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Cinema

Germania pallida madre e i suoi figli Marlene Dietrich e Rainer Werner Fassbinder

Immagine articolo Fucine MuteNel suo lungo ed inarrestabile cammino di ultracentenario il Cinema offre l’occasione di incontri ravvicinati o lontananze temporali che ne accrescono l’impalpabile fascino e l’insondabile mistero. Tra la berlinese Marlene Dietrich e il bavarese Rainer Werner Fassbinder c’è un sottile filo rosso, che, al di là della loro appartenenza nazionale, li unisce indissolubilmente. Si tratta di due illustri protagonisti della scena tedesca che hanno attraversato epoche differenti e compiuto percorsi diversi. Ma entrambi, con i loro film, ci hanno raccontato e insegnato qualcosa del loro Paese, anche indirettamente dall’esilio volontario come nel caso della Dietrich, che ha arricchito la nostra conoscenza e illuminato il nostro sguardo. Amati o odiati, per le loro scelte di vita e di pensiero, hanno lasciato una scia luminosa che si è propagata ben oltre la loro umana avventura. In questo ipotetico viaggio in Germania, parafrasando quello del neorealista Rossellini, il punto di partenza è l’imprescindibile “L’angelo azzurro” a cui fa seguito l’analisi della produzione conclusiva del regista più significativo del dopoguerra tedesco.

Venere imperiale

Marlene nasce a Berlino il 27 dicembre 1901. Suo padre, Luis Erich Dietrich, muore quando lei è ancora una bambina. Edward von Losch diviene il suo patrigno. La ragazza frequenta la scuola di musica e quella d’arte scenica del celebre Max Reinhardt. Si esibisce quindi in una serie di lavori teatrali e film, partecipando ad una rivista musicale dove è notata dal regista Sternberg che decide di scritturarla per “L’angelo azzurro”. Dopo il trionfo dell’opera, Marlene firma con la Paramount un contratto per sei film che gira a Hollywood sotto la guida dello stesso Sternberg. Queste pellicole sono delle varianti sul personaggio archetipo che l’ha resa famosa. I titoli sono “Marocco” (1930), “Disonorata” (1931), “Shanghai Express” (1932), “Venere bionda” (1932), “L’imperatrice Caterina” (1934) e “Capriccio spagnolo” (1935). Nel frattempo l’attrice prende le distanze dal nazismo, nonostante le lusinghe di Goebbels affinché lei diventi l’attrice ufficiale del Reich. Dopo il distacco da Sternberg, Marlene si fa notare con alcune pellicole significative come “Canaglie di lusso” (1936) di Frank Borzage, “Angelo” (1937) di Ernst Lubitsch, “La contessa Caterina” (1937) di Jacques Feyder e “La taverna dei sette peccati” (1940) di Tay Garnett. Successivamente la sua carriera cinematografica si fa più rara e meno appariscente per poi riprendere quota con “Scandalo internazionale” (1948)  di Billy Wilder, “Paura in palcoscenico” (1950) di Alfred Hitchcock e “Rancho Notorius” (1952) di Fritz Lang. Ancora, nel periodo finale di presenza sullo schermo, non si possono non ricordare “Testimone d’accusa” (1957) di Billy Wilder, “L’infernale Quinlan” (1958) di Orson Welles e “Vincitori e vinti” (1961) di Stanley Kramer. Oltre al cinema Marlene Dietrich viene gratificata da altri importanti riconoscimenti. Al termine della guerra riceve, infatti, la “Legion d’Onore” dai francesi e la “Medal of Freedom” dagli americani, come testimonianza della sua abnegazione per la causa della libertà. Alla fine degli anni Settanta si ritira nel suo appartamento di Parigi dove la morte la coglie il 6 maggio 1992. Nell’assordante silenzio di una prolungata e volontaria solitudine si spegne un mito, mentre a pochi chilometri di distanza il rutilante caravanserraglio di Cannes apre i suoi baccanali cinematografici. Le spoglie di Marlene riposano a Berlino.

Lola-Lola

Immagine articolo Fucine MuteLa storia de “L’angelo azzurro” è fin troppo nota. Il nome si riferisce ad un sordido locale  dove si esibisce una cantante, Lola Frolich, soprannominata Lola-Lola, che con la sua voce roca e le sue movenze un po’ goffe, ma indubbiamente eccitanti, ammalia la gioventù studentesca del luogo. Preoccupato per l’integrità morale dei suoi allievi, il maturo e severo professore Immanuel Rath, si reca nel peccaminoso ritrovo con l’intenzione di sorprenderli. Ma l’incursione, invece di salvaguardare la reputazione degli studenti, finisce per risucchiarlo in un gorgo di abiezione tanto da comprometterne la sua. Ben presto egli diviene lo zimbello della donna e si riduce a vendere le cartoline che la ritraggono all’entrata dei cabaret dove si esibisce. La tappa successiva nella discesa verso un degrado senza redenzione è per Rath la sua partecipazione alle esibizioni travestito da clown. Dopo cinque anni di peregrinazioni, lo spettacolo ritorna nella cittadina dell’ex professore, dove la vicenda ha la sua tragica conclusione. Tratto dal romanzo di  Henrich Mann “Professor Unrat”, scritto nel 1905, il film, girato in doppia versione tedesca e inglese, ottenne un enorme successo in tutto il mondo.

Nel 1959 Edward Dmytryk girò un remake con lo stesso titolo, interpretato da May Britt nella parte di Lola-Lola e Curt Jurgens in quella di Rath, ma il ricordo di quest’opera rimane nella memoria alquanto fievole.
Tanto è internazionale la carriera di Marlene Dietrich, così è interamente autarchica quella di Rainer Werner Fassbinder. Ma questa volta iniziamo dalla fine.

Il tormento e l’estasi

Quando morì a trentasette anni il 10 giugno 1982, sopraffatto da una vita dissoluta, il mito di Reiner Werner Fassbinder aveva da molto tempo attecchito, solcando le praterie della cinefilia. La sua torrentizia produzione comprendeva una trentina di lungometraggi, tre cortometraggi, due film televisivi di oltre tre ore e due serial superiori alle dieci ore. Il tutto in un arco di tempo di diciassette anni con una febbre ed un’urgenza artistica che non andava mai a discapito della qualità del lavoro. Quasi sentisse la necessità di dover produrre velocemente nel corso di una vita che, con i suoi eccessi autodistruttivi, non poteva che essere breve. Ecco perché “Querelle de Brest” non è solamente il suo ultimo film ma anche il suo testamento artistico, l’opera in cui confluiscono la sua tragica concezione della vita e il suo doloroso congedo.

Immagine articolo Fucine MuteTratto dall’omonimo romanzo di Jean Genet, la pellicola è ambientata, con ostentato irrealismo, in uno studio cinematografico che rimanda al porto di Brest. Qui approda il Vengeur con a bordo il marinaio Querelle, uomo bello e vigoroso per cui il comandante della nave, il tenente Seblon, prova un’insopprimibile attrazione. Querelle scende a terra e si dirige in un malfamato bistrot gestito dal sordido Nono, la cui moglie, Lysiane, è l’amante del fratello di Querelle, Robert. I due fratelli sono legati da uno strano rapporto di odio-amore. Querelle traffica con l’oppio per conto di Nono e, a causa di una scommessa persa, ne paga duramente le conseguenze. Intanto la polizia indaga a seguito della morte di Vic, cognato di Querelle, e accusa del delitto Gil, un muratore schernito dai compagni in quanto omosessuale. Come si evince dalla trama, il film racconta la travagliata esistenza di alcuni personaggi che nei loro rapporti, soprattutto sessuali, privilegiano la violenza, psicologica e fisica, arrivando anche a macchiarsi di un efferato delitto.

Volutamente caratterizzato da un impianto teatrale in cui predominano i colori giallo e arancione, il film è concepito come un’opera di gelida narrazione. Curioso e affascinante il cast che oltre alla divina Jeanne Moreau in un personaggio, Lysiane, inventato per l’occasione, prevede, nel ruolo di Querelle, l’americano Brad Davis, reduce dal successo internazionale di “Fuga di mezzanotte” (morto di AIDS nel 1991) e, in quello del sottotenente Seblon, Franco Nero, un attore spesso impegnato su set stranieri e che con Fassbinder attore aveva recitato in quello stesso anno in “Kamikaze 1989”.

Il film viene presentato in anteprima mondiale, nel settembre 1982, alla Mostra del Cinema di Venezia suscitando una profonda emozione. Poco dopo la commissione italiana di censura non concede il nulla osta per la proiezione in pubblico che viene successivamente accordato solamente nel marzo dell’anno seguente dopo una mutilazione di quasi due minuti.
Resta ancora da dire che “Querelle” porta la seguente epigrafe: “questo film è dedicato alla mia lunga amicizia con El Hedi Ben Salem”, l’attore marocchino che con Fassbinder aveva recitato in sette film (tra cui, come protagonista, nel bellissimo “La paura mangia l’anima”). L’uomo, poco tempo prima, si era suicidato in un carcere francese e la dedica di Fassbinder è molto più di un presagio, quasi la consapevolezza di una prossima ravvicinata ricongiunzione.

Immagine articolo Fucine Mute

Maria

Se la carriera cinematografica di Fassbinder era cominciata, con il primo cortometraggio, fin dal lontano 1965 è solamente con “Il matrimonio di Maria Braun” che si verifica la svolta tanto auspicata.
Dopo tanto cinema amato solamente dalla critica arriva infatti anche il consenso del pubblico che apprezza la pellicola ovunque venga presentata. L’opera porta bene anche alla protagonista femminile Hanna Schygulla che, premiata al festival di Berlino nel febbraio 1979, vede di molto salire le sue quotazioni. Curiosamente quasi tutti gli ultimi film del regista tedesco portano nel titolo il nome di una donna (la qual cosa spinge Jan Dawson a definirlo “il misogino femminista”). In particolare quest’opera, nella molteplicità delle letture, ne evidenzia una più marcata: il rapporto speculare delle vicissitudini di Maria Braun (il nome più diffuso all’epoca) con le sorti politiche della  Germania. La vicenda raccontata parte dal 1943 quando, sotto le incursioni aeree degli alleati, in un municipio semidistrutto si uniscono in matrimonio Maria e Hermann Braun. Non c’è tempo neanche per consumare le nozze che l’uomo è costretto a partire per il fronte orientale. La moglie, per sopravvivere, si dedica al mercato nero e lavora come entreneuse per i militari americani, che nel frattempo hanno occupato la Germania, aspettando con ostinata fiducia il ritorno del coniuge. Una sera un soldato rientrato dal fronte le comunica il decesso di Hermann. Quello stesso giorno la donna si concede a Bill, un corpulento ufficiale di colore. La loro relazione si protrae nel tempo e Maria rimane incinta. Mentre la coppia si trova a letto, però, inaspettato compare Hermann. Nella successiva colluttazione che coinvolge le tre persone Maria colpisce con una bottiglia il soldato americano che muore. Il marito si addossa, in tribunale,  la responsabilità dell’omicidio e viene condannato ad una pena di parecchi anni. Maria, che ha perso il bambino, gli promette di aspettarlo. Tuttavia nella lunga attesa, non sa resistere alla tentazione di sedurre Oswald, un anziano industriale non compromesso con il nazismo. Così la donna diventa sia l’amante che la più ascoltata consulente del potente imprenditore al punto da assumere le redini dell’impresa. Quando Oswald muore Hermann torna da Maria. Ma una fatale distrazione della donna spezza la vita di entrambi nello stesso momento in cui la radio annuncia la vittoria della Germania Ovest ai campionati mondiali di calcio. è il 4 luglio del 1954.

Lili

Immagine articolo Fucine MuteLa successiva incursione di Fassbinder nell’universo femminile avviene con il sontuoso “Lili Marleen”. Nella Zurigo degli anni Trenta, Willie, una cantante tedesca, e Robert Mendelssohn, un pianista ebreo si conoscono e si innamorano. L’uomo che spera di diventare direttore d’orchestra, svolge un’attività clandestina: trasferisce in Svizzera i patrimoni dei notabili ebrei minacciati dal nazismo. La famiglia di lui, ricca e puritana, non è per niente favorevole al legame e, con una stratagemma, riesce a far espellere la ragazza dalla Svizzera. Allo scoppio della guerra i due sono costretti a separarsi. Willie, anche grazie al decisivo appoggio di un gerarca del ministero della cultura, riesce a mettersi in luce. In particolare una sua canzone, Lili Marleen, trasmessa dai microfoni di Radio Belgrado, è  molto apprezzata tra le truppe tedesche che combattono al fronte. In breve Willie, senza volerlo, diventa il simbolo del regime, tanto da essere ricevuta perfino dal Führer. Ma la donna è sempre innamorata di Robert e cerca di rivederlo.

Il film si basa sull’autobiografia di Lale Andersen e viene realizzato, con dovizia di mezzi, in coproduzione con l’Italia. L’opera si fa apprezzare soprattutto per l’intensa interpretazione di Hanna Schygulla, affiancata egregiamente da Giancarlo Giannini, scelto da Fassbinder come indiretto omaggio a Luchino Visconti, che con lui aveva interpretato l’ultimo film “L’innocente”.

Lola

Immagine articolo Fucine MutePer il successivo “Lola” il regista tedesco scrittura Barbara Sukova. La vicenda è ambientata nel 1957 in una cittadina di provincia della Germania. Qui regna incontrastato il costruttore Schuckert che è solito trascorrere le serate nella villa Fink, una specie di bordello dove si esibisce la procace Lola che, oltre ad essere la sua amante, lo ha reso padre di una figlioletta. La donna con il suo fascino ammalia tutti i presenti. Nel paesello la vita scorre, tutto sommato, tranquilla, fin quando vi giunge il nuovo direttore dei lavori pubblici, von Bohm. Schuckert, che per raggiungere la sua posizione di dominio, ha commesso parecchi illeciti amministrativi, è preoccupato per la nuova situazione, ma riesce a “neutralizzare” il pubblico funzionario che è disposto a sorvolare su alcune infrazioni, a patto che il costruttore si impegni a realizzare le opere pubbliche destinate alla cittadinanza. Intanto Lola decide di sedurre Bohm che, colpito dal suo fascino, non sa resistere. Pur di conquistarla l’uomo si iscrive ad un gruppo politico e si oppone alle speculazioni di Schuckert. In nome del suo amore è disposto a tutto. Nella filmografia di Fassbinder “Lola” rappresenta un’opera insolitamente leggera ed accattivante, dominata dalla presenza seducente di Hanna Schygulla, la cui morale potrebbe essere che l’esistenza dell’uomo ruota intorno al sesso e al denaro.

Veronika

E siamo arrivati a “Veronika Voss” che, dopo “Il matrimonio di Maria Braun” e “Lola”, conclude la trilogia fassbinderiana sulla Germania postbellica. Nel 1955 a Monaco il reporter sportivo Robert Krohn conosce casualmente Veronika Voss che molti anni prima era stata una diva della casa produttrice UFA. Incuriosito da quell’incontro, cerca di rivederla, e scopre che la donna abita presso il suo medico curante, la dottoressa Katz. Successivamente Robert la rincontra in uno studio cinematografico, ma Veronika si dimostra incapace di recitare e viene colta da una crisi di nervi.

Immagine articolo Fucine Mute

Alla scena assiste un individuo che si scopre essere l’ex marito. Da questi Robert viene a sapere l’inesorabile deriva della vita artistica e privata di Veronika, ormai schiava dell’alcool. Il giornalista vorrebbe aiutarla, ma c’è da superare la rigidità della dottoressa Katz. Ispirato alla vita dell’attrice Sybil Schmitz, il film è, come scrive Davide Ferrario, “prima di tutto uno splendido esercizio di stile, col bianco e nero più bello degli ultimi dieci anni, con una sbalorditiva padronanza dei movimenti di macchina, con un finissimo senso del montaggio e della recitazione”. Insomma l’imprimatur di una consacrazione, ma intanto, il cerchio si sta chiudendo.

Epilogo

Quando nel 1969 Fassbinder scrutò il cielo sopra Berlino, felice ed emozionato di essere stato ammesso, con il suo primo film “L’amore è più freddo della morte”, a partecipare alla prestigiosa manifestazione, era un ragazzo di appena 24 anni ancora indeciso tra cinema e teatro. Quello che nel febbraio del 1982 vi ritorna è un uomo dalla stazza imponente ma visibilmente minato nel fisico dalla droga e dall’alcool e, particolare non indifferente, lucidamente consapevole di Immagine articolo Fucine Muteun’aspettativa di vita di gran lunga inferiore alla molteplicità dei progetti che ha in mente di realizzare. Sarà anche per questo, come tardivo omaggio e parziale risarcimento ad un’attenzione non sempre puntuale, che il Festival di Berlino gli conferisce l’Orso d’oro per “Veronika Voss”. In una delle sue ultime interviste aveva detto: “un film o un romanzo, qualsiasi opera è qualcosa che amplifica la vita, che la ingrandisce”. E la sua, pur breve vita, era stata molto più di un film o di un romanzo.

Filmografia


“L’angelo azzurro” (Germania1930) di Josef von Sternberg, con Marlene Dietrich, Emil Jannings, Kurt Gerron, Hans Albers.
“Il matrimonio di Maria Braun” (Germania 1978) di Rainer Werner Fassbinder, con Hanna Schygulla,Klaus Löwitsch, Ivan Desny, George Byrd.
“Lili Marleen” (Germania-Italia 1980), di Rainer Werner Fassbinder, con Hanna Schygulla, Giancarlo Giannini, Mel Ferrer, Karl-Heinz von Hassel.
“Lola” (Germania 1981) di Reiner Werner Fassbinder, con Barbara Sukova, Armin Mueller-Stahl, Mario Adorf, Mattias Fuchs.
“Veronika Voss” (Germania 1982) di Rainer Werner Fassbinder, con Rosel Zeck, Hilmar Thate, Cornelia Froboess, Annemarie Duringer.
“Querelle de Brest” (Germania-Francia 1982) di Rainer Werner Fassbinder, con Brad Davis, Franco Nero, Jeanne Moreau, Laurent Malet.

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