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Fumetto

La Lega degli Straordinari Gentlemen!

The LEAGUE of EXTRAORDINARY GENTLEMENSì, la comparsa del tanto sospirato volume italiano della League di Moore e O’Neill merita lo strillo con tanto di punto esclamativo. Ce l’avevano promessa, cartonata, già un anno e mezzo fa (anche se il canzonatorio editoriale su America’s Best Comics 4 faceva venir voglia di non comprarla per ripicca) e quando finalmente si seppe che nel settembre 2002 anche qui in Italia avremmo potuto gustare quello che è considerato uno dei maggiori gioielli dell’ABC l’attesa fra gli appassionati si è fatta spasmodica. E chi se ne frega se poi sarebbe stato censurato come promesso sul numero 4 di America’s Best Comics. Ormai si trattava di un fumetto di culto, di un’opera entrata nell’immaginario di tanti lettori prima ancora di essere letta. Oltre che di una vera rarità di difficile e costosissima reperibilità: in Francia il volume di USA Èditions costava ben 79 franchi agli inizi del 2001 (e conteneva solo i primi 3 numeri), mentre i comic book originali hanno raggiunto prezzi assurdi (8 sterline per il n° 2: sembra impossibile ma è successo anche questo). E finalmente, in ritardo di soli due mesi, ha fatto la sua comparsa nelle fumetterie il tanto sospirato volume. Purtroppo la storia è una di quelle che si prestano molto poco alla recensione o anche al semplice riassunto. Da una parte svelarne troppe pieghe della trama sarebbe un crimine per chi deve ancora leggerla, e dall’altra perdersi nella sterile enumerazione delle citazioni colte sarebbe svilente e poco costruttivo. Eppure la tentazione di assumere entrambi gli approcci è assai forte, visto che la genialità dei “giochi d’ombra” intessuti da Moore fa venir voglia di urlarli ai quattro venti ed in fatto di rimandi e omaggi (persino nelle scritte sui muri) il Barbuto di Northampton non ha eguali. Se non fosse chiaro da queste prime considerazioni, La Lega degli Straordinari Gentlemen è veramente un ottimo fumetto. Non sarà un capolavoro epocale a livello di Watchmen, ma d’altronde l’intento di Moore nello stendere la linea ABC era, né più né meno, quello di scrivere del buon fumetto popolare. E c’è riuscito alla perfezione.

The LEAGUE of EXTRAORDINARY GENTLEMEN- Ben DimagmaliwBen Dimagmaliw (questo l’inspiegabile titolo del primo volume della League) parte dalla costituzione stessa del bizzarro gruppo di superagenti, con una dispotica Whilelmina Murray che recluta ad uno ad uno i futuri componenti: il Capitano Nemo è già della partita, lo seguiranno un riluttante e tossicomane Allan Quatermain, l’instabile Dottor Jekyill ed il libertino Hawley Griffin, ovvero l’uomo invisibile. Oltre al caratteraccio, la Murray non sembra avere nulla di speciale anche se è quantomai strano che non voglia mai scoprirsi il collo, sul quale probabilmente ci sono ancora le tracce di ciò ha causato il suo chiacchierato divorzio un anno prima, nel 1897…
Fin qui nulla di segreto, questo soggetto di partenza è risaputo e la sorpresa non è rovinata a nessuno. Ciò che invece non è stato sufficientemente reso noto è che la storia non coinvolge solo questi cinque eroi letterari britannici, ma è un vero trasudare di citazioni ed ammiccamenti; in effetti il primo episodio può risultare un po’ ostico se ci si incaponisce a riprendere il filo di tutte le “guest appearence”. Il modo migliore per godersi la League (almeno alla prima lettura) è lasciarsi strabiliare dagli eventi senza cercare di ricostruire la fitta rete di rimandi temporali che li percorre, e soprattutto senza cercare di contestualizzarli all’interno delle opere di Stoker, Verne, Haggard, Stevenson e Wells. Tanto Alan Moore si è già premunito: se nei romanzi un eroe risulta essere morto, questi si affretta a spiegare che si trattò di una montatura, di un errore, di una menzogna calcolata a tavolino. Chissà se Alan Moore dirà la sua sul furbo agire di Conan Doyle, che ammazzò Sherlock Holmes nel 1891 per poi resuscitarlo a suon di sterline… (qualcosa ha già fatto intravedere, ma per ora non si sbilancia)

The League of Extraordinary Gentlemen #1, pag. 11Nemo e Quatermain rappresentano i due volti del decadente Impero britannico e coniugano all’esperienza un armamentario impressionante. Il primo va in giro con un micidiale spara-fiocine, il secondo con un fucile per elefanti! Jekyll ha la celebre caratteristica di perdere il suo self control, guadagnandoci in massa muscolare, quando qualcosa lo innervosisce. Quale sia la particolarità dell’uomo invisibile lo dice il nome stesso.
Ma nonostante queste premesse, la League non sono gli X-Men di fine Ottocento. Le matrici letterarie principali di queste storie sono infatti il “giallo” e lo spionaggio, sul cui sfondo incombe inesorabile l’Avventura tinta di fantastico. E con il secondo ciclo, attualmente in corso di pubblicazione in America, sarà la fantascienza a dettar legge. Speriamo che in futuro Moore si conceda qualche digressione superomistica, perché il recente Origins ha dimostrato quanto possa essere affascinante il concetto del supereroe calato in un’altra epoca. E poi nella League militano due veri e propri archetipi del genere: Hulk e la Susan Storm dei Fantastic Four non sono altro che i discendenti di Jekyll e Griffin. Ma certamente c’è di che rimanere più che soddisfatti anche così. La storia infatti (i cui dettagli sono top secret) è così piena di trovate e colpi di scena da lasciare senza fiato. Tra navi volanti, teorie del complotto, cinesi abietti (è Fu Manchu quello che intravede Quatermain?) ed invenzioni quantomeno originali, Moore deve essersi divertito un mondo ad imbastire le complesse trame in cui fa recitare dei personaggi a cui è chiaramente affezionato. La passione che ha messo nel progetto si vede anche dall’attento lavoro di retrodatazione che caratterizza ogni singolo comic book: oltre alle copertine rétro, le pagine della League sono caratterizzate da una grafica nostalgica, da un racconto apocrifo di Allan Quatermain, da inserti in tema e da pubblicità originali di fine Ottocento.

The LEAGUE of EXTRAORDINARY GENTLEMENMoore non è nuovo a simili esperimenti: con la complicità di Rick Veitch aveva già ideato una trovata simile con la miniserie 1963 (Image) ma a quanto pare alla DC Comics lo scherzo è stato preso troppo sul serio. Sul n° 5 della League è comparso infatti un trafiletto che pubblicizzava un nebulizzatore per lavande vaginali, ed il gran capo Paul Levitz ha pensato bene di ritirare ancor prima dell’uscita quel fascicolo, per sostituirlo con una versione epurata. Non si è ancora saputo, però, se la causa di tanto fervore sia stata dovuta all’oggetto in sé o alla parola “marvel” che compariva nell’inserzione (essendo la Marvel l’altro colosso dell’editoria fumettistica americana, Levitz avrà forse temuto ritorsioni legali o ritorno pubblicitario gratuito alla concorrenza). Va detto però che in origine questi piccoli trafiletti pubblicitari comparivano nelle pagine dedicate ad Allan and the sundered veil (l’avventura di Quatermain scritta da Moore) e nella versione italiana in volume non c’è nemmeno l’ombra di queste inserzioni. Chissà, forse anche per la raccolta americana sono state eliminate.
Per quanto riguarda il racconto in sei parti in cui viene resuscitato Allan Quatermain, Moore poteva anche risparmiarcelo. Non si tratta infatti di un romanzo breve apocrifo (il che poteva avere una sua coerenza) ma di un guazzabuglio metaletterario in cui confluiscono altri personaggi oltre a quelli presentati nel fumetto. Tralasciando la geniale intuizione della parentela tra il Carter di Burroughs e quello di Lovecraft, Allan and the sundered veil non aggiunge proprio nulla alla League ed anzi fa lievitare il prezzo del volume con le sue quasi superflue 24 pagine, pagine su cui probabilmente non tutti i lettori avranno la pazienza di soffermarsi.
Che Moore abbia realizzato con la League un progetto che gli stava molto a cuore lo si capisce non solo da questa profusione di mezzi ma anche dalla presenza di riferimenti antimassonici concretizzati principalmente nella descrizione del sordido ambiente dell’MI.5. Il servizio segreto britannico è stato fondato però solo nel 1909, undici anni dopo lo svolgimento della storia: una svista o una critica precisa a eventuali “forze” che agivano nell’ombra prima di venire ufficializzate?
Dal canto suo, Kevin O’Neill fa un lavoro più che dignitoso e anche la colorazione al computer è molto efficace.

The LEAGUE of EXTRAORDINARY GENTLEMEN

In conclusione, cosa si può dire della Lega degli Straordinari Gentlemen? È quasi superfluo consigliarne l’acquisto: tanto, gli appassionati di fumetti se lo saranno già procurato. Ed il film ispirato al fumetto che vedremo tra un po’ assicura senz’altro una buona longevità al volume anche molto dopo la sua uscita. Ma se qualcuno fosse ancora in dubbio o non conoscesse Alan Moore, si procuri Ben Dimagmaliw. E magari lo legga alternandolo al saggio che Villarubia ha recentemente dedicato a Moore (anche un colorista dell’Image si chiamava Josè Villarubia: che siano la stessa persona?).

Un rapido sguardo all’etichetta ABC.

In Italia il nuovo universo di Alan Moore è giunto alla fine del 2000, circa un anno e mezzo dopo l’uscita americana. La rivista antologica America’s Best Comics è un bimestrale “zoppicante” di cui sono usciti solamente 9 numeri in un arco di 25 mesi. Tutto sommato, considerando un’eventuale pausa estiva che però i bimestrali non dovrebbero osservare, la testata non costringe alla disperazione i suoi fan come invece era già successo con la ristampa di Swamp Thing. Un po’ di preoccupazione sulle sue sorti, comunque, rimane sempre. Accordi per la coedizione tedesca e i soliti problemi della Magic Press non permettono di passare ad una periodicità meno diluita. In ogni caso il “gap” tra l’edizione originale e quella nostrana non si dovrebbe sentire troppo se il bimestrale uscisse veramente ogni due mesi: infatti, benché i comic book americani siano ufficialmente mensili, hanno accumulato talmente tanto ritardo nelle uscite che i più longevi o regolari hanno appena sfiorato i 20 numeri.

L’”universo ABC” non è propriamente un universo come lo si intende oltreoceano: ogni testata ha un suo continuum spazio-temporale indipendente da quello delle altre e quindi cross over e team up sono teoricamente impossibili. ABC è dunque solo un’etichetta, o meglio una sotto-etichetta, visto che fa capo al gruppo Wildstorm di Jim Lee associatosi poi alla DC Comics. Pare che questo ritorno all’odiata DC abbia spinto Lee a concedere a Moore l’opzione di ritirare eventualmente le sue serie, ma al momento non ci sono stati problemi (tranne la prima “fuga” di Veitch, che di DC non vuol nemmeno sentir parlare, ma che poi è ritornato su Greyshirt). Eccezion fatta per miniserie e volumi speciali fuori collana, il corpus dell’ABC si compone di 6 titoli. League of Extraordinary Gentlemen fu il primo a vedere la luce nel marzo 1999, altri 4 ci sono stati già presentati su America’s Best Comics tra il n° 1 ed il 2. Nel dettaglio, sono:

Tom StrongTom Strong. Nato nel 1899 sull’isola di Attabar Teru ed allevato come esperimento razionalista dal padre, Tom Strong è l’invincibile uomo d’acciaio che difende Millennium City dalla minaccia dei pittoreschi supercriminali che periodicamente la infestano. Riproponendo lo stesso canovaccio di Supreme (in Italia lo abbiamo intravisto grazie alla Phoenix, speriamo che la Lexy mantenga l’impegno di riproporcelo organicamente), Moore cerca di attingere all’essenza stessa del supereroe, aggiornando beffardamente tutti i cliché del genere. A partire dai nemici: c’è l’entità apparentemente inarrestabile (un po’ come Galactus o l’Anti-Monitor), la fanatica nazista un po’ kitsch (sullo stampo del Teschio Rosso e del Barone Blitzkrieg), la minaccia di una civiltà antica (vedi Rama-Tut/Kang), il mutaforma ed il genio del crimine (e gli esempi di questi due stereotipi sono veramente troppi). Ma la parodia dei supereroi è solo uno degli elementi di Tom Strong, visto che le trame sono talmente intelligenti e ben costruite da essere piacevoli di per sé senza porsi problemi di primo o secondo grado di lettura, anche se il gioco metatestuale con Timmy Turbo è splendidamente riuscito e non invasivo (anzi, forse Moore è stato anche troppo parsimonioso nel dosare questa interazione). Il disegnatore titolare Chris Sprouse frena i suoi istinti caricaturali ma il disegno risulta complessivamente più povero di quello degli altri artisti ABC. Per fortuna, a dargli man forte su ogni episodio c’è un disegnatore ospite che illustra gli eventuali flashback o flashforward: questo espediente non è originalissimo ma mai come nel caso di Tom Strong viene usato così bene (e poi la parata di grandi firme è impressionante). Il rischio cui va incontro questa serie è di esaurirsi naturalmente: il meccanismo che la anima (prendere ad ogni episodio una situazione tipica dei comic book e ridicolizzarla) è destinato a chiudersi su se stesso quando gli stereotipi del genere saranno stati trattati tutti. Ma al momento Tom Strong dimostra di avere ancora molte frecce al suo arco.
Dopo una prima mini-saga articolata, la testata si è convertita momentaneamente ad antologia di storie brevi. Pur nell’inevitabile eterogeneità del risultato, la lettura è sempre divertente o perlomeno interessante.
In patria Tom Strong ha gemmato la sesta serie regolare ABC: Tom Strong’s Terrific Tales. Si tratta di raccolte di storie brevi affidate ai disegnatori Moore (Steve, non Stuart), Rivoche, Weiss e Adams (Arthur, non Neal).

PrometheaPromethea. Sophie Bangs si ritrova oggetto della sua stessa tesi di fine trimestre quando viene scelta per incarnare la prossima Promethea, cioè l’idea vivente (poco meno di una divinità) che presiede alla creatività. Il mondo alternativo descritto da Moore è pieno di elementi divertentissimi e i dialoghi sono quanto mai brillanti e arguti. Ma dopo una partenza alla grande, dal quarto episodio la serie comincia ad arenarsi. L’approccio di Moore è più descrittivo che narrativo e mentre le storie dell’eroina vertono sulla sua iniziazione, sul piano materiale succedono un sacco di cose che vengono risolte un po’ troppo in fretta. Non a caso Promethea è stata paragonata a Sandman. L’ambientazione e i personaggi di contorno sono ottimi (con la figura dello psicotico Painted Doll Moore recupera uno dei suoi primissimi progetti) ma è poco appagante assistere ad un semplice flusso di immagini e situazioni un po’ inconcludenti, rese oltretutto poco leggibili dalla terribile impaginazione di Williams III e Clay (sarebbero ottimi se si attenessero ad un’organizzazione più classica delle tavole). Promethea detiene il record di uscite per una testata ABC: ben 23 (e fece la sua comparsa solo nell’agosto del 1999).
(Promethea viene regolarmente inserita in America’s Best Comics solo dal numero 2)

Top Ten. In un mondo in cui tutti hanno superpoteri la polizia ha un bel daffare per mantenere l’ordine. Il Top Ten è un distretto di polizia dell’opulenta Neopolis ed è terribilmente spassoso vedere i tic e le nevrosi della gente comune applicati a fenomeni che volano, mandano raggi dagli occhi e sono in contatto con Satana. Senza parlare di mostri, alieni e animali parlanti. Questa serie è una divertentissima parodia dei supereroi ma in sottotesto è facile leggere anche un affettuoso omaggio ai telefilm polizieschi. La vicenda prende le mosse dal primo giorno di servizio della recluta Robyn Slinger, alias Toy Box, che si ritrova di pattuglia col potentissimo ma burbero Smax. Da subito l’attenzione si frantuma in varie sottotrame ed ognuno dei singolari super-poliziotti finisce sotto i riflettori di Moore. Top Ten è forse la serie più valida di tutto l’ABC, anche migliore della stessa League. E sembra che Gene Ha e Zander Cannon si siano divertiti un mondo a disegnarla visto il tripudio di dettagli che vi profondono.

Tomorrow’s StoriesTomorrow’s Stories. È una testata antologica che comprende più serie. La Magic Press ha dovuto fare un bel lavoro di bricolage per rispettare la foliazione di ogni numero scegliendo le storie brevi col numero giusto di pagine. In Italia finora abbiamo visto alternarsi i seguenti personaggi:

Greyshirt. Più che un omaggio è un calco semantico. Greyshirt è il giustiziere mascherato di Indigo City, comparso sulla scena dopo la presunta morte del suo alter ego, il ladro di gioielli Franky Lafayette. In pratica è il vecchio The Spirit di Will Eisner aggiornato al 1999 (tra l’altro, Moore fu tra gli autori che resuscitarono il personaggio in una miniserie celebrativa). Greyshirt vanta le storie più corpose ed articolate di Tomorrow’s Stories. C’è ovviamente anche lo spazio per la parodia ed il grottesco (elementi che permeavano anche il modello) ma l’arguta costruzione di molte trame prende il sopravvento su qualsiasi altra considerazione. Non solo Moore è sufficientemente umile da dedicarsi alle “short stories” di 8 pagine, ma è anche un maestro nel trattare questo genere spinoso, in cui molti altri colleghi non saprebbero cavare un ragno dal buco. Molto buono il lavoro di Rick Veitch, penalizzato però da una colorazione troppo forte e chiassosa.
In America Greyshirt si è visto dedicare una miniserie di 6 tutta per sé, Indigo Sunset. I testi sono opera del solo Veitch mentre ai disegni si sono alternati grandi nomi come Cho e Gibbons.
(su America’s Best Comics n° 1, 3, 4, 6, 7, 8)

Jack B. Quick. Il “boy inventor” del titolo è un pestifero ragazzino di campagna che si diletta di fisica quantistica e ingegneria genetica. Le prime storie strappano un sorriso, ma l’approfondimento che vi dedica Moore dà quasi l’impressione che si prenda sul serio. Con il terzo episodio la serie prende una direzione smaccatamente farsesca e diventa praticamente irresistibile. Peccato che al momento Jack B. Quick sia sospeso, anche i disegni di Kevin Nowlan erano ottimi. E vale quanto detto per Greyshirt: pochi altri sceneggiatori saprebbero ricavare delle trame tanto articolate e perfettamente “funzionanti” dallo spazio ristretto di una manciata di pagine.
(ABC 2, 3, 4, 5)

Sketchbook di "Tomorrow' Stories"

The Cobweb. La Cobweb del titolo sarebbe un’eroina un po’ rétro che combatte il male assieme alla fida sidekick Clarice. Ma le sue storie sono solamente un pretesto per ridicolizzare i generi ed i contesti in cui si trova di volta in volta ad agire. Anzi, le sue non sono nemmeno “storie” perché raramente c’è una pur vaga trama e, in definitiva, nelle sue “avventure” succede ben poco. Sotto il bisturi di Moore (coadiuvato da Melinda Gebbie) vengono sezionati il surrealismo, il feuilleton, il pulp, le tijuana bibles, persino il fumetto underground. Spesso lo stile è pesante e farraginoso, il che ovviamente è voluto. Ma così il piacere della lettura si ferma al semplice riconoscimento del genere preso di mira in ogni episodio e la lettura completa del testo è superflua. Basterebbe una pin up di Cobweb inserita nel contesto parodiato per farci ridere, e invece Moore si abbandona ad un’inarrestabile logorrea. Masturbatorio.
(ABC 1, 3, 5, 6, 7, 8, 9)

First American & U.S.Angel. prodotto dell’ingegneria genetica, First American tenterebbe di combattere il crimine assieme alla fida sidekick U. S. Angel, ma il più delle volte si deve limitare a difendersi dagli scandali in cui viene coinvolto! Alan Moore raggiunge il suo top di goliardia e sarcasmo nell’affrontare causticamente alcuni dei “tormentoni” della società e del costume americani (le gang scolastiche, le trasmissioni-verità, gli scandali sessuali, ecc.) ma riserva qualche strale anche ai comic book. Tom Strong prende in giro gli stereotipi dei supereroi e Splash Brannigan illustra impietosamente il sordido ambiente dei comic book anni ’50, mentre First American concentra principalmente le sue critiche alle strategie editoriali degli ultimi anni, che trasudano di variant cover, finte morti del protagonista, ecc. First American è il prodotto più comico dell’ABC e sicuramente tra i migliori in assoluto. Il continuo chiacchiericcio della varia umanità che popola queste storie è incredibilmente leggero e coinvolgente (altro che il blaterare più o meno mistico di Promethea) e alcune storpiature ironiche come Fatwa Arbuckle/Fatty Arbuckle e Gerda Dämmerung/Götterdämmerung valgono da sole la lettura. Jim Baikie è un disegnatore rigido e poco curato, ma francamente è difficile immaginare First American disegnato da altri.
(ABC 1, 4, 5, 7, 8, 9)

Immagine articolo Fucine Mute

Splash Brannigan. La serie più bizzarra di Tomorrow’s Stories: il protagonista è un inchiostro di china antropomorfo col cui aiuto un’aspirante disegnatrice riesce a rispettare le ferree scadenze di consegna degli ignobili fumetti che le fanno disegnare! Splash Brannigan è una critica all’industria fumettistica americana, piena di frecciatine ed ammiccamenti (lo stesso stile di Hilary Barta vuole ricalcare quello del geniaccio maledetto Wallace Wood). Simpatico, ma l’unico episodio che abbiamo visto è ancora troppo poco per giudicare.
(ABC 9)

Alan Moore è stato un vero ciclone nella scena del fumetto statunitense (e di conseguenza mondiale) quando quasi vent’anni fa rivoluzionò drasticamente, inserendo elementi adulti ed un lirismo inedito, l’asettico e stantio mondo dei comic book d’oltreoceano.
Nato nel 1954, ha sempre manifestato una grave insofferenza verso la natia Inghilterra, Paese che non ha però mai realmente abbandonato. Intorno ai 25 anni realizza delle strisce umoristiche (impegnate sul piano testuale e “sporche” su quello grafico: evidente l’influenza dell’underground americano) per la rivista musicale Sound. Soltanto qualche anno dopo ha modo di dedicarsi con maggiore impegno alla sceneggiatura fumettistica e compie la trafila abituale per gli autori britannici dell’epoca: scrive soggetti per le riviste Dr. Who, 2000 AD, Warrior.
Dal 1981 in poi realizza opere fondamentali per il fumetto mondiale, vere pietre miliari che hanno contribuito in maniera determinante a rivalutare il medium fumetto agli occhi della cultura ufficiale: oltre a Swamp Thing vanno ricordati almeno V for Vendetta (un’antiutopia all’inglese, dalla narrazione glaciale e disperata), Watchmen (il fumetto supereroistico revisionista per eccellenza), Brought to light: Shadowplay (denuncia delle nefandezze compiute dalla CIA nell’America latina), From Hell (meticolosa ricostruzione della vita e delle “opere” di Jack lo Squartatore), A small killing (una minimalista “tale of lost innocence” in cui è lecito cogliere elementi autobiografici).
Moore ha anche avuto modo di dire la sua su due personaggi-cardine dell’universo DC e dell’immaginario collettivo: Superman e Batman, rispettivamente nelle storie Whatever happen to the Man of tomorrow? e
The killing joke.
Dissapori con la DC Comics (vertenti principalmente sulla gestione dei diritti d’Autore per il merchandising) lo spingono ad avviare una propria casa editrice, la Mad Love, che fallisce però dopo pochissimo. Big Numbers, iniziato nel 1990 per i disegni di Bill Sienkiewicz, avrebbe potuto aggiungersi alla lista di capolavori di cui sopra, ma divergenze artistiche e soprattutto umane con il disegnatore non faranno proseguire la serie oltre il numero 2 (l’ipotesi di una continuazione ad opera di Al Columbia, che di Sienkiewicz fu assistente, è a tutt’oggi da considerare abortita).
A metà anni ’90 Alan Moore sembra quasi essere caduto nel dimenticatoio, e comunque è irrimediabilmente messo in ombra dai nuovi fumetti DC che senza il suo contributo non avrebbero mai visto la luce: Sandman, Hellblazer, ecc. Pur di non tornare a lavorare per l’odiata casa editrice di Superman, Moore compie una scelta quasi contraddittoria: scrive storie per la Image, nuova realtà editoriale che rompe il duopolio DC-Marvel puntando però su disegni spettacolari (va riconosciuto all’Image il drastico miglioramento della colorazione, cui tutte le altre case editrici furono costrette ad adeguarsi) mentre i testi sono poco più che temini da seconda elementare. Quando l’Image non era ancora frantumata nella miriade di studi che curano oggi i singoli pacchetti di testate, Todd McFarlane chiamò quattro sceneggiatori famosi a scrivere un episodio ciascuno del suo Spawn. Ma mentre Frank Miller, Dave Sim e Neil Gaiman tornarono alle loro normali attività, Moore rimase alla Image, realizzando dapprima il dissacrante 1963 (e la presenza di Rick Veitch come co-creatore la dice lunga sul grado si sarcasmo di queste storie!) ma ripiegando poi su Spawn, WildC.A.T.S (di queste due testate Moore curò un cross over) e soprattutto sul Supreme di Rob Liefeld.
Quando il geniale creatore di Watchmen sembrava aver perso (o, peggio, tradito) la sua vena artistica, ecco uscire sul finire dei suoi tormentati anni ’90 delle ottime serie facenti parte del progetto più generale America’s Best Comics: Tom Strong, Promethea, League of extraordinary Gentlemen, ecc., con cui l’astro di Alan Moore torna a brillare trionfalmente nel firmamento del fumetto.
Oltre che sceneggiatore di fumetti, lavoro che comunque costituisce la sua attività principale, Moore ha scritto anche romanzi ed una sceneggiatura cinematografica (Fashion Beast, purtroppo non ancora realizzata). Il film tratto da From Hell è stato uno dei blockbuster della passata stagione cinematografica.

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