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Cinema

Carlo Montanaro

Avanguardie inconsapevoli

Carlo Montanaro, non solo selezionatore della sezione Avanguardie inconsapevoli alla 21a edizione delle Giornate del Cinema Muto, ma anche professore all’Accademia delle Belle Arti e alla Ca’ Foscari di Venezia.

Martina Palaskov Begov (MPB): Illustriamo un po’ questo programma delle avanguardie

Carlo Montanaro (CM): C’è un po’ di paradosso, c’è un po’ di provocazione, il che ha inevitabilmente scaturito un dibattito intorno alla selezione e al programma. Rispetto a quelle che noi definiamo normalmente le avanguardie, che sono appunto quelle storiche, che riguardano soprattutto paesi come Francia e Germania, noi, in Italia, non abbiamo avuto una vera è propria avanguardia cinematografica. Il termine “avanguardia” sta ad indicare un procedimento che attacca una tendenza culturale tradizionalista, più o meno immobile, anche produttiva, perché no (l’immobilismo non è per forza sterile, ben inteso), e distrugge questi canoni per poi creare del nuovo, e andare avanti. Questo lo fanno, ad esempio, i futuristi italiani (non per il cinema ma in generale).

Tutto sommato il Futurismo è la grande mamma di tutte le avanguardie europee. Il Movimento prende degli spunti suggeriti già nel secondo Ottocento, per poi sviluppare una teoria avanguardista e parte verso la ricomposizione di nuovo materiale. Infatti, gli avanguardisti futuristi firmano il primo manifesto cinematografico d’avanguardia (il manifesto della cinematografia futurista, nel 1916). Esso è un po’ criptico, ma prefigura quelle che saranno alcune tecniche e pensieri di successivi movimenti; la negazione della narratività del cinema e nel contempo, in maniera anche un po’ cerebrale, offre e propone delle ipotesi realizzate in futuro da altri gruppi. Loro già pensavano a quello che sarebbe accaduto, anche cinematograficamente parlando, nel dadaismo e nel surrealismo. C’è un qualcosa di profetico…
Tra le altre cose, fanno anche del cinema. Il problema è, purtroppo, che non è sopravvissuto e non ci è pervenuto niente della loro cinematografia. Vita Futurista non c’è, Mondo Baldoria, nato più o meno con quell’aura intorno, non c’è; ovvero il materiale non è stato trasferito nel tempo. Quindi, da un certo punto di vista, non si può parlare di avanguardia italiana.

Il paradosso che io ho cercato in qualche modo di mettere insieme è stato capire se nel cinema italiano, non tanto nella trasversalità che ci porta verso la pittura, verso la scultura, verso la musica, quanto in termini squisitamente cinematografici, si possano vantare questi avanzamenti che hanno comportato, anche nel piccolo ambito dei primissimi anni del cinema, la consapevolezza di vivere un certo tipo situazione sperimentale e di conseguenza andare oltre. Questo è ciò che ho cercato di esprimere attraverso questa rassegna.

Immagine articolo Fucine Mute

Alcuni film che sono molto progressisti e importanti come Cabiria di Pastrone (1914), che muove consapevolmente per la prima volta la macchina da presa con il carrello, li avevamo già proposti quattro anni fa, quindi era inutile riproporli. Ce n’è un altro, un po’ folle, un po’ pazzo, intitolato Maciste all’Inferno (1926, di Guido Brignone), recentemente restaurato e quindi visto da molti. Per il resto, si è potuto vedere che il flashback è stato inventato in Italia. In maniera un po’, come dire, cialtrona, la prima volta, poi è stato riproposto. È diventato uno degli elementi grammaticali normali. Quando appunto io voglio far vedere un’azione e far capire che essa è condizionata da un qualcosa che invece è accaduto tempo prima. Poi abbiamo proposto dei film che hanno di avanguardistico, dove propongono una narrazione dalle ginocchia in giù; non appare la persona ma appare solo una parte della persona. Attraverso il tipo di scarpa, attraverso gli oggetti che fanno parte della scena, abbiamo questo inizio di “soggettivazione”, anche di ciò che non dovrebbe essere soggettivo, ovvero quello che non ha anima, come le scarpe e le gambe. Questo è un elemento, per esempio, che è passato nell’arte figurativa come metodologia innovativa, da Duchamp in poi. Si tratta sempre di analisi che si possono “illazionare”, senza affermare niente di sicuro. Siamo partiti da quello che è stato il grande papà di tutto questo, cioè Leopoldo Fregoli, il trasformista, che ebbe la possibilità, tramite i fratelli Lumière, di avere a disposizione il Cinematographe, ho voluto sottolineare questo esordio. Lui, che era un teatrante, attraverso il cinema ha avuto la possibilità di far vedere al pubblico, quello che solitamente accade dietro le quinte…ha svelato i suoi trucchi, in sostanza, tramite la macchina da presa. Va contro una visione dichiaratamente realistica nella misura in cui lui riprende la documentazione dei suoi trucchi. Alla fine di un suo spettacolo da vero, lui, tirava fuori lo schermo, e faceva vedere tramite il cinema, come avveniva l’illusione. Io lo trovo concettualmente straordinario perché vuol ,dire che il cinema ha un valore aggiunto rispetto al dal vero. Anche altri grandi comici come Cretinetti, Kri-Kri sono stati inseriti nella retrospettiva. In mezzo a questi personaggi, che magari non erano italiani ma lavoravano in Italia, ci sono delle idee che noi potremmo definire surreali anche se appunto il termine surreale arriva appena nel 1924 e viene applicato molto più tardi. Quindi c’è questo gioco di trasversalità. Poi ancora, il passaggio tra letteratura e cinema, da cui un massimo esponente come Lucio D’Ambra. Egli, in qualche modo, trasferisce dei canoni tipicamente intellettuali, se volgiamo, nel bene e nel male. Anche con un certo tipo di interazione rispetto alle esigenze di oggi, con qualche noiosità e pesantezza. In realtà, anche lì si tratta di un’operazione tutta di testa. Abbiamo visto addirittura un film in cui tutte le scenografie sono disegnate. Anche quest’elemento è un qualcosa di abbastanza progressista, rispetto all’epoca. Alcuni primati, partendo dalla cinematografia italiana, abbiamo provato a sottolinearli, ultimo, sempre come elemento di novità, anche quando dicono il cinema è muto, il cinema è muto, è stato un progetto del 1913 di un grande operatore, uno dei pionieri del cinema, Luca Comerio, il quale affronta addirittura la composizione cinematografica balletto, che era diventato famoso nel fine ottocento, il ballo Excelsior, e lo filma tutto dal vero, con la necessità di riproporlo affiancato da una grande orchestra, come se stessero ballando veramente. Pare un paradosso, in realtà si tratta di un rapporto tra spettacolo precedente e uno spettacolo che si potrebbe fare oggi. E soprattutto, si tratta di un rapporto che si instaura con la musica che prevedeva un evento importante, l’avere, appunto, un film di un’ora e mezza nel 1913 con una grande orchestra che si preoccupava della musica. Tante piccole realtà artistiche che, messe insieme (ben inteso erano tutte già conosciute) in questo modo, spero abbiano reso l’idea di che tipo di avanguardia si affronta in questa sezione. La sera della presentazione della sezione ho detto chiaramente che sono pronto al gioco del massacro e anche a quello fisico, se necessario. Mi piacerebbe che la mia proposta smuovesse delle linee troppo rigide d’indagine e che ci facesse riflettere un po’ sul cinema delle origini.

MPB: Il termine avanguardia è in ogni caso un termine rischioso da usare. Infatti, il cinematografo, come espressione e arte in sé, nasce e si sviluppa proprio all’inizio del Novecento, e quindi il termine potrebbe essere usato e confuso per indicare tutta la disciplina che muove i suoi primi passi ed è dunque pronta e adatta a ogni tipo di sperimentazione.

CM: Questo è verissimo, però anche in questo caso bisogna discernere l’olio dal miglio. Ovvero, io incomincio a fare cinema perché ho visto che un altro lo ha fatto in un certo modo e mi accontento. Posso semplicemente replicare una tecnica cinematografica, lo stesso modulo; e allora sono, per usare dei termini classici, un conservatore. Mentre, nel momento in cui ho un’idea nuova, in qualche modo divento progressista? No. Se ho un’idea nuova sono semplicemente un intuitivo. Perché oggi ho un’idea, domani ne ho un’altra…e muore là. Quando invece io prendo questa idea innovativa, ci ragiono sopra e la faccio diventare un elemento di linguaggio, allora, dopo questo progresso, io faccio un salto in avanti. Anche rispetto ai primissimi anni di cinema, io posso avere una situazione di stallo, nel momento in cui rientro in un certo canone espressivo, oppure trasgredisco e faccio quel passo in più. Non è vero, quindi, che nei primi dieci anni di cinema, ogni film che si girava era avanguardia. Diventa avanguardia nel momento in cui io ho la consapevolezza che quello che ho creato mi dà la possibilità di voler sfondare.

MPB: Come avete trattato in questi anni di festival le avanguardie cinematografiche?

Il manifesto dell'edizione 2001 delle Giornate del Cinema MutoCM: Gli anni scorsi abbiamo proposto l’avanguardia americana, l’avanguardia tedesca, nel 2001 non siamo riusciti ad inserire nulla, poiché avevamo moltissimo materiale del muto giapponese, però abbiamo proposto un film in particolare, Pagine di Follia Kurutta Ippeiji — Una pagina folle — di Teinosuke Kinugasa, che in qualche modo, era estremamente progressista e visionario. Quest’anno c’è l’Italia. Non credo che si possa andare oltre per quanto riguarda l’Italia, se, appunto, non si scoprono cose nuove. La Francia bisognerà affondarla sicuramente. Quello che è accaduto in Francia dagli anni Venti in poi è fondamentale. C’è da capire come affrontarlo. L’anno scorso abbiamo proposto un film molto sperimentale, il Napoleon di Abel Gance, lo stesso regista negli anni Venti ha girato un film, che si chiama La Roue (La Rosa tra le rotaie, 1923), che anch’esso, come il suddetto, dura quattro ore e mezza. Io avevo dieci ore a disposizione per le avanguardie italiane; se dovessimo affrontare il panorama francese con un film come quello, metà dello spazio a disposizione verrebbe impiegato per un film solo.

MPB: Da professore che è, qual è la differenza tra le diverse avanguardie e qual è la definizione esatta di avanguardia?

CM: In due parole. Io credo che l’avanguardia più consapevole è quella francese degli anni Venti. Da quello che noi possiamo verificare, con il poco materiale a disposizione, come Le ballet mecanique (di Fernand Léger e Dudley Murphy,1924),è che tutti gli avanguardisti europei e americani si conoscevano. Il Dadaismo, per esempio, nasce in Svizzera, quasi in territorio neutro, ma coinvolge un po’ di tedeschi, un po’ di francesi e altri ancora. Questo rappresenta poi la trasversalità di altre forme di creatività. Ovvero la pittura, la letteratura, la poesia… Si tratta di una pagina eccezionale del cinema, però, secondo me, nel momento in cui viene verificata, cade. Nella misura in cui, il cinema è l’arte più forte di tutte. Il cinema non si fa strumentalizzare, ma strumentalizza. Un artista dipinge e dice, “non mi serve più la superficie fissa del quadro, ho bisogno del tempo”, ci prova, la verifica, ma a quel punto è difficile andare oltre. È più probabile che quel piccolo sperimento non rimanga più esperimento ma che diventi un leggero, forse anche minimo, elemento grammaticale per il cinematografo. Il cinema, quando assorbe la novità artistica, la trasforma e la fa diventare tipicamente cinematografica. La gran parte degli artisti che hanno provato a fare ciò, hanno girato del cinema e poi sono tornati a scrivere o a pitturare.

Ernst LubitschMPB: Parliamo ora di un artista in particolare, molto discusso durante le Giornate, che ha partecipato solo con uno dei tre film, nella retrospettiva d’avanguardia, Lucio D’ambra. E inoltre sembra essere stato l’ispiratore per il cineasta tedesco nell’affrontare il suo famoso “tocco alla Lubitsch”.

CM: A Torino dicono “esagerumanò”. Vedendo il film di cui parli, Le mogli e le Arance (1917, di Luigi Seventi), abbiamo intuito che ci sono delle situazioni molto cinematografiche, come un certo tipo di ambientazione, un certo tipo di costume, e soprattutto le masse, il film corale, appunto. Le figlie dei villeggianti sono tutte protagoniste nel film di D’Ambra. Possiamo riscontrare delle caratteristiche che poi Lubitsch riprende, soprattutto all’inizio della sua carriera quando gira queste commedie straordinarie negli anni Venti. Che Lubitsch abbia visto D’Ambra e sia rimasto colpito dai suoi film, è tutto da dimostrare. In realtà, molto spesso, quando si parte da un determinato presupposto, ci sono spesso più persone che possono arrivare contemporaneamente a una stessa visione della cosa. Tanto più che D’Ambra faceva teatro. Lubitsch viene anch’egli dal teatro e quindi la risposta è ovvia. L’inquadratura, lo spazio, la movimentazione all’interno della scena, che viene riletta, all’interno del cinematografo, può essere per entrambi di derivazione teatrale. Ma, appunto, reinventata nello spazio cinematografico. Constatato, da quello che sappiamo, che D’Ambra c’è arrivato prima, questo non vuol dire che Lubitsch abbia fatto la fotocopia. D’Ambra, tuttavia è stato un mito del cinema in quegli anni. Questo suo mito, per noi, non corrisponde alla possesso dei suoi film. Possiamo solo leggere quello che ne scrivono io contemporanei. Alcuni anni fa ne è apparso uno, dei film, e quest’anno tre. Quindi fin ora noi conosciamo solo quattro film di Lucio D’Ambra. Due diretti da lui, e gli altri dove si è incaricato della supervisione. La differenza tra quelli che ha girato lui e quelli che ha co-diretto sono notevoli. Quelli supervisionati hanno un montaggio più veloce, anche se hanno la stessa poetica e lo stesso modo di proporre le cose, lo steso modo di trasfigurarle. Stilisticamente parlando, nei suoi film c’è più calma, più lentezza, più iterazione.

Lars von TrierMPB: Un’ ultima domanda, tornando sulle avanguardie. Nonostante questi cent’anni di cinema, ancora oggi ci sono sperimentazioni, manifesti e presunte avanguardie. Penso al movimento Dogma ma non solo. Quanto ci si sofferma ancora sulle avanguardie storiche, e quanto hanno influito?

CM: Io con Von Trier ho un conto aperto, lui non lo sa, ma io ho un conto aperto. Il mondo del cinema ci ha messo circa ottant’anni per inventare un’apparecchiatura che si chiama steady cam la quale permette ad un operatore di muoversi liberamente sul set senza “sguarattamenti”.

MPB: Blasetti ci aveva provato un po’ prima di Kubrick, inventando delle apparecchiature stranissime…

CM: Ma la steady viene molto dopo, negli anni Settanta. Quello che prima si chiamava lo spallaccio, appunto. L’operatore si metteva una giubba, alla quale si attaccava la macchina da presa, ma ciò nonostante, camminando, l’immagine si muoveva, un po’ di vibrazione c’era. Mentre ciò, con la steady, che è fatta con delle molle e delle compensazioni, il movimento sparisce. Ciò si vede negli sceneggiati televisivi, che spesso optano per un’inquadratura lunga girata in steady. Con una ripresa, oggi, è fatto tutto.

MPB: Quella più famosa riguarda Kubrick, in Shining.

CM: Certo, certo. L’inseguimento del bimbo sulla macchinina… Von Trier, negando tutto ciò, fa una grossa paraculata. Afferma che non si deve battere i secondo ciak, tutto deve avere l’immediatezza, etc. etc.

MPB: Quindi, secondo te, regredisce.

Il nagra, primo registatore portatileCM: Secondo me sì. E si tratta di una provocazione anche promozionale. Poi noi cerchiamo sempre il “che cos’ha da dire? Il problema è sempre quello tra forma e contenuto. La forma la si studia molto poco, ci si accontenta, molto spesso, di approfondire dei contenuti. Io ai miei allievi dico sempre una cosa che potrebbe risultare abbastanza banale, ovvero che a fare i bambini alla fine ci si diverte. Quindi in realtà non c’è nulla mai niente di nuovo, sotto il sole. Quello che è importante è che uso si fa del materiale conosciuto. Se da un lato, molto è stato fatto, dall’altro molto resta ancora da fare. Il problema non è tanto inventare delle nuove sperimentazioni, o lanciare dei nuovi manifesti, quanto il cercare di trasgredire. Ovvero prendere atto di un dato di fatto e cercare di azzerarlo per ripartire verso una forma che non spetta a me dire qual è o deve essere. Come appunto diceva Rondolino, ovvero che ogni film nei primi anni potrebbe essere avanguardista, in realtà anche oggi potremmo dire la stessa cosa. Molte delle innovazioni linguistiche sono nate quando la tecnologia ha permesso di proporle. Parlo di attrezzatura più leggera, meno luce, con il “nagra”, il primo registratore portatile per registrare il suono, si è eliminato il camion. Questi sono gl’anni in cui nasce il free cinema e la nouvelle vague. Oggi ci sono delle emulsiono di 400 o 600 aza che permettono a qualsiasi telecamera di girare un film, una volta c’era bisogno di una montagna di luce. Spesso la tecnica viene sottovalutata per quanto riguarda il progresso e ci si sofferma troppo sul contenuto. Spesso la tecnologia permette di fare questo salto di qualità. Ci sono delle problematiche che vanno affrontate per sentirci sempre dentro ad un concetto di avanguardia.

MPB: Quindi si può essere avanguardisti senza avere un manifesto a cui riferirsi?

CM: Assolutamente sì.

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