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Cinema

Hiroshi Komatsu

I Benshi: voce del cinema muto giapponese

Hiroshi Komatsu, professore di storia del Cinema all’Università di Waseda e vincitore del premio Jean Mitry alla ventunesima edizione delle Giornate del Cinema Muto.

Manifesto delle Giornate del Cinema Muto (edizione 2001) — Retrospettiva sul cinema muto giapponese organizzata da Hiroshi KomatsuMartina Palaskov Begov (MPB): Prima di parlare del premio, vorrei che lei spendesse un paio di parole sulla bellissima retrospettiva di film muti giapponesi che, se non sbaglio, lei ha organizzato l’anno scorso a Sacile. Infatti, sfortunatamente solo in 3% della produzione del muto giapponese ci è giunta. Quindi i ritrovamenti e le retrospettive su questo argomento sono sempre molto interessanti e curiose.

Hiroshi Komatsu (HK): È molto difficile far capire l’essenza del cinema muto giapponese agli spettatori di oggi. E non è stato facile poter dare un’immagine esaustiva del cinema muto di questo paese poiché, come ha sottolineato lei, possediamo meno del 3% della produzione di quegli anni. Volevo includere nella rassegna più materiale possibile. Prima della seconda guerra, gran parte dei film sono spariti. Quello che ci rimane sono film molto vari, tra loro. Molti B movies o film educativi per bambini. Ho cercato, negli archivi, il materiale che più ho ritenuto interessante.

MPB: Perché tutti questi film sono andati persi o distrutti dopo la Seconda Guerra Mondiale?

HK: Una delle ragioni è il terribile terremoto che Tokyo ha vissuto nel 1923 e molti archivi delle case di produzione sono andati distrutti, i film si sono incendiati. e poi, durante la guerra, i bombardamenti hanno fatto il resto. Molte, anzi la maggior parte delle copie in nitrato sono andate perse.

MPB: Parliamo adesso del cinema giapponese muto e delle sue fondamentali e originali caratteristiche. So che molti film in Giappone, ad un certo punto, venivano prodotti per scopi educativi e mostrati nelle scuole…

HK: Nei villaggi molto piccoli del Giappone, non c’era il cinema, e nemmeno le sale adatte per poter proiettare il film. Le case di produzione facevano stampare appositamente per le scuole e per i piccoli villaggi delle copie piccole (Komatsu probabilmente intende delle copie compatibili con le limitate dotazioni tecniche dei villaggi, ndr). Le case di produzione giravano dei film appositamente per le scuole o per scopi educativi.

Cinema muto giapponese:da sinistra, Matsunosuke no Chushingura (1910-1917) e Orochi (1925)

MPB: E il cinema, il cinematografo, inizialmente era considerato un’arte per bambini, una forma di intrattenimento infantile …

H.K: Nel 1910 i bambini andavano pazzi per il Cinema. Non si pensava al cinema come ad una forma d’arte. Esso veniva utilizzato per intrattenere i bambini delle famiglie agiate. Gli intellettuali, inizialmente, non erano interessati al cinema.

MPB: La pellicola rovinata veniva tagliata e rimodellata a forma di giocattolo per la gioia dei bimbi…

H.K: Io possiedo dei frammenti, dei pezzetti di questi giocattoli! Venivano venduti nei negozi di giocattoli

MPB: I saggi del Collegium Sacilense dell’anno scorso raccolgono moltissime note e curiosità sul primo cinema giapponese. Tra le altre cose, la pudicizia dei film sembra essere una costante. Dalle distribuzioni internazionali venivano regolarmente tagliate tutte le sequenze in cui i protagonisti si baciano.

HK: Infatti. All’epoca la cultura vietava di far vedere riferimenti troppo espliciti della vita personale. Le persone si imbarazzavano a vedere tali sequenze sullo schermo, tutti insieme, nella medesima sala.

MPB: Molte copie sopravvissute del cinema muto giapponese sono state conservate all’estero. Questo conferma una distribuzione internazionale?

Takadanobaba, 1928HK: I film non nascevano per essere distribuiti internazionalmente, ma alcuni sono stai divulgati. Negli Stati Uniti c’erano molti villaggi giapponesi, anche nei primi anni del secolo. Questo è il motivo per cui venivano distribuiti film all’estero. Solo i giapponesi vedevano quei film, non venivano visti dal pubblico statunitense. Questo è il motivo per cui abbiamo trovato delle copie all’estero. Questo è anche il motivo per cui le copie estere non avevano sottotitoli.

MPB: Lei ha fatto degli interessanti ritrovamenti ultimamente, proprio nelle cantine dell’università in cui insegna. Parliamone.

HK: Dopo essere tornato in Giappone da Sacile, l’anno scorso, volevo cercare e trovare di più. Ho cercato ovunque, in tutti i posti dove poetavo essere conservate le copie. Dopo questa lunga ricerca ho trovato circa otto o nove film muti giapponesi. In febbraio di quest’anno. Molti film sono del primo periodo del cinema (che per il Giappone va dal 1910 al 1919, N.d.R.) Alcune copie di film completi altre no, solo frammenti. Sono molto fiero di questi ritrovamenti perché si tratta di materiale mai visto.

MPB: E di che tipo di film si tratta. Ha avuto il tempo di riconoscerli?

HK: Ho identificato gran parte del materiale.

MPB: Ci anticipa qualche titoli (che probabilmente vedremo l’anno prossimo alle Giornate, ndr)?

HK: C’è un film che si chiama Not Blood Relations. Si tratta di un film molto famoso, tratto da un’opera molto conosciuta in Giappone. Si tratta di un film della nuova scuola giapponese (shimpa). Prima del mio ritrovamento non esistevano testimonianze di questo periodo, quindi sono molto felice.

Nel cerchi rosso, il benshi durante la rappresentazione di un film muto in GiapponeMPB: Parliamo di un’altra caratteristica interessantissima del cinema muto giapponese: il Benshi.
Questi attori, cantanti, narratori, erano, a volte, più importanti degli attori che recitavano sul grande schermo.
Il Benshi era il narratore dei film muti giapponesi, che si piazzava a lato della sala e interpretava le voci di tutti i personaggi e della voce narrante. Noi abbiamo avuto il privilegio di avere un benshi tra di noi alla scorsa edizione del festival. È stato davvero entusiasmante.

HK: Questo personaggio faceva parte della nostra tradizione. Abbiamo una tradizione culturale che si basa molto sulla narrazione; si pensi soprattutto al nostro teatro. Il benshi nasce da questa tradizione. Il benshi nel periodo del muto era una costante. Essi narravano le immagini mute. Erano dei personaggi molto conosciuti e famosi, e molte persone si recavano al cinema per ascoltarli e non per vedere il film. Nel primo periodo del cinema muto, tutta la cinematografia giapponese e il modo in cui veniva rappresentata aveva dei codici ben precisi. Non c’erano grandi movimenti di macchina, pochi primi piani. Questo accadeva proprio perché al benshi dava noia avere le immagini troppo mosse. Non apprezzavano questo modo diremo occidentale di fare cinema. Il benshi obbligava, in un certo senso, le case di produzione a non far uso di queste tecniche. Questo è il motivo per cui il nostro primo cinema è così statico. Se l’inquadratura del film cambiava troppo spesso o se il movimento di macchina era troppo repentino, questo impediva al benshi di seguire con regolarità e chiarezza la vicenda.

MPB: Quando ai benshi poi toccava narrare delle vicende di film esteri, con sottotitoli, a volte cambiavano la storia. È vera questa storia?

HK: Ad alcuni benshi piaceva cambiare la storia. La produzione non metteva mai i sottotitoli alle produzioni straniere, poiché il benshi voleva far vedere al suo pubblico che sapeva interpretare un film straniero e che era in grado di orientarsi con le didascalie di un film estero.

Manifesto delle Giornate del Cinema Muto (edizione 2001) — Retrospettiva sul cinema muto giapponese organizzata da Hiroshi KomatsuMPB: Domanda provocatoria finale. Se lo merita il Jean Mitry di quest’anno?

HK: Non saprei dire. Sono indubbiamente molto fiero di questo premio. Si tratta di un premio molto prestigioso. Tuttavia non saprei dirle se sono la persona adatta.

MPB: Personalmente credo che lei abbia fatto più del necessario per ricevere il premio…

HK: Vorrei aver trovato più materiale, sicuramente. Credo che questo sia un buon passo verso una costante ricerca del nostro patrimonio nazionale cinematografico.

MPB: Aspettiamo con ansia di vedere i film l’anno prossimo.

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