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Cinema

L’affaire ‘Ultimo tango a Parigi’ (II)

4. Un Tango a quattro tempi

Immagine articolo Fucine Mute“La battaglia di Tango non fu solo battaglia legale, fu soprattutto guerra di retrovie cartacee”, ci avverte Tatti Sanguineti [36]. In effetti, se era ormai prassi consolidata, quella di basare la difesa in aula di un film contestato sulle recensioni favorevoli della stampa italiana ed estera, nel nostro caso l’attenzione tributata dai giornali ci appare oggi senza precedenti, e sarebbe impossibile rintracciare tutti i giudizi, più o meno autorevoli, espressi sull’affaire Ultimo Tango nel corso degli anni Settanta e Ottanta.  

Alcuni di questi hanno avuto grande risonanza, e non poche conseguenze. Ne citiamo due, apparsi all’uscita del film: quello di Pauline Kael, critica del New Yorker, e quello di Domenico Meccoli, del settimanale Epoca. La prima (forse più per amore di Brando, che di Bertolucci) lo paragonò, per forza artistica e innovativa, alla “Sagra della primavera” di Stravinsky; il secondo, invece, espresse qualche velata riserva. Risultato: la valutazione della Kael fece il giro del mondo, anche sui manifesti pubblicitari del film, e ancora oggi Bertolucci la ricorda con orgoglio e quasi con affetto; quella di Meccoli, che fu portata a supporto di una sentenza di condanna della pellicola, dovette essere prontamente smentita dallo stesso autore, e lacerò la coscienza dei critici: non era dunque possibile esprimere un legittimo parere negativo su un film, senza dare involontariamente man forte all’odiata censura.

Come si può osservare da questo breve inciso, l’impatto di Ultimo Tango sui mezzi di comunicazione di massa e sul tessuto sociale difficilmente può esaurirsi nella descrizione di cui è oggetto il nostro lavoro. Nondimeno, tentiamo adesso di fornirne uno scorcio, sperando che risulti quanto più possibile indicativo.
Abbiamo concentrato la nostra analisi su quattro momenti topici della vita della pellicola (tralasciando, per ragioni di opportunità, altre date importanti [37], come quelle della prima newyorchese del 14 ottobre 1972, di quella nazionale del 15 dicembre dello stesso anno, o della sentenza di assoluzione del Tribunale di Bologna del 2 febbraio 1973). Sono, in ordine:

  • 29 gennaio 1976: dopo alterni gradi di giudizio, la Cassazione emette la sentenza definitiva: tutte le copie della pellicola rimangono confiscate, e devono essere distrutte insieme ai negativi.
  • 26 settembre 1982: una proiezione clandestina del film di Bertolucci, durante la manifestazione “Ladri di cinema”, riapre un nuovo processo contro gli organizzatori della rassegna, e riaccende il dibattito intorno ad Ultimo tango a Parigi.
  • 9 febbraio 1987: una nuova sentenza, basata su una perizia di esperti, dichiara il film non osceno, e pertanto può essere rimesso in circolazione.
  • 21 settembre 1988: una versione ridotta e “formato famiglia” di Ultimo Tango va in onda, alle 21:30, sulla principale rete televisiva commerciale del paese, Canale 5.

Immagine articolo Fucine Mute

Questi, a nostro avviso, gli eventi focali della vicenda della pellicola, che in successione rispecchiano casualmente la struttura narrativa della commedia classica, o forse sarebbe meglio dire di quella all’italiana: dal brutto colpo iniziale della condanna, passando per l’avventuroso sotterfugio della proiezione non autorizzata, arriviamo al lieto fine della “liberazione” e alla (questa sì, tutta italiana) “incoronazione” televisiva a film di tutti e per tutti, fenomeno sociale e di costume. Quello che è interessante, però, in questo semplice schema, è la rilevanza che una configurazione di tal genere assume nel racconto della carta stampata, incline a dare spazio a un caso tanto protratto nel tempo, solamente se ogni singolo evento che lo scandisce rappresenta qualcosa di unico e nuovo, ma nel contempo carico di legami col passato e foriero di conseguenze per il futuro. Condizione, questa, rispettata troppo debolmente, ad esempio, dalle varie e provvisorie tappe del processo anteriori al 1976.

Assodato ciò, quali sono i media che abbiamo deciso di indagare, per cogliere quante più possibili sfaccettature, nelle argomentazioni usate per comunicare questi fatti? La scelta è caduta su alcuni dei principali quotidiani italiani a diffusione nazionale, da un lato per cogliere le immediate reazioni agli eventi, dall’altro per seguire l’evolversi dell’affaire Ultimo Tango sui medesimi organi di informazione, anche a distanza di più di un decennio. 

Abbiamo dunque considerato:

  • Il Corriere della Sera, il maggiore quotidiano del paese, di orientamento tradizionalmente neutrale, ma in questo caso attivamente impegnato nella vicenda, con il suo critico Giovanni Grazzini, inviato alla prima di New York e tra l’altro anche Presidente del Sindacato di categoria (SNCCI);  
  • L’Unità, giornale del Partito Comunista Italiano, che lega indissolubilmente il nostro caso a quello, già citato, di Salò di Pasolini;
  • L’Osservatore Romano, organo ufficiale della Santa Sede, che nel 1976 pubblica un celebre corsivo di plauso all’azione della censura contro Salò;
  • Il Popolo, quotidiano della Democrazia Cristiana, cioè del “partito di maggioranza relativa”, che sempre nel ’76 riporta per intero il sopracitato corsivo;
  • L’Avvenire, quotidiano cattolico, che consideriamo in quanto riprende le posizioni dell’Osservatore Romano e del Popolo, sui quali, rispetto agli ultimi tre eventi della nostra lista, non viene spesa nemmeno una riga.  

Tutti gli altri quotidiani nazionali, compresi quelli di destra, si attestano sostanzialmente sulle posizioni del Corriere della Sera, con un coro di proteste al sequestro del film, e di assenso al suo “rilascio”.
Un’ultima annotazione: nel corso dell’analisi gli articoli saranno citati, in relazione all’elenco posto in fondo a questo saggio, con la sigla del giornale di appartenenza (CS = Corriere della Sera; UN = L’Unità; OS = L’Osservatore Romano; PO = Il Popolo; AV = L’Avvenire) e la data.

4.1  Atto primo: “Il rogo”, 29/1/1976 

Immagine articolo Fucine MuteDopo il consueto alternarsi di sequestri e dissequestri, a poco più di tre anni dall’uscita nelle sale italiane arriva dunque la sentenza definitiva della Cassazione: confisca e distruzione di tutte le copie, compresi i negativi. Così, ecco esplodere il vero e proprio caso Ultimo Tango.

Le ripercussioni sulla stampa sono notevoli: per circa una settimana, a partire da questa fatidica data, sia Il Corriere della Sera che L’Unità danno ogni giorno ampio spazio all’evento e ai suoi sviluppi; vediamo come, partendo dal primo.
Già dal numero del 30 gennaio, Il Corriere imposta una linea interpretativa di grande durezza: all’apertura in prima pagina, con la notizia della condanna, segue un lungo articolo negli spettacoli. “Distruggere la pellicola di un film è soltanto una prova di debolezza di fronte alla libertà. (…) All’estero Ultimo Tango continuerà ad essere proiettato. Teniamoci questa patente di inferiorità collettiva. Forse nelle città straniere, per incuriosire il pubblico, scriveranno sui manifesti: «Vietato ai minori di 18 anni e agli italiani»” (CS 30/1). Come si vede da questa battuta, i richiami alle forme di censura dei totalitarismi nazifascisti non sono poi tanto velati. Diventano invece del tutto espliciti, nella “lettera aperta” di Bertolucci, pubblicata anche dagli altri quotidiani nazionali [38]: “Signori, magistrati, moralizzatori: vorrei sapere in quale forno crematorio sarà bruciato il negativo di ‘Ultimo tango a Parigi’. Con la vostra sentenza avete mandato in campo di sterminio le idee al posto di alcuni milioni di spettatori adulti, gli stessi che si sono guadagnati il diritto di votare, di scioperare e di divorziare, colpevoli di avere amato, odiato o comunque di avere visto ‘Ultimo tango a Parigi’. Ma non fatevi illusioni: nell’Italia del 1976 siete soltanto una minoranza in via di estinzione storica, naturale, biologica. Auspicando su di voi la benedizione del cardinal Poletti, vostro Bernardo Bertolucci”.

In seguito, quest’ultimo suggerisce provocatoriamente di bruciare il suo film sulla piazza di Roma, dove nel 1600 perì sul rogo Giordano Bruno. Restando in tema di richiami immaginifici, forse nessuno evocò quello più calzante, e cioè Fahrenheit 451 di Truffaut, che come ogni buona opera di fantascienza, tratta dal romanzo di Bradbury, sembra anticipare la realtà di dieci anni. Laddove nella pellicola del regista francese i pompieri, invece di spegnere gli incendi, bruciano i libri, nell’Italia degli anni Settanta i magistrati, invece di proteggere i film, li gettano tra le fiamme, avrebbe potuto scrivere qualche arguta penna dell’epoca.          
Questo intervento ipotetico è però sul tono di quello, reale, di Giovanni Grazzini, che il giorno dopo titola, in prima pagina, “Torniamo ai secoli dei roghi”. Con una nuova sentenza di sequestro anche per il Salò di Pasolini, il critico del Corriere paragona i censori ai gerarchi del Cremlino (tra l’altro, i costumi dei pompieri in Fahrenheit 451 sembrano rifarsi proprio alle loro divise), e scrive: “Ultimo Tango e Salò non sarebbero stati presi di mira se la loro qualità fosse stata la stessa di tanti filmetti imbecilli, se non avessero contenuto un’implicita denuncia contro certi tabù e contro la permissività del potere” (CS 31/1). La tesi di una censura “a rovescio”, che ostacola i film di spessore e lascia libera circolazione a quelli di basso profilo, come abbiamo visto non è del tutto fondata, ma non si può negare che una persecuzione nei confronti dei primi, piuttosto che dei secondi, crei comunque maggiori proteste e allarmismi.

Immagine articolo Fucine MuteIn tale data abbiamo anche un articolo di Remo Cianfanelli, a pagina sei, che commenta il costoso e inutile processo appena svoltosi in Inghilterra contro il libro “Inside Linda Lovelace”, dichiarato non osceno; lo citiamo perché supporta un’argomentazione implicita già nel Corriere del giorno prima, e cioè la diversa sensibilità già maturata negli altri paesi occidentali, nei confronti delle opere scabrose. In effetti, l’unico altro paese dove Ultimo Tango fu bandito alla sua uscita (e poi riabilitato) è il Portogallo, con il piccolo particolare che nel paese iberico c’era una dittatura di stampo fascista, caduta soltanto nel marzo del 1974.

Il primo febbraio, la terza apertura in prima pagina di seguito. Questa volta, la notizia del giorno è l’appello di Bertolucci al Presidente della Repubblica Leone, con tanto di domanda di grazia. Il regista denuncia la persistente antinomia tra il codice penale Rocco, “espressione dei più alti ideali del fascismo”, e l’articolo 21 della Costituzione. Non senza una certa dose di ironia, l’avvocato Giovanni Massaro suggerisce che, per dare più forza al suo j’accuse, il regista avrebbe potuto rifiutare la condizionale e farsi due mesi di galera. Stizzito, due giorni dopo Bertolucci darà contro al Corriere, per aver pubblicato un parere tanto audace.

Nei giorni seguenti, emergono gli altri attori che s’impegnano da subito a difendere a spada tratta Ultimo Tango e Salò: la Biennale di Venezia, che provvederà a mettere al sicuro una copia di ciascuno nella propria cineteca (CS 2/2); il Sindacato nazionale critici cinematografici, che riprende il leit-motiv della protesta dichiarando “Nel caso di Ultimo Tango, la Magistratura si è allineata, nella sostanza e nelle conseguenze, sulle stesse posizioni dei nazisti che giudicando degenerate la maggior parte delle opere d’arte contemporanee le condannavano alle fiamme” (CS 3/2); i Radicali, che promettono proiezioni di sfida in pubblico (CS 4/2). In ogni caso, come dispone l’articolo 49 delle norme di attuazione del Codice di procedura penale per le cose artistiche da mettere nel museo criminale (!), per ora il film di Bertolucci viene paradossalmente segregato in cineteca “per fini di studio”, ammettendone quindi il valore artistico, ma non la possibilità che questo possa essere condiviso dal pubblico.

Nel crescendo della protesta, c’è anche spazio per un eroe solitario. Si tratta di un redattore del giornale Momento Sera, Giorgio Polacco, licenziato perché, a commento degli ultimi avvenimenti, aveva scritto: “Dio che vergogna essere italiani”. Insorgono quindi la Federazione Stampa, il Sindacato e i suoi colleghi, da subito in sciopero (CS 5/2), mentre Momento Sera si difende affermando che una frase del genere non è accettabile, in un quotidiano che si contraddistingue per la sua fiera (sic) “italianità”.

La contestazione che traspare dalle pagine del Corriere, coerentemente con la sua identità editoriale, è dunque piuttosto accesa, sebbene puntuale e composta, come d’abitudine nel “quotidiano della borghesia”. Non di meno, la prolungata attenzione che mantiene nell’arco della nostra settimana d’analisi, è per molti versi inedita e significativa di un periodo di ineludibili scontri culturali e sociali, destinati a sfociare anche nella violenza (nel 1976 le BR e Prima Linea uccidono ben otto persone).

Prevedibilmente, i toni usati da L’Unità sono assai più battaglieri e politicizzati, e mettono apertamente a fuoco alcuni temi scomodi, soltanto sfiorati dal Corriere.
Andiamo con ordine. Nel giorno seguente la condanna, abbiamo un’apertura in prima pagina con la notizia, il rimando alla suddetta lettera di Bertolucci negli spettacoli, e il commento a questa decisione “contro la maturità degli italiani, la storia, la logica e il senso comune” (UN 30/1).

Immagine articolo Fucine MuteMa, come abbiamo anticipato, la polemica prende quota a partire dal 31 gennaio, quando, in relazione alla conferma del sequestro di Salò di Pasolini, L’Unità comincia a parlare di “sentenze oscurantiste” e “unanime sdegno per la repressione censoria”. Un passaggio dell’articolo pubblicato a pagina nove è oltremodo interessante. La tesi del PM D’Amelio, accolta dalla prima Sezione del Tribunale penale di Milano, nomina esplicitamente l’opera di Bertolucci: “Se si è decisa la distruzione per Ultimo Tango, che non era niente rispetto a Salò, a maggior ragione si deve condannare il film di Pasolini” (UN 31/1). C’è dunque una diretta conferma che, pur in mezzo a mille contraddizioni, l’azione della censura negli anni Settanta non disdegna, all’occasione, di compattarsi strategicamente. In questo numero, il quotidiano comunista presenta inoltre i nuovi attori che si aggiungono alla protesta: l’ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) e la SAI (Società Attori Italiani). Nomina, infine, lo schieramento de Il Messaggero e de Il Corriere della Sera.

Osservare e censire le posizioni della stampa italiana diventa poi una delle linee guida, di come L’Unità articola il proprio racconto degli avvenimenti. Nell’editoriale di Aggeo Savioli, con toni molto diversi da quello di Grazzini sul Corriere, si attacca da subito L’Osservatore Romano, “unico fra quanti giornali si stampano in Italia, [che] abbia plaudito all’azione repressiva della Magistratura” (UN 1/2). La controversia si accende ulteriormente, quando si verifica che “mentre anche i quotidiani di destra (es. Il Tempo di Roma) danno spazio alle proteste contro la censura di Ultimo Tango e Salò, domenica, come L’Osservatore Romano, anche Il Popolo, «foglio ufficiale del partito di maggioranza relativa», dopo due giorni di silenzio, ha riportato vistosamente il corsivo dedicato al caso di Salò dell’organo di oltre Tevere” (UN 3/2). Segue, all’indomani, un articolo di risposta del quotidiano democristiano, che, lo vedremo tra breve, è indicativo del peso storico del nostro caso, al di qua e al di là dei dibattiti etici, morali ed estetici.

Una seconda direttiva, lungo la quale si muove L’Unità, è l’enfasi posta sull’azione, più che sulla parola, per dare efficacia al dissenso nei confronti dell’operato dei censori. Le espressioni sono quelle consolidate nell’ideologia del vecchio PCI: “Impegno di lotta dei cineasti e dei lavoratori” (UN 1/2), “Forte azione di protesta del Sindacato critici” (UN 3/2), “La lotta contro l’attacco oscurantista” (UN 4/2). A parte gli accenni di retorica, lo stesso critico del Corriere Giovanni Grazzini sottolinea, qualche mese più tardi [39], “che il rituale delle proteste verbali ha stancato un po’ tutti”, nella sua sostanziale mancanza di risultati. Posizione questa da non fraintendere, nel contesto drammatico degli anni di piombo, poiché corretta nel profetizzare che una spinta decisiva, nella riapertura del caso Ultimo Tango, verrà piuttosto dalle proiezioni pubbliche dei Radicali e dei promotori di “Ladri di cinema”, che dai fiumi di parole versate negli anni a sostegno del film. 

Immagine articolo Fucine MuteTerzo elemento, peculiare del giornale “degli operai e dei lavoratori”, è quello di accentuare le valenze politiche. Si riporta uno stralcio di una dichiarazione firmata dall’intera troupe (tra cui Marcello Mastroianni, memore della persecuzione contro La dolce vita) del film di Elio Petri Todo Modo: “Lotta per il lavoro e lotta per la libertà di espressione sono indivisibili: si bruciano i film, poi si bruceranno i contratti di lavoro. (…) La sentenza contro Ultimo Tango deve far riflettere tutti i democratici, tutti i lavoratori sulla necessità di condurre di pari passo la lotta per cambiare le strutture economiche capitalistiche e la lotta per cambiare le sovrastrutture: prima di tutto l’ordinamento giuridico” (UN 1/2). Sulle pagine del loro quotidiano di riferimento, non possono mancare voci dal versante comunista del mondo politico stesso, non di rado accusato, in toto, di non prestare la dovuta attenzione all’annoso problema della censura[40]: abbiamo la presa di posizione della FGCI, Federazione Giovanile Comunista Italiana di Roma (UN 3/2); le critiche di Lello Basso, senatore e giurista comunista, alle “ingerenze del Vaticano nelle cose italiane” (UN 4/2) [41]; il “passo ufficiale” del PCI medesimo, che nella veste del responsabile dei suoi deputati Franco Coccia, sollecita la discussione in aula della “proposta di legge comunista per l’abolizione della censura amministrativa sul cinema” (UN 5/2).     

Per chiudere la nostra panoramica su L’Unità, il 5 febbraio, oltre allo sdegno per il licenziamento di Giorgio Polacco, riportato anche dal Corriere, rileviamo, a pagina nove, un caso di tematizzazione sui generis. Infatti, mentre di solito questo termine indica l’inferenza di una macro-tematica, compiuta dal lettore a partire dall’accostamento di determinate notizie sulla stessa pagina, e unite da un filo conduttore più o meno esposto, in questa circostanza, evidentemente per la forte connotazione pedagogica del contratto di lettura che lega un quotidiano di partito coi suoi destinatari, l’argomentazione di fondo è, persino a livello grafico, del tutto manifesta. Un eloquente occhiello, “Allarmante crescendo della campagna oscurantista”, campeggia cioè sopra ben cinque diversi articoli, tra cui un nuovo attacco a Il Popolo (la cui risposta alla provocazione di due giorni prima è bollata come “vaneggiamenti isterici”), il bollettino degli ultimi sequestri (Bordella di Pupi Avati, Kitty Tippel di Paul Verhoeven, il lungometraggio a cartoni animati Tarzoon la vergogna della giungla e il pruriginoso I desideri di Emmanuelle) e il blocco della programmazione, al cinema “Verdi” di Nervi, di Ultimo Tango, da parte del “privato cittadino” Sossi, “magistrato che venne rapito dalle cosiddette (sic) Brigate Rosse” (UN 5/2).

Abbiamo fin qui esaminato i tratti distintivi della copertura mediatica del “rogo”, da parte de Il Corriere della Sera e de L’Unità. Come sottolinea quest’ultimo, con diverse sfumature e nella quasi totalità anche gli altri quotidiani nazionali si sono uniti, o perlomeno hanno dato spazio, alla protesta contro la condanna del film. Eppure, essa rimane comunque una sentenza espressa dalla Cassazione, una delle più alte istituzioni dello Stato italiano. Qualcuno, perciò, dovrà pur levarsi a difenderla. Vediamo chi e con quale strategia comunicativa.

L’Osservatore Romano, in realtà, dedica in modo diretto al film di Bertolucci soltanto un trafiletto in ultima pagina, sotto “notizie italiane”, astenendosi da ogni commento e notificando, testualmente, “Definitiva la condanna per Ultimo tango a Parigi ” (OS 31/1).

Ma ci sono almeno due articoli, pubblicati nei giorni successivi alla chiusura del processo, in mezzo al clamore nazionale appena descritto, che è impossibile non ricollegare al nostro caso.

Il primo appare lo stesso giorno del breve articolo sopra citato, e porta il titolo emblematico “Come promuovere il cinema migliore”, di Sergio Trasatti. L’autore si chiede “come lo Stato può intervenire efficacemente nella promozione del cinema migliore, il che rimane l’unico sistema valido per scoraggiare, nello stesso tempo, il cinema meno meritevole?” (OS 31/1). Ipotizzando che la risposta a tale interrogativo sia affidata agli ultimi eventi, sorge qualche dubbio in merito all’efficacia dell’intervento censorio dello Stato. A parte ogni considerazione sulla libertà d’espressione e dell’arte, ribadiamo  soltanto, su un livello più prosaico, che in un sistema produttivo fragile come quello italiano, sanzionare un film confiscando gli incassi passati e impedendo quelli futuri (giacché, alla fine, questo s’intende col termine di censura cinematografica), qualunque sia la qualità (e il metro di giudizio di tale qualità) della pellicola, il danno ricade in ogni caso sull’intero cinema italiano, scoraggiando in primo luogo i produttori, spesso coraggiosi e con pochi mezzi, del “cinema migliore”. Del resto, tornando a Bertolucci, abbiamo visto che è lo Stato stesso ad aver prodotto alcune delle sue opere giovanili, prima di condannare al rogo, contraddittoriamente, quello che per molti rimane il suo capolavoro.

Il secondo pezzo è il noto corsivo a commento della condanna di Salò di Pasolini, ma, in modo palese, esso si riferisce tanto a questo film quanto ad Ultimo Tango (contribuendo a sovraccaricarlo di significati sociali e politici, di certo meno marcati, rispetto all’opera postuma del geniale poeta, narratore e regista tragicamente scomparso). Ecco i passaggi più rilevanti del testo (il corsivo è nostro): “La Costituzione della Repubblica Italiana pone unico limite alla libertà di espressione il rispetto del buon costume e il Codice Penale italiano all’art. 528 considera [il] reato d’oscenità. (…) Parlare di roghi, di ritorno al medio evo, di retrocessione del livello civile del popolo italiano, privato della possibilità di assistere sul grande schermo a ributtanti sconcezze e vergognose turpitudini spinte fino alla disperazione dell’abiezione (comunque ispirate o finalizzate nell’intenzione dell’autore) è indice di quella «perdita dei valori» di cui paradossalmente parla un critico apologista. (…) Se la cultura abdica al suo ruolo critico, non è la libertà a guadagnare ma i «gruppi di potere» del denaro o della sovversione. (…) Non è superfluo ricordare che la incidenza di un libro si esercita su lettori selezionati e dotati; ma lo schermo parla a platee indiscriminate, anche immature, anche incolte ” (OS 1/2).

Immagine articolo Fucine MuteQueste ultime righe, con il raffronto tra libri e pellicole, meritano almeno una riflessione. Nel suo 17° Quaderno dal carcere, Gramsci espone la conosciuta tesi sul fallimento della narrativa italiana, poco frequentata dal grande pubblico, al contrario per esempio di quella francese, a causa degli intellettuali troppo estranei ai problemi del popolo. Spostando tale giudizio, che abbiamo sintetizzato con notevole approssimazione, dalla letteratura al cinema, osserviamo con quanta debolezza possa essere applicato. Infatti, tra i registi italiani che con maggiore attenzione e verosimiglianza si sono interessati ai “problemi del popolo”, spiccano senza dubbio i vari Rossellini, De Sica e Visconti della stagione neorealista, ai quali però in patria è stato tributato uno scarsissimo successo di pubblico. Autori successivi come Pasolini e Bertolucci, che invece sono (dichiaratamente nel caso del secondo, meno nel caso del primo) più consapevoli dell’ineluttabilità della componente spettacolare nella macchina-cinema, quando decidono di “andare al popolo” (usando l’espressione gramsciana), e il popolo finalmente risponde, e mai con tanta partecipazione quanto per Ultimo Tango, vengono quasi incredibilmente bloccati dallo Stato. 

Per quanto riguarda infine la condanna delle “ributtanti sconcezze e vergognose turpitudini”, a prescindere dalle intenzioni del regista e quindi dal contesto della sua opera, L’Osservatore Romano rispecchia qui chiaramente le posizioni dell’istituto censorio stesso, dando una misura dell’influenza degli ambienti cattolici su quest’ultimo.

Ne abbiamo un’ulteriore conferma se analizziamo, ora, la strategia seguita da Il Popolo. Anziché assumere una linea autonoma sul caso, il quotidiano DC, come evidenzia L’Unità, dopo due giorni di silenzio sceglie di pubblicare per intero il suddetto corsivo del giornale della Santa Sede. In senso lato, quindi, ad Ultimo Tango non dedica nemmeno l’informazione telegrafica riportata dall’Osservatore.

Bisogna aspettare una settimana dopo la sentenza, per veder apparire la notizia che, “con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia”, tre copie del film di Bertolucci saranno conservate in cineteca (PO 5/2). In mezzo al fragore delle proteste e al turbinare degli eventi, la scelta di menzionare unicamente questa decisione del governo, indica, da parte del quotidiano più vicino all’esecutivo, una manifesta convinzione nell’efficacia “riparatoria” del decreto salva-Tango, posizione questa ovviamente poco condivisa dagli altri organi di stampa.

Immagine articolo Fucine MuteSulla stessa pagina, c’è poi la risposta all’attacco de L’Unità: “Abbiamo sempre chiesto”, scrive Paolo Valmarana, “la abolizione della censura amministrativa. (…) Lezioni di civiltà, di tolleranza e di democrazia sono quindi del tutto gratuite e fuori posto. (…) Fascismo e antifascismo sono del tutto estranei alla vicenda. In caso contrario qualcuno ci deve spiegare perché l’accusa di fascismo non viene estesa alle gerarchie e agli esponenti della cultura sovietica che sui film in questione hanno assunto un atteggiamento di violenta censura” (PO 5/2). Non occorre rimarcare come questo articolo, involontariamente, finisca per sostenere l’anomalia, in uno stato democratico, di un regime censorio come quello vigente per molti decenni in Italia.

Un regime che è vissuto, spesso, di contraddizioni imbarazzanti; anche i pochi giorni della nostra ricerca ce ne offrono un campione. Infatti, delle ultime tre pellicole sequestrate dalla magistratura dopo Salò, Il Popolo dà recensioni piuttosto favorevoli: il primo febbraio su “Kitty Tippel”, e il cinque su “Bordella” e “Tarzoon la vergogna della giungla”. Anzi, del film di Paul Verhoeven, si dice nientemeno che “dalla sconosciuta (cinematograficamente s’intende) Olanda, ecco un buon esempio di cinema di qualità” (PO 1/2).

4.2 Atto secondo: “Ladri di cinema”, 26/9/1982

Nel settembre del 1982 la cooperativa “Missione impossibile” organizza la rassegna “Ladri di cinema”, nel corso della quale, al teatro Safa Palatino di Roma, affermati registi (tra cui Wim Wenders) parlano delle proprie influenze cinematografiche e presentano un loro film. Al termine dell’incontro con Bernardo Bertolucci, viene proiettato Ultimo tango a Parigi.

Di per sé il fatto non costituisce un vero e proprio reato, perché la proiezione “non è avvenuta in un luogo pubblico sottoposto a controlli SIAE” ed “è stata effettuata in versione originale, cioè una versione del film che non corrisponde a quella condannata” (CS 28/9). Ma, sul piano simbolico, la sfida ha un peso non indifferente.

Sia Il Corriere della Sera che L’Unità comunicano sobriamente la notizia negli spettacoli. L’enfasi, com’è prevedibile, è tutta sull’elemento che differenzia questa proiezione clandestina dalle altre, quelle dei Radicali in primis: la presenza in prima linea dell’autore.
In realtà, come ricorda lo speciale della menzionata edizione DVD, il ruolo di Bertolucci nella vicenda è stato solamente quello di introdurre il film, mentre il fortunoso ritrovamento di “una copia abbandonata da qualche parte” è stato opera degli organizzatori della rassegna. Con ironia, al termine del suo intervento il regista precisa anzi che prende le distanze da quello che può essere un reato, di cui tutti gli spettatori presenti potrebbero essere correi.

Nei titoli dei giornali, egli compare però come l’artefice principale dell’architettura dell’evento, piuttosto che come ospite: “Bertolucci a sorpresa fa proiettare il suo «Tango» condannato al rogo” (CS 27/9); “Bertolucci ha presentato a sorpresa «Ultimo Tango» e ha parlato dei suoi maestri e del pubblico” (UN 28/9). Sulla possibilità narrativa di riaprire la polemica, a sei anni di distanza dal “rogo”, i due quotidiani invece divergono.

Immagine articolo Fucine Mute

Il Corriere, alla notizia della proiezione, fa seguire un lungo articolo che raccoglie i pareri di alcuni registi su questo atto di sfida; sono “tutti concordi, ma il problema vero è quello di modificare la legge”. Tra gli altri, molto agguerriti sono gli interventi di due fra i cineasti più martoriati dalla censura: Tinto Brass, per cui “è il concetto di osceno, che deve essere cancellato dalle nostre norme restrittive per la circolazione dei film”, e Liliana Cavani, che dichiara: “Di fronte all’ottusità, all’assurdità della censura il gesto di proiettare «Ultimo Tango» mi sembra persino poco provocatorio” (CS 28/9).     

L’Unità, al contrario, si sofferma soltanto sulle parole pronunciate da Bertolucci alla rassegna, come se di fronte alla ormai assodata grandezza dell’autore, non sia nemmeno più necessario ribadire quanto sia stato iniquo il trattamento che ha subito nel nostro paese. Accanto all’evocazione dei suoi maestri di cinema (Max Ophuls, Orson Welles, Joseph Von Sternberg, Yasujiro Ozu, John Ford, Jean Renoir), viene citato anche il Roland Barthes di “Le plaisir du texte”, per sottolineare l’idea del regista che “al cinema bisogna godere, il ’68 ha perso perché aveva paura di farlo” (UN 28/9). In effetti, parafrasando,  è l’identico motivo per cui risulta perdente la censura: temere i film e la loro influenza sulla società, significa in ultima istanza aver paura della società stessa, dei suoi desideri che si rispecchiano nella forma artistica più aderente al reale di ogni altra.

4.3 Atto terzo: “Non oscenità”, 9/2/1987

In tutta la vicenda di Ultimo Tango, la chiave di volta è forse proprio nella sentenza di non oscenità, giunta circa quattordici anni dopo l’uscita del film e undici dopo la condanna definitiva (infatti, essendo passata in giudicato, essa non può venir cancellata, bensì solamente “raddoppiata e scavalcata”, usando l’espressione di Tatti Sanguineti [42]). L’opera di Bertolucci torna libera, secondo la decisione del giudice Paolo Colella, perché il “comune senso del pudore” è cambiato rispetto al decennio precedente, e ciò che era osceno negli anni Settanta, non lo è più negli Ottanta.

Immagine articolo Fucine MuteIl Corriere della Sera, nel dare la notizia, sintetizza così la motivazione: “…il sentimento medio del pudore deve essere misurato sulle persone «che compongono la fascia attiva e produttiva della società». E queste persone hanno oggi, rispetto a quindici anni fa, una «nuova morale sessuale» (…) In definitiva, l’«uomo medio» di oggi non prova «ripugnanza e disgusto» davanti alla famosa scena del burro. Perciò il film può essere programmato” (CS 10/2).

Se da un lato possiamo quindi prendere atto che la rivoluzione sessuale del ’68, per attecchire in Italia, ha avuto bisogno di quasi vent’anni, dall’altro possiamo introdurre una riflessione ben più seria sul concetto di “comune senso del pudore”. Dal punto di vista semiotico, appare sostenibile la tesi che quest’ultimo rappresenti un dispositivo costruito ad hoc per defraudare il pubblico della propria volontà, delegandola a un generico simulacro di attore sociale definito come “uomo medio”, e di cui il magistrato si fa portavoce. In tal modo, il comune senso del pudore si configura come un meccanismo di grande forza manipolatoria, assai simile a quello dell’opinione pubblica [43].      

Del resto, in passato, esso era stato evocato per condannare il film, invece che per difenderlo. L’Unità cita a questo proposito il commento dell’Osservatore Romano alla sentenza di condanna del 1974: “Chiunque creda ancora nell’esistenza di un sentimento comune del pudore non potrà che condividere il giudizio del magistrato” (UN 10/2).

Grazie alla presunta evoluzione, ma soprattutto alla costitutiva ambivalenza del “senso del pudore”, si riesce dunque nel 1987 a sostenere il paradosso, imbarazzante non soltanto giuridicamente, di una sentenza contraria a una precedente, ma che nel contempo afferma l’esattezza di entrambe. Quello che traspare, in effetti, come dice Pier Giorgio Liverani sull’Avvenire, è che “se [la morale] è cambiata, ciò vuol dire che la sentenza del ’74 era giusta almeno rispetto a quella morale” (AV 11/2).

Immagine articolo Fucine MuteRibadiamo qui quanto sostenuto finora, e cioè che rifiutiamo questa tesi, attribuendo al contrario lo scandalo di Ultimo Tango alla ricezione di massa di questo film, nel processare il quale si è erroneamente creduto che il pubblico l’avesse percepito alla stregua di un’opera pornografica, ignorandone lo spessore artistico (e finendo così per negarlo, in un circolo vizioso, anche nelle sentenze di condanna).

Tornando all’analisi dei quotidiani, osserviamo il ripresentarsi di un elemento centrale nella stampa italiana, vale a dire l’intertestualità fra le diverse testate: l’articolo dell’Avvenire in data 11 febbraio è palesemente una risposta a quello de L’Unità del giorno prima. Addirittura, se il pezzo del quotidiano comunista finisce chiedendosi “quante umiliazioni ha dovuto subire il comune senso dell’intelligenza (questo sì che sarebbe da proteggere) prima che giustizia fosse fatta…” (UN 10/2), quello del giornale cattolico inizia riprendendo la stessa frase: “Allora giustizia è (sarebbe) stata fatta, (…) secondo quanto si deduce dai commenti osannanti di ieri” (AV 11/2).

A parte L’Osservatore Romano e Il Popolo, che non menzionano il fatto, i maggiori quotidiani nazionali commentano positivamente la nuova sentenza, che restituisce all’Italia uno dei capolavori del suo cinema; però, come nel ’76 fuori dal coro delle proteste, anche questa volta si leva una voce, fuori da quello degli assensi. Si tratta dell’Avvenire, appunto, che in tono per nulla ironico condanna questo nuovo “rogo”, non più del film ma della sentenza di undici anni prima (anche se, abbiamo visto, almeno formalmente essa viene mutata, ma non messa in discussione). L’argomentazione di fondo rimane in ogni caso quella dell’Osservatore del ’76: si contesta che Ultimo Tango sia un’opera d’arte, che non provochi “ripugnanza e disgusto”, che non sia osceno, eccetera.

Un particolare accento è posto sul fatto che “il principio della certezza del diritto abbia subito un bello scossone” (AV 11/2). Alla luce della nostra ricostruzione, riconosciamo invece che quest’ultimo è piuttosto l’ultima scossa d’assestamento, di un assurdo terremoto avvenuto undici anni prima. Come scrive Maurizio Porro sul Corriere: “Irrintracciabile Marlon Brando, espatriato in USA Grimaldi Alberto, momentaneamente in Cina l’autore, dispersa in crisi e nevrosi la Schneider, in realtà fu condannato solo il nostro pubblico” (CS 10/2).

4.4 Atto quarto: “Tango in tv”, 21/9/1988

Immagine articolo Fucine Mute“Tango, ultima polemica” titola Il Corriere della Sera,il giorno stesso che il film di Bertolucci approda sui teleschermi nostrani. Come abbiamo già visto, Ultimo Tango va in onda su Canale 5 alle 21:30, in “formato famiglia” (cioè epurato delle scene più scabrose), e preceduto da una puntata speciale del talk show italiano più noto, il “Maurizio Costanzo Show”.

Il tentativo è quello di trasformare il passaggio tv in un vero e proprio media event [44], cioè in un “racconto televisivo di accadimenti simbolici che mettono in scena passaggi sociali, definiscono e confermano identità collettive, rilegittimano l’ordine e i valori”[45]. Infatti, il tema del dibattito non è circoscritto al film o alla censura cinematografica, bensì imperniato sulla domanda “che cosa fa scandalo oggi e cosa no?”; lo stesso conduttore Maurizio Costanzo dichiara consapevolmente: “Ciò che mi interessava era non già proporre alla grossa platea televisiva un dibattito giuridico da iniziati, ma suggerire temi di interesse contemporaneo: lo slittamento, il mutamento del comune senso del pudore, i tabù della nostra cultura e vita sociale, il superamento dialettico di certe ipocrisie” (CS 22/9).

La riduzione tv di Ultimo Tango è insomma un evento in piena regola, la celebrazione collettiva di un barometro dei cambiamenti nella morale e nel costume, e contemporaneamente, come afferma Oreste Del Buono sempre dal Corriere, è “un’informazione circa quel film e circa lo scandalo che produsse, le battaglie che alimentò tra due Italie divise” (CS 22/9).
Prevedibilmente, i quotidiani che abbiamo preso in esame fanno da  cassa di risonanza alla trasmissione, ritagliando addirittura più spazio di quello dedicato alla sentenza di non oscenità e, soprattutto, mettendo in scena il più violento scontro tra sostenitori e detrattori della pellicola, dai tempi del “rogo”.

Il la è dato da Il Corriere della Sera del 21 settembre, che raccoglie e amplifica la spaccatura nel mondo cattolico tra il movimento “Comunione e Liberazione” e i Gesuiti: il leader del primo, Roberto Formigoni, consiglia di “non perdere tempo a guardare questo film”, mentre il padre gesuita Ennio Pintacuda riconosce che “Ultimo Tango è un film che ha costituito una svolta nel cinema”, e quindi anche “un cattolico maturo, non morboso” può ed è invitato a vederlo, perché “bisogna sempre avere chiari i termini di confronto culturale ed ideologico su cui misurarsi” (CS 21/9).

L’Unità, d’altro canto, polemizza contro i nuovi tagli, e per il “Tango in tv” si augura che “le solite denunce dei gruppi informali non riescano a far tornare indietro il tempo e a bloccare il film nei vari punti di emittenza di Canale 5 sparsi in tutta Italia” (UN 21/9). Per inciso, i «gruppi informali» hanno interpellato il Presidente Cossiga con un telegramma, chiedendo un suo intervento qualora “la trasmissione del film Ultimo Tango annunciata per mercoledì 21 settembre alle 21:30 sia «contra legem»”.

L’ultimo e più duro assalto contro il film di Bertolucci viene però sferrato dall’Avvenire. A pagina sei, sotto l’eloquente titolo “Ore 21:30, vuoto in onda”, si riporta l’opinione dell’ex direttore de L’Osservatore Romano Valerio Volpini, per cui, nella proiezione televisiva della storia d’amore tra Jeanne e Paul, c’è “la stessa presunzione intellettuale alla base del terrorismo (…) la stessa logica di potere, la stessa mancanza di rispetto per gli altri. Caso mai, sono diversi i toni: si passa dal tragico al banale (…) Il nostro tempo vive nella superstizione dell’autonomia intellettuale e del nuovo. La trasgressione è qualcosa che sostituisce l’intelligenza, la capacità di discernimento, la critica. Dopo essersi presentata come spargimento di sangue all’epoca delle Br, la trasgressione come costume e abito mentale non è scomparsa con il fallimento dell’ideologia violenta, ma è diventata un modo per comunicare il vuoto: entra nel salotto buono di casa, con meno rischi.” (AV 21/9). Non si parla nemmeno più, dunque, di “ributtanti sconcezze e vergognose turpitudini”, ma si accosta senza mezzi termini il film all’azione delle Br. Un attacco molto pesante, considerando che la stagione del terrore ha provocato, soltanto tra il 1976 e il 1978, più di trenta vittime, compreso Aldo Moro.

Immagine articolo Fucine Mute

Sotto, un articolo di Pier Giorgio Liverani (tra l’altro, uno degli invitati al dibattito in tv), fa invece il punto sulla “tragicomica vicenda del film sequestrato”. Riassumendone gli intricati risvolti giudiziari ed economici, ravvisa, come in occasione della sentenza di non oscenità, un’incredibile serie di anomalie, contraddizioni e “distrazioni dei giudici”. Conclusione: “in nome della libertà d’espressione, ma in realtà in nome degli interessi di un mondo cinematografico che trova complice buona parte dell’intellighenzia, si manda all’aria anche l’ordinamento legislativo, che è la garanzia appunto della libertà di tutti e non solo della difesa dall’osceno” (AV 21/9).

In ogni caso, né Il Corriere della SeraL’Unità raccolgono queste nuove provocazioni. Entrambi pubblicano degli aneddoti sul film di mano dell’autore, che celebrano l’irripetibile connubio con Marlon Brando, e soltanto il primo, il 22 settembre, fa una sintesi del dibattito tv, dai contenuti peraltro trascurabili: nella cornice dell’evento, conta di più la forma della sostanza, la partecipazione collettiva delle ragioni di questa partecipazione.

fine

Note


[36] in Italia taglia, op. cit., pag. 211.


[37] per un quadro completo, si rimanda alla Cronologia posta in fondo a questo lavoro.


[38] è riportata anche in Mani di forbice, op. cit., pag. 148.


[39] il 28 ottobre 1976, vedi anche Mani di forbice, op. cit., pag. 164.


[40] vedi ancora Mani di forbice, op. cit., pag. 164.


[41] dove parla di “offesa recata dal Pontefice alla dignità e all’indipendenza della Repubblica italiana”, ricordando “un intervento di Pio 12° contro la Corte costituzionale a proposito di un manifesto con Gina Lollobrigida, che provocò la dimissione di Enrico De Nicola da Presidente di Corte costituzionale” (UN 4/2).


[42] Italia taglia, op. cit., pag. 211.


[43] per il processo di costruzione della quale rimandiamo a Corpi sociali, op. cit., pag. 251-4.


[44] per questa nozione vedi D. Dayan, E. Katz, Media events. The live Broadcasting of History, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1992 (trad. it. Le grandi cerimonie dei media, Bologna: Baskerville, 1993).


[45] G. Barlozzetti, Eventi e riti della televisione. Dalla Guerra del Golfo alle Twin Towers, Milano: Franco Angeli, 2002.

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