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Cinema

L’affaire ‘Ultimo tango a Parigi’ (I)

Anatomia di un film scandalo

Introduzione

Immagine articolo Fucine Mute29 gennaio 1976: Ultimo tango a Parigi, il film dove uno dei maggiori registi italiani viventi (Bernardo Bertolucci) incontra uno dei maggiori attori americani viventi (Marlon Brando), viene condannato dalla Corte di Cassazione ad essere fisicamente distrutto, in ogni sua copia negativi compresi, poiché, al termine di un processo durato quattro anni, si è stabilito che, lungi dal soddisfare “i requisiti di artisticità”, esso consiste in uno spettacolo osceno, contrario ai principi della morale e del buon costume.
Come si è giunti, quel giorno, a scrivere la pagina più buia del pur tesissimo rapporto tra censura e industria culturale nell’Italia degli anni Settanta? Scopo del presente lavoro è tentare di fornire una risposta adeguata a questo interrogativo.
La prospettiva lungo la quale procederemo è duplice. Sul versante storico-filologico, intendiamo ricostruire il caso, attraverso l’eco prodotto sulla e dalla stampa dell’epoca, e le posizioni più autorevoli espresse dalla critica e della storiografia cinematografiche italiane. Parallelamente, in una dimensione socio-semiotica, miriamo altresì a interpretare il caso e il suo significato sociale, basandoci su un modello (fig. 1) elaborato nel corso dell’opera, e che presentiamo in queste pagine introduttive come sintesi e risultato di quelle che seguono.
Nel nostro schema, che diventerà del tutto intelligibile procedendo con la lettura, rileviamo la distanza tra lo spettatore ideale della pellicola, riassunto nella figura del cinéphile, cioè dell’appassionato in possesso delle risorse culturali necessarie per recepire correttamente il messaggio artistico di Ultimo Tango, e lo spettatore empirico che concretamente ha assistito al film, nel nostro caso una platea sterminata di cui i cinéphiles rappresentano solamente una piccola porzione.
La censura, con la sentenza di oscenità del 1976, di fatto legittima unicamente una lettura dell’opera in chiave pornografica, operando una triplice negazione: del film come opera d’arte, dello spettatore come individuo capace di leggere il film come opera d’arte, e quindi della ricezione stessa del film, precludendone la visione e con essa qualunque decodifica, compresa (paradossalmente) quella di spettacolo osceno. In seguito al dissequestro del 1987, si compie invece il percorso opposto, con il riconoscimento della dignità artistica dell’opera, delle capacità critiche dello spettatore e dunque della fruizione tout court su grande e piccolo schermo.
Abbiamo tratteggiato così l’ossatura del nostro lavoro, cui daremo corpo nelle prossime righe, limitandoci per ora a fornirne un breve sommario.

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Nel primo paragrafo delineiamo il ruolo di Ultimo Tango nella storia della censura cinematografica italiana, mettendo in luce vari elementi di contatto: la necessità di una perizia tecnica nel giudizio di revisione di un film, i motivi per cui una pellicola viene considerata oscena, la persecuzione contro i grandi maestri del nostro cinema (a fronte, comunque, della sostanziale trasversalità della censura), il peso della componente cattolica, la questione della regolamentazione del cinema in televisione.
Analizziamo poi (par. 2), grazie al modello del diamante culturale di Wendy Grinswold, maggiormente nel dettaglio la vita del film e della società italiana nel corso di trent’anni, dando particolare risalto alle diverse modalità di fruizione e di percezione dell’opera nel tempo.
Ultimo Tango viene in seguito contestualizzato nel percorso autoriale di Bernardo Bertolucci, come una tappa necessaria e coerente della sua cinematografia, e nel panorama dei primi anni Settanta, dove se da un lato il “cinema d’autore” viveva una grande stagione, dall’altro stava per emergere la distribuzione su larga scala dei film “a luci rosse” (par. 3).
Un’indagine sull’atteggiamento dei maggiori e “strategici” quotidiani italiani dell’epoca ci permetterà, infine, di ricostruire gli snodi cruciali del dibattito intorno alla censura del film, dallo scalpore per il “rogo” del ’76, alla ripresa della polemica con la proiezione clandestina dell’82, fino all’ambigua sentenza di non oscenità dell’87 e al media event del primo passaggio televisivo nel 1988 (par. 4).

1.”Ultimo tango a Parigi” (1972) nella storia della censura cinematografica italiana

Prima di entrare nel merito dell’affaire Ultimo Tango, è forse utile mettere brevemente in luce alcune caratteristiche salienti della macchina censoria italiana, per cogliere la doppia valenza che il “rogo” del film di Bertolucci ha avuto dentro di essa: da un lato ci troviamo di fronte a “un vergognoso e memorabile caso probabilmente unico nei paesi cosiddetti di diritto”, per usare le parole di Domenico Liggeri [1], ma dall’altro osserveremo che la strategia persecutoria nei confronti di quest’opera presenta evidenti elementi di continuità, più che di rottura, con il passato.
Una piccola, e forse banale, considerazione previa: sebbene l’agire di “Madama Anastasia” (citando un vecchio nomignolo della censura) si presenti spesso come acritico e contraddittorio, talvolta con punte di grottesco tali da far impallidire il personaggio di Alberto Sordi ne “Il moralista” (1959), siamo ben coscienti che la complessa matassa di motivazioni ideologiche, etiche, sociali, politiche, religiose ed economiche sottese a tale agire non può certo venire districata da lapidari giudizi di condanna (o peggio di assoluzione) di quest’ultimo, e per intero nemmeno dall’analisi più imparziale e documentata.

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Iniziamo dunque, con inevitabile approssimazione, a riconoscere alcuni dei fili rossi che troveremo stretti, purtroppo come un nodo scorsoio, intorno ad Ultimo Tango. Per una storia dettagliata della censura, rimando invece ai due recenti volumi Italia taglia [2]e Mani di forbice [3], oltre che all’indispensabile Storia del cinema italiano [4] di Gian Piero Brunetta.
L’Istituto di censura nasce in Italia nel 1920. È prevista una commissione formata da diversi “esperti”: un magistrato, una madre di famiglia, un educatore, un artista, un pubblicista e tre funzionari di pubblica sicurezza. Già da questa ormai arcaica formulazione, destinata poi ad irrigidirsi sotto la cattiva stella del fascismo, diventa subito palese il principale oggetto della polemica sulla-contro la censura: se è pacifico che il processo di un film tacciato di oscenità non può che venir condotto dalla magistratura, meno chiara è la questione su chi abbia le competenze più idonee per giudicare osceno il film in questione.
In questo senso, la felice conclusione della vicenda giudiziaria di Ultimo Tango nel 1987 dà per la prima volta una risposta precisa: nell’emettere la sentenza di non oscenità, il giudice istruttore del Tribunale di Roma Paolo Colella si affida a una perizia, attestante il valore artistico del film, stilata da un docente universitario di Metodologia della critica e dello spettacolo (Maurizio Grande) e da due affermati critici cinematografici (Fausto Giani e Claudio Trionfera). Si è dovuti arrivare alla soglia degli anni novanta, quindi, per stabilire che un giudizio morale nei confronti di un’opera cinematografica non può prescindere da un giudizio estetico, attento al messaggio complessivo di quest’ultima al di là delle singole sequenze, che possono apparire oscene soltanto scindendole dalla funzione che rivestono nell’intero racconto filmico.
Ma, nel nostro caso e oltre, che caratteristiche hanno queste sequenze incriminate? Per rispondere, riportiamo qui la tassonomia usata da Alfredo Baldi nel classificare i tagli sui film dal 1947 al 1962, e contenuta nel saggio “20 km di censura” [5] vengono considerate le categorie di violenza, offesa e vilipendio (a persone, istituzioni o stati), eros (pudore, morale, buon costume), macabro-impressionante-ripugnante, sociale (droga, prostituzione, miseria), eros-violenza, istigazione a delinquere — disprezzo della legge, offesa alla religione e ai suoi ministri, pubblicità, turpiloquio, politico, non individuabile la “ratio”.

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È interessante notare, scorrendo questo elenco, che (più o meno forzatamente) le scene di Ultimo Tango lo coprono pressoché per intero. Dalla famigerata sequenza di sodomia non consenziente ai numerosi nudi di Jeanne-Maria Schneider, dal costante linguaggio scurrile al disprezzo di Paul-Marlon Brando per i preti, i militari e la società nel suo complesso, dalla figura della vecchia prostituta-Giovanna Galletti agli insulti di Paul al capezzale della moglie defunta-Veronica Lazare, fino ad arrivare all’efferato delitto finale (che probabilmente rimarrà impunito), rimangono fuori soltanto la pubblicità e il politico (ma quando Jeanne parla del “matrimonio pop” con Tom-Jean Pierre Léaud, paragonando gli sposi a due operai che lavorano sul motore di una macchina, forse un censore particolarmente solerte…).

Insomma, tutto questo per spiegare almeno in parte come, nel 1973, con le leggi sul divorzio e l’aborto dietro l’angolo, in secondo grado (dopo una prima assoluzione) il film venga messo sotto sequestro dal Tribunale di Bologna sostenendo che in esso “prevale la tesi della distruzione dei valori morali, (…) che resta intenzione evidente del creatore del film” e, tre anni dopo, la Cassazione confermi in via definitiva la condanna.
Del resto, abbiamo già anticipato che quello di Ultimo Tango è il caso più noto ed emblematico di capolavoro finito sotto le grinfie della censura, ma soltanto all’interno di una lunga serie: da Visconti (con Ossessione nel ’42 e Rocco e i suoi fratelli nel ’60) a Monicelli (con Totò e Carolina nel ’54), da Antonioni (con L’avventura nel ’59) a Fellini (con Le notti di Cabiria nel ’57 e La dolce vita nel ’60), da Pasolini (con Decameron nel ’71 e Salò nel ’75) a Liliana Cavani (con Al di là del bene e del male nel ’78), non c’è maestro del cinema italiano che non abbia avuto prima o poi un rendez-vous con Madama Anastasia.

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Precisiamo immediatamente che, però, questo non significa che la censura si muova con una ratio a rovescio, ostacolando le opere d’arte e lasciando via libera ai film cosiddetti di serie b[6]: in generale, si colpiscono le pellicole di alto valore storico e culturale così come quelle “popolari” (un piccolo esempio: nel 1982 suscitano l’attenzione dei censori sia Querelle di Rainer Werner Fassbinder [7], che Pierino medico della Saub di Giuliano Carnimeo). Anzi, come sottolinea il produttore Galliano Juso [8], il danno maggiore viene provocato ai film di basso profilo che si reggono solo sul successo commerciale, e che nessuna voce della cultura si leverebbe mai a difendere, come invece accade per i grandi autori come Bertolucci e Pasolini.
A proposito della penosa e intricata persecuzione nei confronti dell’opera postuma di quest’ultimo, Salò o le centoventi giornate di Sodoma, vedremo come nel 1976 si verifichi un incrocio significativo con quella di Ultimo Tango, sollevando la vigorosa protesta del Sindacato nazionale critici cinematografici italiani, che in un documento ufficiale accusa apertamente la magistratura di azione oscurantista [9].
Apriamo ora una parentesi per menzionare, accanto all’Istituto di stato, quello che “si presenta, almeno fino ad un certo punto, come l’organo ufficiale di quella che è una vera e propria censura parallela” [10] : il Centro Cattolico Cinematografico, nato a metà degli anni ’30 e la cui influenza, sebbene difficilmente quantificabile, è ancora viva ai giorni nostri (pensiamo al caso di Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco). Per quanto riguarda Ultimo Tango, a noi basterà osservare che sarà quasi esclusivamente la stampa cattolica a denigrare la pellicola, sia nel momento della condanna che del dissequestro.
Un’ultima nota per completare il quadro: la censura e la televisione. Secondo la legge 223/90, un film vietato ai minori di anni 18 non può essere trasmesso e quindi, se possibile, bisogna “sforbiciarlo” fino ad abbassare il divieto ai 14, mentre uno vietato ai minori di anni 14 non può andare in onda prima delle 22:30 e dopo le ore sette. Questa regolamentazione si è resa necessaria perché sulle tv private passava tranquillamente di tutto, film “a luci rosse” compresi, anche in prima serata. Vogliamo però rilevare, guardando per un attimo al panorama televisivo odierno dominato dalle fiction per famiglie, come il timore di un divieto ai 14 e la relativa perdita di guadagni legati al passaggio in prima serata, superiori in misura non indifferente a quelli di seconda serata, possa agire come deterrente non secondario, alla produzione di opere di impatto artistico non compatibile con il prime time del focolare domestico (senza addentrarci nel ruolo, in parte riequilibrante, dei mercati dell’home video e delle pay-tv).

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Emblematici, a questo proposito, i recenti passaggi tv di Eyes Wide Shut e Salvate il soldato Ryan, nelle sale entrambi vietati ai minori di 14 anni. Per l’ultimo capolavoro di Kubrick si è, giocando un po’ con il titolo, “chiuso un occhio”, giustificando la messa in onda fuorilegge alle 21 su Italia 1 con la grandezza dell’autore, il tradizionale bollino rosso e l’avvertenza “consigliato a un pubblico di soli adulti”, mentre al film di Spielberg sono toccate come prescritto le 22:30 su Rai 1, dopo che inizialmente né la televisione pubblica né quella privata avevano manifestato l’intenzione di trasmetterlo, visto che in seconda serata i costi per trasmettere un kolossal di tale calibro non sono ammortizzati a sufficienza dagli inserti pubblicitari.
Chiuso questo breve inciso, torniamo ad Ultimo Tango: come è accaduto un anno prima per Nove settimane e mezzo di Adrian Lyne, nel 1988, fresco di grazia, va in onda su Canale 5 alle 21:30, tagliato di quasi sei minuti, preceduto da un dibattito e seguito da un inevitabile strascico di polemiche. Ma, su questi temi, avremo modo di soffermarci più tardi.
Ci sono poi alcuni aspetti della censura come il rapporto tra il sistema della politica, quello mediatico ed economico nel loro complesso, e l’influenza non univoca che essa ha avuto sulla qualità del cinema in generale (su questo punto, interessante e controcorrente è l’intervento di Carmelo Bene riportato in Italia taglia [11]), che sarebbe pretenzioso cercare di riassumere in poche righe.
Ricapitolando, quindi, il caso di Ultimo Tango è il punto di massima rottura, e l’inizio di un serio ripensamento, di un sistema censorio troppo spesso stridente con il fondamento democratico della libertà d’espressione (qualcuno parla di “censura totalitaria” [12] ), ma anche un irripetibile, benché non isolato, racconto del complesso rapporto che s’instaura tra un cinema e una società, nello specifico entrambi figli in rapida crescita dell’Italia post-sessantotto. Un tentativo di esplicitare questo legame, è argomento delle prossime pagine.

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2.Trent’anni di Tango: un modello per misurare il cambiamento

L’ipotesi principale di questo lavoro è l’idea che lo scandalo sollevato dal film di Bertolucci sia riconducibile, in primo luogo, non tanto alla frattura del “comune senso del pudore” (anche se la sentenza di non oscenità dell’87 fa leva proprio sul mutamento di tale ambiguo sentore collettivo, di ciò che è lecito o meno rappresentare), quanto piuttosto sull’enorme divario creatosi, in Italia più che altrove, tra lo spettatore ideale inscritto nell’apparato testuale di Ultimo Tango,e lo spettatore empirico che concretamente ha fruito di tale opera.
Come vedremo meglio in seguito, nel primo caso abbiamo il cinéphile, dotato delle conoscenze e degli strumenti critici necessari per cogliere il messaggio del film, mentre nel secondo una massa di spettatori (oltre 14 milioni, contando solamente quelli di sala) inedita per un film così marcatamente “d’autore” e “difficile”. Con questo, non vogliamo assolutamente sostenere che Ultimo Tango non fosse adatto al grande pubblico, che l’ha seguito e amato nel corso della sua tormentata esistenza: introduciamo soltanto il sospetto che, paradossalmente, il successo commerciale abbia prodotto una sorta di decodifica aberrante supposta [13], in base alla quale la censura abbia operato seguendo un ragionamento del tipo “il popolo italiano non è ancora sufficientemente maturo per assistere a pellicole del genere” [14].
Approfondiremo più tardi questo aspetto cruciale della vicenda, supportando la nostra tesi con un’indagine sul racconto giornalistico, intrecciato dai quotidiani maggiormente impegnati nel caso. Ora, presentiamo invece un modello, utile per comprendere la complessità dell’interazione tra questo film e la società italiana nel corso di trent’anni, e propedeutico per l’analisi del ruolo di Ultimo Tango nella filmografia di Bertolucci e nel cinema dei primi anni Settanta, tema del prossimo paragrafo.
Immagine articolo Fucine MuteIl modello di cui ci serviamo è un noto strumento della sociologia della cultura, ossia il diamante culturale di Wendy Grinswold [15]. Dentro quest’ultimo, vengono messi in relazione con l’Oggetto culturale preso in esame (punto sud del diamante), il suo Creatore (a ovest), il suo Ricevitore (a est) e il Mondo sociale di riferimento (a nord). “Pertanto, una comprensione completa di un dato oggetto culturale”, scrive la Grinswold [16], “richiederebbe la comprensione di tutti e quattro i punti e dei sei legami”. Per ragioni di spazio e di opportunità, noi abbozziamo solamente le caratteristiche fondamentali di tali relazioni.

2.1 Ultimo Tango al cinema

Verso la metà del dicembre 1972, dopo un’anteprima mondiale a New York e una nazionale a Porretta Terme, il film giunge finalmente nelle sale italiane. Questo primo impatto di Ultimo Tango con il pubblico, da subito foltissimo così come anche nelle uscite successive, dopo la sentenza di dissequestro di primo grado del 2 febbraio ’73 e quella ultima dell’87, è descritto nella figura 2.
Come Creatore dell’oggetto culturale indichiamo volutamente soltanto lo sceneggiatore (con Franco Arcalli) e regista Bernardo Bertolucci, per mostrare, in parallelo, l’evoluzione della sua carriera (il successo di Ultimo Tango sarà fondamentale per il lancio nelle grosse produzioni internazionali inaugurate, nel 1976, da Novecento) e le differenze nella ricezione del suo capolavoro-scandalo. A trentadue anni, grazie alla favorevole accoglienza de Il conformista (1970), Bertolucci riesce a trovare in Alberto Grimaldi, già produttore di Pasolini, i finanziamenti per un’opera, che sarà ricordata come l’interpretazione forse più memorabile del titanico Marlon Brando.
Il film ottiene il visto di censura con un taglio di otto secondi (marginali riduzioni nelle scene del primo amplesso e della sodomia), che verrà reintegrato solamente nell’edizione DVD in cofanetto, distribuita dalla Eagle Pictures nel 2002 per il trentennale.
Per quanto riguarda il Ricevitore in questo primo diamante, facciamo solo due notazioni: si tratta di un pubblico ancora indissolubilmente legato a una fruizione in sala dei film (le rivoluzioni del VHS, delle tv commerciali e infine del DVD sono ancora lontane), e ridotto ai maggiori di 18 anni.
Del Mondo sociale, invece, fanno parte un sistema censorio che, come abbiamo visto, vive in crescendo una delle sue stagioni più violente e contestate (“…le pagine degli spettacoli di quegli anni appaiono spesso una mezza appendice della cronaca giudiziaria…”, scrive Tatti Sanguineti [17]) e, di contro, il popolo dei critici, degli intellettuali, dei cinéphiles che difendono fin da subito i film “scomodi” come questo (“Sin d’ora è però da richiamare l’attenzione sulla ricca sostanza artistica del soggetto, anche per sgombrare subito il campo dai sospetti e dalle accuse che il crudo erotismo di certe scene può suscitare in un’Italia dove da troppe parti tornano a levarsi, col pretesto della lotta all’osceno, paurosi inviti alla repressione” profetizza Giovanni Grazzini, critico del Corriere della Sera,nella recensione del 19 ottobre del 1972[18]).

2.2 Ultimo Tango in tv

Immagine articolo Fucine MuteFacciamo ora un salto di sedici anni [19], per assistere alla prima tv di mercoledì 21 settembre 1988, su Canale 5. Tralasciando per ora il dibattito che precede il film, nella figura 3 rileviamo i radicali mutamenti avvenuti nei punti cardinali del nostro schema.
Nel corso di quest’anno, Bernardo Bertolucci riceve ben nove Oscar per il kolossal “L’ultimo imperatore” (girato a Pechino e incentrato sulla vita dell’ultimo sovrano assoluto della Cina, Pu Yi), tra cui quello per la regia, imponendosi così definitivamente sulla scena internazionale come uno dei maggiori cineasti contemporanei.
L’omaggio, e l’astuta operazione commerciale, che la prima tv privata generalista del paese tributa al suo capolavoro “maledetto”, da poco rimesso in circolazione, viene però condotto epurando per intero due scene cruciali all’intelligibilità della storia (la sodomizzazione di Jeanne da parte di Paul e, quella speculare, di Paul da parte di Jeanne, per un totale di circa sei minuti), benché tali modifiche siano state supervisionate da Bertolucci stesso. Ovviamente, la visione è inoltre frammentata dagli inserti pubblicitari.

Il passaggio televisivo riscuote comunque grande successo presso il pubblico della ormai consolidata neo-tv [20], che rispetto a quello cinematografico del decennio precedente è virtualmente più vasto (il divieto è qui solo per i minori di 14 anni), e comincia a sperimentare nuove modalità di fruizione (un’importante edizione in home video sarà quella allegata al quotidiano “L’Unità” nel 1995, per il primo numero di una serie di “Capolavori italiani”).

Anche il mondo sociale non è più lo stesso: per l’industria culturale in genere si parla di “permissivi” anni ottanta, in contrapposizione alle pesanti campagne censorie del decennio precedente. Certo, permangono delle eccezioni come il già citato caso di Salò di Pasolini, protagonista di un’interminabile vicenda giudiziaria [21] che vede, ancora nel 1990, discussioni in merito al valore artistico del film [22], ma l’illuminata riabilitazione di Ultimo Tango rappresenta comunque un segnale decisivo, più che del degrado dei costumi, di una mentalità più aperta e sensibile alle espressioni originali della nostra cultura (anche se, come vedremo, non mancarono delle voci dissonanti).

2.3 Ultimo Tango su DVD

Immagine articolo Fucine MuteArriviamo ora alla sopracitata “edizione speciale” in DVD uscita per celebrare i trent’anni di Ultimo Tango, che si presta ad alcune importanti considerazioni relative al peculiare percorso socioculturale di questa pellicola (vedi figura 4).
La rilevanza del suo autore nel panorama cinematografico mondiale, confermata dalle prove successive (tra cui L’assedio, del’98, che nell’ispirazione si richiama apertamente al nostro film del 1972), è ormai riconosciuta ad ogni livello: il 17 aprile 2002 l’Università di Torino conferisce a Bertolucci una Laurea honoris causa in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo, motivando questa onorificenza con l’ineguagliabile capacità del regista di essere “da un lato “maestro” del cinema “d’autore”, dall’altro “campione d’incassi” nei mercati mondiali” [23].
Tornando al cofanetto contenente “il film più discusso di tutti i tempi, per la prima volta in versione integrale, rimasterizzato in digitale e rimixato in studio in Dolby 5.1”, oltre alla storia di Paul e Jeanne, troviamo un secondo DVD che ricostruisce la vicenda censoria del film, con vari speciali e interviste tra cui l’intervento di Bertolucci alla rassegna “Ladri di cinema” del 1982. Un “extra” essenziale, insomma, per la coscienza delle giovani generazioni, cui per tanto tempo quest’opera è rimasta negata e, nonostante il vasto clamore, misconosciuta.
Ma il punto di maggiore interesse riguarda la possibilità (riservata finora alle sparute platee dei cineforum o delle rassegne cinematografiche) di vedere il film anche in edizione originale, con audio anglo-francese e sottotitoli in italiano. Le differenze rispetto alla versione doppiata non sono trascurabili: perciò, su questo punto, spendiamo subito due parole.
Al di là dell’effetto di cinéma-vérité, l’elemento linguistico gioca un ruolo centrale nella struttura narrativa stessa di Ultimo tango: all’inizio del loro primo incontro la francese Jeanne e l’americano Paul conversano nella lingua madre della ragazza, ma passano poi a quella del personaggio di Brando, a partire dal dialogo in cui decidono di tenere nascosti i propri nomi e le proprie identità sociali. Da qui in avanti, l’inglese americano spiccatamente slang di Paul diventa la lingua dell’autenticità, usata nei dialoghi rivelatori tra i due protagonisti dentro l’appartamento, mentre il francese viene parlato da Jeanne e Paul con i personaggi del “mondo esterno”, quasi fosse la più irrinunciabile tra le convenzioni sociali da cui cercano di sfuggire nella loro intimità.

Chiusa questa parentesi, diamo uno sguardo ai nuovi ricevitori: si tratta di un pubblico che si accosta sempre più numeroso alla tecnologia DVD (passata la fase pionieristica dei primi lettori integrati su personal computer, essa si sta diffondendo esponenzialmente, oltre che su quest’ultimo, come funzionalità opzionale delle console videoludiche e su lettori appositi, lasciando presagire, in ambito domestico, un rapido rimpiazzo dei videoregistratori per VHS); non solo, ma per la caratteristica dei film su DVD di essere corredati da interviste, backstage, note critiche e speciali, possiamo anche parlare di spettatori più consapevoli (e “riflessivi”, citando un termine della sociologia contemporanea), rispetto alla collocazione storico-culturale dell’opera cui assistono.

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Inquadriamo, infine, nel mondo sociale dell’Italia di oggi, un generale ripensamento del concetto stesso di censura, non più intesa come strumento repressivo bensì, e non senza qualche discussione, unicamente nella forma di tutela dei minori. A tal proposito, degna di interesse è l’intervista a Rossana Rummo (Direttore generale Ministero dei Beni Culturali Settore Cinema), presente nel DVD, che offre buoni spunti di riflessione sul significato del divieto ai minori di 14 o 18 anni (vigente tuttora per Ultimo Tango), sul quale possono però persistere alcuni dubbi [24].
In breve: abbiamo delineato l’evoluzione dei quatto poli del diamante, in modo sintetico ma sufficiente a palesare la natura dei legami che li uniscono, ed evitiamo quindi di indugiare ulteriormente nella descrizione di tali rapporti, intuibili senza troppa difficoltà. Ad esempio, è chiaro che mentre il Ricevitore esprime sempre grande consenso nei confronti dell’Oggetto culturale, soltanto con il passare degli anni il Mondo sociale matura un pieno riconoscimento positivo verso quest’ultimo e il suo Creatore (che, se oggi riceve una laurea, nel ’76 per Ultimo Tango si vide condannato, con il produttore e gli attori protagonisti, a due mesi di reclusione con la condizionale, più la perdita dei diritti civili, tra cui quello di voto, per cinque anni).

3 Bertolucci e il cinema secondo “Ultimo Tango a Parigi”[25]

Vediamo ora, delineato il ruolo di Ultimo Tango nell’evoluzione del sistema censorio italiano, e riassunte le principali tappe della vita di questo film, di aggiungere altri elementi alla nostra analisi, spostando l’attenzione sul posto che occupa nel percorso artistico del suo autore, e più in generale nel cinema dei primi anni Settanta.
Sul primo versante, rileviamo la naturale continuità della strategia produttiva di Bertolucci: dalle prime opere a basso costo, a quelle realizzate con il finanziamento pubblico (Partner, del 1968, è prodotto dall’Italnoleggio, mentre Strategia del ragno, del 1970, dalla RAI), fino alla definitiva apertura al grande pubblico con Il conformista, sempre nel 1970. Proprio a partire da questo film, tratto dal romanzo di Alberto Moravia e interpretato da Jean-Louis Trintignant, Bertolucci decide di mettersi in gioco, coniugando il proprio stile colto e autoriale con un sistema produttivo tale da raggiungere le più vaste platee [26]. Due anni dopo, con Ultimo Tango, abbiamo visto come questa scommessa sia stata vinta, ma non senza qualche rischio.

Immagine articolo Fucine MuteAnche dal punto di vista della realizzazione, esistono forti legami con le pellicole precedenti: il regista si avvale dei suoi collaboratori di fiducia, Vittorio Storaro per la fotografia e Franco Arcalli, montatore de Il conformista, per la sceneggiatura, e sembra che per il ruolo principale, in un primo momento, si sia pensato a Trintignant; del resto, la stessa ambientazione parigina deriva da alcune scene de Il conformista [27].

I segni di rottura in Ultimo Tango, quindi, si ritrovano per lo più nell’ambito creativo. Invece di lavorare su un soggetto letterario, Bertolucci parte qui, a differenza delle opere precedenti, da una sceneggiatura originale. Questo, se da un lato gli permette una maggiore libertà d’azione rispetto alla pagina scritta, dall’altro enfatizza i tratti distintivi del suo modo di fare cinema, primo fra tutti una costante intertestualità, che si dibatte tra la citazione più criptica (il salvagente “Atalante”, dal film di Jean Vigo del 1934) e quella più riconoscibile dal grande pubblico (lo sproloquio di Tom sui grandi lovers hollywoodiani dello schermo: Lauren Bacall, Mickey Rooney, Ava Gardner, Kim Novak).
Ritorna qui il discorso sulla complessità, anche per l’occhio dell’esperto, di un film che vive su innumerevoli livelli di lettura, ridotti in commissione di censura, come abbiamo visto, alla pura esibizione di oscenità gratuite. Stefano Socci [28] prova a fare una ricognizione, non esaustiva, dei richiami presenti nella pellicola: oltre a quelli cinematografici (Truffaut, Godard, Rossellini, Visconti,…) e letterari (Bataille, H. Miller, Céline, Sartre, Camus, Bukowski,…), ve ne sono di teatrali (Shakespeare, Beckett), pittorici (F. Bacon), psicanalitici (Freud) e addirittura filosofici (l’estetica del sublime di Kant, Burke e Schiller; l’appartamento di Paul e Jeanne come caverna platonica).
Senza voler entrare nel merito di una disquisizione che si protrarrebbe per decine di pagine, a questo punto è però necessario soffermarsi sulla peculiarità più evidente del film, che lo rende in tutto e per tutto un’opera plasmata ad hoc per lo spettatore cinefilo. Parliamo, cioè, del ruolo meta-filmico degli attori in Ultimo Tango, reso in modo talmente marcato da non avere eguali, forse, nell’intera storia del cinema.

Immagine articolo Fucine MuteA cominciare dalla figura di Marlon Brando, che incarna fisicamente, più che simbolizzare, un’intera cinematografia americana (e, come notato da più parti, il passato avventuroso di Paul nel film rispecchia esattamente quello dell’interprete di un Un tram che si chiama desiderio e Fronte del porto, per fare solo due titoli), e si oppone a quella di Tom-Jean-Pierre Léaud, attore-icona della Nouvelle Vague a partire da I quattrocento colpi di Truffaut [29]. E ancora, l’ex amante della defunta moglie di Paul, Marcel, ha il volto di Massimo Girotti, uno dei grandi interpreti della stagione neorealista italiana, da Ossessione di Visconti del ’42, e in seguito anche attore pasoliniano in Teorema. Oltre questo personaggio, che forse avrebbe meritato più spazio nell’economia del film, almeno a giudicare dal memorabile dialogo con Brando nell’appartamento di Marcel, l’omaggio al neorealismo è ribadito da Maria Michi (la madre di Rosa) e da Giovanna Galletti (la vecchia prostituta). Possiamo, insomma, essere colpiti dalla suggestione che la censura di questa pellicola porti con sé anche la censura di un oceanico passato di celluloide, oltre che del suo presente e del suo futuro. Infine, e proprio perché in mezzo a tutti questi mostri sacri, risalta con chiarezza la “verginità cinematografica” dell’esordiente Maria Schneider, che viene quindi violentata tre volte, fisicamente da Brando e con la macchina da presa da Tom e da Bertolucci stesso.

Abbiamo dunque tratteggiato le caratteristiche di Ultimo Tango volte a supportare le nostre ipotesi di fondo, tralasciando intenzionalmente il discorso sulle tematiche e i meccanismi narrativi, articolati, pure con estrema cura e consapevolezza, nell’apparato testuale del film [30]. Allarghiamo ora lo sguardo, per cercare di cogliere un controverso passaggio della storia del cinema, in cui la pellicola di Bertolucci si è trovata, suo malgrado, invischiata.
Una significativa coincidenza, a nostro avviso, segna la sua uscita: il 1972 è anche l’anno in cui appare Gola profonda di Gerard Damiano, considerato il primo film pornografico moderno, id est commerciale. Come rileva Roberto Silvestri [31], senza peraltro nominare il lungometraggio con Linda Lovelace, i nude-movies dei decenni precedenti erano limitati ad oscuri film giapponesi, agli sperimentalismi di Yoko Ono, a qualche regista underground americano come Russ Meyer e alle rarità in bianco e nero degli anni Venti e Trenta.
In questo senso, si può forse rileggere nel modo più corretto l’interminabile persecuzione subita da Ultimo Tango: come un irrazionale tentativo di cancellare un punto di non ritorno, “una riga oltre la quale sta la terra desolata delle “luci rosse”” [32]. Per rimanere in Italia, basta citare la parabola di Tinto Brass, che dopo film originali e intelligenti come Il disco volante (’64) e Col cuore in gola (’67) sceglie, deliberatamente e con successo, proprio alla fine degli anni Sessanta, di adottare gli stilemi pornografici come parte integrante della propria cifra stilistica, fino all’hard-core più esplicito (Così fan tutte, 1992).
Del resto, la versione integrale di Ultimo Tango negli USA è X-rated, cioè bollata esattamente come blue movie [33]. Eppure, a ben vedere, l’opera di Bertolucci rappresenta quasi l’antitesi di un film pornografico. Laddove in quest’ultimo viene mortificata ogni tappa della sua realizzazione, dal copione al montaggio, dalla regia alla produzione, dall’interpretazione alla fotografia e via dicendo, per esaltare l’atto sessuale in sé e per sé, in Ultimo Tango il percorso è opposto: gli amplessi e le nudità della Schneider sono soltanto un tassello del mosaico narrativo, costruito minuziosamente per far emergere al meglio le doti di tutti i professionisti che vi partecipano (oltre a quelli già citati, è doveroso ricordare la colonna sonora jazz di Gato Barbieri e la scenografia di Ferdinando Scarfiotti).

Immagine articolo Fucine Mute

Ha ragione Fernaldo di Giammatteo, dunque, quanto afferma che “la censura nazionale (…) non s’avvede che la sfida [del film] è ripiegata su se stessa, e non minaccia nessuno. Il nuovo linguaggio che Bertolucci dispiega sullo schermo (…) è il linguaggio dell’inconscio”[34]. In altre parole, Ultimo Tango sconta la classica maledizione di tutte le opere in largo anticipo rispetto ai propri tempi, quella di dover aspettare anche più di un decennio, per vedere riconosciuto unanimemente il proprio valore. E, non lo neghiamo, la censura almeno in due sensi ha giovato alla pellicola: oltre ad ingigantirne la popolarità, ha stimolato un’attenzione critica senza precedenti nei suoi confronti, permettendo alle nuove generazioni di accostarsi ad essa, non come a uno dei tanti filmetti di contestazione più o meno osé degli anni Settanta, ma come a una “summa del cinema d’autore”[35], dove confluiscono in modo innovativo le esperienze più disparate (Chessa richiama quelle della Nouvelle Vague, del cinéma-vérité e del cinema hollywoodiano, ma l’elenco potrebbe estendersi a Jean Renoir, al neorealismo tout court, al Fellini de La dolce vita e di Otto e mezzo, allo stesso Pasolini, ex maestro di Bertolucci sul set di Accattone).

Ritorniamo, a questo punto, alla censura nostrana di Ultimo Tango. Abbiamo dettato le coordinate essenziali per inquadrare le probabili motivazioni che hanno condotto alla sua feroce repressione. Ma, in concreto, come si è svolto il dibattito intorno a questo film? Quali sono le tematiche culturali e sociali nascoste sotto di esso? In che modo, è possibile ricostruire il racconto mediatico che ha scandito il suo interminabile processo?
A queste e ad altre domande, cerca di dare risposta l’analisi che sarà presentata nei paragrafi seguenti.

fine prima parte

Note


[1] D. Liggeri, Mani di forbice. La censura cinematografica in Italia, Alessandria: Ed. Falsopiano, 1997, pag. 147. Da notare come capeggi, sulla copertina di questo volume, una fotografia dello stesso Bertolucci (peraltro attaccata, in un improbabile collage, sul décolleté di Sharon Stone), mentre su quella di Italia taglia (vedi nota 2) c’è uno scatto di scena di Ultimo Tango con Brando e la Schneider, a testimonianza dell’indiscutibile trono occupato da questo film nell’affollatissima corte della censura cinematografica italiana.


[2] T. Sanguineti (a cura di), Italia taglia, Milano: Editori associati (coll. Transeuropa), 1999.


[3] op. cit.


[4] G. P. Brunetta, Storia del cinema italiano, Roma: Editori riuniti, 1993.


[5] in A. Baldi, Lo sguardo punito: film censurati, 1947-1962, Roma: Bulzoni editore, 1994.


[6] a questo proposito, impossibile non evocare la calligrafica e per molti versi straordinaria parodia Ultimo Tango a Zagarol (1973), di Nando Cicero con Franco Franchi, che, circolando liberamente mentre l’Ultimo Tango originale andava verso la messa al bando, ha sicuramente contribuito in qualche misura a ribadire l’importanza e la popolarità del film di Bertolucci.


[7] nello stesso anno, con escamotage cinefilo, il grande regista tedesco da poco scomparso viene omaggiato nella manifestazione “Ladri di cinema”, come il mittente della copia di Ultimo Tango proiettata clandestinamente durante la stessa.


[8] in Mani di forbice, op. cit., pag. 151-3.


[9] in Mani di forbice, op. cit., pag. 163.


[10] in Italia taglia, op. cit., pag. 236.


[11] “(…) Poiché non si può censurare il veramente osceno, ripeto: non offendeteci, non toglieteci questa benedetta repressione.”, pag. 49.


[12] J.F. Revel, La nuova censura: un esempio di come si instaura la mentalità totalitaria, Milano: Rizzoli, 1978.


[13] parafrasando qui il noto concetto semiotico introdotto da Umberto Eco. Vedi, tra gli altri, G. Marrone, Corpi sociali: processi comunicativi e semiotica del testo, Torino: Einaudi, 2001, pag. 43-46.


[14] parole che sembra siano state pronunciate da un censore contro Salò di Pasolini, e riportate in Mani di forbice, op. cit., pag. 16215 in W. Grinswold, Cultures and Societies in a Changing World, Thousand Oaks, California: Pine Forges Press, 1994 (trad. it. Sociologia della cultura, Bologna: Il Mulino, 1997).


[16] op. cit., pag. 31 dell’edizione italiana


[17] in Italia taglia, op. cit., pag. 212.


[18] raccolta in G. Grazzini, Gli anni Settanta in cento film, Roma: Laterza, 1976, pag. 172.


[19] in realtà, avremmo potuto costruire almeno un altro diamante intermedio, relativo alla proiezione “clandestina” del 1982, durante la manifestazione “Ladri di cinema”: in questo caso, a fronte di un Bertolucci acclamato dai presenti maestro di cinema, avremmo avuto a nord l’Italia inizio anni ’80, a sud il film in edizione originale (cioè con audio anglo-francese e sottotitoli in italiano), e a est la ristretta platea di cinefili, entusiasti spettatori di questa proiezione “a sorpresa”. Ma, proprio per il carattere ridotto del Ricevitore, suggeriamo questa costruzione soltanto in nota, concentrando l’attenzione sulle situazioni in cui l’opera incontra il grande pubblico.


[20] celebre definizione coniata da Umberto Eco per descrivere, nella sua accezione storica, il nuovo assetto concorrenziale determinato dall’emergere delle tre tv private berlusconiane su scala nazionale, in opposizione alla paleo-tv del precedente regime monopolistico della Rai. Sempre in Corpi sociali, op. cit., pag. 52-55.


[21] riassunta in Italia taglia, op. cit., pag. 218-30.


[22] che resta “una persistente esaltazione di assurde ed aberranti deviazioni sessuali che non offendono soltanto il comune senso del pudore, ma i più elementari principi del rispetto (sic) della persona umana”, secondo la sentenza del 6 dicembre 1990 della Commissione di revisione di I° grado.


[23] vedi il “Dossier Bernardo Bertolucci” pubblicato nel numero monografico de La Valle dell’Eden, anno IV, n. 10/11, maggio – dicembre 2002, Torino: Lindau 2002, pag. 9.


[24] sempre nel caso di Salò di Pasolini, in un ricorso della PEA al Tar del Lazio del 2 maggio 1991 (contro il parere della Commissione d’Appello di Revisione Cinematografica che sanciva il divieto per i minori di 18 anni), si legge che “Oggi Pasolini si studia, a seconda dei programmi, negli ultimi due anni dell’antico ginnasio superiore, se non addirittura nelle scuole medie inferiori, e negli anni del liceo; lo studiano quindi anche i minori degli anni 14”. In Italia taglia, op. cit., pag. 229.


[25] il titolo di questo paragrafo è ripreso dal documentario di Gianni Amelio Bertolucci secondo il cinema, girato nel 1976 sul set di Novecento di Bertolucci.


[26] su questo punto vedi Franco Prono, Bernardo Bertolucci: il conformista, Torino: Lindau, 1999, pag. 15.


[27] vedi, per esempio, l’intervista a Bertolucci pubblicata nello “Speciale Ultimo Tango a Parigi” della rivista Segnocinema, anno XXII, n. 113 gennaio – febbraio 2002, Vicenza, 2002, pag. 15-16.


[28] in S. Socci, Bernardo Bertolucci, Milano: Il castoro, 1996, pag. 49-55.


[29] tra l’altro, se all’inizio il personaggio di Tom, maldestro regista di un film per la tv, e dunque scadente per definizione (pasoliniana), è nettamente perdente nei confronti del vagabondo americano, nel triangolo amoroso con Jeanne risulterà vincitore proprio in extremis soltanto con la morte di Paul.


[30] su questo, ricca d’interesse è l’analisi di María José Moore La estructura narrativa en “Último tango en París”, reperibile in rete all’indirizzo http://www.otrocampo.com/2/bertolucci.html


[31] nello speciale di Segnocinema n. 113, op. cit., pag. 26-27.


[32] G. P. Brunetta, Storia del cinema italiano, op. cit., quarto volume, pag. 32.


[33] mentre, in edizione integrale, risulta vietato ai minori di 18 anni in Argentina, Cile, Finlandia, Italia, Norvegia, Portogallo (dove tra il ’73 e il ’74 era bandito), Regno Unito (dove originariamente era X-rated); ai minori di 16 in Francia e Germania; ai minori di 15 in Svezia. Fonte: www.imdb.com


[34] F. di Giammatteo, Lo sguardo inquieto: storia del cinema italiano (1940-1990), Firenze: La Nuova Italia, 1994, pag. 299.


[35] l’espressione è di Jacopo Chessa, dal suo saggio Un tango a tre livelli nella casa del cinema, contenuto in La Valle dell’Eden n. 10/11, op. cit., pag. 131.

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