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Cinema

Il “Dark musical” con Bob Fosse: regista, attore e coreografo (I)

Bob FossePiù di vent’anni or sono, la rivista trimestrale Cinema e Cinema una delle nostre migliori pubblicazioni specializzate, aveva all’inizio del suo numero 22/23 un articolo di Franco La Polla che conteneva un’affermazione ancora oggi molto valida: “Fra tutte le definizioni e le sistematiche possibili relative all’ambito cinematografico, quella del Musical è sicuramente la più difficile”.

Eravamo nel 1980, e già allora qualcuno stava pronosticando la fine, o quanto meno l’agonia del cinema musicale. Il quale, al contrario, si stava mantenendo ottimamente in piedi, interessando ancora moltissima gente, compresa la mia generazione di maturi spettatori dell’altro ieri (D’antan, come piace dire ai miei amici francesi).

Nell’aprile 2003 Ermanno Comuzio, uno studioso che da tempo si occupa di questo argomento, pubblica sulla rivista Cineforum la recensione d’un Musical uscito di recente, dal titolo Chicago, diretto dal regista Rob Marshall. È un’indagine molto accurata, ma rivolta all’indietro sul tema “Dark Musical”, vale a dire su un settore che vuole affrontare il tema “spettacolo” secondo un particolare punto di vista, permettendo ad esempio che la leggerezza d’un soggetto di “Vaudeville” si trovi associata con elementi drammatici (“Dark” vuoi dire appunto oscuro, tenebroso) nello stesso racconto. Il tutto per di più con la sapiente capacità d’interessare un pubblico alquanto sorpreso da questi singolari mutamenti nel corso della trama.

È un aspetto del Musical che merita uno speciale interesse. E dagli anni passati emerge alla nostra memoria il ricordo d’un particolare personaggio che è scomparso nel 1987 a soli sessant’anni d’età. Si chiamava Robert Louis Fosse ma per tutti noi è semplicemente “Bob Fosse”. Lo ricordiamo con tanto affetto: per merito suo l’enorme macchina del cinema ha potuto ancora acquisire qualche parentesi suggestiva e molto personale. Grazie, Bob.

La guerra, “Pal Joey”, e poi il cinema

Bob FosseAll’inizio degli anni 40, la scuola di danza The Weaver Ballet School di Chicago ha un solo allievo maschio, in mezzo ad una notevole quantità di ragazze. Il giovanotto, uno sveglio quindicenne, non sembra affatto a disagio per questa sua particolare situazione: figlio d’un attore di varietà, si può dire che è nato nel teatro. Era esattamente il 23 giugno 1927, nella stessa Chicago, e lui era proprio quel Robert Fosse che abbiamo citato sopra.
Intraprendente, fa amicizia con un coetaneo proveniente da un altro collegio e insieme formano un “duo” che chiamano The Riff Brothers (nel linguaggio del Jazz, il “Riff” era un motivo musicale che veniva ripetuto vivacemente nel corso della sua esecuzione). I componenti del “duo”, per la precisione, superavano insieme di ben poco i trent’anni.
Ma Bob è inarrestabile, e prova a mettere in scena per conto suo, un quartetto di ragazze che si esibiscono danzando in una fitta nuvola di piume di struzzo al suono dei più languidi motivi di Cole Porter: e il successo è assicurato.

Nel ‘45 lo chiamano alle armi, e c’è la guerra. Riesce a farsi assegnare ad una delle tante “Entertainment Units” che sono delle sezioni di spettacolo riservate ai militari sul fronte del Pacifico. Potrà dire: “Facendo il mio dovere di soldato, ero riuscito a perfezionare la mia tecnica di regista e coreografo”.

Questo suo “dovere” lo conoscerà al peggiore livello nelle varie azioni di guerra in cui si troverà coinvolto: “Non avrei mai creduto di poter resistere a simili esperienze finché non mi trovai sul fronte a Okinawa”.
Sano e salvo a guerra finita, è scritturato da una compagnia teatrale che sta preparando a Broadway una ricca edizione della commedia musicale Pal Joey (Amico Joe). La sua partecipazione ha inizio con un ruolo secondario, ma le canzoni deliziose di Richard Rodgers (My funny Valentine o The Lady is a Tramp, fra le altre) lo distolgono definitivamente dai cupi ricordi della guerra. Conosce anche una ballerina, Mary-Ann Miles e in breve tempo la sposa: fanno insieme molte “Tournées” in America fra il 1950 e il ‘52. Ma l’anno importante è il ‘53: Bob viene chiamato a Hollywood per firmare un contratto con la Metro-Goldwin-Mayer: sarà impegnato in tre film come attore, ed è proprio l’inizio della sua carriera cinematografica.

Immagine articolo Fucine MuteIl suo esordio al cinema è in un film diretto dall’abile George Sidney, e il titolo è Baciami, Kate! (Kiss me Kate!). È una piacevole versione dalla Bisbetica domata di Shakespeare, nella quale gli attori interpretano la loro vita matrimoniale come se fossero partecipi della storica e classica commedia. Anche in questo caso, Fosse non è ancora il protagonista, ma è subito notato dal coreografo ufficiale del film, Hermes Pan, che lo vuole al suo fianco come assistente: è una vera rivelazione professionale.
La commedia è molto bella, e che dire delle canzoni? Citiamo almeno So in Love e From this Moment on fra le altre. Le coreografie sono certamente il meglio di questo film così festoso e divertente, e gli interpreti sono Howard Keel e Katrin Greyson in piena carriera nel “Musical”. Ma c’è anche un giovane danzatore: Bob Fosse in persona, nella parte di “Ortensio” uno dei tanti corteggiatori della adorabile e capricciosa Kate.

Il film successivo per la “Metro” è My Sister Eileen (Mia sorella Evelina) nel quale Fosse ha la direzione delle coreografie e anche un ruolo come attore, alle prese con una coppia di sorelle un po’ troppo vivaci. Quanto alla sua vita privata, va segnalato il suo primo divorzio, con immediato secondo matrimonio: anche questa volta la moglie è attrice e ballerina.
E siamo al terzo film: Give a Girl a Break (Dai un’occasione alla ragazza) diretto da Stanley Donen, un super-specialista in Musical. Il titolo in Italia sarà Tre ragazze di Broadway, e Bob Fosse è ancora una volta ballerino, attore e coreografo. La sua partner è Debbie Reynolds, insuperabile per bravura e simpatia, reduce dal grande successo di Cantando sotto la pioggia accanto a Gene Kelly.

Regista per la prima volta, con tre mogli consecutive

Sul finire degli anni 50, l’attività di Bob al cinema ha un periodo di stasi. Decide quindi un ritorno a New York, e qui c’è George Abbott, leggendario direttore e produttore di Broadway, che lo assume come coreografo a tempo pieno per dedicarsi al suo The Pajama Game (Il giuoco del pigiama). È una commedia nella quale i temi abituali del Musical si svolgono attorno ad una vertenza sindacale con tanto di sciopero, proprio in una fabbrica di pigiama. Fosse vince il “Tony Award” per le migliori coreografie, e riscuote un enorme successo anche per l’originale e inconsueta ambientazione del soggetto: siamo alle prime avvisaglie d’un importante mutamento nelle trame dei film musicali, che hanno cominciato a evolversi verso motivi sociali al di là dei sospiri d’amore e delle gaie canzoncine.

Bob Fosse e Gwen Verdon Nel ‘58 è ancora Abbott, insieme a Stanley Donen, a mettere in scena Damn Yankees (Maledetti Yankee), e il successo aumenta: anche in questo caso la commedia è ben poco tradizionale, avendo per tema i bassifondi di New York. Durante la lavorazione di Damn Yankees Bob conosce Gwen Verdon che è un’altra ballerina. La conseguenza è semplicemente un altro divorzio: lei diventa la sua terza moglie e anche la sua fedele compagna sulle scene di Broadway, dal 1959 in poi. Nello stesso anno dirige per lei una vivace commedia, Redhead, dal momento che Gwen è palesemente rossa di capelli.
In conclusione, il nostro bravo Fosse ha avuto tre matrimoni consecutivi, con le spose provenienti dal mondo dello spettacolo in tutti e tre i casi. Il terzo è il meglio riuscito: lui e Gwen resteranno insieme ancora per molti anni, e nel 1963 nascerà la loro unica figlia, Nicole Providence Fosse: un momento molto felice.

Un breve passo indietro per dire ancora qualcosa su Damn Yankees: la protagonista Gwen, dopo un bel successo a Broadway, piacque molto al pubblico anche nella versione cinematografica con le belle coreografie di Bob. Il film lanciava anche una canzone dal titolo Whatever Lola Wants, Lola gets (Ciò che Lola vuole, lo ottiene): un motivo su misura per la brava Gwen, con un ritmo di blues nostalgico. E il film usciva poi con il titolo modificato in What Lola wants sugli schermi inglesi.
Il migliore risultato della collaborazione fra Bob e la sua terza moglie si ha nel 1966, quando viene presentata a Broadway la commedia Sweet Charity, versione teatrale ispirata dal film di Fellini Le notti di Cabiria. Nel 1969 è già pronta per il cinema la pellicola relativa con Shirley Mac Laine per protagonista: la prima completa regia cinematografica di Fosse. La pur bravissima Mac Laine non è la nostra Giulietta Masina, tuttavia ci sarà un ottimo esito.

“Come to the Cabaret, old Chum!”

All’inizio degli anni ‘70 il Musical attraversa una fase negativa: e la causa, si stenta a crederlo, è da attribuire ad un vistoso film del 1965 diretto da Robert Wise, The Sound of Music (Tutti insieme appassionatamente) che aveva sedotto il pubblico con le musiche di Richard Rodgers, la delicatezza di Julie Andrews e una trama che rievocava un triste periodo per l’Europa: l’imminente annessione del Tirolo con le sue verdi colline da parte delle truppe tedesche, finora unico territorio per belle maestrine in gita con gli scolaretti.

Immagine articolo Fucine MuteIl buon esito di questo film con le sue tre ore di durata aveva anche indotto qualche produttore incauto a farne delle imitazioni, riuscendo unicamente a stancare il pubblico. Ci voleva qualcosa di nuovo e valido: ci pensò Bob Fosse con il suo indimenticabile Cabaret.
La trama ci porta in una Berlino anteguerra, dove cominciano a farsi avanti i presagi della tragedia imminente, anche se nelle prime scene si vede solo qualche sperduto “Nazi” in divisa, deriso e malmenato dai passanti. Il soggetto è derivato da una commedia con lo stesso titolo che si ispirava alle Berlin stories dell’inglese Christopher Isherwood. Siamo nel 1972, e per Fosse questa è la regia del suo secondo film: non saranno neppure necessarie grandi modifiche al bel soggetto di Isherwood.

Ed ecco in breve la storia: Sally Bowles è una giovane americana che negli anni ’30 a Berlino si guadagna da vivere con le sue applauditissime canzoni in un locale notturno, il “Kit Kat Club”. I numeri di varietà sono introdotti da un ambiguo e sorprendente “maestro delle cerimonie” (l’attore Joel Grey), a sua volta impegnato in alcune scene irresistibili, come “Two Ladies” e il famoso “Money, Money”. Ma il richiamo di maggiore impatto con il pubblico plaudente è soprattutto Liza Minnelli, affascinante in quelle calze nere che inguainano le sue lunghe gambe, quando canta Come to the Cabaret, old Chum!: (vieni al Cabaret, vecchio amico!).
Si pensa a Judy Garland, sua madre, che ci invitava a imprese più romantiche, magari librandoci con la fantasia sopra l’arcobaleno. Favolose entrambe.
Non può mancare il prevedibile lato sentimentale, con Sally divisa fra due giovani ammiratori, e c’è anche una ricca e bella amica ebrea. Ma ciò che colpisce maggiormente lo spettatore è l’atmosfera ambigua che circola dappertutto, piena di presentimenti paurosi. Il centro di tutto questo è nella sequenza agghiacciante del giovane efebo che canta agli ospiti d’un locale all’aperto una dolce ma molto significativa canzone sullo sfondo d’un verde prato, Il domani ci appartiene, e alla fine si fa evidente un suo bracciale con la svastica nazista.

Liza Minnelli e Judy GarlandAncora due parole sulla splendida interpretazione di Liza Minnelli nel ruolo di Sally Bowles. Al momento di iniziare il film ha venticinque anni ed è già famosa: era apparsa sullo schermo all’età di tre anni, accanto a sua madre Judy Garland. Poi Judy era morta lasciandoci il suo ricordo indelebile di cantante e donna tormentata che voleva toccare l’arcobaleno con la sua canzone di sempre, Over the Rainbow. Madre e figlia avevano cantato assieme, al “Palladium” di Londra nel ‘64 sotto una valanga interminabile di applausi.

Liza non nascondeva la sua preferenza per il palcoscenico, ma i suoi maggiori successi rimasero sempre legati al cinema. Vince un meritato Oscar 1972 per la migliore attrice trasformandosi in una Sally Bowles che affascina e sorprende i clienti del “Cabaret”, e poi farà ancora altri film. Fra questi vorrei almeno ricordare le sue capacità di grande attrice (grazie, mamma Judy!) cantando in New York, New York di Scorsese, con a lato De Niro, nel 1977.
Dopo questa dettagliata parentesi torniamo subito a Bob Fosse. Nel 72 vi sono per Cabaret  parecchie “Nominations” all’Oscar: fra le altre, una per lui (Best Director), una per Liza (Best Actress) e una per una Joel Grey (Best Supporter Actor), il presentatore di tutti i numeri dello spettacolo, un ometto dalla voce metallica che canta, danza, allude, e cattura la simpatia di ognuno: difficile scordarlo. Ma di “Oscar” ve ne saranno altri.

L’anno seguente Bob si occupa ancora di teatro con uno spettacolo tutto per la Minnelli: Liza with a Z. Poi ancora cinema: dirige Lenny, un film biografico sulla figura del cabarettista Lenny Bruce che negli anni ‘50 aveva recitato delle satire feroci contro la gente “perbene” ricavandone solo delusioni e amarezze per tutta la sua breve vita infelice. Il protagonista è l’ottimo attore Dustin Hoffman, del quale ricordiamo qualche contatto con l’Italia: il film Alfredo, Alfredo diretto da Germi nel ’72, e la recente apparizione al Festival di Sanremo 2004, molto affabile e alquanto disorientato in quel surreale ambiente di canzonette.

Immagine articolo Fucine MuteLenny è del 1974, e nella carriera di Fosse va considerato come una sua prestazione particolare. È un film realistico, completamente “serio”, dedicato ad un personaggio veramente esistito e interpretato da un attore di grande capacità espressiva come Dustin Hoffrnan, nel ruolo d’un fallito che vuole affermarsi nel modo peggiore, insultando il pubblico con espressioni volgari: niente musica, non canzoni, soltanto rabbia, tristezza e ovviamente droga. Merita una segnalazione anche l’attrice Valérie Perrine nella parte della moglie di Lenny.

Fine prima parte

Commenti

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