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Cinema

Giulia D’Agnolo Vallan

Chi ha paura di William Friedkin?

Immagine articolo Fucine MuteSarah Gherbitz (SG): John Carpenter, Clint Eastwood, George Romero. Sono soltanto alcuni dei cineasti di cui si è occupata Giulia D’Agnolo Vallan, americanista, corrispondente per numerose testate italiane da New York dove vive da sedici anni. Attuale direttrice e già collaboratrice storica di Torino Film Festival per la selezione di Americana, quest’anno ha curato la retrospettiva dedicata ad un altro “grande”, William Friedkin.

Giulia D’Agnolo Vallan (GDV): All’interno del festival il lavoro per la retrospettiva è forse quello che richiede maggior tempo e disponibilità, ma è anche estremamente gratificante, perché si entra in contatto diretto con il cineasta, lo si impara a conoscere al di là dei film, quindi sul piano umano.

SG: E nello specifico caso di William Friedkin?

GDV: Nell’intervista che mi ha dato racconta molto bene la sua infanzia a Chicago, che non è stata un’infanzia ricca. Rispetto ad altri registi come Carpenter e John Milius che hanno frequentato il college e hanno quindi una formazione universitaria, Friedkin si è fatto una cultura un po’ più tardi. Lui è più vecchio di qualche anno e quindi si ricorda la guerra, anche se non direttamente, meglio degli altri.

SG: Qual è il background culturale di Friedkin?

GDV: Ha smesso di studiare molto presto e non ha letto niente fino a 23-24 anni. Poi quando ha cominciato a leggere non si è più fermato.
Ha trovato un mentore nella televisione dove lavorava come fattorino e ora è un uomo che ha letto veramente di tutto, continua a leggere, è onnivoro, avidissimo, conosce anche la musica molto bene.

SG: Da dove ritiene gli derivi l’appellativo di “regista del male”?

GDV: Fin da piccolo ha avuto la visione di un mondo con la compresenza del bene e del male. Ha avuto uno zio poliziotto che arrestò Frank Nitti, uno dei luogotenenti di Al Capone. In seguito scoprì che suo zio era un poliziotto corrotto quindi fin da bambino si è sempre mosso in questo mondo dove la legge e la violenza erano incrociate fra loro, così come la politica che aiuta i cittadini e la politica corrotta.
La sua visione del mondo è senz’altro legata a queste sensazioni d’infanzia; in questo senso il suo pensiero è molto indipendente.

Immagine articolo Fucine Mute

SG: Sembrava sinceramente sorpreso di vedere un pubblico di giovani così numeroso alla presentazione de Il braccio violento della legge.

GDV: La forte personalità di Friedkin, che non si limita al suo rapporto con il cinema, si coglie anche attraverso questo atteggiamento all’apparenza cinico e sprezzante di chi non crede in niente ed in nulla e poi, inaspettatamente, si rivela capace di una fede incrollabile.

SG: Questa libertà di pensiero si ritrova anche nei filmakers più giovani?

GDV: Tra di loro ce ne sono alcuni molto validi; non so se avranno il modo di diventare profondi come Friedkin. Adesempio, David Gordon Green, che vinse Torino Film festival due anni fa con George Washington, si capisce benissimo che è un filmaker, che farà film per moltissimo tempo, che ha l’occhio del regista. In generale, mi piacciono molto gli autori che hanno un rapporto ossessivo con il cinema, ritengo siano quelli più interessanti da studiare, come ad esempio Paul Thomas Anderson, il regista di Boogie Nights e di Magnolia, oppure Wes Anderson (reduce dal successo de “I Tenenbaum”, nda).

Da L’Esorcista (1973) di William Friedkin all’anteprima di Histoire de Marie et Julien (2003) diretto dal maestro della nouvelle vague francese Jacques Rivette. E ancora l’apprezzato esordio alla regia dell’attrice torinese Valeria Bruni Tedeschi E’ più facile per un cammello…e la premiére del nuovo cartoon di Joe Dante Looney Tunes: back in action.
In sintonia con il suo carattere di kermesse destinata ad un pubblico giovane, metropolitano e rigorosamente cinefilo, la ventunesima edizione del Torino Film Festival (13-21 novembre 2003) si svolge anche per quest’anno nelle 11 sale del Multiplex Pathé situato all’interno del Lingotto, opera ristrutturata da Renzo Piano.
L’intenso programma, fittissimo di proiezioni, incontri e dibattiti, oltre alle consolidate sezioni competitive, ovvero il concorso internazionale lungometraggi, il concorso cortometraggi, il concorso miglior Documentario 2003, il concorso Spazio Italia e il concorso Spazio Torino, propone nell’ormai tradizionale sezione Americana This so-called disaster, il docu-film di Michael Almereyda sulla messinscena dell’ultima commedia di Sam Sheperd, il capitolo conclusivo del progetto cine-musicale coordinato da Martin Scorsese Piano Blues diretto da Clint Eastwood nonché Wattstax di Mel Stuart, ripresa del concerto-evento definito la Woodstock nera del 1972 al Los Angeles Coliseum.
Tra le novità per quest’anno, la sezione Détours, dedicata ai filmaker più eccentrici ed innovativi dell’inizio millennio, tra cui spiccano Stephen Dwoskin, Jean-Claude Rousseau e l’artista coreana Gina Kim, e la sezione Focus Malesia, panoramica sulla giovane generazione di registi malesi che sanno coniugare all’uso del digitale l’attenzione per le tematiche sociali del loro paese.
A sette mesi dalla scomparsa del cineasta, critico e filosofo João César Monteiro, Torino Film Festival accosta al capolavoro postumo Va e Vem i suoi primissimi, invisibili lavori datati anni Settanta.
Un omaggio anche a Kinji Fugasaku, regista giapponese citato nell’ultimo Kill Bill di Tarantino, maestro riconosciuto di un cinema popolare e di genere, lo yakuza film, mentre il protagonista del terzo omaggio è Stan Brackhage, anch’egli recentemente scomparso: 13 titoli tra cui i corto-mediometraggi girati tra il 2001 e il 2003,Panels for the Walls of heaven, Chinese Series, Stan’s Widow work in progress.
La retrospettiva sul “regista del male” per eccellenza William Friedkin (a cura di Giulia D’Agnolo Vallan), la scoperta di Stavros Tornes. Cineasta greco-italiano ( a cura di Roberto Turigliatto, Sergio G. Germani e Stavros Kaplanidis) confermano la direzione di ricerca che contraddistingue la manifestazione torinese; Eclisse di cinema. Aleksandr Sokurov (a cura di Enrico Ghezzi, Stefano Francia di Celle, Aleksei Jankowski) guiderà gli spettatori attraverso l’intera produzione, in gran parte ancora inedita, del cineasta russo.

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