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Musica

Canaan

La vita inerme

“A Calling to Weakness” è l’uscita più recente dei Canaan. Insieme alla recensione pubblichiamo l’intervista con Mauro, chitarra, samples, tastiere, soprattutto voce, in tutti i sensi, del gruppo.

Fabrizio Garau (FG): “A Calling to Weakness” è il vostro quarto album: ora più che mai si può dire che Canaan rappresenti una parte significativa della vostra vita, e il passaggio dai venti ai trent’anni. C’è un legame tra questo disco e il tuo diventare adulto, forse anche il tuo invecchiare?

Mauro Berchi (MB): Ottima domanda, la cui risposta necessita di una breve analisi del significato che il gruppo ha per me. Non ho mai suonato per “divertimento”, né per desiderio di “mostrarmi” né tanto meno per motivi “materiali” di alcun genere. Suono perché ne sento il bisogno e perché questo mi aiuta a rimanere relativamente tranquillo. Utilizzo il gruppo come una valvola di sfogo per alcuni dei sentimenti che tendono ad avvelenarmi l’anima, e ritengo che questo sia un modo valido per incanalarli in un modo costruttivo. Non devo “entrare in una parte” per comporre, registrare, suonare, scrivere. La cosa avviene in un modo talmente naturale che non ho mai pensato al gruppo come ad una entità esterna e/o separata da me come persona. Il tema dell’invecchiamento, e del rapporto con tutto ciò che muta e si evolve è molto importante per quanto mi riguarda. Sono conscio degli effetti che il passare del tempo ha sulle nostre funzioni fisiche e mentali, e non posso fare a meno di notare come questo si ripercuota pesantemente sul mio modo di vedere le cose e di interagire con esse. I tempi di reazione si allungano, quelli di recupero (dal dolore fisico ma anche da quello psicologico) aumentano. E questo fa crescere un profondo senso di disagio che non può che peggiorare nel tempo. Mai provato il RIMPIANTO per la consapevolezza di quello che è passato e non può più essere cambiato ? Pessimo compagno di merende, credimi…

FG: Qual è il rapporto nei Canaan tra la tecnica — intendo la vostra capacità di creare canzoni d’autore e tracce ambient, di utilizzare campionamenti o di suonare gli strumenti con stili e richiami diversi — e l’istinto?

MB: Sebbene la cosa possa sembrare strana, direi che in Canaan il 90% è istinto, e solo il 10% aspetto “tecnico”. Siamo totalmente impulsivi in ciò che facciamo, e ogni volta che ci troviamo per registrare, buttiamo all’aria quello che avevamo preparato in precedenza (vale a dire il risultato delle normali “prove in saletta” che tutti i gruppi fanno) e ci affidiamo all’estro del momento. Questo modo di “improvvisazione” porta a risultati eccellenti, ed in effetti uno dei miei rimpianti maggiori è non avere mai abbastanza soldi per rimanere più a lungo in studio. Sai come si dice, l’appetito vien mangiando… Credo che la fretta sia una pessima consigliera, ma d’altro canto non penso avremo mai un budget “umano”, soprattutto considerando i costi proibitivi degli studi di registrazione, che soprattutto nella zona di Milano rasentano il ridicolo. Per cui cerchiamo di fare le cose il più rapidamente possibile, mantenendo però lo spazio necessario per provare cose “nuove” e per cercare di comporre in modo diverso dal normale.

FG: I campionamenti sono parte importante (e integrante) del vostro disco, ma non avete dimenticato la “forma canzone”, anzi… Secondo te cosa non va perduto del tradizionale modo di comporre?

MB: Più che comporre dei “brani” cerchiamo di ricreare delle atmosfere. In alcuni casi i tradizionali strumenti “rock” (chitarra, basso, batteria, tastiere) sono insufficienti e/o inutili e ci affidiamo a campionamenti, field recordings ed altro, ma si tratta solo del “mezzo” che si utilizza per raggiungere uno scopo prefissato. Anche nei brani campionati manteniamo in genere un modo di comporre “libero”, e sebbene il risultato finale sia distante dal concetto di “canzone” comunemente inteso, spesso questi brani hanno strutture forse più rigide delle canzoni vere e proprie. L’unica differenza sostanziale sta nel fatto che i brani tradizionali vengono composti, rielaborati e riarrangiati da tutti, mentre in quelli campionati siamo generalmente io e Nico a portare il brano a compimento. Solo in seguito, se necessario, vengono apportate delle modifiche.

FG: Mi è rimasto impresso quel “Chi vuol morire lentamente?” di Gianni Pedretti in “Essere nulla”. Le musiche di “A Calling to Weakness” possono essere considerate la descrizione di un lento morire? E la stessa “Essere nulla” può essere considerata la vostra “Crush my soul” (Death in June)?

MB: Ho sempre trovato difficile analizzare con lucidità il “significato filosofico” dei nostri brani. Ci penso costantemente ma le risposte variano nel tempo, a seconda del mio punto di vista del momento, e questo mi impedisce di farne una analisi precisa. La tua definizione può sicuramente andare bene, ma penso che molte altre potrebbero funzionare altrettanto bene. È solo una questione di prospettiva e di punti di vista… Per quanto riguarda i Death in June, mi dispiace, ma non li ho mai apprezzati (pur riconoscendo la loro importanza “storica”), per cui non saprei fare paragoni con il brano da te citato.

FG: A proposito di “Essere nulla”, quali difficoltà avete incontrato a fondere la vostra musica con l’italiano?

MB: Direi nessuna. Il testo in questione è stato scritto da Gianni (Colloquio), e si è subito adattato perfettamente alla musica che gli abbiamo “cucito addosso”. L’italiano è estremamente musicale, e sebbene spesso l’inglese abbia il vantaggio di una maggiore sinteticità, abbiamo sempre fatto uso anche della nostra lingua madre, e la cosa si ripeterà di sicuro anche nei nostri prossimi dischi.

FG: Soffermandoci un’ultima volta sull’album, mi interessa sapere cosa hai provato o pensato al momento della pubblicazione di un’opera come “A Calling to Weakness”, così rivolta al privato.

MB: Provo nei confronti della musica (e dei dischi) dei Canaan un rapporto ambivalente: a volte detesto ciò facciamo con tutte le mie forze, altre volte non riesco ad ascoltare nient’altro. È una strana sensazione, difficile da descrivere e a volte “scomoda”, quasi come se la musica che suono vivesse di vita propria. Questo rapporto così stretto e personale riduce di molto l’importanza del confronto con il “pubblico”. In linea di massima mi interessa veramente poco come la gente (gli ascoltatori) recepisca quello che facciamo. È ovvio che pubblicare un disco implica necessariamente un confronto di un qualche tipo con chi poi lo ascolta, duplica, compra. Ma è un aspetto secondario, che assume solo un valore di contorno. Lo scopo che ci prefiggiamo è cercare di “congelare” l’ispirazione del momento per noi stessi. Questa forte componente personale è anche la ragione per cui non suoniamo mai dal vivo: non riteniamo necessario portare di fronte ad un pubblico quello che facciamo, proprio perché lo facciamo in ultima analisi solo per noi stessi. So che può sembrare un discorso idiota e/o controproducente, ma è la verità. Per tornare alla tua domanda, direi che siamo soddisfatti di “A Calling to Weakness”. Con più tempo a disposizione alcuni dettagli avrebbero ovviamente potuto essere rifiniti in modo migliore, ma visto che è inutile piangere sul latte versato, direi che tutto sommato ne siamo contenti.

FG: Musicista e contesto storico-sociale. Personalmente i Canaan mi ricordano la disillusione e l’intimismo dei dark negli anni Ottanta, invece nelle recensioni torna spesso il termine “misantropia”, che mi lascia un po’ perplesso.
Considerato che non mi fido né di me stesso né dei critici, vorrei che fossi direttamente tu a descrivere come il tuo vivere nella società si riflette nei Canaan.

MB: Per come la vedo io, le persone si dividono in due categorie. Coloro che affrontano le cose in modo positivo e costruttivo, e quelli (io sono tra essi) che si sentono sempre fuori posto, fuori contesto, fuori luogo. Il concetto di misantropia implica contatto e odio per qualcuno, mentre nel mio caso parlerei più che altro di una sana asocialità. Ho sempre avuto problemi nel rapportarmi “correttamente” con gli altri, ho sempre avuto un sacco di fantasmi in testa, non sono mai riuscito a seguire le normali “regole di comportamento” e mi sono quasi sempre trovato molto meglio da “isolato” che non da animale sociale come tutti ti vorrebbero. Ho inoltre sempre creduto in un rapporto utilitaristico tra le persone, cosa che per chi mi sta attorno è quasi impossibile da capire, per cui nel corso degli anni le cose si sono naturalmente evolute nella direzione di un isolamento in costante crescita. La disillusione — per quello che mi succede, per quello che mi circonda, per ciò che provo nei confronti di me stesso — ha sempre avuto un ruolo fondamentale, che si sta rafforzando con il passare degli anni. Il fatto di vedere ogni cosa da una prospettiva “sbagliata” non aiuta di certo a vivere tranquilli, e se c’è una cosa che io proprio non sono è tranquillo…

FG: A proposito di rapporto con la società: per molti ragazzi ascoltare musica “dark” fa ed ha fatto parte del processo di costruzione della propria identità personale. Il rischio è adeguarsi ad uno stereotipo, però. Da quali luoghi comuni sulla tua area musicale rifuggi?

MB: Non saprei proprio dire. Non ho (e non ho mai avuto) alcun contatto con alcuna “area musicale” intesa come gruppo di persone legate da un qualche interesse. Ho sempre ascoltato musica senza sentire la necessità di contestualizzarla, e ho sempre avuto limitatissimi contatti “sociali”. Credo inoltre che per sua stessa natura la musica dark sia rivolta ad un pubblico molto limitato, e la scarsa popolarità di cui gode ne è un esempio piuttosto lampante. Altri generi (il metal, il gothic) hanno una presa assai maggiore sui ragazzi perché coniugano musica di facile assimilazione ad un look falsamente trasgressivo che è peraltro molto modaiolo. Ma in ultima analisi credo che qualsiasi cosa, una volta divenuta di dominio pubblico e rivolta alle masse perda immediatamente la sua componente di “trasgressione”. Non vedo grosse differenze tra i ragazzini con le magliette dei Cradle of Filth e quelli che si rimbambiscono in discoteca. La necessità di “socializzare” è la stessa per tutti, e la differenza sta solo in una questione di scelte estetiche, non certo di significato.

FG: Fucine Mute ha seguito il rapporto tra musica e arti visive, ad esempio con la pubblicazione di una tesi sui videoclip. Puoi descrivere il significato che l’artwork ricopre nei vostri lavori e nei lavori altrui che pubblichi con la tua etichetta?

MB: Credo fermamente che un buon disco debba contenere (ovviamente) buona musica associata ad immagini in grado di completarla e rafforzarla. Non riesco mai a pensare ad un disco come a qualcosa di “staccato” da un supporto (cosa che invece vedo avvenire sempre più frequentemente), non riesco ad apprezzare un cd masterizzato senza copertina, non concepisco il concetto della musica ascoltata con un cellulare. Eppure penso che in futuro le cose si muoveranno in questa direzione: tempi durissimi per le etichette… Per quanto mi riguarda continuerò a sostenere il mio punto di vista (disco = oggetto = grafica + musica), per quanto anacronistico possa diventare. E continuerò a provare un senso di “disagio” ogni qual volta mi capiterà per le mani un disco con buona musica e pessima grafica. Ma penso proprio di essere una sorta di dinosauro in via di estinzione…

FG: Ultima domanda, decisamente più “giocosa”. A proposito di invecchiamento e visto che alcune parti di chitarra di “A Calling to Weakness” mi hanno ricordato i Cure, volevo chiederti che ne pensi di “Bloodflowers”: a me sinceramente sembra che passare i quaranta abbia fatto bene a Robert Smith…

MB: Ho amato profondamente i Cure fino a “Disintegration” compreso, e li avevo dati per morti dopo i penosi “Wish” e “Wild mood swings”. Non volevo neppure provare ad ascoltare “Bloodflowers”, che invece è un ottimo disco, che ricorda molto da vicino il già citato “Disintegration”. Non so dire se la “maturazione” abbia fatto bene a Robert Smith, ma spero che anche i prossimi dischi (se ve ne saranno altri, viste le voci dei suoi pesanti problemi di salute…) siano a questa altezza. Ti ringrazio dello spazio concessomi e ti auguro buon proseguimento e buon lavoro con il magazine.

:: NOTHING :: NEVER :: NOWHERE ::

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