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Palcoscenico

Maurizio Micheli

L’irresistibile fascino della pochade

Riccardo Visintin (RV): Abbiamo il piacere di incontrare una coppia spumeggiante: Maurizio Micheli e Benedica Boccoli, protagonisti dello spettacolo “Le pillole d’Ercole”, che, mettiamolo subito per inciso, a Trieste è piaciuto, nonostante il parere discorde di qualcuno a cui non ci associamo. Visto che siamo a metà del “guado”, un bilancio di entrambi di quest’esperienza triestina.

Maurizio Micheli (MM): è sempre un piacere venire a Trieste, perché c’è una “teatralità diffusa”, non so come dire, c’è un grande amore per il teatro in questa città. A parte il fatto che Trieste è bellissima ed è sempre una gioia — non lo dico per ruffianeria — venirci. Si sta molto bene e si respira questa aria “teatrale”. è una città che ha molti teatri, molto pubblico, affezionato, che ci va volentieri e che partecipa, e questo non capita più tanto in Italia. Noi giriamo l’Italia, e io lo faccio da tantissimi anni, e devo dire che Trieste l’ho trovata intatta in questo senso: un grande amore per il teatro.

Benedicta Boccoli (BB): Lo si capisce soprattutto quando si va in giro. Per esempio, siamo andati a fare la spesa al supermercato, io ero struccata e con gli occhiali, e la gente ti riconosce, sa che sei a Trieste, sa che stai facendo questo spettacolo, e sa anche il titolo dello spettacolo! Questa è una cosa che non capita più: a Roma o Milano per esempio non esiste. Anche in paesi piccolini dove uno fa il giro teatrale non si sa che uno è lì, nemmeno gli abbonati. Questa di Trieste è una cosa molto carina, una grande qualità, devo dirlo sinceramente.

RV: Da triestino purosangue vi ringrazio. Io ho visto lo spettacolo al debutto: mi è piaciuto molto e poi è impossibile non notare questo gioco di squadra incredibile. Allora vi faccio una domanda che forse qualcuno vi avrà già posto: come si fa a non perdere un po’ la bussola? C’è un ritmo così vorticoso, bisogna avere un grande affiatamento e una grande preparazione tecnica… battute, cambi, uscite di scena… Anche questo significa essere grandi attori di teatro, Perché può succedere a volte che si perda il meccanismo. Come fate voi?

MM: Qualche volta sbagliamo anche insomma, però ci sono le prove apposta, poi le repliche, e uno poi la cosa la matura e difficilmente sbaglia: può capitare la sera che ti scordi la battuta o entri prima o entri dopo, ma, insomma, una volta fatte tante prove, venti-venticinque giorni, non di più, e poi soprattutto tante repliche, il gioco è fatto.

BB: La storia la sai, e se dimentichi una cosa te la inventi. Oppure può capitare che sia talmente tutto veloce che nello scandire una parola tu prenda una papera, ma allora ridi sulla tua papera: il pubblico se ne accorge, fa un applauso, si sorride tutti insieme e si va avanti. Non si ha paura di questo.

MM: Non stiamo facendo cose “fondamentali”, capisci? Il teatro fortunatamente è ancora a misura d’uomo, nel senso che l’uomo lo governa, non è il computer, che se sbaglia manda in tilt qualsiasi cosa. Se una sera capita di sbagliare, si rimedia. Oppure si ride. Non è niente, è il bello diciamo del “rapporto umano”.

RV: Io sto facendo per Fucine Mute una specie di retrospettiva sulle donne a teatro, e ne abbiamo incontrate tante, quindi ovviamente questa domanda non è per l’amico Maurizio, bensì per Benedicta. Io ho avuto inoltre il piacere di vedere Benedicta dieci anni fa in una città di provincia che si chiama Schio, per “Spirito allegro”. Era una serata nebbiosa e lei è stata proprio una specie di faro, perché ero lì per altri motivi non piacevoli. Vengo al succo: è vero che c’è un ritorno sulle scene delle donne — senza nulla togliere ai colleghi maschietti — giovani come te, o meno giovani? Avete ultimamente preso un po’ il potere? La famosa polemica sulla scarsità di ruoli per le donne a teatro e al cinema… Tu che sei una giovane attrice che sta lavorando continuativamente da un po’ di anni, come la vedi? è una nostra idea?

BB: Io credo che ci siano dei testi che sono già stati scritti, no? Quindi il protagonista è sempre il maschio, è il primo attore, e c’è la donna che gli gira intorno. Io ho cercato per due anni un testo moderno, che ho comprato, si chiama “Boys and Girls”, e ci ho messo due anni a trovare una protagonista femminile. Adesso poi la vendita è difficile, perché devo trovare un protagonista “inferiore” maschile… è difficilissimo trovare chi scrive per le donne. Ci vuole un po’ di pazienza e si fa tutto. Si possono scrivere anche testi nuovi, mentre coi testi vecchi non è facile, è vero. Una può avere anche una parte minore, molto ben scritta però: allora il pubblico si ricorda; perché in teatro tu puoi esserci dall’inizio alla fine dello spettacolo, mentre io ad esempio in questo ci sono all’inizio, poi sparisco, poi ci sono di nuovo alla fine, però è un arco preciso e rimane impressa la cosa che faccio. Quindi non ha importanza quanto fai, ma cosa fai e come lo fai.

RV: Un’ultima domanda doverosa a Maurizio Micheli, che è un volto noto, insomma: stamattina stavo rileggendo un po’ di note biografiche e ci vorrebbe una puntata a parte… Vi lascio con le parole di un grande attore che ho incontrato, Paolo Poli, che diceva: “Oggi, specialmente oggi, abbiamo bisogno di ridere”. Sia gli attori sia gli spettatori. Allora a Maurizio Micheli che l’esperienza ce l’ha, da Umberto Simonetta fino a Terzoli e Vaime,  chiedo: lei lo sente il piacere di far ridere, è importante?

MM: Sì, è importante. Ed è sempre stato importante. Io credo che non ci siano mai state epoche felici, perché i problemi ci sono sempre. Ci sono sprazzi di serenità a volte, ma i problemi esistono sempre nel mondo e nel nostro piccolo. Quindi credo che far ridere per due ore il pubblico sia un’opera straordinaria, ma non sono straordinario io, è “far ridere” che è straordinario, perché fai un regalo. Il miglior complimento che mi si possa fare e che fortunatamente qualche volta… via, parecchie volte… mi hanno fatto, è ed è stato: “Ti ringrazio, perché tu, almeno tre o quattro volte nella vita, mi hai fatto ridere”. Ora, in venti o trenta anni di carriera teatrale e cinematografica… meno, insomma, e televisiva, parecchio, può sembrare poco, invece è un grande complimento, perché se io ti ho fatto ridere tre o quattro volte e tu te lo ricordi, vuol dire che ti ho fatto un regalo, che mi sei riconoscente. Ed è la cosa più bella che mi potevi dire. Questo e basta.

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