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Palcoscenico

Patrizia Zappa Mulas

Duo di Feydau

Duo di Feydeau: Patrizia Zappa Mulas e Luciano VirgilioRiccardo Visintin (RV): Siamo reduci da questo spumeggiante spettacolo di Feydeau, e siamo con Patrizia Zappa Mulas, protagonista di questo spettacolo, la quale si è rivelata, per chi non la conoscesse, un personaggio teatrale di una simpatia e di un divertimento unici, perché Patrizia Zappa Mulas interpreta un paio di personaggi irresistibili: il primo senz’altro meno irresistibile per Luciano Virgilio, il secondo ce lo spiega assolutamente lei. Quindi la prima domanda è abbastanza scontata, Patrizia: da dove è uscita tanta verve comica, seducente, appunto spumeggiante… veramente un Feydeau da fiore all’occhiello.

PZM: Da dove è uscita non lo so, di certo è uscita con grande naturalezza.
Il primo personaggio è una donna frustrata e feroce, e Feydeau disegna il ritratto di una coppia che si odia e si distrugge, qualcosa che ci riguarda molto, ma in termini quasi drammatici, e poi di conseguenza comici.
La prima mi è costata, perché…. Non lo so, mi è costata, mi ha fatto anche un po’ soffrire, invece la seconda, che temevo di più perché c’è la prova della nudità, ed è un personaggio che veramente non avevo mai prima d’ora interpretato, cioè una donna completamente sciocca, diciamo, ma nella sua ingenuità e sciocchezza è sveglissima, è simpaticissima, io la adoro.
È venuta subito, affiora da profondità infantili, con poche mediazioni; è molto ben scritto il secondo atto unico, perché bisogna dire anche questo. L’autore è un supremo misogino, e scrive questi due atti unici nel momento in cui si separa dalla moglie, che era un po’ come la prima (delle due donne nello spettacolo, ndr).
Cioè una da cui lui dipendeva molto, c’era un rapporto di nevrosi, tra di loro, di lite, ma di sopraffazione continua.
La separazione viene vissuta malissimo da Feydeau, che si rifugia in questo hotel, “Terminus”, ed ha anche una crisi artistica che gli impedisce di continuare a scrivere commedie, cioè architetture complesse basate sui tre atti.
Lui ad un certo punto non riesce a concluderne un paio, cioè non riesce a chiudere il meccanismo delirante che lo aveva portato al successo.
In questo periodo finale, di crisi e di amarezza, scrive degli atti unici, quindi è un Feydeau molto maturo e molto meno interessato al meccanismo dell’equivoco, e più invece ai rapporti, in questo caso i rapporti di coppia.

Georges FeydeauQuello che hanno in comune gli atti unici — ecco perché si chiamano Duo — perché sono due ma soprattutto perché sono “due sul due”, cioè sulla coppia: hanno in comune il fatto di mettere al centro dell’attenzione un inferno amoroso, un inferno coniugale.
Ora credo che sia curioso per il pubblico vedere nella stessa serata un attore o più attori che interpretano ruoli capovolti, e questo è un primo motivo di divertimento.
Poi sicuramente Clarisse, la mia amata Clarisse, be’, Clarisse è un archetipo femminile, io quando ho letto il testo ho subito pensato a Marylin Monroe.
Cioè Marylin Monroe quella grande, di “A qualcuno piace caldo”, ma soprattutto “Quando la moglie è in vacanza”, quella specie di creatura desiderabilissima ma soprattutto pura, dotata di grazia, di infantilismo e di infanzia… non infantilismo, è sbagliato… di energia infantile.
Perché la grandezza di Marylin Monroe non è che era bella… era bella, era bellissima, ma… quante donne bellissime ci sono state nel cinema, eppure lei è unica, perché la sua bellezza era completamente calata in una creatura innocente, dotata di grande grazia e quindi senza volgarità, nuda, sexy, ma senza volgarità.
Ho pensato che quella fosse la strada, un po’ perché l’ha scritta così, obiettivamente, naturalmente Feydeau fa di tutto per far passare le sue donne per delle deficienti, le battute che denotano la loro ignoranza, la loro insipienza intellettuale, ci sono e sono divertenti.
Però, nel caso di Clarisse non è stato difficile capovolgere il disegno, cioè non giudicarla male, ma giudicarla benissimo, in fondo lei compie una battaglia che per noi è abbastanza ovvia, una battaglia contro questo marito obiettivamente ossessionato, lei è obiettivamente provocante e lui è obbiettivamente un po’ ossessionato.
Ma lei dice: “Ma insomma, cosa sarà mai, il nudo, ma che importanza ha…”
Naturalmente gli rovina la carriera politica, e si può immaginare una situazione del genere, ma lei lo fa con una tale gioia di esistere che a questo punto la si può solo amare.

Duo di Feydeau: Patrizia Zappa Mulas e Luciano Virgilio

RV: Guarda, sei riuscita a cogliere proprio quello che avevo in mente io, poi, visto che abbiamo fatto un aggancio al cinema: avevo — ed è vero, mi ha molto divertito — uno spettatore piuttosto attempato alle mie spalle che poi mi ha detto: “Meglio di Sandra Milo in “Otto e mezzo” di Fellini, che mi sembra sia un complimento, è una svampita da manuale, insomma, no? … Nel senso buono del termine.
Allora, intanto grazie perché ci hai spiegato quello che ci interessava in qualche modo conoscere.
Faccio una domanda un po’ provocatoria non per te, ma per i tuoi colleghi maschi: nel corso di queste interviste che facciamo per “Fucine Mute”, e ne abbiamo fatte ormai tante, siamo, sono giunto ad una conclusione: le cose più interessanti che si vedono sul palcoscenico italiano, oramai da un bel po’ di anni, vengono fuori da voi donne. Gli uomini sono un po’ più in retroguardia, con tutto il rispetto.
Te ne sei accorta anche tu, Patrizia, che il teatro lo vivi ogni sera sul palcoscenico e quindi sei una protagonista, è vero che c’è un’alchimia femminile diversa, che in questi ultimi anni — senza fare nomi — il teatro sta portando dei nuovi talenti, ne sta verificando degli altri… è vero, siete più “animali da palcoscenico”, c’è qualcosa di più deduttivo nel modo in cui una donna si atteggia nei confronti del teatro?

PZM: Diciamo che il mestiere del teatro è un mestiere arcaico, nel senso che non è un mestiere moderno, è un mestiere che non ha nulla a che fare né con la modernità né con l’industrializzazione né con tutto quello che riguarda il nostro tempo.

Fare l’attrice di teatro tra l’altro è un mestiere storicamente femminile, che non esige la rinuncia alla femminilità, mentre la conquista di molte altre carriere da parte delle donne ha comportato obiettivamente dei prezzi.
Chiaro che questo non vale, e quindi fare teatro, e quindi essere una donna in scena, comporta meno danni.
Comportando meno danni tiene integra diciamo la salute mentale, e quindi anche il talento.
Il talento non è una cosa che uno ha o non ha, il talento si può anche distruggere, si può anche deteriorare se le condizioni esterne sono negative.
A questo aggiungi che — obiettivamente insomma — in questo secolo e questo periodo finalmente si aprono degli spazi. Mi spiego: se io avessi interpretato due atti unici cinquanta anni fa, sessanta anni fa, in una Compagnia capocomicale, sarei stata spinta a sviluppare di questi due personaggi gli aspetti negativi.
Io adesso non sto pensando al modello televisivo “Casa Mondaini”, che poi il modello è quello no? Quello dove la coppia litiga, lei è la scema, ma non perché Sandra Mondaini non sia simpatica, però obiettivamente è più simpatico lui, lei è rompipalle, no?
E non c’è dubbio che in questi atti unici questa è l’impronta, però il fatto è che oggi lavoriamo in condizioni produttive più artistiche, dove il talento può esprimersi di più ed è meno schiacciato dalle premesse ideologiche e culturali, che una volta obiettivamente riducevano le donne a ruoli secondari, di servizio, ed anche umilianti.
Questo mi ha permesso per esempio di cercare in entrambi i casi non solo le ragioni di queste donne, ma anche i loro diritti, la loro qualità, diciamo, la loro qualità più che i diritti; non è stato difficile trovarla, perché Feydeau, essendo un grande scrittore, supera anche se stesso, è come Strindberg: anche lo svedese è un misogino, io ho fatto “Il pellicano” ed è una cosa…
Però sono talmente grandi che dietro l’aspetto ideologico uno riesce a trovare comunque il personaggio, e quindi a dare valore.
Ricordiamoci che quando un autore è grande non esistono veri e propri giudizi… il giudizio… Giudicare un personaggio negativamente è tipico di chi ha poco talento, nella scrittura e nella interpretazione.

Duo di Feydeau: Patrizia Zappa Mulas e Luciano VirgilioIl personaggio non va mai giudicato, va messo in scena, poi sarà il pubblico a giudicarlo o a non giudicarlo.
Il fatto del talento femminile credo dipenda da un problema di energia, di vitalità… Sì, oggi la vitalità femminile è più significativa, mentre per gli uomini c’è un momento di crisi.
Sto dicendo una banalità, una cosa che diciamo da anni.
Nel teatro certo che funziona, perché quando le cose accadono per la prima volta dopo secoli sono sorprendenti.
Oggi le donne affrontano in teatro e anche nel cinema personaggi complessi.
Ha cominciato Cechov a scrivere personaggi femminili complessi, ma siamo a un secolo fa.
Shakespeare scriveva personaggi femminili complessi, ne ha scritti pochi, ma ne ha scritti, ma erano interpretati da uomini e quindi il gioco femminile in scena non si poteva godere.
Molière, per carità, Goldoni, i grandi hanno scritto, però io ho interpretato tante volte questi autori, e c’è sempre quella sensazione che ci sia un cliché: la figlia, la moglie, la fidanzata, la buona e la cattiva, mentre poi nei personaggi maschili trovi ambiguità, complessità.
Io non mi sono mai divertita tanto in vita mia come a recitare il personaggio di Franz ne “I Masnadieri” di Schiller, in una versione capovolta fatta da Nanni Garella per parlare del terrorismo in Italia.
Io facevo Franz: non esiste personaggio femminile, di figlia, di fidanzata, di moglie, che possa equivalere alla complessità, alla bellezza ed al gusto teatrale che dà un personaggio maschile.
Quindi, il fatto di liberarsi dai cliché e dagli stereotipi, non solo libera il talento, ma lo potenzia, è una valanga; più si libera il talento, più si potenzia, più vengono le idee, insomma… è chiaro che noi siamo in una corrente virtuosa, noi donne oggi siamo in una situazione virtuosa dal punto di vista dei risultati. Soprattutto artistici, perché poi invece nelle altre professioni io vedo molte amiche in seria difficoltà con i ritmi competitivi del mercato: libere professioniste distrutte, avvocatesse, giudici, dottori… Insomma, tutte che sì, hanno conquistato molto, ma all’immenso prezzo della loro felicità.
Per noi artisti non è così. Tra l’altro, in questi anni, da quando sono stata l’ultima volta a Trieste a fare per il Rossetti “L’avventura di Maria”, è successa una cosa molto importante nella mia vita: ho cominciato a scrivere, ho pubblicato due romanzi ed un testo teatrale, quest’ultimo messo in scena l’anno scorso dal Teatro Stabile dell’Umbria.
Una conferenza immaginaria di Colette… è stato per me un passaggio decisivo in termini di felicità, ed anche di liberazione di forze… forse anche per questo sono riuscita a fare Clarisse, che è un personaggio veramente lontanissimo da me.
Il piacere di essere completamente sciocca, e completamente priva di pensiero e di responsabilità, è stato enorme e probabilmente reso possibile dal fatto che la mia vita di artista nel frattempo è diventata più complessa, e quindi mi sento più forte.

Georges Feydeau

RV: Sta diventando quasi teatro nel teatro, perché ricordiamo che poi Patrizia tra poco ci caccerà via perché deve fare lo spettacolo, e siamo proprio a ridosso.
Ti ringraziamo, consigliamo veramente, so che non si dovrebbe fare… essere così partigiani… consigliamo veramente di venire a vedere questo spettacolo che è molto divertente, molto arguto e molto intelligente, e qui mi aggancio per fare l’ultima domanda a Patrizia Zappa Mulas, e le chiedo questo: a vederti, come dicevamo all’inizio, così disinvolta, così proprio a tuo agio, viene da pensare: “Questa attrice, questa bravissima attrice è una comica, una commediante nata!”. Invece, quando poi andiamo a fare un salto nel passato, nella carriera di Patrizia Zappa Mulas scopriamo un background drammatico di quelli veramente intensi.
Per dire, ho scoperto che, a parte la provenienza dal mondo della danza, ci sono esperienze con Carlo Cecchi, con Garella già nominato, come assistente ed anche come attrice con Massimo Castri, e quindi ovvio, la domanda finale con cui ci congediamo da te è: il fascino, ma anche in qualche modo… l’onore e l’onere di passare comunque da una carriera fondamentalmente tragica, drammatica, chiamiamola come vogliamo, poi a questo ruolo.
In qualche modo hai sentito questo rito di passaggio, insomma?

PZM: Ho avvertito l’enorme responsabilità di affrontare un genere così significativo per il nostro paese, per la nostra cultura, al punto che esistono attori solo comici, appunto… è una specializzazione nobilissima, ed ho temuto di non farcela, perché era una scommessa naturalmente.
Mi sono anche divertita ad esaminare le differenze: interpretare Ermengarda e l’agonia di Ermengarda ne “L’Adelchi” … L’ho fatta in sette edizioni diverse e recitare quindi in endecasillabi, e l’agonia, tutta questa cosa…. È faticoso ma purificatorio.

Recitare il comico è faticoso, molto faticoso fisicamente, dà molta soddisfazione ed hai subito un riscontro immediato, sulla risata.
Il pubblico nel comico entra dentro lo spettacolo in termini ritmici, musicali, con la risata, però ti lascia un’amarezza. Mi spiego meglio: ho capito perché si dice che i comici sono persone tristi e disperate, perché mettere in scena la parte peggiore di noi, metterla al pubblico ludibrio, ridere di sé, svergognarsi, “spudorarsi”, in questo caso poi addirittura anche fisicamente, è una bella prova dal punto di vista professionale, però poi non ti lascia il cuore sgombro e pulito come quando si affronta un personaggio drammatico o tragico: non c’è catarsi, c’è una scarica di aggressività nella risata, del pubblico e dentro di noi: è una funzione molto utile, io credo che far ridere sia oggi un dovere quasi politico, per la situazione in cui viviamo.
Ed anche per questo, io credo, che il Teatro Stabile dell’Umbria, privo di una tradizione di teatro comico alle spalle, ha deciso quest’anno di farlo, perché dobbiamo lottare contro una depressione profonda, una malinconia, una tristezza ed un’ansia terribili, che dominano le nostre città e la nostra vita, e allora andare a teatro e ridere, e ricollegarsi in una risata collettiva fa proprio bene alla salute, e questa è la prima ragione.
E poi, per quanto riguarda la mia storia, credo che un attore debba saper fare tutto, credo che il teatro, il mestiere dell’attore sia uno solo, si tratta di capire il compito, il genere. Poi è chiaro che ci sono attori più bravi in un campo, o in un altro. Io so che sono molto contenta di aver fatto questa esperienza e quel piacere che sento di dare al pubblico, anche se mi costa, alla fine, come la sensazione di un’amarezza, che rimane dentro, perché appunto la misoginia, l’odio, il conflitto, non sono sentimenti illuminanti.
Però poi il teatro vince sempre, se le cose funzionano va bene, va sempre bene.

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