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Fumetto

I volti del nemico

L’esecuzione è in corso.

In questi giorni George Bush junior, figlio di presidente e dimostrazione vivente della falsità dell’assunto che vuole che genio e follia saltino una generazione, ha aiutato il mondo a imboccare “l’ultimo miglio della diplomazia”. Quando parlano di “ultimo miglio” gli statunitensi intendono riferirsi al corridoio che separa la cella del condannato a morte dal luogo in cui sarà eseguita la cieca vendetta di stato. In questo caso, sarebbe stato assai meglio se il califfo statunitense avesse parlato di ultimo miglio della democrazia, del buon senso, della sincerità, della dignità e dell’orgoglio.

È guerra.

“La guerra è uno spettacolo porno che tutta la famiglia può guardare insieme”. è questa probabilmente la definizione più calzante in cui mi sia imbattuto negli ultimi tempi (è di Augusteen Burroughs e l’ho trovata — ripresa da Salon.com — su Internazionale del 4 aprile 2003).

In una recente “bustina di Minerva” (“Mille e una notte a Baghdad” sull’Espresso del 20 marzo 2003), Umberto Eco lamenta la scarsa attenzione riservata dall’America di George Bush junior agli strumenti dell’antropologia culturale. Il semiologo evidenzia la differenza tra gli attuali USA e quelli tra Roosevelt e Truman, capaci di commissionare un accurato studio a Ruth Benedict (“Il crisantemo e la spada — Modelli di cultura giapponese”, Dedalo, Bari, 1968) per prepararsi alla lunga occupazione all’indomani della sconfitta del Giappone. Eco osserva che sarebbe stato sufficiente leggere “Le mille e una notte” per capire meglio anche il tergiversare di Saddam Hussein che “prima dice che non ha i missili, poi che li ha distrutti, poi che li distruggerà, poi che ne aveva solo due o tre, eccetera”: l’attenta dilazione dell’informazione nel tempo è assai simile alla strategia adottata da Sheerazade per salvare la vita. Tutte le sere racconta una storia al califfo Shahriyàr procrastinando la propria esecuzione con un cliffhanger.

Ma, evidentemente, nel migliore dei mondi possibili c’è poco spazio anche per gli strumenti del narrare e la testa di Sheerazade rotolerebbe nel cesto prima della conclusione della prima storia.

Percepisco un nucleo di verità profonda nelle affermazioni di Eco e — allora — cerco di avvicinarmi al “nemico” almeno recependone frammenti di cultura. Mi concentro un po’ e scopro che le mie conoscenze e, peggio, la mia libreria sono tristemente vuote e desolate.

Allora sposto la mia attenzione altrove.

Guardando i disegni di Tullio Pericoli, ho capito che un ritratto è in primo luogo una biografia: può dire tutta la vita di un uomo.

Allora mi concentro sui ritratti del nemico.

Quotidianamente, nella prima metà di marzo, Vauro Senesi ha pubblicato sul Manifesto una serie di vignette dal titolo “Figurine di guerra, serie Baghdad, i volti del nemico” e, inquietantemente presago delle parole di Bush figlio, dal sottotitolo “Dead People Walking”.

Vauro ritrae da Baghdad i volti del nemico e sono quelli di una bella impiegata ventottenne dal naso adunco e dal volto squadrato, di un venditore di tappeti quarantaquattrenne con sguardo da mercante, baffi sottili e verruca alla De Niro, di un venditore di sigarette sessantaduenne con kufia e barba mal rasata, di uno scolaro decenne con i dentoni e lo sguardo furbo che “chiede il bakshish al mercato dei ladri”.

E scrivendo a una delle vite che ha ritratto, quella della principessa dodicenne con la corona di plastica, Vauro si lascia andare al lamento del satiro: “No, non ho coraggio, mi resta solo la forza della vergogna” (Il Manifesto del 15 marzo 2003).

Sposto la mia attenzione altrove, ancora alla ricerca dei volti del nemico.

Vauro, che non è certo un virtuoso del segno, mi sembra rifarsi esplicitamente per questi disegni alle immagini catturate nella striscia di Gaza dal reporter Joe Sacco.

In “Hebron”, uno dei pezzi che compongono il libro Palestina (la più recente edizione italiana è Mondadori, 2002), Sacco visita la grotta di Machpela accompagnato da un vecchio, che per soli 10 shekel si offre quale guida troppo premurosa e rapida. è un buon prezzo, tenendo conto che Abramo per riscattarla dagli ittiti dovette sborsarne 400 shekel d’argento (si veda Genesi 23), e Sacco accetta.

C’è una pagina bellissima in cui, seguendo la lezione di Gianni De Luca, Joe Sacco affastella immagini e balloon per raccontare la velocità con cui il vecchio lo costringe ad attraversare il sito (“Cita la Bibbia e il Corano come se stesse facendo la cronaca di una corsa di cavalli”). A chiusura della vicenda, dopo un litigio tra la guida e un gruppo di coloni, c’è un quadro che copre 2/3 dell’ultima pagina e ci offre un primo piano del vecchio che ne mette in evidenza volto e mano sinistra. Il viso, per nulla amichevole, è irregolare e dai tratti sghembi, rugoso e olivastro. Il capo è coperto da un fazzoletto bianchissimo, gli occhi sono sottili e la mano, che vive di gesti contenuti (in Sacco nessuno gesticola, spesso si indica, talvolta ci si afferra), mette in evidenza unghie rovinate dai lavori manuali.

La bocca, che lascia intravedere l’assenza di un incisivo, è contratta in una smorfia amara almeno quanto le parole che il vecchio dice: “Tu sei una persona. Io sono una persona. Siamo tutti persone. Veniamo dalla polvere. I romani, i bizantini, i crociati, i turchi, gli inglesi. Tutti sono stati qui. E dove sono adesso? Scomparsi. Dov’è l’Unione Sovietica? Scomparsa. Scompariamo tutti. A Dio basta tanto così per cambiare le cose. Solo Dio è grande.”

Ritorno alle “Mille e una notte” e alla narrazione salvifica. Però, questa volta, passo attraverso le fittissime tessiture dei pennini di Sergio Toppi. Il volto su cui mi concentro è quello di Sharaz-De (che dà il titolo al volume; la mia edizione è Milano Libri, 1984, ma nelle librerie se ne trova una più recente e meglio stampata per Edizioni Di).Il viso della narratrice, il cui nome — come quello dell’Arzach di Moebius — viene tramandato e traslitterato a piacere nella babele delle narrazioni, appare per la prima volta nella quattordicesima tavola. è di tre quarti, ha la pelle chiarissima e il naso lievemente adunco. Il ricco copricapo che sovrasta la testa della giovane donna si trasforma nella composizione del disegno, con una naturalezza che riesce solo a Toppi, nella figura del vecchio padre costretto ad assecondare la follia suicida della figlia.

– Ascolta padre: ti chiedo di portarmi dal re anche se questo ti sarà di grande dolore.

– Queste sono parole di follia: andrai da lui che si prenderà la tua bellezza e poi ti ucciderà.

– Forse non sarà così, padre.Ti prego, acconsenti a ciò che ti chiedo.

Sharaz-de è consapevole del potere delle storie. Sa che le salveranno la vita. Ma erano altri tempi.

E ancora.

Il volto nemico di Marjane Satrapi, iraniana trapiantata in Francia, che pubblica la sua fondamentale autobiografia a fumetti (Persepolis, sono a oggi usciti tre volumi in italiano per Lizard) e il suo diario settimanale sulle pagine di Internazionale. è un volto nemico rappresentato spartanamente con un segno povero che molto si rifà a David B.

Satrapi si disegna spigolosa, scura di abiti e capelli, con un neo assai accentuato alla destra del naso. Spesso, ritraendosi per Internazionale, si presenta quale esponente dell’asse del male e si regala corna demoniache e sopraciglia a V.

E penso ancora al volto nemico del “Cammello che venne dal freddo”, incontrato in un vecchio Big Sleeping di Daniele Panebarco; a quello del ragazzo iraniano che, con la complicità di Blackjack, chirurgo senza licenza creato da Osamu Tezuka, ruba il volto a un ricco giapponese; a quello, voluto indolente da Goscinny e Tabary, di Dilat Larath, uomo di fatica di Iznogoud, gran visir di Baghdad la magnifica, che trama per divenire califfo al posto del califfo…

Mi fermo solo quando trovo in rete una raccolta di fotografie costruita dagli attivisti pacifisti statunitensi di Iraq Peace Team: Baghdad snapshots, una raccolta di ritratti alla popolazione irachena. Queste fotografie, trasformate in manifesti, sono state utilizzate per tappezzare New York il 13 febbraio scorso.

Non sono foto d’arte. Si tratta con ogni evidenza di immagini che non meriterebbero di finire in una galleria affollata da esperti e curiosi. Nessuno dovrebbe avvicinarsi loro, come se fossero testi, tentando di coglierne il senso. Il loro unico valore dovrebbe essere quello tipicamente attribuito ai documenti.

Inconsapevole, mi perdo osservando queste foto che sentono di sud e di gente che, come cantava Pierangelo Bertoli, “invecchia sull’uscio di una sola stanza”.

Vite che cerco di raccogliere in differita. E forse è già troppo tardi.

“Abbiamo trovato il nemico: il nemico siamo noi” (Pogo, Walt Kelly).

Immagine articolo Fucine Mute

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