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Cinema

Quarant’anni sullo schermo: Jean Gabin, francese “verace” e grande attore (III)

L’America provvisoria

Remorques, 1939Gli otto film del quinquennio 1935 saranno i più famosi nella lunga carriera di Gabin, ma il suo assiduo lavoro proseguirà ancora per molto tempo: si pensi che la sua ultima interpretazione sarà datata 1976, vale a dire trent’anni dopo.
Non è possibile elencare e analizzare ogni pellicola come ho fatto per le otto “gloriose”, ma proseguiamo comunque.
Nel 1939 hanno inizio le riprese di Remorques (La tempesta nell’edizione italiana), un film diretto da Jean Grémillon. Gabin vi si dedica con particolare entusiasmo, dato che la protagonista è Michèle Morgan, e pochi mesi dopo riesce a divorziare da Doriane, restando libero come lo è già Michèle. Gli esterni vengono girati a Brest, e per loro questo ritrovarsi è una grande felicità, l’inizio d’una vera storia d’amore. Di breve durata, purtroppo, perché il 3 novembre 1939 la Francia entra in guerra, e Jean è subito chiamato alle armi a Cherbourg, nel corpo dei fucilieri di marina: quindi addio al bravo regista Grémillon, al suo film iniziato da poco e addio anche a Michèle, che parlerà tristemente di questa “brutale separazione”. Ma nella confusione che la Francia sta vivendo, accade qualcosa di inaspettato, perché a Jean viene concessa una licenza per terminare il film e può ancora incontrarsi con lei: poche settimane felici, e poi nel maggio del ‘40 l’armata francese è travolta, l’esercito si sfascia, e lui può solo unirsi ai tanti profughi diretti a sud, mentre Michèle deve raggiungere i suoi parenti lontani.
Questa volta fra loro è veramente la fine, perché i loro destini divergono per sempre. Jean riuscirà, attraverso infinite peripezie, a fuggire in Spagna e di lì a Lisbona, che è la meta d’obbligo per chi vuole raggiungere 1’America. Giunto a New York, avrà ancora quattro giorni di ferrovia per fare il percorso “coast to coast” verso la California, e infine arriverà a Hollywood.

I padroni del cinema americano sono ben contenti di ospitare un Gabin profugo e disponibile: la prima a scritturarlo è la casa Fox di Darryl Zanuck. Troverà parecchi amici francesi che lo hanno preceduto, Duvivier, Renoir, René Clair e molti altri, compreso Charles Boyer che però gli è antipatico. Poi vi saranno parecchie amicizie locali, e si parla di una sua storia breve con Ginger Rogers. Ma il fatto più importante sarà il suo incontro con Marlene Dietrich, ormai stabilita in America da qualche anno: malgrado la sua fama di divoratrice d’uomini, avrà con questo suo collega francese molto retto e molto innamorato un rapporto sereno, e per di più gli insegnerà a parlare un ottimo inglese.

Moontide, 1942

Gabin rimane a Hollywood due anni, e la sua attività si limita a due soli film: Moontide (Ondata d’amore) con Ida Lupino, diretto da Archie Mayo, e poi The Impostor dell’amico Duvivier, con un complesso di attori americani di media rinomanza. Quando la permanenza in America è conclusa, decide di presentarsi al comando delle “Forze francesi libere” con sede a New York, dove un ammiraglio in capo si complimenta con lui e poi lo arruola come ufficiale su una nave di scorta alle petroliere americane che riforniscono la Francia in guerra. Il congedo da Marlene è malinconico perché anche lei partirà come ausiliaria con gli americani sul fronte francese, ma contano di ritrovarsi. Accadrà soltanto a guerra finita, come vedremo, per il loro unico film assieme, nel 1946.
Quando Gabin arriva ad Algeri, impaziente di rivedere in qualche modo la sua Francia già un po’ meno lontana, è preceduto dagli avvenimenti storici, perché nell’agosto ’44 c’è lo sbarco degli Alleati in Normandia e in poco tempo Parigi sarà liberata. Ottiene un passaggio su una nave che sosta a Brest, la città dove era stato con Michèle, e poco dopo vi giunge anche Prévert, che proprio qui scrive la sua più bella poesia d’amore, con quel verso “Oh Barbara, il pleut sans cesse sur Brest” (piove senza sosta su Brest). Una sola città per due delicati rimpianti romantici.

Il realismo poetico, e poi La Marie du port

Tornato in Europa, Jean rimane ancora per qualche tempo nell’esercito francese, e con le truppe alleate arriva fino alla Baviera. Non vi sono più combattimenti, e la Germania si è arresa: nel maggio 1945 viene firmato l’armistizio.
Appena avuto il congedo rientra a Parigi, trovandola molto cambiata. Ma anche lui è cambiato: i suoi capelli si stanno imbiancando, malgrado i suoi quarant’anni appena compiuti. Ritrova gli amici di prima, compresa Marlene che ha lasciato l’esercito americano, e una sera in un locale del Quartiere Latino c’è qualcuno che canta “Les feuilles mortes” con i versi di Prévert e la musica di Kosma. La canzone sembra un simbolo di questo dopoguerra, con la tristezza di tante cose perdute.

Gli studiosi del cinema francese faranno coincidere la fine della guerra con la conclusione d’una particolare corrente, quella del “realismo poetico” che qualcuno, come Carné, preferisce definire “le fantastique social”. In un modo o nell’altro si tratta d’un decennio (1935-45) che comprende anche gli anni “gloriosi” dei film con Gabin e delle loro particolari atmosfere: Le Havre nella nebbia, la corsa di quella indimenticabile locomotiva, l’ambiguità dei “cattivi” e la dolcezza delle sue meravigliose interpreti, che hanno gli occhi di Michèle, il visetto di Simone, il sorriso di Jacqueline. Su tutto questo mondo speciale c’è sempre lui, ribelle nostalgico e perennemente sconfitto da un mondo opprimente e senza speranze.

Martin Roumagnac, 1946

Il suo ritorno al cinema non si fa molto aspettare: nel ‘46 i cartelloni annunciano Jean Gabin e Marlene Dietrich nel film Martin Roumagnac (Turbine d’amore). Sarà una completa delusione, perché Jean, ansioso di tornare al lavoro, ha avuto il torto di accettare subito l’invito del regista Georges Lacombe. E Marlene in particolare non è adatta al personaggio: può succedere anche alle grandi attrici.

Le cose vanno molto meglio nel ‘48 con René Clément, regista della nuova generazione, per il quale interpreta Le mura di Malapaga, un film girato quasi tutto a Genova e dintorni. Clément, che ha il merito di aver diretto poco prima un ottimo lavoro sulla Resistenza francese, dà a questo suo nuovo film, tutto con attori italiani, uno stile che vuole accostarsi al neorealismo in piena evoluzione nel nostro cinema. E riceve la Palma d’oro al Festival di Cannes.

Nel ‘49 c’è una sorpresa: Gabin sul palcoscenico, per una commedia che non ha alcuna relazione con la sua trascorsa attività nel teatro brillante. L’ha scritta Henri Bernstein col titolo La sete, ed è un vero successo: moltissime le repliche e molta la soddisfazione per lui, che malgrado l’impegno di ogni sera con il teatro non dimentica affatto il cinema.
Si rende conto che dovrà modificare qualcosa, che non è giusto continuare a fare sugli schermi lo sconfitto dalla vita, o peggio il disperato suicida. Forse il contatto con il mondo del cinema italiano gli ha aperto dei nuovi punti di vista: ed eccolo nel 1950, dopo la felice parentesi teatrale, protagonista di La Marie du Port (La vergine scaltra nel titolo italiano) un film tratto da un romanzo di Simenon e diretto da Marcel Carné che risulta di notevole interesse per varie ragioni. In primo luogo segna la fine del “fantastique social” da parte dello stesso regista che era stato uno dei suoi creatori: qui la storia è quasi ironica, un borghese arricchito molto sicuro di sé e del suo ristorante ben avviato, insieme a questa “Marie” che conquisterà sia il locale che il proprietario, con un matrimonio calcolato alla perfezione. Gabin, egregiamente idoneo alla svolta del suo personaggio, si presenta un po’ più grasso e molto cordiale. È il congedo dai poveri tormentati dei film precedenti ed una grande prova di capacità professionale: l’accoppiata Gabin-Carné dieci anni dopo la leggendaria Alba tragica è ancora validissima.

Un matrimonio, tre piccoli Gabin e tanti film

Gli anni 1949-50 sono importanti nella vita di Jean per un motivo che non è molto legato alla sua professione. Dei comuni amici gli fanno conoscere Dominique Fournier, una indossatrice della casa Lanvin, e questa volta non vi sono dubbi: si sposano, e resteranno insieme per la vita. Lei ha un figlio di dieci anni nato, come le piace dire, da “un errore di gioventù”: è bella e molto stimata nella sua professione.
Negli anni successivi nasceranno due bambine, Florence e Valérie. Intanto il lavoro di lui prosegue intensamente, e i film si susseguono quasi senza sosta per molti anni ancora. Un elenco completo è praticamente impossibile, e quindi ci dobbiamo limitare ai titoli più conosciuti.

Touchez pas au grisbi, 1954Nel 1952 Max Ophuls, regista tedesco ormai stabilitosi in Francia, dirige La maison Tellier che fa parte d’un trittico di racconti di Guy de Maupassant, sotto il titolo di Le plaisir. Vi si racconta la tenera agitazione delle signore che esercitano il loro ovvio mestiere nella “Maison” stessa, in coincidenza con la prima comunione d’una nipotina della tenutaria. Gabin ha la parte di un anziano contadino un po’ seccato di tutto questo tramestio.

Nel ‘54 incontriamo un titolo speciale, Touchez pas au grisbi, che nel gergo dei ladri vuol dire “non toccate la refurtiva”. Il regista Jacques Becker ci presenta Gabin nella parte di un ladro un po’ stanco che vorrebbe andarsene in pensione accanto alla bella Jeanne Moreau, mentre il “grisbi” viene disputato fra i vari componenti la banda. Lo stesso anno, Marcel Carné e Gabin sono di nuovo insieme per girare L’air de Paris, un film sull’amicizia fra due pugilatori, uno anziano e l’altro molto più giovane. La vicenda è commovente, e per di più c’è la voce di Yves Montand che canta il motivo del titolo. Il ruolo femminile spetta ad Arletty, l’amata attrice francese, non ancora colpita dalla grave malattia oculare che molti anni dopo le toglierà la vista.

L’anno seguente il regista Jean Renoir propone a Gabin di lavorare per la terza volta in un suo film: sono già trascorsi parecchi anni dal loro precedente incontro. Il titolo è French Can Can, una nostalgica rievocazione del “Varieté” parigino, le cui glorie risalgono ormai a tempi molto lontani. Sarà un grande successo, e per Jean è anche il suo primo film colori. Sono con lui degli attori ben noti, come la messicana Maria Félix in trasferta europea, e poi Edith Piaf, Michel Piccoli e tanti altri. Jean, a sua volta, fa un’ottima figura nella parte del fondatore del mitico “Moulin Rouge” parigino.

Il 22 novembre 1955 nasce Mathias il terzo figlio della coppia Gabin: ora Jean è al massimo della soddisfazione e sempre più legato al lavoro accanto alla sua Dominique infaticabile e comprensiva, dato il carattere non troppo morbido del suo grande coniuge. E ora c’è anche questo maschietto tanto desiderato. I tre figli, per desiderio di Jean, porteranno sempre il cognome di famiglia, Moncorgé, che lo stesso padre userà in varie occasioni. Ma per tutto il mondo c’è solo Jean Gabin, e basta.
Nel 1956 lui e il bravo attore comico Bourvil sono i protagonisti di La traversée de Paris, un buffo pellegrinaggio nella Parigi al tempo dell’occupazione tedesca, diretto da Autant-Lara: si può anche sorridere rievocando quegli anni duri, neanche tanto lontani.

La traversée de Paris, 1956

Fra il ‘57 e il ‘58 è la volta di un altro personaggio particolare caro a lui e al suo pubblico, il commissario Maigret, creato da Georges Simenon e interpretato poi da non pochi attori. Gabin farà Maigret in tre film degli anni successivi, sotto la direzione di Delannoy e Grangier, due dei suoi abituali registi.
È ancora Autant-Lara a dirigerlo in En cas de malheur nel 1958, la storia d’un prestigioso avvocato preso dalla passione per una giovane di scarsa moralità che lui riesce a fare assolvere in tribunale. Il soggetto, ancora di Simenon, ci fa incontrare Gabin in toga, affascinato da una molto desiderabile Brigitte Bardot. Titolo del film in Italia: La ragazza del peccato invece di In caso di disgrazia che era il titolo originale (ma ormai ci siamo abituati). Per quanto riguarda B. B., come la Bardot veniva chiamata dagli ammiratori, era ormai avviata verso la sua destinazione come diva “extra Hollywood”, solidamente ed esclusivamente francese.

Il gatto e l’anziano rapinatore

Negli anni ‘60 Gabin completa la sua serie di interpretazioni del commissario Maigret che gli hanno procurato un vasto successo, aumentando ancora la sua popolarità. Subito dopo si impegna in alcuni film di ambiente alto-borghese, con titoli come Le grandi famiglie diretto da Denys de La Patellière, Il presidente di Henri Verneuil, (tratto da Simenon), Il gentleman di Grangier, e Monsieur di Le Chanois. Nel giudicare questi film, Renoir scrive: “Gabin ottiene i migliori effetti con i più piccoli mezzi, con un leggero fremito del volto impassibile sa esprimere anche i sentimenti più violenti, mentre un altro dovrebbe urlare per giungere a questo risultato”.
Non lascerà mai da parte, come prevedibile, le sue predilette interpretazioni di fuorilegge: nel ‘69 protagonista del Clan dei siciliani diretto dal fedele Verneuil, avendo al suo fianco un giovane attore che si chiama Alain Delon, già formatosi alla grande scuola di Antonioni e Visconti. Nel ‘71, diretto da Granier-Deferre, interpreta Il gatto, da un altro romanzo di Simenon. Qui abbiano una bella canzone di Jean Sablon, Le temps des Souvenirs (Il tempo dei ricordi), e c’è anche il ruolo di Simone Signoret, una grande attrice che successivamente, in un suo libro di memorie, racconterà l’ammirevole intesa con Gabin in questo loro unico film girato insieme: “Durante le pause mi parlava del suo Renoir, del suo Prévert, ed era bello scoprire nei suoi occhi lo sguardo del disertore del Porto delle nebbie e nel suo sorriso quello del tenente Maréchal nella Grande illusione.

Le chat, 1971

Le chat (Il gatto), considerato da Gabin come uno dei migliori film fra quelli recenti, ha poco successo. Eppure il soggetto è molto adatto per una coppia di grandi attori come lui e la Signoret: la storia di due anziani coniugi in perenne contrasto, tanto che non si parlano neanche più. E c’è un povero gatto abbandonato che lui ama, e che lei sopprime per dispetto, scatenando un vero odio reciproco.

Dopo l’esito incerto di Le Chat, Gabin si sente stanco e affronta il suo lavoro con scarso impegno. Per di più, in questo periodo è morto il suo grande amico Fernandel, un attore molto conosciuto anche in Italia nel ruolo di “Don Camillo” ispirato ai racconti di Guareschi, con Gino Cervi che faceva “Peppone”. E con Fernandel Gabin aveva anche costituito la “Gafer”, una casa di produzione che finirà sciolta, senza rimedio.

Nel 1973 c’è un grande stimolo per la sua ripresa fisica e morale: L’affaire Dominici, un film diretto da Claude-Bernard Aubert che si ispira ad un grave fatto di cronaca nera. Nell’estate del 1952 un anziano agricoltore, Gaston Dominici, era stato accusato d’un truce delitto: il massacro a scopo di rapina d’una famiglia di turisti inglesi in vacanza nella campagna dell’Alta Provenza. Condannato a morte, e poi all’ergastolo data l’età, veniva graziato nel 1961 dal Presidente De Gaulle.
Il film ha un grande successo di pubblico e critica, e Gabin, nella parte del vegliardo omicida, è sorprendente: barba e capelli bianchi, sguardi pieni d’ira e terrore per la condanna, si fa quasi compatire. Una memorabile interpretazione.

L’affaire Dominici, 1973

L’affaire Dominici è una delle sue ultime presenze sullo schermo: i tre film successivi non hanno molto valore, salvo forse Verdict (Il verdetto) diretto da André Cayatte, nel quale la protagonista è Sofia Loren, nel 1974. Il biografo Brunelin racconta della loro “intesa perfetta per quanto concerne la recitazione, ma anche fuori dal set si divertivano e risero insieme più volte”.
L’ultimo film di Gabin è del 1976 La gang dell’Anno Santo, diretta da Jean Girault tra Parigi e Roma, protagonista Danielle Darrieux. Le attrici di Jean erano tutte belle e brave, anche in questa commedia poliziesca un po’ di “routine”, nella quale possiamo ammirare un Gabin vestito per l’unica volta da religioso (un vescovo!) perché deve sottrarsi alla polizia che lo sta cercando a Roma per un grosso furto.

Congedo dalla “Pichonnière” e da tutto il resto

Tornato a Parigi, si sente ancora molto stanco e apatico, come smarrito. È necessario un ricovero per accertamenti nell’Ospedale Americano della capitale, ma per il momento non si riesce ad evidenziare una spiegazione soddisfacente. Passa un po’ di tempo, e infine viene formulata una diagnosi di leucemia. I numerosi tentativi terapeutici non riescono a fermare il progredire della grave malattia, e Gabin muore quasi improvvisamente nella notte fra il 14 e il 15 novembre 1976, a settantadue anni.
Non vi sarà una tomba per lui: nel testamento aveva stabilito che le sue ceneri fossero gettate in mare. “Ha voluto scegliere la tomba più vasta e profonda del mondo” dirà il suo grande amico e biografo Brunelin.
La Marina francese vuole rendere all’illustre defunto gli onori che si era meritato in guerra. L’urna con le ceneri viene portata a Brest su una nave militare (ancora Brest, il porto del suo cuore, ma per l’ultima volta). E così si compie ciò che lui desiderava intensamente. È un finale anche troppo solenne, e forse a Jean non sarebbe piaciuto, ma è il prezzo della sua fama.
Il cinema francese ha nei suoi annali un vasto elenco di nomi illustri, ma Gabin è senza dubbio un nome a parte. Soltanto lui, grandissimo attore, aveva sempre coltivato nella sua vita privata la meno intellettuale delle professioni: la campagna e l’allevamento del bestiame. Aveva realizzato questo sogno acquistando una tenuta dal nome un po’ curioso di “ La Pichonniére”, e questa bella terra, con le sue bestie, era stata la sua cosa più preziosa, per tutta la vita. Aveva anche tanti amici: per lui l’amicizia era un bene sacro e inviolabile.
Era profondamente legato alla famiglia, e le due ragazze, insieme all’unico figlio maschio, ricambiavano il suo affetto in tutti i modi possibili. Quanto a sua moglie Dominique, gli aveva dedicato per sempre un amore infinito.

Immagine articolo Fucine MuteRipassando tanti suoi fotogrammi e osservando quel suo volto spesso corrucciato si penserebbe ad un uomo severo e magari autoritario, amante della solitudine. Niente affatto: abbiamo già detto come lui fosse quasi sempre socievole e comunicativo, pronto ad un giro di danza con qualche privilegiata compagna o magari a unirsi ad un coro di amici “à pousser la chansonnette”, a portare avanti la canzoncina. Cantava molto bene, con la sua voce baritonale intonata e gradevole, come si può constatare in parecchi suoi film.
Sembra impossibile, ma le cifre non concordano mai tra un biografo e l’altro: Jean aveva preso parte sicuramentea qualcosa come settanta film o anche più: il calcolo non è molto semplice.
Era facile affezionarsi a questo speciale attore, per non dimenticarlo più. E io stesso, nel congedarmi da questi miei appunti, mi voglio prendere la libertà di salutarlo come un amico: “Au revoir, mon vieux!”.

fine

Bibliografia e iconografia
(le fonti iconografiche hanno il contrassegno )


André Brunelin, Gabin, con frefazione di Tullio Kezich, Ed. Arsenale, Venezia 1988


Cristina Bragaglia, Jean Gabin, in “Dizionario Univ. del Cinema” Ed. Riuniti 1984


Cristina Bragaglia, Storia del cinema francese, Newton Compton Editori, Roma 1995


 Georges Sadoul, Il cinema, i cineasti, i film, Ed. Sansoni, 1967 e 1968


Roberto Nepoti, Marcel Carné, Il Castoro Cinema, Ed. La Nuova Italia, Firenze 1980


Carlo felice venegoni, Jean Renoir, Ed. La Nuova Italia 1975


 Pierre Hafner, Jean Renoir, Rivages Editions, Paris 1988


Carl Vincent, Storia del cinema, Garzanti Ed., Milano 1988


Pietro Bianchi, Maestri del cinema, Garzanti Ed., Milano 1982


 Julien Duvivier, in Who’s Who of the Cinema (Il “chi è” del cinema), De Agostini Ed. 1982


 Georges Sadoul, Storia del cinema mondiale, Volumi I e II, Feltrinelli Ed., Milano 1972


 Eric Rhode, A History of the Cinema, from its origins to 1970, Penguin Books 1978

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