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Arte

Zaelia Bishop

Fabbricare un universo intimo

GALLERY

Immagine articolo Fucine MuteZaelia Bishop è un giovane artista che si muove nei diversi campi delle arti visive, dalla fotografia al disegno, dall’immagine in movimento all’arte digitale. In passato ero un suo lettore, perché scriveva di musica, ma il destro per contattarlo mi è stato dato dalla nascita del suo sito personale, grazie al quale ho potuto scoprire quella che è la sua passione principale. Sono rimasto colpito dal forte contenuto personale dei suoi quadri, che oltretutto mi hanno ricordato quelli del grande Alessandro Bavari, artista con il quale Zaelia ha delle affinità, vuoi per il modo con il quale de-costruisce e re-interpreta figure sacre e mitologiche, vuoi per come re-inventa il corpo umano caricandolo di simbologie e, in ultimo, per alcune similitudini nella tecnica creativa. A proposito, anche grazie a un articolo Zaelia, tanto approfondito quanto di una qualità letteraria superiore alla media, è nata la (buona) idea di ospitare su Fucine Mute una gallery dell’autore de “Il baccanale dei miti”.  Dargli uno spazio che non fosse solo quello della galleria virtuale è stata una decisione praticamente automatica di tutta la redazione; rimanevano da superare alcune mie lacune (e alcune miei rimambimenti sui quali taccio).
Ne è nato un “carteggio virtuale” nel quale si è tentato di gettare luce su alcuni luoghi del suo mondo creativo.

Fabrizio Garau (FG): Partiamo dal fatto che ti conoscevo come scrittore di musica e ti ritrovo come artista visivo. Giochiamo su questo. Gli Einstuerzende Neubauten sono tra i tuoi gruppi preferiti: loro campionano rumori e creano musica, tu “campioni” oggetti — attraverso fotografia e collage — e crei la tua opera d’arte pittorica. I Neubauten nascono da un collettivo chiamato “Genialen Dilettanten”. Dilettanti geniali… in un certo senso l’elogio dell’autoformazione. Tu sei un autodidatta: quali vantaggi e quali svantaggi pensi ti abbia portato il non aver seguito un percorso accademico?”

Zaelia Bishop (ZB): Non aver ricevuto un insegnamento accademico (assenza che non proviene da una presa di posizione antagonista ma dal semplice succedersi delle scelte individuali) ha, in un modo piuttosto sotterraneo, determinato una quasi totale mancanza di autodisciplina. Penso che il grado di (auto)controllo sia, in fondo, il forcipe dell’immaginazione, ne segna la crescita e la conformazione strutturale e il conseguente sviluppo di un metodo personale, che nel mio caso si presenta come una nebulosa ingombrante e male organizzata, pericolosamente tendente all’umoralità. Ma è un metodo a tutti gli effetti, funzionante e a suo modo dotato di precisione. Scinderlo in vantaggio/svantaggio mi è impossibile, proprio per il suo andamento ciclotimico un vantaggio non rimane tale a lungo. E viceversa. Da un punto di vista più intimo, ho l’impressione che l’assimilazione autodidatta sia più avventurosa, se paragonata a quella accademica. Molto di quello che ho imparato, interiorizzato, appreso, è avvenuto spesso per caso, per derive di pensieri ed improvvise infatuazioni, un accumulo di sentimenti liberi di contrastarsi e di non organizzarsi nelle tappe di una formazione istituzionale. Ma questo, appunto, non è necessariamente un vantaggio. Però è più seducente.

FG: Mentre discutevamo della tua galleria su Fucine Mute, in particolare del ciclo “Chimera”, è emersa la tua fascinazione per l’arte sacra mitteleuropea ed esteuropea. Mi piacerebbe che tu me ne parlassi, proprio perché anch’io — nell’osservare i tuoi lavori — fin da subito ho pensato alle icone ortodosse.

Immagine articolo Fucine MuteZB: è l’aspetto smaterializzato delle figure rappresentate, l’impressione di incorporeità, di assenza di peso a colpirmi. Nelle rappresentazioni sacre le figure sembrano imprigionate in una celestiale bidimensionalità, una contemplazione sì sacrale ma mortifera. Per “Costruzione Di Erebocardio” e per il ciclo “Chimere” ho cercato di esprimermi attraverso un “sistema simbolico” che comunicasse anche questa sorta di smarrimento sentimentale e di immobilità non biologica…

FG: Attraverso una sorta di “collage” “fabbrichi” nuove realtà combinando diversi oggetti in maniera inusuale. Già nel titolo, “Costruzione dell’Erebocardio” contiene una di queste tue creazioni. Cosa ti ha ispirato il neologismo “Erebocardio”?

ZB: Erebocardio è un gioco di fantasia più che un vero e proprio “neologismo”.
Nasce letteralmente da Erebo e Cardio e significa Cuore Di Tenebra. Erebo è una divinità minore appartenente alla mitologia classica, rappresenta le prime tenebre, l’imbrunire del cielo serale. è una figura affascinante, da studente liceale (cosa che sono stato per un brevissimo periodo della mia vita) mi aveva attratto profondamente, in una delle sue rare rappresentazioni bloccata in un bassorilievo, il volto vagamente femminile, una struttura delicata nonostante i significati funebri ed infernali (erebo è anche l’anticamera dell’Ade o l’oscurità del trapasso) che simboleggia. Mi sembrava una figura moderna, che in qualche modo contrastasse la maestosità muscolare delle altre rappresentazioni sacre nella scultura classica. è diventato negli anni la radice di una mitologia personale da cui è nato erebocardio, il cuore di tenebra, un fanciullo che rappresenta il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, da una parte avvolto da elementi fantastici, dall’altra minacciato da incombenti cupezze. Ed è un tema, questo, che è in fondo all’origine di tutti i miei lavori. Creare una “nuova realtà” attraverso l’uso del collage ha in se qualcosa di mitico, si fabbrica un universo intimo, il prodotto dell’elaborazione di ricordi deformati dal tempo, sogni, avvenimenti lontani, visioni fugaci prendendo oggetti dalla vita reale e collocandoli un uno spazio-altro, dove le regole della vita vengono deliberatamente chiuse fuori.

Immagine articolo Fucine Mute

FG: In quest’ultima serie si possono vedere delle braccia trafitte, che ricordano il martirio di San Sebastiano. Mi hai scritto che in futuro dedicherai più attenzione alla figura di questo santo. Associo questo tuo interesse al quadro “Funerali di Antinoo”: perché sembri così colpito dagli aspetti più tragici legati alle storie di questi due efebici personaggi?

ZB: Antinoo e San Sebastiano sono solo due rappresentazioni di bellezza tragicamente legata alla morte. In realtà mentre Antinoo è presente “fisicamente” in un mio quadro (I Funerali di Antinoo), San Sebastiano è più un nume tutelare, una presenza la cui storia ritorna spesso, sotto mentite spoglie, nei miei lavori. Entrambi sono personaggi dalla forte carica emotiva, due eroi che meritano piccoli tributi, in forma di ex-voto. “I Funerali Di Antinoo” in fondo è proprio questo, un riconoscimento alla memoria di questo giovane disperatamente innamorato ed amato la cui morte ha consacrato il suo sentimento lungo milleottocento anni di storia. Ma non si tratta di figure topiche, sono due uomini nei quali la bellezza delle proprie passioni coincide con la triste delicatezza dei loro volti. Questo li colloca a metà tra uomo e simbolo, credo sia questo ad affascinarmi.

FG: La serie “Aftergas Reality” presenta uno stile diverso: sono disegni, estremamente scarni, nei quali sembrano aggirarsi quelle “ombre” di cui parla Georg Trakl nella poesia che hai abbinato al tuo lavoro “fine.pellicola”. È possibile considerare tutto questo la parte “espressionista” della tua arte? Che cosa ti ha ispirato in particolare?

Immagine articolo Fucine MuteZB: Questo è un ciclo che ha atteso per circa otto anni di essere esplorato a fondo, cosa che in realtà ho cominciato a fare da pochi mesi. Com’è facile intuire parte da una visione dell’uomo ridotto a semplice struttura portante, una serie virtualmente infinita di ritratti, corpi abbandonati, isolati, menomati e mutilati nell’anima ancor prima che nella carne. Sono, per l’appunto, ombre fossilizzate all’interno di un paesaggio raso al suolo, privo di punti di riferimento, definitivamente desertificato. è un lavoro sicuramente diverso, se paragonato al corpo principale della mia produzione, ma non poteva essere altrimenti. “Aftergas Reality” è la mia paura più concreta: l’uomo ridotto a numero, massacrato dall’ingordigia di altri uomini (quando non dalla propria), schiacciato ed offeso, privato della sua dignità, letteralmente masticato e rigurgitato nelle sue parti meno digeribili. Un buon riferimento emotivo si può avere nominando la forte critica sociopolitica del Grosz illustratore e il grottesco di Ensor, ma sono rimandi di istinto involontario. In realtà “Aftergas Reality” si sviluppa in quello stadio ultimo dell’uomo dove l’essere si atrofizza nella sua stessa ombra, in un’inesorabile evaporazione del corpo.

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