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Palcoscenico

Iaia Forte

Una tragica madre vesuviana

Immagine articolo Fucine MuteMichela Cristofoli (MC): Questa sera porterai in scena Medea, un personaggio intenso, sul quale si sono depositati saggi antropologici e sguardi di registri come Pasolini, Lars Von Trier…

Iaia Forte (IF): che io credo abbia realizzato il film più bello…

MC: Sì, anche perché si è basato sulla sceneggiatura di Dryer…

IF: È secondo me il film più bello su Medea e forse una delle opere più affascinanti suggerite da questa tragedia, quasi il più bel film di Von Trier…

MC: Queste eroine torneranno in seguito nel suo cinema. Tu, invece, a cosa ti sei ispirata per il tuo personaggio?

IF: Ho letto di tutto, perché credo che ogni spettacolo su un grande testo è un occasione di conoscenza oltre il teatro, attraverso il teatro, per cui ho visto tutti i film che c’erano. Emma Dante, in questo caso, ha realizzato una totale riscrittura della Medea di Euripide di cui c’è pochissimo perché lei ha ricomposto totalmente la drammaturgia del coro e anch’io recito pochissimi brani del testo originario per cui ho un personaggio molto frammentato. Io e Giasone rimaniamo gli unici a pronunciare frasi di Euripide, quindi risulta una messa in scena “sollecitata” dal modello ma diversa. Le ispirazioni sono sempre fondamentali ma devono servire per ritradurre in qualche maniera, e questa Medea è particolare, è molto fisica, barbara. In questo allestimento tutto quello che nel testo è il rapporto con la magia, col sacro, che viene espresso con l’alchimia, con le erbe e la conoscenza di sapienze sacre e ignote, è sostituito dalla capacità del femminile di essere cangiante, per cui Medea usa la seduzione con Cheronte o l’inganno con Giasone, finge di piangere per ottenere quello che vuole. Forse è anche una visione della regista della metateatralità del personaggio, come un po’ le attrici che giocano vari play, come tanti personaggi incastrati.

MC: Uno dei temi importanti del testo è quello della maternità, qui Medea è incinta…

IF: Una delle invenzioni della regista è rappresentata dal fatto che Medea è incinta e il popolo di Corinto è formato da soli uomini per cui l’eroina, uccidendo i figli, negherà la possibilità a questo popolo di procreare. È quindi una visione in qualche maniera apocalittica, anche metaforica di questo mistero assoluto dell’uccisione dei figli da parte di Medea, perché questo è un atto incomprensibile, non ci sono gli strumenti né teatrali né umani per capire. Per questo è un archetipo.

MC: Quindi non è solo una vendetta contro Giasone, ma contro l’intero popolo…

IF: È proprio un gesto contro una civiltà che ti devasta e verso cui c’è una ribellione profonda e apocalittica.

MC: Nelle regie di Emma Dante c’è sempre una donna schiava dei rapporti famigliari, del padre, dei fratelli…

IF: Qui si vendica! Poi c’è anche la dimensione, che appartiene anche a Medea, dell’affermare il diritto alla propria femminilità oltre a quello della maternità, che va oltre la vita. Sono personaggi faticosi…

MC: Infatti, parlavi prima dell’importanza del corpo: hai un ruolo molto fisico…

IF: È vero. In realtà è questo il lavoro di Emma Dante. Lei più che sul personaggio, sul testo, lavora sulla sintesi fisica, e anch’io, siccome avevo iniziato con la danza, ho recuperato questo aspetto. Le origini.

Immagine articolo Fucine Mute

MC: Un altro tema forte della Medea è quello dell’estraneità.

IF: Assolutamente, ed è un argomento che mi seduce moltissimo. Credo che un attore debba sempre servirsi di un tema per riflettere sulla propria condizione umana. Mi piace immaginarmi come una persona che si mette in scena piuttosto che come un’attrice che si mette in scena: una persona che si mostra attraverso la recitazione, che riflette sulla propria esistenza per mezzo di questo lavoro. Consideravo cosa significa essere straniera: penso alla condizione oggettiva di appartenere ad un nucleo diverso, avere abitudini diverse. Ho notato, per esempio, che nel film di Pasolini è molto chiaro questo rapporto tra una barbara che arriva in una civis, quella di Corinto, nel quale la relazione con la morte è molto diversa, infatti il film inizia con un sacrificio umano che fa parte dell’attualità del popolo della Colchide. Ho immaginato una condizione dell’interiorità perché mi capita spesso, come credo che capiti a tutti, di sentirsi stranieri anche agli occhi dei familiari. L’essere straniero è una condizione dell’anima, quel senso di estraneità che si prova anche nell’intimità dei rapporti comuni, quando non si riesce a comunicare con gli altri. Ho tentato di immaginare una condizione di stranieritudine.

MC: Poi in questo caso tu sei doppiamente straniera, napoletana tra siciliani, unica donna…

IF: Sì tutti uomini. Il fatto che io sia l’unica donna in scena è una tragedia: se ti serve  una pinzetta non la trovi manco a morire…

MC: Inoltre tutti parlano in siciliano stretto e tu in italiano.

IF: Questo è strano. È stato molto difficile. Naturalmente il dialetto ha un’immediatezza, una forza ed è complicato contrapporre le parole di Euripide ed integrarle ad un linguaggio così diretto… In questo caso ero naturalmente straniera, essendo l’unica donna, continuamente spiazzata da questi peli esposti, questi velli non d’oro, ma neri, di questi uomini di Corinto che sono vestiti da donna e spesso sono seminudi.

MC: Stavo pensando che nell’ultimo spettacolo in cui ti ho vista a teatro, “L’Ambleto”, si notava questa importanza della lingua, con Testori, e anche lì tu eri vestita da sposa. Eri Lofelia, una sposa che non può essere madre. Anche quello era uno spettacolo intenso…

IF: Quella è stata un’esperienza superfelice, l’incontro con Tiezzi, con Lombardi, con Testori, è stato molto felice, poi usare una lingua diversa è come usare una maschera, un’abitudine ad una lingua che non è quella della tua biologia, della tua memoria, della tua biografia, è un esercizio strepitoso. Le sonorità delle lingue sono indicative di mondi, per cui esplorarne una diversa dalla tua, o un dialetto diverso, è come mettere la testa sott’acqua: c’è un altro pianeta. Lì pure ero sposa, come qui, ma la cosa è differente, qui Medea è una moglie allucinata, e c’è anche un rapporto con la sposa di Giasone che lei ucciderà avvelenandone gli abiti, quindi c’è una sorta di proiezione in cui Medea si vede, dopo che ha partorito questi figli, di nuovo vestita da sposa, come ricongiunta a Giasone, ma contemporaneamente si immagina come la nuova donna di Giasone che ucciderà attraverso quegli abiti. Quindi un incrocio, ma è più semplice vederlo che descriverlo…

Immagine articolo Fucine Mute

MC: Stavo considerando che tu a teatro hai lavorato con Cecchi, con Lombardi, con De Berardinis, ed hai iniziato con Martone in “Rasoi”, e proprio Martone in “Teatro di guerra” ti fa interpretare un personaggio che abbandona il teatro underground per passare ad una compagna stabile.

IF: E io invece niente, mi ostino con il teatro underground… Sì, credo che il teatro abbia ancora una funzione etica fondamentale e non è per snobismo che scelgo di lavorare con determinate persone, ma perché esse si fanno portatrici di un teatro che è più simile a ciò che vorrei vedere io come spettatrice. Preferisco rischiare anche di fallire alcuni incontri, esplorando territori che mi permettano di continuare una ricerca personale di un certo tipo…

MC: Assieme ai Teatri Uniti alle spalle c’è il Mercadante. La ricerca continua…

IF: Sì, il Mercadante, oltre ad essere uno dei produttori di Medea, è una delle poche roccaforti teatrali in un momento abbastanza difficile.

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