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Musica

Roy Paci

Il respiro del vulcano

Roy Paci e AretuskaVelvet Afri (VA): Dopo tante esperienze (il Sudamerica, il jazz, i Mau Mau, la Banda Ionica), come nasce il progetto Aretuska?

Roy Paci (RP): Il progetto degli Aretuska è nato in maniera molto naturale. Dico così perché io mi sono sempre trovato a suonare con progetti non siciliani, soprattutto quando ero più giovane, iniziando con i Persiana Jones e tutta una serie di gruppi abbastanza alternativi, ai tempi delle posse, per intenderci. Quindi Persiana, Africa Unite, Fratelli di Soledad, fino ad approdare ai Mau Mau. Mi sono sempre trovato a confrontarmi con musicisti e progetti che non erano siciliani. Negli ultimi anni ho avuto un po’ di nostalgia e sono sceso più spesso. C’è stata anche la possibilità finanziaria di potermi muovere non più con il trenino, che era il sistema più economico per scendere, solo che ci sta ventiquattro ore da Torino a Catania! è una cosa che ho fatto in sei anni una volta alla settimana, quattro volte al mese, andata e ritorno tutte le volte. Logicamente tutto è rapportato allo stile di vita, ora che ho un po’ più di possibilità economica, negli ultimi sette anni sono sceso con più frequenza in Sicilia. E scendendo vedevo un sacco di musicisti validi. Ad esempio Fred, il contrabbassista, che è entrato anche nei Mau Mau, poi gente che fa reggae… Sono amici, molti di loro sono ventenni, ma ventenni talentuosi, il trombonista penso che sia uno dei migliori tromboni che abbiamo in questo momento dalle nostre parti, nella terra di Trinacria. Alla fine ho detto:”Ragazzi, facciamo una cosa assieme!”. All’inizio è nata come cosa jazz suonata con il ritmo a levare, come gli Skatalites, che amo tantissimo e che sono stati dei grandi pionieri di questo genere musicale. Poi abbiamo cominciato ad aggiungere cose, la voce… Mi hanno detto “canta canta”… Mi hanno fatto cantare, ma non mi considero un cantante, ho fatto solo cori in vita mia! Ed è nato così. Poi abbiamo fatto questo disco, in un paio di giorni. è piaciuto, è stato venduto, e ci siamo dovuti formare proprio come gruppo. Il disco è uscito l’anno scorso a ottobre, abbiamo fatto cento concerti fino adesso e siamo contenti, siamo tranquilli.

Cover di "Baciamo le mani", l'album di Roy Paci e AretuskaVA: Ci sono un sacco di collaborazioni nel disco. Come sono nate?

RP: Sempre in maniera amichevole. Ho chiamato Bunna perché avevo tanta voglia di farlo lavorare in questo progetto e poi perché lui è La Vocereggae in Italia, da sempre. Così come ho chiamato Dani, che era uscito fresco fresco dalle registrazioni del secondo disco dei Macaco. Nello stesso momento abbiamo fatto anche il pezzo per la Banda Ionica, quindi una serie di collaborazioni incrociate. Poi c’è Meg, con cui la cosa è nata in maniera fortuita, anche perché stava lavorando per il disco dei 99 Posse. In realtà per “Se stasera sono qui” io avrei voluto che cantasse Wilma Goich, l’avevo sentita su un dischetto di mia madre che cantava il pezzo di Tenco e mi era piaciuto. L’ho chiamata, ma Wilma era impegnata in un disco con Vianello. Poi mentre passavo per Napoli ho chiesto a Meg di cantarla. Tra l’altro è una delle poche cose melodiche che Meg canta, una cosa veramente strana, molto carina, l’interpretazione è stata veramente ottima, mi è piaciuta molto.

VA: Come avete scelto le cover (Morricone, Tenco, Parker) che ci sono in “Baciamo le mani”?

RP: Tenco perché per me è uno dei più grandi cantautori italiani di tutti i tempi. Abbiamo fatto “Se stasera sono qui”, che è il suo pezzo forse meno complesso, perché visto che il gruppo è abbastanza di facile fruizione e divertente, volevo sdrammatizzare un attimo, viste le vicende finali della sua vita. Per Morricone ho avuto sempre una grande passione. Il pezzo di Charlie Parker è un omaggio al jazz e a una figura come Parker che mi ha sempre affascinato. Poi c’è la cover “A taste of honey” di Herb Alpert, che secondo me è una delle cose più kitsch mai sentita in vita mia. Anche perché Herb Alpert è il trombettista in assoluto più kitsch che esista sulla faccia della terra, e ne conosco di gente storta veramente, che suona la tromba, dai giapponesi agli africani, gente che fa cose assurde, ma mi ricordo questa sigletta della Domenica Sportiva… il suono è così kitsch che mi piace!

VA: A me è piaciuto molto il video di “Cantu siciliano”, è una bella cartolina che viene dalla Sicilia…

RP: Finalmente una cartolina un po’ colorata! C’è qualcuno che manda in giro delle cartoline abbastanza in bianco e nero.

VA: Però la vostra è una cartolina velata di ironia e sarcasmo. Gli Aretuska non sono l’unico gruppo che “gioca a fare i padrini”, però forse l’unico siciliano, quindi il significato è diverso.

RP: Molto diverso. Anche se ci sono tanti personaggi o gruppi che sono più o meno bravi, più o meno piacevoli, che stanno giocando con questa figura del padrino, della Mafia…

VA: Io stavo pensando ad esempio ai Good Fellas…

RP: Ah, i Good Fellas! Ma loro sono gangster americani! Sono grandi amici tra l’altro, sono simpaticoni. Grandissimi. Conosco soprattutto Valentino, che suona anche nei Quintorigo. Loro, il jumpin’ jive, una cosa bella, brillante…

VA: Ray Gelato…

RP: Ma io voglio andare ancora prima di Ray, quindi parlo di Louis Prima, della gente che ha iniziato questo filone. Noi lo facciamo in maniera anche molto più pesante rispetto ai Good Fellas, la figura proprio del padrino e del “mafiosetto”, che poi è il mafioso di un tempo, proprio dei siciliani a New York, Little Italy. Penso comunque che ad aprire la strada a tutti i personaggi che adesso fanno un po’ lo scherzo sul siciliano è stato Fiorello in televisione. Il “napoletanesimo” è quasi scomparso, tutto quello che è Totò e i suoi discepoli, l’avvento di Fiorello l’ha surclassato.

VA: Non ci ho mai pensato. Fra le tue collaborazioni passate quelle che mi hanno più colpito sono quelle con gli Estra e con Cesare Basile. Mi sembravano accostamenti più particolari, o per lo meno con cose musicalmente più lontane dal tuo stile. Com’è stato l’incontro con il rock italiano d’autore?

RP: Io forse non mi sentivo neanche del tutto all’altezza di quest’incontro, perché non ho una grande conoscenza della musica rock, so veramente quattro cose. Quindi sono andato lì con curiosità, con l’intenzione di mettermi completamente in discussione. Gli Estra sono dei bravi ragazzi, con cui mi sono trovato bene, sennò forse non avrei neanche fatto il disco. Se ci sono musicisti che non mi vanno così a pelle, prendo la mia trombetta e amici come prima… ma non mi è mai successo. Con gli Estra è stata una bella esperienza, un’esperienza nuova. Rock d’autore, come hai detto tu. Quella con Cesare Basile è nata perché comunque è siciliano, catanese. Mi ha detto: “Dài Roy, me la abbii questa tromba in questo disco”? “Abbiare” significa “buttare dentro”, e io gliel’ho messa ben volentieri. Gli arrangiamenti di Cesare sono piaciuti molto anche a me, sentendoli dopo. Mi dicevo “che cavolo ho combinato in questo disco?”, una cosa strana. Ancora di più sull’ultimo disco dei Fluxus di Torino, su cui ho fatto gli arrangiamenti, anche lì sono venute fuori delle cose molto ma molto storte, entrando in un territorio che non conoscevo, a metà strada fra l’avanguardia e il rock.

VA: Be’, guarda che anche a uno che ascolta solitamente gli Estra, “Vedere la felicità”, in cui c’è la tua tromba, avrà dato qualche scompenso!

RP: Sì, lo capisco. Ma faccio cose anche più pesanti, per cui mi sto rapportando con un metro di paragone forse un po’ esagerato.

VA: Nel live estivo a Monfalcone hai proposto uno spettacolo trascinante come sempre, però ti sei anche fermato a riflettere sulla situazione italiana di oggi, il G8, lo stretto di Messina. Quindi secondo te il ruolo dell’artista è anche quello di scuotere le coscienze, non solo di far divertire?

RP: Secondo me, di scuotere le coscienze sì. L’artista, se veramente vuole fare qualcosa per il bene proprio dell’umanità, potrebbe fare anche questo. Scuotere le coscienze. è giusto che sia così, perché non abbiamo più neanche una vera e propria identità , anche politica. Anche nel movimento di sinistra, molti non hanno neanche idea più di che cavolo significa sinistra, destra, centro, sotto, sopra. Una cosa veramente vergognosa. Io mi vergogno di molti personaggi. Comunque non mi piace neanche condurre battaglie contro “quegli altri”. Solo dico che ci vorrebbe più rispetto, ma più rispetto soprattutto nei confronti della terra, della nostra terra. Non abbiamo rispetto per niente, abbiamo perso il rispetto per gli altri esseri umani, figurati per la terra. Ma non ci bada nessuno: quando apri un pacchetto di sigarette, buttare la carta in terra è normale. Io penso che sia importante dire qualcosa, denunciare quello che accade di sbagliato e gli artisti questo lo possono fare, perché hanno la possibilità di rivolgersi veramente a tanta gente.

VA: Comunque tu sul palco sei…

RP: Un animale!

VA: Infatti. Pensi che sia una cosa che si impara con l’esperienza oppure è una dote naturale? è mai esistito un piccolo Roy Paci che si nasconde timidamente dietro la sua tromba?

RP: Non ne ho mai incontrati. Però se proprio lo vuoi sapere questo senso di tenacia, audacia, “sanguignità”, “selvaggiume”, come diciamo noi, è stato dettato, fin dagli inizi, dall’esigenza di emergere. Quando ho cercato di confrontarmi con altri musicisti, ho dovuto combattere veramente tanto prima di riuscire a prendere il ferry boat dello stretto di Messina. Era molto difficile, anche economicamente, perché sono figlio di un muratore, quindi non potevo permettermi lezioni private, dei professori per studiare musica, perché già era tanto che mi mantenevano per la scuola. Tutto non si poteva avere, quindi io mi sono fatto veramente un mazzo così, mi sono spaccato la schiena, pur di pagarmi le lezioni di tromba e studiare la notte nel garage. Ora è più facile, tutto si sta quasi globalizzando, anche giù. C’è più informazione, più comunicazione, i ragazzi sono più intraprendenti. Vent’anni fa era ancora difficile dire ai propri genitori “io adesso vado a Milano a fare uno stage, così, un workshop”… “Dove vai tu? A lavorare! Quale workshop, quale musica! Il pane a casa devi portare!”… Quindi era difficile, però alla fine ce l’ho fatta. Anche perché era semplicissimo restare al paesino dove la gente ti dice “bravo bravo”. Già quando sono arrivato a Reggio Calabria veramente mi hanno massacrato: trombettisti, tutti quelli che mi capitavano di fronte. Però così ho iniziato veramente a fagocitare, a mangiare musica, avido di sapere e apprendere continuamente tutto quello che avevo davanti. E poi l’Etna è importante, veramente il respiro del vulcano è importantissimo. Sono diversi gli abitanti delle zone limitrofe al vulcano rispetto a quelli che stanno a Palermo, proprio diversi come temperamento. Questa è una delle spiegazioni filosofiche di Alfio Antico, uno dei più grandi personaggi siciliani, il più sanguigno e grezzo che sia mai esistito in natura! Alfio Antico è uno dei più grandi tamburellisti del mondo, forse i più grande. Suonava con la Compagnia di Canto Popolare, con Bennato, la De Sio. Con il suo tamburello ha fatto il giro del pianeta. Grandissimo.

Cover di Matri Mia, album della Banda JonicaVA: Questo discorso mi fa venire in mente la Banda Ionica. Com’è nato quel progetto?

RP: è nato con Fabio (Barovero), che era molto affascinato dai suoni della banda. Comunque Fabio è di origine leccese, anche se è nato a Torino, e le conosceva bene certe sonorità, anche se lui era lontano dalle tradizioni e dal folklore. Era una cosa che lui voleva realizzare ed io entrando in questo progetto gli ho permesso di farlo più velocemente. Abbiamo messo insieme la banda prendendo i musicisti più bravini, non i più bravi, di varie bande, ce ne sono certe che sono proprio uno scatafascio, abbiamo preso quelli più bravini che però non studiano troppa musica classica, che non hanno quella sonorità “da orchestra”, che sennò perdi quelle sfumature/stonature degli strumenti della banda. è stato anche difficile non mettere dentro della gente troppo brava, sennò diventava un’orchestra che eseguiva marce funebri. E da lì è nato il percorso della Banda Jonica. Sta avendo tuttora un successo incredibile. Io non ci penso neanche, è meglio non pensarci, ma la Banda in questo momento è al quinto posto nelle classifiche di etno-world in Olanda. Infatti il 7 novembre andiamo a fare un grande concerto per il Borders Festival che è uno dei più grossi in Olanda. La Banda la si trova dappertutto, davvero un successo incredibile, da una parte all’altra del pianeta. In America è uscito ed è già stato ristampato, in Giappone stanno andando di fuori per la Banda, poi i giapponesi sono amanti di queste cose curiosissime, cose veramente strane. Io sono veramente fiero di aver fatto questa cosa con Fabio e speriamo di portare avanti il progetto. Peccato che in Italia è stato considerato, ma non proprio tanto, quando invece certe realtà vengono osannate come l’arrivo del Messia. Si potrebbe invece dar spazio ad altre cose. Per me, non so, i tanto pubblicizzati quattro cantanti che si mettono insieme, con tutto rispetto per i quattro cantanti, non è la stessa cosa che la Banda Ionica. Assistere a un concerto della Banda è assistere a quello che può rappresentare un certo tipo di immagine, di paesaggio del Sud Italia. Non esalto mai i miei progetti, è la prima volta che lo faccio, permettimi di farlo, scusami la presunzione. Non mi è mai piaciuto ciò che ho registrato già il giorno dopo in tutti i dischi, perché sono fatto così, sempre critico con me stesso. Però penso che la Banda Ionica, sia il lavoro che più mi ha bilanciato. è un grande progetto, grazie soprattutto all’intervento di grandi artisti che hanno dato veramente un pezzo di cuore per realizzare il disco e anche poi dal vivo.

Roy Paci e Aretuska

VA: Ma pensate di incidere altri dischi con la Banda?

RP: Sì, pensiamo adesso di fare una cosa, però è ancora molto presto, perché il cd è uscito da pochissimo e sta cominciando a raccogliere i frutti ora. Comunque sono dischi che vanno su circuiti che hanno la loro evoluzione e un tempo discografico molto molto diverso da quello del singolo tipo “Asereje”…

VA: Altri progetti?

RP: Io vorrei di nuovo fare delle cose con gli Zu, un progetto molto avanguardia, per completare questo trigono tra Banda Ionica, che è serissima, gli Aretuska, che sono divertenti, ironici, e poi il progetto folle, gli Zu, un progetto nell’area sperimentale, per intenderci. Lo vorrò proprio rifare. La Banda spero avrà la possibilità di continuare, di vivere; abbiamo delle idee, però non le voglio anticipare. Vorremmo coinvolgere musicisti che non appartengono a un’area mediterranea. Ora vorremmo fare una cosa con una strizzatina d’occhio al panorama della scena anglosassone. Forse è un po’ ardua, però, vedremo che cosa succede.

VA: Azzardare sempre!

RP: Sì, io sempre.

VA: Io ho finito, se vuoi aggiungere qualcosa…

RP: Pace e amore… Roy Paci e amore!

Roy Paci e Aretuska

Fonte: Estate Romana 2002

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