase già avanzata, vediamo che il “Vicario” avrebbe dovuto avere l’aspetto di un giovane longilineo, dal volto lungo, la fronte ampia e i capelli impomatati. A questo punto interviene Alfredo Barberis, l’allora direttore del “Corriere dei Ragazzi”, che consiglia a Micheluzzi di trasformare Ruppert in una giovane donzella, perché a parer suo il “Vicario” assomiglia troppo al Corto Maltese di Hugo Pratt. Micheluzzi non condivide l’opinione di Barberis sulla somiglianza tra i due personaggi, ma acconsente alla modifica proposta dal direttore.
Quello che mi interessava mettere in luce con questo retroscena che ho voluto raccontare è l’intrinseco legame presente tra la poetica di Micheluzzi e quella di Pratt, un legame non esplicito né tanto meno dichiarato, eppure altrettanto degno di considerazione. Scriveva lo stesso Barberis in una celebre lettera all’autore:
“Credo, però, e glielo dico in tutta franchezza, che quell’insistenza nel giudicare diverso il suo personaggio da quel Corto Maltese che qui in redazione le è stato opposto come contro-altare del Vicario, sta proprio a significare che Hugo Pratt è per lei un collega con cui, comunque, fare i conti.”2
Vediamo allora partendo dal caso di Petra Chérie come esempio generale, quali possono essere i punti di contatto tra i due autori. Come Corto, anche Petra (o il Vicario, nella sua versione originale) è un avventuriero che governa un mezzo di trasporto, che in tempi di guerra viene si trova spesso al centro di azioni belliche (il primo è un marinaio, la seconda è naturalmente un pilota d’aeroplani). In entrambi i casi poi, lo scenario di queste avventure è dato concretamente dal periodo storico compreso tra i due conflitti mondiali. Ne consegue che in entrambi i casi la costruzione della storia presuppone un ampio lavoro di documentazione e trattamento delle fonti storiche cui fa riferimento. In questo modo, come a Corto così anche a Petra capita di imbattersi talvolta in personaggi realmente esistiti, come Lawrence d’Arabia, Manfred von Richtofen (il leggendario Barone Rosso) o Igor Strawinskij.
Passando ora all’aspetto grafico, che ci interessa più da vicino, gli studi preparatori del Vicario che citavamo poc’anzi3 presentano in effetti più di qualche somiglianza con lo stile del primo Pratt, derivato dalla scuola di Milton Caniff, per intenderci. D’altra parte se ci rivolgiamo al prodotto finito, ci appare chiaro come quella segnalata non sia che una fra le possibili ascendenze che confluiscono nello stile pure eclettico dell’autore. Abbiamo già messo in luce come Micheluzzi sia un disegnatore capace e come fin dalle sue prime opere dimostri i segni di una certa maturità stilistica. Se questo è senz’altro vero, va altresì detto come il segno di Micheluzzi alla fine degli anni ’70 sia ancora meno raffinato rispetto alle prove che vedranno la luce lungo tutto il decennio successivo. A fianco alla pennellata morbida di Caniff convivono allora segni più duri, legnosi, che per certi versi ricordano a tratti lo stile energico e massiccio di classici nostrani quali Guido Buzzelli o, al limite, Aurelio Galleppini. In effetti lo stile di Micheluzzi non ha preso da Caniff più di quanto non abbia preso da Phil Davis, ma soprattutto dal Raymond di Rip Kirby.
Pur essendo nato esattamente nel 1930 e cadendo quindi esattamente dentro la prima generazione di autori (Crepax, Pratt, Battaglia), Micheluzzi pratica in realtà uno stile estemporaneo che gli ha fatto giustamente meritare la definizione di Brunoro di “più vecchio fra i giovani disegnatori e più giovane fra i vecchi”. Lo scarto evidente fra Pratt e Giardino da un lato, e Micheluzzi dall’altro, sta nell’abbinamento da parte di quest’ultimo della tecnica del pennino unitamente a quella del tratteggio. D’altronde né Pratt, né tanto meno Giardino avrebbero potuto disegnare l’ultima vignetta di Petra Chérie, a pag. 112 dell’edizione Milano Libri4 (vedi figura sotto, ndr), tanto per citare uno degli esempi più interessanti di questa tecnica. A guardarla bene, due sono le cose che ci colpiscono di più in questa vignetta: la prima è data per l’appunto dall’inclinazione armonica dei tratteggi, la seconda dal profilo sottile della figura e in particolar modo della veste, con un merletto che spicca in controluce, degno del migliore Battaglia.
Le poetiche del fumetto d’autore in Italia è il titolo della tesi con cui Matteo Orlando si laurea al DAMS di Bologna nel Novembre del 2000, sotto la supervisione del prof. Antonio Faeti. L’ipotesi portante di questo studio è che il linguaggio del fumetto sia, prima di tutto, un prodotto dell’età contemporanea. In termini figurativi, la cultura contemporanea viene altrimenti detta “post-moderna”, per il suo carattere di discontinuità rispetto alla logica prospettica dell’età moderna, teorizzata nel 1435 da Leon Battista Alberti nel suo Trattato della pittura. Con la nascita della macchina fotografica accade che la tecnica pittorica della camera obscura, celebrata nei secoli dai massimi pittori che seguirono le orme dell’Alberti si fa scienza, diviene invenzione tecnologica. Da quel momento in avanti la pittura non sarà più la stessa. La rivoluzione figurativa intrapresa da Cézanne e compagni si realizza infatti proprio attraverso la rinuncia ad una prospettiva unitaria e il conseguente abbandono del concetto di “punto di fuga” e di profondità, che vengono soppressi a favore di una rappresentazione piana. Laddove i pittori che utilizzano la prospettiva cercano cioè di suggerire la terza dimensione mancante alla superficie del quadro, gli artisti post-moderni recuperano invece la bidimensionalità propria delle raffigurazioni arcaiche. Allo stesso modo i pittori contemporanei prediligono la chiusura lineare del disegno contro l’apertura pittorica dello sfumato leonardesco. La soluzione che meglio racchiude il significato di queste ricerche è la tecnica del cloisonnisme adottata dai Simbolisti francesi, ovvero la chiusura del disegno entro un contorno ben definito. Ora, la mia tesi è che il fumetto prosegua esattamente la strada tracciata dai Simbolisti e dai Fauves prima, e dalla Pop Art poi, e si ponga come un modello di divulgazione e normalizzazione di questa cultura. Se è vero che la grafica dei fumetti in generale asseconda questo stile, è però nell’ambito del cosiddetto “fumetto d’autore” che si possono registrare i risultati più specifici e consapevoli. Il concetto di “fumetto d’autore” viene qui inteso nella sua accezione di fenomeno storico volto ad allargare i confini espressivi del fumetto popolare, piuttosto che come prodotto velleitario destinato a un’elite, come fattore di ricerca, piuttosto che come metro di giudizio assoluto. Attraverso l’analisi dei principali esponenti di questo fenomeno, si è così cercato di dare un quadro complessivo dei diversi risultati cui queste ricerche sono pervenute.
Altri estratti daLe poetiche del fumetto d’autore in Italia su Fucine Mute Webmagazine:
“La poetica di Guido Crepax”
“La via italiana alla ligne claire – L’opera di Milo Manara e Vittorio Giardino” (prima parte)
“La via italiana alla ligne claire – L’opera di Milo Manara e Vittorio Giardino” (seconda parte)
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