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Palcoscenico

Una tragedia contemporanea: Roulette Balcanica

Roulette Balcanica — Fara EditoreRoulette balcanica è un dramma in atto unico con tematiche che nella loro profondità richiamano alla tragedia greca antica, ma in un contesto storico, sociale, umano e politico terribilmente attuale: il sanguinoso sfascio della Jugoslavia. L’autore è Dražan Gunjača, che ha vissuto sulla sua pelle la tragedia e l’assurdo di questa realtà e, più in particolare, quella dei personaggi che crea: ufficiali la cui missione e il cui giuramento non hanno più senso, poiché servono un esercito il quale da difensore di uno stato multietnico e degli ideali su cui era fondato diviene,essendo morto lo stato, un invasore dei popoli membri, che si sono proclamati nazioni sovrane e politicamente indipendenti. Non molti anni prima che la tragedia scoppiasse, Dražan lasciò l’Armata Popolare Jugoslava e iniziò a Pola, con la laurea in giurisprudenza che nel frattempo aveva conseguito, a praticare la professione di avvocato. Questo dramma è stato scritto dopo Congedi balcanici del 2001, un romanzo subito tradotto e pubblicato con successo in Germania, Australia, America, Bosnia ed Erzegovina, Jugoslavia: in traduzione italiana, Roulette balcanica viene pubblicato nel gennaio 2003 da FaraEditore, con l’introduzione di Srđa Orbanić, intellettuale lucidissimo e coraggioso della comunità italiana in Croazia, il quale insieme a Danilo Skomerčić ha curato pure la traduzione.

Petar, capitano dell’Armata, entra nel suo appartamento a Pola e trova il vuoto: sua moglie Ana, croata di etnia, è fuggita in Dalmazia coi figli. Slovenia e Croazia hanno già dichiarato la loro indipendenza, l’Armata si è ritirata dalla Slovenia dopo il fallimento dell’operazione d’invasione dei carri armati spediti dallo stato maggiore: in Croazia sta per prepararsi il peggio. Petar è serbo e continua a servire l’esercito federale jugoslavo stanziato nelle caserme in Croazia. Stretto dalla disperazione, intenzionato a suicidarsi, fa arrivare il suo amico Mario, anche lui capitano dell’APJ ma croato di etnia, il quale ha appena abbandonato l’esercito. Mario cerca di far cambiare idea all’amico, ma arriva un anziano sergente della polizia militare accompagnato da un giovane poliziotto musulmano che pensa di scappare in Bosnia: devono arrestare Petar che in mattinata ha insultato a voce alta tutti gli eserciti, i popoli della Jugoslavia e infine il suo stesso ammiraglio. Petar ha perso i nervi, con la pistola in pugno induce il sergente Jovica a sparare in terrazzo per festeggiare la nascita del nipote. Così bussano alla porta dell’appartamento due agenti dell’appena nata policija croata, Ante e Ivan, per trovare chi ha sparato. Anch’essi vengono sequestrati da Petar e Mario, poi Jovica si sente male, Ivan gli fa la respirazione bocca a bocca e va a vomitare. Arrivano il medico e l’infermiera, portano via Jovica aiutati dai poliziotti croati, Petar dà al ragazzo musulmano i suoi vestiti e dei soldi, perché possa andarsene in Bosnia in borghese. Petar e Mario restano soli…

La buona traduzione Orbanić/Škomerčić mantiene nel nostro idioma il linguaggio vivace, colorito e corposo di quest’opera, così ben calato nella realtà socio-esistenziale dei personaggi: individui istruiti nelle accademie militari, con una buona cultura generale, i quali citano poeti e contautori, politica e religione, filosofia e ideologia, il cui discorrere è sempre energico e nervoso come si addice agli uomini d’azione, con una carica espressiva forte sostenuta da parolacce e battute volgari: volgarità mai gratuita né semplice ricerca di effetto o enfasi fine a se stessa, piuttosto un naturalismo autentico, un mimare la natura umana e sociale dei personaggi con fotografica esattezza. Presenza a volte del metalinguaggio e, in due battute successive, di metaletteratura o metateatro: “Grazie. Mi scusi, ma voi due, lei e Petar, siete strani personaggi.” “Sì, lo siamo. Troviamo l’autore sempre quando sarebbe meglio non trovarlo.” è un’opera godibile già come lettura e stilisticamente perfetta per la messa in scena.

In un appartamento di una piccola città, Pola, alla periferia del crogiolo balcanico, i personaggi mettono in gioco e denudano tutti gli elementi della tragedia collettiva dei popoli di questa penisola, con un’energia e una tensione morale tali da travalicare i confini geografici fino a far vibrare le corde intime e universali di quel canto amaro che è l’assurdo nell’uomo. Non ci resta che augurare e augurarci per quest’opera la fama che merita e un’adeguata messa in scena.

Immagine articolo Fucine Mute

Da Roulette balcanica:

[…]

PETAR: Però oggi tutti hanno un udito sopraffino, mettono al vaglio ogni parola pronunciata, specialmente i nomi. Qualche giorno fa sono andato a comprare del pane nel panificio dove lo compro da anni. Mi è successo di chiederlo alla commessa in serbo e lei mi risponde che ciò che voglio comprare lei non lo vende. Con tutti gli scaffali pieni di pane.

MARIO: Che hai fatto?

PETAR: Dapprima ho perso le staffe ed è mancato poco che non la mandassi in quel paese. Poi ho cambiato idea e le ho chiesto del pane nel più puro croato e lei me lo ha porto senza fare una grinza. Dopo di che mi sono fermato al bar di fronte e mi sono messo a riflettere. è stata la prima volta che mi sono sentito straniero nel mio paese. Però non uno straniero qualsiasi, ma una persona non gradita. Se un qualsiasi straniero avesse chiesto alla commessa del pane nella propria lingua e se lei lo avesse capito, lo avrebbe servito e addirittura sarebbe stata orgogliosa di averlo capito. E a me mi capisce, ma si rifiuta di capirmi. Per ironia della sorte, io la parola serba per pane la uso raramente, ma in quell’occasione si è trattato di un lapsus, l’ho usata senza pensarci. A quel punto sono tornato nel panificio.

MARIO: Perché?

PETAR: Per dirle che a me il pane piace sia in croato che in serbo e che l’unica distinzione che faccio è quella tra il pane normale e quello integrale. E che non avevo chiesto del pane per provocarla o offenderla, bensì per mangiarlo. E che, se così facendo l’avevo in un qualsiasi modo offesa, mi scusavo. A quel punto lei si è scusata dicendo che prima di me c’era stato un altro cliente, un tapiro serbo che alla sua domanda su quanto pane volesse aveva risposto di non capire la lingua in cui gli si stava rivolgendo. Ed ora, prova a far ragionare il cervello in una simile circostanza.

MARIO: Non è possibile in una situazione di pazzia generalizzata.

PETAR: Giusto. Sarebbe come rinchiudere una persona sana in manicomio. E a quel punto cerca di spiegarti, con tutti quei Napoleoni, generali, marescialli… Già che ci siamo, sai cosa la maggior parte dei pazzi si crede di essere? Generale! Perché non un grande scienziato, un pacifista, un operaio? Neanche i pazzi vogliono essere pacifisti. Anche fusi come sono sanno che è meglio non esserlo. Ehi, amico, guarda! Fuori piove.

MARIO: Non sarà che ora si risveglia la tua vena poetica, che si torna a Njegoš che prima hai tirato in ballo e che ti metti a disquisire sul fatto che anche il cielo piange…

PETAR: Credi che Njegoš abbia scritto della pioggia?

MARIO: Non ne ho idea. Non ricordo.

PETAR: Soltanto se qualche eroe non ha potuto compiere le sue gesta a causa della pioggia. Dubito che altrimenti ne abbia mai scritto.

MARIO: Romanticismo alla montenegrina.

Immagine articolo Fucine Mute

PETAR: E non solo alla montenegrina. Sotto questi cieli il tramonto è importante solo perché i raggi del sole non possono abbagliare il nostro eroe mentre sta mirando e sparando all’odiato nemico. Pensa un po’ se il sole lo prendesse di sorpresa, lo abbagliasse e se il nemico sopravvivesse. Altroché godere del tramonto. Caspita, guarda dove siamo finiti con il ragionamento. D’altronde, di che cosa vuoi parlare in questi tempi allucinanti? Noi abbiamo avuto la nostra vita, non è vero? Abbiamo cose da ricordare. Solo che questi ricordi mi stanno sfuggendo, non posso riappropriarmene: è come tra loro e la realtà ci fosse un baratro.

MARIO: Sarà che tutto questo male vuole annientare proprio questi ricordi, la giovinezza e ciò che in essa aveva valore. Come se questo male conducesse una perfida guerra contro il nostro passato, spegnendone le luci una dopo l’altra e costringendoci a navigare nel buio totale. E noi, accecati, non facessimo altro che scontrarci. Sai che il bello è da qualche parte, a portata di mano, ma non riesci ad afferrarlo.

PETAR: Qualcosa del genere. è tutto il pomeriggio che sto seduto e cerco di richiamare nella mente me ed Ana, agli inizi del nostro matrimonio. Ma non ci riesco. Intravedo quei momenti in lontananza, nella nebbia: vedo le sua sagome, ma non riesco a vedere quel sorriso, quegli occhi e il loro splendore. Sarà che quando non hai un futuro, perdi anche il passato, ti rimane soltanto questa realtà atroce, che a tutti i costi vuole condannarti per ciò che potresti essere domani e per ciò che sei stato ieri. E se nell’angoscia tenti di contraddire la condanna, il giudice, inesorabile comincia a riderti in faccia, non potendo credere di trovarsi di fronte a un’anima tanto persa da non accorgersi che i motivi della condanna non hanno niente a che fare con la pena comminata. Sei reo per la semplice ragione di esserti trovato casualmente al posto sbagliato nel momento sbagliato. è questa l’unica ragione. Come difendersi allora?

MARIO: I tuoi argomenti non interessano a nessuno. L’hai detto: ora vengono presi in considerazione soltanto gli argomenti pubblici ufficialmente proclamati, quelli personali no. Non hai a chi comunicarli, eccezion fatta per coloro che sono simili a te i cui argomenti non hanno alcun valore. Chi vuoi incolpare del fatto che appartieni auno di questi popoli? Nessuno. E visto che le cose stanno così, sii sufficientemente furbo e cerca di sopravvivere in qualche modo, non permettere che ti si sottraggano passato e argomenti. Almeno non completamente.

PETAR: Be’, ciò non è possibile. O tutto o niente.

MARIO: Incredibile come una persona intelligente e istruita come te possa essere tanto ottusa a proprio danno. Vuoi capire che il “popolo” se ne frega di te e delle tue ragioni. Allora perché tu non dovresti fregartene delle sue? Fa’ finta, accettale pro forma, quanto basta per sopravvivere senza farti schifo.

PETAR: Non posso. Se io accettassi queste ragioni pro forma, di me non resterebbe neanche la “u” di uomo. Perché ciò che per altri è pro forma, per me è essere o non essere.

MARIO: Sentimi, Shakespeare, tutto è cambiato. Chi sei tu per opporti alla maggioranza? Che farai? Prenderai un fiore e ti piazzerai davanti ai carri armati, mentre la maggioranza quegli stessi fiori li sta buttando sotto i loro cingoli?

La cattedrale di ZagabriaPETAR: Cazzo, lo so che una rondine non fa primavera. Io voglio soltanto…

MARIO: Cosa? Vivere come vivevi finora?

PETAR: Ebbene sì. Va bene, lo so che è irrealistico e stupido, so che loro se ne sbattono dei miei desideri, ma ho almeno il diritto di dirlo. Se non possiamo più stare insieme, cerchiamo di metterci d’accordo…

MARIO: Metterti d’accordo con chi? Perdio. Non ci sono accordi. A loro non servono. A nessuno. Come entreranno nella storia senza battaglie? Senza migliaia di morti sacrificati sull’altare della patria e di altri ideali del genere? Senza lacrime e sangue? Di che cosa parleranno le generazioni future? Ed è questa la fregatura. Se qualcuno dei grandi duci forse, e ripeto forse, fosse incline ad accettare di ottenere l’indipendenza senza fare la guerra, cosa di cui dubito fortemente, nessuno di loro di sicuro sarebbe pronto a rispettare le minoranze. Che potere sarebbe il loro? Quello in cui tu avresti il diritto di rompere con i tuoi argomenti. Campa cavallo. Non sono mica così cretini da perdere tempo con cose simili. Lo vuoi capire che per loro è più penoso un tuo argomento di cinque battaglie? Con i tuoi argomenti non riescono a venirne a capo, con i morti sì. Anzi! Quanti più morti ci sono, tanto più facile è ricondurre le pecore nel gregge e preparare il terreno per nuove conquiste.

PETAR: Stai ripetendo tutto quel che ho detto, solo in un’altra maniera.

MARIO: Ce n’è anche una terza, quarta, centesima — basta solo sopravvivere in un qualche modo.

PETAR: Questa è una cazzata.

MARIO: Anche questo è vero. Dunque?

PETAR: Cosa dunque?

MARIO: Hai capito finalmente che devi rinsavire e pensare a te stesso?

PETAR: No.

MARIO: Cazzo!

PETAR: In realtà ho capito, ma la cosa per me non è accettabile. Te l’ho già detto.

MARIO: Immagina di fare davvero ‘sta cazzata di suicidarti. A chi interessa?

PETAR: A me. Si tratta di me. Mi suicido per me stesso, non per altri. Va bene, forse anche per altri, tra i quali non mi ritrovo più.

MARIO: Cambia aria.

PETAR: Non posso.

MARIO: Sei davvero completamente fuso. Completamente. Non riesci a capire…

PETAR: Capisco, capisco. Non sono tanto cretino. Ma neanche tanto idiota da partecipare a tutto questo.

MARIO: Non partecipare! Mettiti in disparte.

PETAR: Dove? Dai, non ripeterti! Noi ci capiamo alla perfezione, ma ci stiamo reciprocamente fottendo le meningi cercando di provare ciò che non si può provare. Vaffanculo a tutto. Tutto ‘sto gran parlare non ci porta da nessuna parte. Ehi, se chiama Ana, dille di chiamare più tardi, che le risponderò di sicuro. Lei capirà. Non guardarmi così! Non sono partito di testa. O forse sì, ma non importa. Dille che la prego di leggere un passo della Bibbia che le ho segnato. […]

Dražan Gunjača, Roulette balcanica, trad. Srđa Orbanić — Danilo Škomerčić, Santarcangelo di Romagna, Fara, 2003, pp. 66 — 71.

Dražan Gunjača è nato nel 1958 a Sinj, dove ha terminato la scuola media. Conclusa l’istruzione militare a Spalato, ha servito per una decina di anni nell’ex marina militare jugoslava. Nel frattempo si è laureato in Giurisprudenza a Fiume, per poi lasciare l’ex armata popolare jugoslava. Da dieci anni è avvocato a Pola.


Nel 2001 ha scritto: Congedi Balcanici (che in meno di un anno dalla pubblicazione è stato tradotto in Germania, Australia, America, Bosnia e Erzegovina, Jugoslavia, ed è stato premiato al concorso letterario internazionale sul tema della pace Satyagraha 2002 a Riccione); la raccolta di poesie Quando non ci sarò più, e il romanzo Amore come pena, il seguito dei Congedi balcanici www.balkanskirastanci.com.


A metà del cielo, che rappresenta la prima parte della trilogia sulla guerra nei Balcani, verrà pubblicato nei prossimi mesi. 


(fonte: Roulette Balcanica, collana “TerrEmerse”, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2003)


www.kaleidon.it/fara

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