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Cinema

Ferdinando Vicentini Orgnani

Parole bianche tra verità mai scritte

Immagine articolo Fucine MuteSerena Smeragliuolo (SS): Siamo con Ferdinando Vicentini Orgnani autore del film Ilaria Alpi: il più crudele dei giorni. Ferdinando, perché hai scelto di parlare di Ilaria Alpi?

Ferdinando Vicentini Orgnani (FVO): È stato il caso, mi hanno proposto il film probabilmente perché quattro anni fa ne ho fatto uno tratto da un romanzo di Biamonti sul traffico d’armi, che si intitolava Mare Largo, con Claudio Amendola, Isabella Ferrari e l’attore iugoslavo Rade Serbedzija che poi ha interpretato il ruolo da protagonista nel film di Ilaria Alpi. Quindi il film mi è stato proposto e ci ho pensato molto prima di accettare, perché appariva subito come una vicenda oscura, piena di bugie, di depistaggi e di strane intromissioni: la classica storia all’italiana dove tutto si complica strada facendo e non si arriva quasi mai a nulla, e di cui ci sono molti esempi nella nostra storia recente. Poi mi sono appassionato ai personaggi, non solo ai protagonisti ma a tutta una serie di altri personaggi secondari che credo nel film siano particolarmente efficaci. Con Marcello Fois, con il quale ho scritto la sceneggiatura, abbiamo deciso di provare, e lo dico perché all’epoca esistevano già cinque sceneggiature prima della nostra — una scritta da autori di grande livello come Andrea Pirlo e Ugo Purgatori — che però non sono mai diventate un film per un motivo o per l’altro. Quindi c’era il rischio di incominciare un lavoro di ricerca e d’approfondimento d’un materiale così complicato non riuscendo a fare il film, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

SS: Perché tra le tante sceneggiature la vostra è stata l’unica a divenire un film?

FVO: Forse perché c’è la giusta distanza temporale con il fatto, sono passati nove anni e c’è una prospettiva diversa. Comunque ci sono successe tutta una serie di cose: commissioni di inchiesta, un processo, per quanto abbastanza strumentale, fatto ad un personaggio assolutamente di secondo piano che non va certo a toccare o infastidire i veri responsabili, i mandanti, di questo caso. È stato un film in progress sia nella fase di scrittura che nel girato e poi nella fase di montaggio perché nella realtà dei fatti accadevano in modo parallelo delle cose che avevano un’incidenza sul nostro lavoro.

Immagine articolo Fucine Mute

SS: Lei ha detto che nel film non avete detto tutto, ma solo il legittimamente dicibile. Il suo fine è stato quello di evitare problemi di censura che non avrebbero consentito al pubblico la visione della pellicola?

FVO: Non sono d’accordo sul fatto che certe cose non vengano dette. Il film dice tutto quello che noi volevamo dire. Avevamo scelto un punto di vista preciso, con la volontà di non entrare nei meandri del processo, ma di raccontare i personaggi e quello che c’è dietro a questa vicenda, stimolando il pubblico a riempire i vuoti con una propria idea del caso senza arrivare a delle conclusioni, anche se si può leggere una intenzione e una direzione. Troverei pericoloso arrivare a delle conclusioni: io sono un regista e uno sceneggiatore, non sono un poliziotto. Io sostengo una tesi e lo faccio attraverso una serie di motivazioni documentate, non impongo nulla perché non ne ho il diritto. Sarebbe sbagliato e antidemocratico se io facessi i nomi dei responsabili, quando la questura di Roma, che si è occupata di questo processo, o la commissione parlamentare di inchiesta non dice nulla. Perché lo devo fare io, che non sono un professionista dell’investigazione, ma solo un regista? Quello che posso fare è mettere insieme questi frammenti e cercare di comunicarli al pubblico. Per quanto riguarda il discorso censure, noi abbiamo avuto pressioni e problemi come tutti quelli che hanno a che fare con storie di questo tipo; inevitabilmente chi è coinvolto e sente fatto il suo nome, si agita, ti telefona, ti querela e ti fa chiamare dal suo avvocato. Tutto questo è successo. Nel film c’è tutto quello che volevamo dire e non credo che abbiamo rinunciato a qualcosa. Il film sta in piedi e si difende anche da un punto di vista legale perché è stato costruito con molta attenzione; non dimentichiamoci che Francesco Rosi, un grande dei film di denuncia, non ha mai avuto una querela perché si è sempre attenuto ai fatti ed è quello che bisogna ed è eticamente giusto fare, affrontando questo tipo di temi.

SS: Dicevamo delle minacce e delle pressioni. Durante la lavorazione del film avete subito depistaggi, minacce più o meno dirette da parte di alcuni personaggi chiave della vicenda allarmati da quando si è saputo che si sarebbero utilizzati nomi reali. Quanto vi hanno influenzato?

FVO: Poco o quasi nulla perché ormai il film era girato. I segnali di agitazione sono emersi solo quando il film stava per uscire, probabilmente perché il film è stato girato quasi tutto fuori Roma tra il Marocco, Belgrado e anche qui a Trieste. Oltre alla distanza fisica, durante le riprese di un film tutto diventa totalizzante e non si riesce ad avere una prospettiva di ciò che avviene al di fuori. L’unica cosa che è successa durante le riprese è che gli interpreti somali, che inizialmente avevano accettato di recitare piccoli ruoli o fare le comparse, si sono defilati perché hanno ricevuto delle minacce intrecciate alle questioni del loro clan e della rivalità tra clan. Questa storia in Somalia è molto sentita e dopo le diffide a non fare il film, hanno rinunciato per la paura di ritorsioni ai parenti in Somalia; alla fine hanno aderito alcuni Somali che vivono in Italia da molto tempo.

Immagine articolo Fucine Mute

SS: E poi la location in Marocco e non a Mogadiscio…

FVO: Questo era un problema tecnico. Perché in un paese dove non c’è governo, perché la Somalia non ha ancora un governo ufficiale, non esiste la possibilità di avere delle garanzie, e in un paese in guerra non puoi portare Giovanna Mezzogiorno; ci si può andare a proprio rischio e pericolo con una telecamera, però non si può portare l’impianto e la struttura necessaria a fare un film. Il Marocco era un’ottima soluzione perché c’erano delle location molto simili a quelle di Mogadiscio e abbiamo trovato una città a due ore da Casablanca, famosa perché Orson Welles vi ha girato una scena di Otello, dove c’è una bellissima cisterna portoghese. È una città industriale di duecentomila abitanti un po’ sgangherata che ci ha permesso di ricostruire, con un certo successo, una Mogadiscio credibile, anche grazie a Davide Bassan, un bravissimo scenografo.

SS: La sceneggiatura è basata su un fatto realmente accaduto. Come ti poni da sceneggiatore quando devi fare la trasposizione cinematografica di un fatto reale? Cosa hai cercato di evitare e cosa invece, di sottolineare?

FVO: Innanzitutto scrivendo le sceneggiature cerco, anzi cerchiamo, perché non lavoro mai da solo, di costruire una storia che funzioni e che, con ritmo e suspense, coinvolga il pubblico per tutto il film. In questo caso non era facile perché si narrava una storia di cui si conosce già la fine, si sa che i protagonisti verranno uccisi. Abbiamo pensato ad una struttura circolare con un inizio nel quale l’omicidio si sente e non si vede, nell’arco della storia si innestano il passato e il futuro, e nell’ultima scena si vede come vengono uccisi ed è una sequenza molto efficace, non consolatoria, e molto dura, perché il film finisce con un colpo di pistola e non c’è altro da dire. Ciò che cerchiamo di fare dovendo trattare argomenti su persone o fatti reali è quello di modificare i fatti, nella forma e non nel significato, quando lo richiede il racconto cinematografico. Ad esempio sono stati fatti degli spostamenti o due personaggi sono diventati uno, piccole cose. Sono stati inventati dei personaggi che di fatto non sappiamo se Ilaria ha conosciuto perché non conosciamo tutta la vita di Ilaria. Le sue fonti non le conosciamo, non sappiamo chi le aveva dato queste informazioni e quindi abbiamo fatto delle ipotesi, poi siccome mancano delle videocassette e dei quaderni abbiamo ipotizzato che lei avesse scoperto qualche cosa — aveva annunciato al suo caporedattore un servizio sensazionale per l’edizione delle sette — e nel pomeriggio è stata uccisa.
Poi tutte le testimonianze, con nomi e cognomi, coincidono con quello che noi abbiamo costruito, ci sono tanti riscontri e poi c’è una logica; ci sono anche i testimoni, che il Sisde e il Sismi tengono ancora segreti, che non vogliono essere coinvolti perché temono ripercussioni. Non ha caso il film comincia con una citazione di Pasolini da Il romanzo delle stragi: “Io so i nomi dei responsabili, io so ma non ho le prove, non ho nemmeno indizi”: non si hanno le prove però lo scrittore, il giornalista o il regista, mette insieme questi frammenti e cerca di ricostruire tra di essi dei vasi comunicanti, cerca di metterli in relazione e di comunicare ad un pubblico o a chi è interessato a vedere questa storia o a leggere questo libro. A chi vuole entrare in questa vicenda offro una chiave di lettura onesta, perché non ho modificato la realtà nella sua essenza e ho costruito una storia, prima di tutto.

Immagine articolo Fucine Mute

SS: Restiamo su Pasolini, le sue parole descrivono bene il lavoro di Ilaria, nella sua immensa passione e determinazione: “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede … che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.” Sono parole che ha fatto sue nella motivazione del suo lavoro?

Immagine articolo Fucine MuteFVO: Be’ in questo caso sì, in questa parentesi della mia vita. Sono stati tre anni molto difficili, di totale adesione a questa vicenda e a questo film. Se avessi fatto una commedia avrei avuto un’adesione altrettanto totale ma diversa, forse più gioiosa e creativa. Questo lavoro è strano.
La mia missione nella vita non è quella di denunciare le cose ingiuste di questo mondo, mi è capitato di farlo, di incappare in questa storia e di rimanere coinvolto molto profondamente anche con i familiari, di diventare una specie di nipote per i genitori di Ilaria Alpi, che mi vogliono bene come io voglio bene a loro. Abbiamo vissuto tre anni insieme, passaggio per passaggio, pur con grande rispetto reciproco; loro ci hanno aiutato proprio non aiutandoci, dandoci fiducia. Questa storia è stata una parentesi molto importante, molto formativa sotto tanti punti di vista, sia tecnici che umani, però non è la mia missione di vita. Ogni regista si porta dietro un proprio segno, un atteggiamento nei confronti del mestiere, del linguaggio e delle storie che si raccontano. Quello che conta non sono tanto le tematiche, quanto piuttosto il modo in cui le si racconta: le storie si assomigliano.

SS: Dopo nove anni difficili, un percorso processuale travagliato e ormai fermo da tre anni, il suo film ha portato nuova luce sulla vicenda: una commissione parlamentare d’inchiesta cercherà di fare chiarezza sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Cosa si aspetta?

FVO: Io personalmente non mi aspetto molto, i genitori di Ilaria Alpi sicuramente si aspettano segnali di una inversione di tendenza, di un tentativo serio di fare qualche cosa, non fermandosi sulle questioni formali, ma con la volontà di andare fino in fondo e di colpire chi sta dietro a questa storia. Il problema è che ci sono stati e ancora ci sono pesanti interessi in questo tipo di affari e di rapporti con il Terzo Mondo: c’è stata una tendenza malsana di sfruttamento, di neo colonialismo, da parte dell’occidente, in parte con la scusa della cooperazione, che sicuramente ha fatto delle cose importanti, non è che bisogna demonizzare tutta la cooperazione, però all’interno di essa si sono inserite delle schegge considerevoli di sfruttamento di quei territori. Si offrono strade e armi, i francesi lo chiamano cadeau empoisonné,ossia regalo avvelenato, e in cambio si seppelliscono sotto le strade centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici radioattivi. In tutta la zona, per esempio la strada che arriva a Bosaso, si è registrato un aumento di leucemie e di malattie strane mai arrivate prima; e questi sono fatti, non invenzioni. Purtroppo c’è questo atteggiamento nei confronti dei paesi poveri che continua ad esistere ed il mondo è sempre più spietato.

Immagine articolo Fucine Mute

SS: Quindi un affare troppo grosso affinché i magistrati arrestino i responsabili, non gli esecutori ma i mandanti, dell’omicidio di Ilaria Alpi e MIran Hrovatin?

FVO: Io credo di si, sono passati dieci anni — ricordiamocelo: non è successo ieri — e non si sono fatte indagini, non è stato fatto praticamente nulla. La situazione a Mogadiscio era disastrosa, l’esercito stava partendo, lasciando un popolo e una città allo sbando. La polizia italiana o l’esercito avrebbero potuto intraprendere delle indagini al momento dell’omicidio, facendo anche cose molto semplici, come sequestrare la macchina o la pisola dell’autista di Ilaria Alpi, o fare degli esami balistici. Poi tutti i documenti, anche quei pochi, sono spariti; è molto difficile tornare indietro di così tanto tempo. Vedremo ciò che faranno. Ci sono delle persone serie in questa commissione parlamentare d’inchiesta, con degli intenti e delle intenzioni reali, poi vedremo se riusciranno ad arrivare a dei risultati, superando le enormi difficoltà.

SS: L’ultima domanda: hai dei progetti in corso?

FVO: Prima che mi proponessero questo film stavo scrivendo con Marcello Fois una sceneggiatura tratta da alcuni suoi racconti, due dei quali sono usciti recentemente in una raccolta che si chiama Piccole storie nere per Einaudi. È un film completamente diverso, un noir surreale, divertente e molto originale, ambientato a Roma e che si chiamerà Radio serva. Mi piacerebbe provare a fare un film di questo tipo, parimenti come è stata un’occasione girare un film di denuncia e di impegno civile che non avevo mai fatto prima. Credo che sia importante provare delle cose nuove e sperimentare generi diversi e nuovi collaboratori, riuscendo a trovare per ogni film le persone giuste per farlo, perché il cinema è una cosa collettiva. Per esempio nel film su Ilaria Alpi ho trovato un grande musicista jazz, Paolo Freso, che non aveva quasi mai realizzato colonne sonore, ma che è entrato perfettamente nel ruolo e portando il proprio contributo.
Altri progetti ci sono sempre, bisogna avere quattro o cinque ipotesi più o meno sviluppate perché non si sa quali di queste riusciranno ad andare in porto, perché è un lavoro molto aleatorio che non dipende solo dalla tua volontà ma da tutta una serie di circostanze, e che sta diventando sempre più difficile.

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