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Arte

L’Ange au visage grave (II)

Amedeo ModiglianiParigi rappresenta il naturale approdo di ogni artista che sogna di poter perseguire l’espressione della propria visione interiore. È la grande città: tollerante come sa esserlo una madre, luminosa e abbagliante come un lucciola, ingannevole come uno specchio deformato, alcolizzata come la sua genia di poeti, scrittori, pittori, scultori, musicisti.
Ma nel 1914 la guerra interrompe il battito vitale di quello che era stato il cuore pulsante del clima culturale europeo, e sottrae alla comunità artistica parigina numerosi esponenti dell’avanguardia e personaggi di spicco, tra i quali il mercante-mecenate Paul Alexandre: Modigliani, senza più protettore, riceve così l’ennesimo tracollo finanziario.
Il pittore si è nel frattempo trasferito a Montparnasse, il quartiere che ha sostituito Montmartre nel fondamentale ruolo di crocevia artistico, e lavora saltuariamente per il mercante Georges Chéron; il rapporto tra i due, destinato a durare poco, è però polemico e burrascoso, come si intuisce facilmente dallo stesso ritratto che Modì compie per l’uomo: Monsieur Chéron (1915) è dipinto con pennellate accese e violente, la bocca risulta una fessura d’anima poco propensa al confronto, gli occhi piccoli e infossati sembrano spietati spilli che si conficcano nella mente dell’osservatore e i colori rossi e brucianti dello sfondo contribuiscono a rendere, in generale, un’atmosfera poco serena.
In questo periodo Amedeo passa le giornate nei caffè, come la Rotonde o Chez Rosalie, ed è un artista che, dimentico del mondo e immerso in una vita disperata, mangia, quando mangia, perché ha barattato qualche suo disegno con un tozzo di pane e una bottiglia di vino.
Modigliani è un artista “puro”, poco incline a dare eccessiva importanza al denaro e minimamente disposto a svolgere attività alternative che, se da un lato gli darebbero la possibilità di sfamarsi e curarsi, dall’altro lo porterebbero a distrarsi dalla pittura o dalla scultura: è anche in questo atteggiamento supremamente stoico che si estrinseca il suo essere rivoluzionario, il suo porsi contro il sistema delle prassi artistiche e di mercato.
“Era riuscito – scrive Blaise Cendras – in una sola sera a schizzare una quarantina di ritratti che poi aveva regalato ai presenti, per simpatia o per un bicchiere d’assenzio. La maggior parte di questi foglietti portava la scritta “dessin à boire” e non erano firmati”.
Paul GuillaumeUna svolta importante per la carriera dell’artista avviene nel 1914 con l’incontro, mediato dal poeta Max Jacob, di Paul Guillaume: sarà proprio lui ad indirizzare Modigliani, che all’epoca della presentazione ha 23 anni, verso un difficile ritorno alla pittura e sarà sempre lui a mettergli a disposizione uno studio in cui dipingere in maniera professionale e continuativa.
Paul Guillaume, appassionato estimatore delle avanguardie parigine, esordisce nel panorama artistico francese nel 1914 aprendo una galleria in rue de Miromesnil, sulla riva destra della Senna, e fondando la rivista Les Arts à Paris; la sua carriera è fulminea: acquista alcuni quadri di Picasso e numerose statuette negre divenendo, in breve tempo, uno dei maggiori esperti dell’arte africana.
Il mercante d’arte si fa anche promotore di eventi letterari, organizzando manifestazioni di poesie e concerti, e nel 1917, grazie ai ricavati della sua mediazione professionale in qualità di esperto d’arte negra, riuscirà ad aprire al 108 di Faubourg St. Honoré una vera galleria.
Il rapporto con l’artista livornese è però caratterizzato da una certa freddezza e da una cortese collaborazione professionale: il mercante è unicamente attratto dal lavoro di Modì, e non dalla sua personalità, e ciò doveva infastidire notevolmente il pittore.
D’altro canto, a Guillaume va senz’altro ascritto il merito di aver costretto Amedeo a ritornare a dipingere, abbandonando la prediletta arte scultorea che però, aggravando il suo stato fisico, di tante forze lo priva e non gli procura alcun riconoscimento tra gli esperti del settore.
Modigliani, deciso a seguire le direttive del secondo mecenate solo perché versa in uno stato di profonda indigenza, ritorna ai pennelli non dimentico della fondamentale lezione appresa dalla scultura del marmo: essenzialità di linee, purezza di forme, massima espressività dell’incisione data dallo spoglio di tutto il superfluo; queste le direttrici che lo condurranno presto a dipingere le celebri figure ieratiche dagli occhi grandi, asimmetrici e dilatati, privi di pupilla, che rivelano l’immagine di un’entità veggente, quasi una sfinge egizia senza tempo.
Tra le influenze di Modì rientra infatti un certo interesse per l’arte egiziana, oltre a tutto ciò che rappresenta l’arte primitiva.
Pur interagendo in uno scenario artistico fortemente contaminato da diversi stili e correnti espressive e sul quale ha un ascendente particolare il cubismo — che già allora si preannunciava come un movimento che avrebbe posto una pietra miliare nel mondo dell’arte — Modigliani, per un periodo sperimentatore della tecnica, non sarà mai un cubista: l’attenzione prevalentemente esclusiva della forma sull’essenza non poteva che sembrare, all’artista livornese, un punto di vista espressivo alquanto limitato e incompleto.
L’intimismo della figura umana di Modì trae invece forza dallo squarcio, creato da Munch, sul vuoto cosmico e dalla lezione esistenzialista; la voluttà del suo “rabesco” è sprigionata dalla medesima sottile sensualità che pervade le opere klimtiane e che costituisce la rielaborazione personale del simbolismo di Lautrec.
La sua è una tela che destabilizza: quei volti lunghi, silenti, immobili eppur talmente vivi, “comunicanti”, così straordinariamente ricchi di passione; volti tesi fino all’equilibrio, meravigliosamente alteri e tuttavia raffiguranti persone comuni che appartenevano alla quotidianità della vita di un artista costretto a dipingere due quadri sulla stessa tela perché non aveva i soldi per comprarsene una; ciò si verifica fin dagli albori della sua produzione artistica, basti pensare al quadro del 1909 Jean Alexandre che presenta al verso la tela Nudo seduto (1909):i due olii appartengono ad un periodo di transizione e ricerca stilistica, e difatti il richiamo a Cézanne è immediato per le pennellate di colore stagliate sulla tela, mentre la sinuosità delle forme rimanda a Gaugain.
Ritratto di Diego RiveraAnche in questa fase sussiste una ricerca tecnica e una sperimentazione di amalgama, all’interno della medesima tela, tra oli, tempere e matite colorate che crea una sensazione di “confusione” e una labile mancanza di contorni; ne sono emblematico esempio i dipinti Teresa (1915) e Ritratto di Diego Rivera (1914). Quest’ultimo, pittore messicano amico di Modì e condividente il medesimo studio, è dipinto come un grande buddha ed è realizzato attraverso una curiosa commistione tra il pointillisme del volto azzurro e il fauvisme dello sfondo marrone.
Fortunatamente questa fase di sperimentazione ha avuto, nella storiografia artistica di Modì, una durata paragonabile alla scia di una meteora, poiché i risultati non appagano di certo la vista di quanti amano lo stile inconfondibile delle sue opere mature.

Prima ancora che per la presentazione di Guillaume, il 1914 costituisce una data cruciale nell’esistenza dell’artista per l’incontro, avvenuto a luglio, con la giornalista inglese Beatrice Hastings.
Scrittrice e poetessa, instabile e impetuosa, amata e odiata da Modigliani, Beatrice gli rimane burrascosamente accanto per quasi due anni: una relazione che brucia, annienta, devasta, seppur in un primo tempo nobilita; infatti, spronato inizialmente da questo nuovo amore, Modigliani con fervore si getta nuovamente nella pittura, raffigurando l’amata in almeno quattordici dipinti, e si disperde in sua compagnia tra le brulicanti vie di Montparnasse recitandole La vita nuova di Dante. A detta di quanti l’hanno conosciuto in quel periodo, sembra un uomo rinato: l’alcool, la droga, l’irrequietezza sono posti in un canto, e sembra che dopo un’esistenza turbolenta finalmente l’artista livornese debba vivere un periodo di tranquillità; ma Beatrice Hastings non è la Beatrice di Dante, non la celestiale creatura che ispira e asseconda, né tanto meno la docile donna gentile, e ben presto l’amore di cui si nutrono diviene fiele e i due, amareggiati e sconfitti, si allontanano, dopo mille ripensamenti, in maniera definitiva.
Anna Achmatova parla della Hastings in questi termini: “Ho letto in non so quale monografia americana che, probabilmente, una grande influenza l’ebbe su di lui Beatrice X., la stessa che lo chiamò “perle et pourceau”. Posso e ritengo necessario testimoniare che Amedeo era già “illuminato” allo stesso modo molto prima di conoscere Beatrice X., cioè nel 1910. Ed è poco probabile che questa signora, che definisce l’artista un “porcellino”, potesse in qualche modo illuminarlo”.
Abbattuto dall’amore violento, schiacciato da un destino brutale, Modigliani intraprende la via verso il triste epilogo: il destino inizia a reclamare con maggior vigore la sua vittima.

Nel 1915 l’artista livornese realizza delle tele in cui è riscontrabile una matrice cubista, ma il loro numero, proprio in ragione delle motivazioni poc’anzi accennate, è esiguo.
Si tratta di Moise Kisling, L’enfant gras, Raimondo e Pierrot o Autoritratto in costume di Pierrot, tutte opere realizzate in quell’anno.
Moise KislingIn Moise Kisling, a tradire tale influenza è l’accentuata geometricità del volto esagonale, una spiccata ricerca di tridimensionalità, nonché una certa sobrietà nei colori; in questo periodo il pittore inizia inoltre ad apporre sugli sfondi dei suoi quadri delle scritte che recano i nomi italianizzati dei soggetti ritratti oppure citazioni letterarie, da Dante a D’Annunzio: in Raimondo egli inserisce, scritto in verticale su una striscia verde parallela al volto, il nome del modello che, con tutta probabilità, è Raymond Radiguet, all’epoca studente dell’Académie Colarossi e successivamente introdotto nel gruppo artistico di Cocteau e Salmon.
Il linguaggio posto ad accompagnamento delle raffigurazioni pittoriche designa la piccola storia del rapporto tra creatività e vocabolo scritto: la parola di Modì, alternativamente scarna, rivelatrice, simbolica o provocatoria intesse un rapporto strettissimo con l’arte, sia in qualità di scrittura figurata che di gioco linguistico.
Sebbene la posizione di Modì rispetto ai movimenti artistici che si sviluppano parallelamente al suo percorso pittorico sia essenzialmente indipendente (si rifiuta persino di firmare il manifesto del futurismo), avendo egli scelto di concentrare tutti i suoi studi sul tema del ritratto che era stato decisamente risolto ed esaurito dalle avanguardie artistiche, si nota, complessivamente, nelle suddette opere una certa pulsione, nelle tinte e nell’essenzialità e primitiva geometricità delle forme, riconducibile al cubismo.
Ad analizzare posteriormente tale fenomeno di mutua simbiosi, c’è da specificare che forse, più che da quel movimento artistico, Modì è stato affascinato e influenzato dalla figura di Picasso e dalla corrispettiva fase cubista, tant’è che Pierrot o Autoritratto in costume di Pierrot, uno degli unici due quadri in cui Modigliani si ritrae — l’altro è Autoritratto, dipinto nel 1919, pochi mesi prima di morire —, costituisce un evidente omaggio ad un tema caro alla prima produzione artistica del pittore spagnolo e alla puntuale riproduzione dei colori da egli prevalentemente utilizzati nel periodo rosa.
Modigliani incontra Picasso appena giunge a Parigi e frequenta il suo celebre studio al Bateau-Lavoir, tuttavia non si può affermare che i due siano stati veramente amici; entrambi sono suggestionati dalle stesse radici, Cézanne e l’art nègre (non si dimentichi che nella capitale si è svolta una importante retrospettiva sul geniale pittore francese e l’esposizione di arte negra al Trocadéro), ma le finalità perseguite sono assolutamente divergenti: Pablo spezza le regole della rappresentazione attraverso il riscatto delle linee primitive, approdando ad una oggettività nella visione che invece non è di alcun interesse per Amedeo, il quale piuttosto fa sua l’innovativa introduzione cubista della costruzione per piani separati, piegandola a fini espressivi.
Due posizioni inconciliabili, dunque, per due pittori legati personalmente e tuttavia artisticamente collocati sui due lati opposti del medesimo diametro: Picasso pone una peculiare attenzione alla realtà, Modigliani vive in una dimensione completamente staccata dal contesto storico in cui è immerso; sono questi gli anni della prima guerra mondiale, molti amici dell’artista sono stati fagocitati dal terribile ingranaggio bellico che tutto stritola e annienta, eppure, nelle sue tele, non un segnale, non un indizio rivelatore delle nubi oscure che coprono il cielo parigino.

Immagine articolo Fucine MuteModigliani è strenuamente avvinghiato al tema del ritratto, usa l’arte per decorare la vita degli uomini e delle donne che ama e ha amato: una carrellata rappresentativa della “cronaca” di Montparnasse incornicia quei quadri che vedono ancora, tra il 1916 e il 1917, Paul Guillaume come unico acquirente.
Il logorarsi del rapporto con il suo secondo mecenate emerge lampante dal confronto di due tele notevoli, dipinte nello stesso anno (il 1916) eppure radicalmente difformi: Chaïm Soutine e Paul Guillaume.
Il primo quadro ritrae quello che fu un amico e una figura importante nella vita di Modì: Chaïm aveva dieci anni meno di Amedeo, proveniva dalla Bielorussia, era un’artista talentuoso e, come lui, era ebreo.
Istintivamente riconoscendo inSoutine un se stesso più giovane, Modigliani lo pone sotto la sua ala protettrice e lo introduce nel suo entourage, ma anche il destino del pupillo non sarà felice: anni dopo gli verrà vietato di esporre in quanto artista semita, ma a ciò Modì non dovette mai assistere perché morirà prima.
Nella tela citata emerge tutto il sentimento d’affetto che legava i due amici: le gradazioni cromatiche sono accese, calde, intime; gli occhi asimmetrici e color castagna sono entrambi aperti — assumendo così un valore decisivo — la posa è fluida, arrendevole e le mani di Sautine, appoggiate sulle ginocchia, sono collocate simbolicamente a raffigurare un gesto che, nella ritualità ebraica, ha connotazione benaugurante. Al contrario Paul Guillaume è ripreso in una postura spigolosa, rigida, precariamente equilibrata; i colori sono freddi, staccati, tenuemente lividi.
L’abito del modello è di fattura elegante e formale, conferendo un ulteriore elemento di intrinseco distacco, mentre l’amico è raffigurato in tenuta da lavoro.
La bocca è piccola, semiaperta e tuttavia stretta in un’espressione serrata, dove invece la bocca di Chaïme, seppur chiusa, appare grande, carnosa, oltremodo rassicurante nel suo color ciliegia.
Ma il particolare assolutamente significativo è lo sguardo: un occhio aperto, affinché Paul, maturando, possa osservare il modo esterno cogliendo quanto di meglio c’è, e un occhio chiuso, come monito a guardare dentro se stessi per non dimenticarsi l’ambiente e la storia da cui si proviene.
A ulteriore comprensione di quest’efficace simbolismo c’è da aggiungere che Paul Guillaume, pur provenendo da un ambiente povero, era ben presto diventato una raffinata, solida ed elegante personalità dello scenario parigino; per questo detestava ricordare le sue umili origini e le affondava nella dimenticanza circondandosi di lussi.
Paul GuillaumeViceversa Modigliani, che amava la vita notturna e si circondava, non meno di Lautrec, delle sue umili falene vespertine, era fiero delle sue origini e non accettava la vergogna della povertà del protettore: per questo motivo decide di ritrarre i suoi occhi in tale posa critica, mentre gli occhi aperti hanno, nella totalità delle sue opere, sempre una connotazione positiva.
Il mistero di quello sguardo, che pur tutto l’animo dell’artista svela, è un guizzo di controllata e arguta sensibilità che tocca i suoi vertici con ispirata sensualità.

Il rapporto con Guillaume è ormai destinato a sciogliersi entro breve tempo, giacchè Leopold Zborowski decide, spronato dal pittore polacco Moïse Kisling, di finanziare l’operato dell’artista che aveva ammirato in una mostra organizzata nell’estate del 1915. In cambio di tutta la produzione, che a quel tempo valeva tra i 300 e i 500 franchi, gli dà un salario fisso di quindici franchi al giorno, un locale del suo appartamento al numero 3 di Rue Joseph Bara, pennelli e ogni sorta di materiale necessario per dipingere.
Zborowski, figura leggendaria di quel panorama artistico, arriva a Parigi attorno agli anni dieci, direttamente dalla Polonia, dove era nato: è mosso da aspirazioni poetiche, frequenta il Lapin Agile o Montparnasse, e si mantiene vendendo libri, manoscritti rari, miniature e disegni.
Nei confronti dell’artista italiano, l’ultimo mecenate è notevolmente attivo: è lui ad organizzare da Berthe Weill la famosa retrospettiva di nudi che viene chiusa dalla polizia o la personale alla Hill Gallery di Londra.
Dopo la morte di Modigliani, le opere acquistano un’ingente valore (35 mila franchi) e Zborowski, si trova ad essere improvvisamente ricchissimo.
Ma ben presto Leopold, l’affascinante mecenate dall’accento esotico che non è un uomo comune, né tanto meno vive una vita comune, a causa della crisi del’29, che azzera la richiesta di opere d’arte, cade in miseria e vede sparire tutte le meravigliose e lussuose cose di cui si era circondato: nel ’32 muore e viene sepolto in una fossa comune, lasciando dietro di sé una scia di 25 mila franchi di debiti.
Ritratto di Jeanne Hébuterne con grande cappelloD’altro canto è proprio con l’ultimo mecenate che finalmente Modì consegue una nuova maturità artistica: rassicurato da un certo benessere economico, che gli consente anche di pagare delle modelle professioniste, abbandona ogni preoccupazione per la forma ultimando contemporaneamente la ricerca di una linea libera e impeccabile per qualità e incisività espressiva.
I corpi si fanno affusolati e la purezza femminile dei volti dipinti continua a ricorrere in qualità di basilare motivo conduttore: lo splendore dei purissimi ovali seguita ad intrecciarsi come un filo bianco nel buio e mal imbastito tessuto di quella febbrile notte che incarna la vita di Modigliani.
Perché quello che accadde fu talmente prorompente e bruciante che a posteriori potrebbe realmente sembrare un sogno.
Parimenti onirici e meravigliosi sono i quadri che produce in questo periodo: Jeanne Hébuterne con collana, Nudo seduto o Nudo con camicia fra le mani e Nudo biondo.
Nudo seduto o Nudo con camicia fra le mani e Nudo biondo sono i due celebri quadri che vengono collocati nella vetrina della personale organizzata da Leopold nel dicembre del 1917 alla galleria di Berthe Weill, e che provocano una rissa tra i passanti, attratti dalla forte carica sensuale e seducente delle rappresentazioni.
L’agitazione scoppiata tra il pubblico provoca l’intervento della polizia che chiude la mostra e minaccia di sequestrare e distruggere le due tele, miracolosamente scampate allo scempio grazie a Zborowski. Ma il fine è ormai raggiunto: tutta Parigi parla del giovane artista livornese.
Nudo biondo risulta particolarmente suggestivo per la diversa scelta cromatica operata da Modigliani — colori chiari, anziché le più frequenti e utilizzate tonalità accese e bruciate — e per le differente tecnica di pittura; nel quadro troviamo infatti espresso un raffinato naturalismo che è reso attraverso il delicato stagliarsi di brevi pennellate intrise di colore, quasi tenui nuvole di macchie d’olio.
Nudo biondo Lo sguardo cieco e azzurro delinea un’assenza presente che rimanda, in realtà, ad una dimensione esistenziale priva di connotazione temporale per la sua universalità e per la sua penetrante interiorità.
In questo periodo di maturità le donne sono ritratte frontalmente o a tre quarti, generalmente a mezzo busto, come Nudo seduto, e su sfondi uniformi e cupi; l’elegante sintetismo estetico di cui il pittore è capace sfocia in una bellezza primitiva, altera e sfuggente che richiama vagamente la pittura italiana d’inizio Cinquecento.
Queste opere e le successive rappresentano l’ultima tappa di un percorso artistico nel segno di una originale sensibilità che ha descritto la realtà interiorizzando le modelle come parti di se stesso.
“Il modello – dice Lunia Czechowska, amica dei coniugi Zborowski — aveva l’impressione di avere l’anima messa a nudo e si trovava nell’impossibilità di dissimulare i propri sentimenti”.
“Di tanto in tanto – prosegue Lunia, la modella forse più vicina a Modigliani — tendeva una mano verso la bottiglia. Vedevo che l’alcool faceva effetto: lui si eccitava, io non esistevo più: vedeva soltanto la sua opera”.
Anche il terzo mecenate viene raffigurato da Modì, e il dipinto del 1916 intitolato appunto Leopold Zborowski può esser ricondotto, per intento rappresentativo e partecipazione emotiva dell’autore, ai discorsi precedentemente svolti per i ritratti di Paul Alexandre e Paul Guillaume; egli raffigura il protettore più per dovere che per reale sentimento di gratitudine: sebbene infatti Zborowski, si prodigasse molto, non era totalmente onesto e non retribuiva Amedeo secondo i reali guadagni che la vendita della sue opere gli garantivano.

Nel 1918, in seguito ai bombardamenti su Parigi e alla contemporanea epidemia di spagnola che imperversa sul territorio, Zborowskj decide di trasferirsi con la moglie Hanka nel sud della Francia, a Cagens-sur-Mer, portando con sé, per allontanarlo temporaneamente dall’alcool e dalla droga di cui aveva ricominciato a fare copioso uso, l’artista e la sua ultima compagna: Jeanne Hébuterne.
Jeanne ha diciott’anni quando conosce Amedeo all’Académie Colarossi e subito rimane folgorata dalla bellezza oscura e dal talento geniale di quell’elegante artista italiano che non solo è molto più vecchio di lei e corteggiato da numerose donne affascinanti, ma appartiene ad un mondo — quello dell’arte — cui lei desidera spasmodicamente appartenere.
Decisa a seguire il fratello André, aspirante pittore, anche Jeanne intraprende il percorso artistico rivelando un consistente, seppur acerbo, talento e una spiccata sensibilità.

Jeanne HébuterneÈ bella, Jeanne Hébuterne: una massa morbida di capelli castani, occhi fulminanti di un azzurro intenso e una bocca sensuale che conferisce all’aria da fanciulla, il fascino della donna.
Amedeo all’epoca della loro presentazione ha appena rotto con Beatrice Hastings, ma la giovane acconsente a divenire la sua amante solo nella primavera del 1917; di lì a poco viene cacciata dalla famiglia — cattolica e perbenista — cui era molto legata e lasciata al suo terribile e ingrato destino: il giorno dopo la morte del compagno, incinta al nono mese del secondo figlio, si getta dalla finestra della casa dei genitori, dove era ritornata in preda al dolore immenso.
Viene sepolta alle otto del mattino di una rigida giornata di gennaio, dopo che i funerali sono stati celebrati in gran segreto per volere della famiglia, che premeva affinché la scandalosa vita e morte della figlia fosse sigillata entro le mura domestiche.
Nessuno che non sia uno stretto congiunto può partecipare alla mesta funzione, mentre Modigliani, nonostante tutto, è seppellito nel cimitero di Père Lachaise con grande seguito di artisti, intellettuali ed amici.
Ci vogliono otto anni e notevoli pressioni degli amici della coppia perché Jeanne, che amava il compagno per scordarsi della sua vita e viveva, senza saperlo, per morire, possa realmente trovare il riposo eterno accanto a quello che fu di fatto suo marito; otto anni perché Amedeo e Jeanne si riuniscano oltre il presente e oltre il passato, in una dimensione che solo l’arte comprende e prefigura, in una dimensione in cui si chiudono gli occhi ma si apre l’anima, donandosi e perdendosi nell’infinito.

Nell’estate del ’18, Amedeo e Jeanne, in attesa della loro prima bambina, che verrà chiamata come la madre e che, orfana a 14 mesi, verrà mandata in Italia per esser cresciuta dalla sorella di Modigliani, Margherita, si trasferiscono a Nizza, dove riabbracciano i vecchi amici parigini, tra cui Soutine.
In Costa Azzurra l’artista realizza gli unici quattro paesaggi della sua vita, in parte più che per ipotetico cambiamento d’inclinazione, per concreta mancanza di modelle. Tra essi Paesaggio del Midi (1919) che, coi suoi cinque cipressi in primo piano, non pare affatto richiamare una veduta marina, bensì l’immagine dell’entroterra toscano: ancora una volta la raffigurazione è solo lo spunto, il punto di partenza, per intraprendere un sogno ideale.
Nel ’18 ha dipinto l’intenso Jeanne Hébuterne, il celebre Vestito nero e Giovane donna con la frangia o Donna seduta in abito blu: dei quadri unici nel loro equilibrio ideativo e nella forme affusolate ed eleganti.
Rimane a Nizza fino a maggio del ’19, quando parte per tornare a Parigi; di lì ad un mese è raggiunto da Jeanne nuovamente incinta.

Le ultime tele che crea nel ’19-’20 incorniciano la galleria dei suoi affetti: in esse si riconoscono i lineamenti di tutti coloro che hanno accesso a casa Modigliani; sono ripresi con l’intento di perlustrare tra le pieghe del cuore umano, raccogliendo frammenti di volti, sensazioni e intensi colori che turbinano in una vorticosa ricerca di ciò che realmente si è e di cosa fittiziamente si rappresenta.
In Lunia Czechowska, Leopold Zborowski, Donna con bambino seduto, Hanka Zborowska e Jeanne Hébuterne con grande cappello emerge tutta la delicatezza e l’umanità del ritrarre i volti amati e tutta la durezza e il distacco per esprimere i rapporti coi mecenati che non gli davano quanto gli spettava o che non lo consideravano nella sua personalità.

Nudo disteso: con il braccio destro sotto la testa

Sopra tutti rimane d’estasiante e incomparabile bellezza il quadro Nudo disteso: con il braccio destro sotto la testa. La modella è Jeanne e la partecipazione emotiva dell’artista è grandissima e palpabile; è questo uno delle pochissime raffigurazioni in cui la figura umana è dipinta per intero e non a mezzobusto o tre quarti.
Il corpo chiaro in primo piano sprigiona una sensualità allungata che richiama la Maya denuda di Goya e le linee morbide e sinuose suggeriscono la vibrante familiarità tra modella e pittore.
L’occhio chiuso, indulgente, accomodante si concilia col sorriso abbozzato facendo intuire chissà quale dolce sogno Jeanne vagheggiava in quell’istante.
Un sogno destinato a diventare incubo: il 22 gennaio 1920 il pittore, dopo esser stato rinvenuto su una panchina, senza cappotto e sotto una pioggia gelida, viene ricoverato in stato di incoscienza e due giorni dopo muore, per una meningite tubercolare, tra le braccia dell’affranta compagna.
Il successivo suicidio di Jeanne alimenta il mito dell’artista maudit: i quadri acquistanoimmediatamente un ingente valore economico, e tuttavia la sua figura rimane a lungo dimenticata dagli accademici ed è tutt’ora poco riconosciuta nel suo genio.
Perché? Come mai? Per la ragione stessa del suo essere: un artista la cui unica mancanza è stata la poca propensione a vendersi — Picasso in questo lo sovrasta —, un artista interiore e raccolto alla medesima stregua di Munch, che è stato il padre dell’esistenzialismo e del frazionamento psichico nell’arte dell’uomo novecentesco, un artista che è stato il vate della bellezza viscerale dello spirito umano.
Gorge Bernard Shaw, tra i suoi irriverenti aforismi, ha detto una volta: “Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso; e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima”.
Non c’è niente di più corrispondente alla verità.
Perché capire Modigliani e il suo pennello intriso di intimismo e difficile equilibrio, è capire noi stessi.

Si conclude con questa seconda parte il saggio monografico dedicato alla figura umana ed artistica di Amedeo Modigliani, iniziata nel numero doppio 53 / 54.

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