Corrado Premuda (CP): Siamo in un prato a Prosecco, nella periferia di Trieste, e in questo prato c’è l’inaugurazione di una mostra di sculture di Robin Soave. La mostra s’intitola “L’uomo”. Io ti vorrei chiedere del tuo rapporto con la pietra e che tipo di pietra prediligi…
Robin Soave (RS): Il mio rapporto con la pietra è semplice, essendo io una persona semplice. Il mio rapporto con la pietra è forma: più grande è e più mi diverto! Come tipo di pietra che prediligo, io uso principalmente la pietra locale per una questione di prezzo e di comodità. Per il resto io lavoro marmi, graniti, lavoro pure il legno e il ferro.
CP: Però forse con la pietra hai un rapporto particolare?
RS: Sì, è un rapporto più interno con la pietra. Pietra, marmo, l’importante per me è che sia grande: questa è la cosa più piacevole per me.
CP: In questa mostra le sculture sono inserite nel paesaggio naturale. A te piace inserire le tue opere d’arte o ti piace modificare in qualche modo l’ambiente naturale?
RS: Inserire. Io lavoro in un contesto di natura e in questo contesto non puoi invadere: ci passi otto, dieci ore al giorno e non puoi invaderlo.
CP: Quindi magari è un completamento il tuo?
RS: Sì, perché ti nutri della stessa cosa.
CP: Tu ti occupi di scultura ma ti occupi anche di design e in qualche modo di artigianato. Qual è secondo te il rapporto tra l’artigianato, il design e l’arte? C’è un rapporto minoritario nei confronti dell’arte con la A maiuscola oppure sono forme d’arte anche queste?
RS: Facendo bene le cose tutto è arte e tutto è design. Le cose fatte bene, col cuore, pensando, studiando, sono sempre arte e design.
CP: In questa mostra il tema principale è l’uomo, infatti il titolo è “L’uomo”. Si parte dalla forma madre, ci sono degli elementi basilari che rappresentano l’uomo ma anche degli elementi anatomici importanti, quindi l’astrattismo e l’anatomia insieme. Come mai questa attenzione verso le forme umane e anche verso l’animo umano?
RS: L’uomo nasce semplice, la pietra è semplice, Dio anche è semplice… per cui io sono per la semplicità. La cosa nasce un po’ così: tutto semplice, senza tanti discorsi, senza tanti preamboli.
CP: L’uomo è semplice però è anche fonte d’ispirazione continua perché è molto complesso.
RS: Sì ma siamo qui e tutto è semplice!
CP: Ti faccio un’ultima domanda. So che per commissione stai facendo delle opere che andranno in Australia: lavorare su commissione ti stimola o ti limita un po’?
RS: è lavoro. Col lavoro ci paghiamo il pane quotidiano, dopo di che il lavoro serve per fare il nostro.
CP: Quello a cui tieni di più.
RS: Sì, indubbiamente.
CP: Grazie alle commissioni ti mantieni.
RS: Certo ma d’altra parte su commissione fai delle cose che altrimenti non faresti, perciò è giusto farle: così ti autocompleti.
Nell’ampia spianata verde, in Carso, spuntano i gruppi di bianche sculture in pietra d’Aurisina di Robin Soave a formare un dilatato racconto che segue un suo ideale percorso “epico”. Perché vi è presentata l’umanità in senso universale, l’uomo, la donna, il riferimento religioso, il rituale, il pensiero creativo che si materializza in forme astratte, perfino un “muro del pianto”, ludica metafora di un segnale di confine che contiene tra i massi del muretto a secco, frammenti di sculture, prove scartate, esercitazioni di allievi, una fattualità accantonata e riciclata in un contesto marginale, ma pur sempre con una sua funzionalità e visibilità. Le sculture si raccolgono in famiglie diversificate dalla forma […]. Le famiglie si differenziano perché l’umanità insiste sulla diversità, perché il piacere di lavorare con una materia amata – la pietra nelle sue svariate declinazioni, che docile asseconda l’impeto operativo dell’artista – richiede una variabilità di risultati che possa confrontarsi con le innumerevoli forme della vita. Sono sculture che pretendono una conoscenza tattile, che invitano, per la qualità materica, per il deposito di memorie e personali vissuti che Soave sa infondervi, ad un approccio diretto nell’intento di avviare un’interrelazione tra presenza plastica ed osservatore […]. La cultura da cui crescono queste sculture chiaramente affonda nelle grandi esperienze plastiche del secolo scorso. Richiamano quelle dell’avanguardia, tra Arp e Brancusi, Lorenzo Viani, Henry Moore. Rimando che non riduce il valore di questo dialogo con la pietra, ma semmai lo nobilita. Certi punti fermi, come la libera valenza delle forme astratte nello spazio, certe autonomie linguistiche acquisite nel corso del ‘900, sono ormai imprescindibili in un approccio con la materia staccata dalla cava naturale come blocco grezzo e, “per via di levare”, come i grandi della storia, spinto e definirsi, a parlare, ad accumulare e a comunicare pulsioni emozionali, oltre che formali.
(Tratto dalla presentazione della mostra a cura di Maria Campitelli)
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