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Cinema

Takeshi Kitano

Le bambole di Kitano

Takeshi Kitano, presente alla 59a edizione della mostra d’arte cinematografica di Venezia, ha gareggiato per il Leone d’oro con il suo ultimo film, Dolls. Lo abbiamo incontrato in una delle tante sale conferenza dell’affascinante Hotel Excelsior del Lido di Venezia.

D: La cultura e l’arte giapponese vanno molto di moda oggi, perché secondo lei?

Takeshi Kitano (TK): Credo che la cultura giapponese sia cambiata, così da rendersi accessibile al mondo intero. Il Giappone ha strutturato l’arte come una materia esportabile ovunque.

D: Parliamo del significato del film, e del perché lei ha scelto il teatro Bunraku come punto di partenza per il suo film. Crede che nella vita vissuta, nell’essere umano, ci siano le caratteristiche delle bambole di cui lei parla; ovvero, l’uomo è anche un po’ marionetta?

TK: Il progetto iniziale era quello girare il film come fosse uno spettacolo Bunraku. Volevo che gli ambienti del mio film fossero molto simili ad un teatro o palcoscenico. Credo di aver, tuttavia, mantenuto un po’ del progetto originale. Infatti ci sono delle sequenze che ricordano molto il teatro. Soprattutto la parte finale del film. L’autunno e le inquadrature invernali ricordano la messinscena teatrale; forse i resto del film, invece, è più simile alla vita vera, quella di ogni giorno. Riconosco che le inquadrature e i movimenti di macchina finali sono piuttosto diversi dal resto del film, ma la considero una coincidenza. Credo che non sia totalmente giusto affermare che i miei personaggi sia la proiezione in carne ed ossa dei burattini Bunraku. La sequenza finale, inoltre, e da considerare in maniera opposto; ovvero, non sono i due personaggi a guardare verso il basso, nel baratro, ma si tratta piuttosto di un entità sovrannaturale (forse Dio), che guardare in basso verso il mondo e che osserva il comportamento umano.

Matsumoto e Sakawa, i protagonisti della prima storia, interpretati Hidetoshi Nishijima e Miho Kanno

D: Mi affascina il forte potere dell’amore che caratterizza il suo film. Lei crede che nella società in cui viviamo oggi, questo profondo rispetto e quest’importanza dell’amore non ci sia più? E inoltre qual è il personaggio che più le assomiglia?

TK: Ripensando al film, credo che il boss della yakuza rappresenti meglio ciò che io sono nella vita reale. La sola differenza è che nel parco, ad attendermi, invece di una, ci sarebbero venti donne ad aspettare che io torni. Tutte, però, invece di prepararmi un dolce pranzetto, avrebbero preferito condire il mio pasto con una grossa quantità di veleno.

D: Qual è lo scopo del film?

TK: Credo che il motivo principale che mi ha spinto a fare questo film sia stato il mio desiderio di lavorare con i colori. Vengo spesso tacciato di essere un regista che usa poco i colori, quelli forti. Dopo tutti i sottotitoli con cui vengono criticate le mie opere; mi riferisco al famoso “Kitano blu o grigio” ho pensato che la tematica di questo film fosse adatta per fare un interessante trattamento dei colori. Volevo poi anche fare un lavoro più profondo sulla forma artistica tipicamente giapponese del Bunraku. Poi, il film si è un po’ sviluppato da sé: ho scelto le storie da raccontare, i personaggi, gli intrecci, i colori dello sfondo narrativo… Ho voluto rifarmi alle vicende narrate dal celebre drammaturgo giapponese, Chikamatsu, molto famoso nel diciassettesimo secolo. Ma ripeto, volevo catturare i colori più brillanti e diversi della natura nelle varie stagioni dell’anno.

Matsumoto e Sakawa, i protagonisti della prima storia, interpretati Hidetoshi Nishijima e Miho Kanno

D: Qual è il suo colore preferito?

TK: Dipende dallo stato d’animo in cui una persona si trova in quel preciso istante. Voglio dire che io, per esempio quando sono di buon umore, adoro il rosso. Credo però che il colore che preferisco in assoluto sia il viola.

D: Di che segno è lei e crede nell’oroscopo?

TK: L’oroscopo è stato inventato molto tempo fa. Credo che l’essere umano allora non fosse a conoscenza di molte cose che invece oggi abbiamo imparato a capire grazie alla scienza. Tuttavia lo trovo un fenomeno interessante. Il mio segno è il capricorno, sono nato il 18 gennaio. Tuttavia non sono sicuro della mia data di nascita, non credo che l’anagrafe giapponese sia molto affidabile, quindi non ho mai creduto fino in fondo che questa fosse la vera data della mia nascita.

D: Attraverso il suo film, lei ci ha fatto conoscere un autore che ci era poco familiare, Chikamastu, il drammaturgo del sedicesimo secolo dal cui repertorio lei ha tratto il suo film, Dolls. Ci parli di questo intellettuale. E inoltre volevo sapere se la melanconia che aleggia in tutto il film è una caratteristica tipica della cultura giapponese.

SakawaTK: Chikamatsu è stato una famoso drammaturgo giapponese durante l’era Edo (1600-1868). Il Giappone all’epoca era governato da una minoranza; vedete, il sistema gerarchico in Giappone era molto importante e molto ferreo. C’erano quattro classi sociali distinte, come delle caste. Il sistema non permetteva che persone di diverse classi si amassero e si sposassero. Potremmo in parte affermare che l’autore assomigli a Shakespeare, ma non del tutto. Chikamatsu, a differenza di William Shakespeare, focalizza la sua analisi non tanto sull’intreccio e sullo sviluppo della storia, quanto ai sentimenti, alla passione dei protagonisti, al “karma” della favola. La storia a cui si riferisce lei parla di una cortigiana e del suo servitore che si innamorò perdutamente di lei. I due intraprendono una relazione vietata dalla legge e per questo vengono banditi dalla società. I due si allontanano e intraprendono una strada che li porterà alla morte. Il pubblico di oggi non è preparato a vivere una storia d’amore così tragica, proprio perché le condizioni odierne non spingono gli amanti a gesti simili. Gran parte delle storie narrate da Chikamatsu parlavano di questi scandali a corte, di queste segrete storie d’amore.
Per quanto riguarda la melanconia del film, be’, deve esserci. Infatti la storia stessa di Chikamatsu impone la sua tragicità al film. La morte incombe su tutti noi, sempre. Nel film ho cercato di descrivere la morte e rendere questo sentimento di attesa (attendere di morire) come un passo inevitabile, che vale la pena intraprendere. Quando un autore, uno scrittore o un regista descrivono la morte, questo fenomeno diventa vivo, come l’amore. Ho voluto creare questo tipo di tensione nel film. Da una prospettiva moderna, intendo le persone di oggi, anche Giapponese, forse non capirebbero o interpreterebbero in maniera diversa le vicende dei due eroi.

D: Parliamo del film in rapporto agli altri che lei ha girato.

L’estate di KikujiroTK: Dolls, se analizzato superficialmente, può sembrare un film non violento. Io, tuttavia, lo considero il film più violento che abbia mai girato. Bisogna, infatti, vedere la pellicola da un altro punto di vista. Credo che la forma estrema della violenza sia proprio la morte di uno dei personaggi. Ciò in Dolls accade per tutte e tre le mie storie. Negli altri film che ho girato, i personaggi erano infatti “autorizzati” a uccidere essendo poliziotti, boss della yakuza e via dicendo. Mentre le mie bambole sono persone che non hanno niente a che fare con la delinquenza a cui faccio esplicito riferimento in tutta la mia filmografia. I personaggi di cui parlo nel film non si aspettano di morire, non sono preparati alla morte. Credo che questo tipo di morte sia più violenta, più crudele. Lo stesso L’estate di Kikujiro è un film violento, tratta della violenza sui minori (ride a squarciagola, ndr). Non sono un regista commerciale, quindi la mia arte non segue l’economia. Non mi preoccupo dei problemi della distribuzione, quindi giro ciò che mi passa per la testa in quel momento. Mi considero un regista molto lunatico, quindi giro come e quello che mi ispira la giornata.

D: Credo che in questo film un altro sentimento sia molto importante, quello della determinazione; determinazione probabilmente dettata dall’amore. I personaggi compiono dei gesti assurdi e folli in nome dell’amore. Questa è una caratteristica Giapponese (molto marziale e determinata come società) oppure coinvolge individualmente solo i suoi personaggi innamorati?

TK: La determinazione in questo caso è dettata, appunto, dall’amore. Tuttavia, per quanto riguarda la società giapponese, basti pensare ai kamikaze (oramai fenomeno non solo giapponese), non sempre la determinazione porta a fare dei gesti d’amore. Provate a pensare se la matrice sentimentale del mio film non fosse stata l’amore bensì la religione…


Tutte le immagini del film sono copyright di “Office-Kitano”

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